ETTORE BONALBERTI
Democristiano non pentito autore del libro
“L’ITALIA DIVISA E IL CENTRO CHE VERRA’ ”

L'intervista di Alberto Melloncelli
 
E’ uscito da pochi mesi nelle librerie l’ultimo lavoro di Ettore Bonalberti, un polesano da anni stabilitosi fuori dai confini della nostra Provincia (prima a Mestre e poi a Milano) ma che, nel cuore, è rimasto sempre uno di noi. Per i più giovani diremo che Bonalberti, classe 1945, laureato in Sociologia presso l’Ateneo di Trento, si iscrisse giovanissimo alla Democrazia Cristiana nella cui organizzazione ricoprì ruoli importanti a livello nazionale. Fu uno stretto collaboratore di Carlo Donat Cattin ed esponente di spicco della corrente di “Forze Nuove”. Fu anche Sindaco di Ficarolo, per pochi mesi, nel 1970. Dal 1986 al 1995 è stato Presidente dell’Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologca applicata al mare) e direttore dell’ARF, l’azienda pubblica che si occupa dell’ambiente e delle foreste del Veneto. Nel 2000 è stato chiamato a ricoprire l’incarico di Direttore Generale per le Opere Pubbliche e le Politiche della Casa della Regione Lombardia. Oggi è Direttore dell’Ersaf (Ente regionale per i servizi agricoli e forestali) di Regione Lombardia..

Il libro di Bonalberti s’intitola “L’Italia divisa e il centro che verrà”. Comprende una selezione di suoi articoli che raccontano le vicende politiche italiane dal 2001 al 2006. Da essi traspare la lungimiranza dell’autore che ha previsto, con largo anticipo, lo scenario complesso e confuso della politica italiana di oggi. Attraverso i suoi scritti emerge la sua vita, il suo amore per il Veneto, il suo percorso politico fatto di gioie e di amarezze, gli ideali che hanno mosso le sue azioni e la capacità di unire il servizio per la fede con il servizio per la politica. Il filo che lega l’intera narrazione, a volte ironica e a volte seria e preoccupata, è quello di un uomo di parte che legge la realtà con il suo ideale di “democristiano non pentito” il quale non ha mai voluto affidare l’esclusiva del solidarismo e della giustizia sociale ai partiti figli della II^ e III^ internazionale. Ettore vuole continuare a parlare di politica, di valori legati alla persona e alla civiltà cristiana, anche in assenza di un “partito dei cattolici”. E lo fa auspicando la trasformazione del popolo dei moderati nel Partito dei Moderati, una ipotetica formazione legata al popolarismo europeo che si dovrà contrapporre ad una grande forza d’ispirazione socialista. Per sapere qualcosa in più l’abbiamo intervistato.


Dr. Bonalberti, perché non partiamo dalla fine?
Partiamo dalla fine. Dalla fine della Democrazia Cristiana. Io facevo parte del Consiglio Nazionale che, nel 1994, votò lo scioglimento del più grande partito italiano. Martinazzoli, che ne era il Segratario, mandò un telegramma. Non ebbe nemmeno il coraggio di partecipare. Fu uno dei giorni più drammatici della mia vita perché io, fino a quel momento, avevo vissuto per la politica. Dedicandole la maggior parte del mio tempo. Tempo rubato alla professione, agli affetti famigliari e a tante altre cose.


Finì tutto così?
Ritornai qualche altra volta nei locali di piazza Sturzo, per partecipare ai Consigli Nazionali del Partito Popolare, prima, e del CDU poi, essendomi schierato con Buttiglione, contro il mio grande amico di corrente Franco Marini che, tra l’altro, scrisse la prefazione del mio primo libro, quello dedicato a Carlo Donat Cattin. Da allora, con la politica attiva, ho chiuso. Avendo lavorato con i giganti non potevo lavorare con le scartine, con gli gnomi, con gente di cui, complessivamente, ho poca stima.
Però ha continuato ad interessarsi di politica.

Per alcuni anni, forse a causa delle delusioni, mi sono fermato ma la passione per la politica rimaneva e, dopo essermi trasferito a Milano, nel 2001, ho cominciato ad esprimermi con degli articoli, celandomi sotto lo pseudonimo di Don Chisciotte.


Dove scrive le sue note?
Le mie notarelle, dal 2001, sono ospitate ogni mese sul sito dell’on. Cesare Campa, democristiano sopravvissuto nelle fila di Forza Italia che io ho votato perché, avendo la residenza a Mestre, lui era l’unico democristiano votabile in quel di Venezia.


Ma chi è il Don Chisciotte scrittore?
E’ un democristiano non pentito che cerca d’interpretare i fatti e gli avvenimenti dandone una giustificazione, chiaramente di parte, senza la presunzione di essere depositario della verità, in politica non esiste, e con il disincanto di chi vede le cose con distacco e spirito critico.


Cosa pensa Don Chisciotte sul “centro che verrà” nella politica italiana?
La Democrazia Cristiana non può rinascere. Guardare all’indietro con un sentimento nostalgico sarebbe un errore straordinario. Oggi non ci sono più le condizioni per cui il partito dei cattolici possa ricostituirsi nelle forme e nei modi come lo abbiamo conosciuto.


Qual è stata la causa principale della scomparsa della “balena bianca”?
Il cambiamento del sistema elettorale fu la mazzata decisiva. Il referendum di Segni fu il cavallo di Troia. E gran parte di quella situazione derivava dall’odio che De Mita portava verso Forlani e Craxi per cui l’irpino andò a firmare il referendum di Segni facendo credere che superando il proporzionale, superando le preferenze, si sarebbe rinnovata l’Italia. Io ebbi subito il sentore che la strada intrapresa sarebbe stata senza ritorno perché un partito di centro non ha senso con un sistema elettorale maggioritario.


Quindi lei più che un nostalgico della DC è uno che rimpiange il proporzionale.
Difendo la storia della DC. Sono convinto che quanto abbiamo fatto di positivo sia, largamente, superiore alle cose negative, specie nella degenerazione degli ultimi anni del pentapartito. Ritengo che la scelta del sistema elettorale maggioritario, nel paese dei campanili, sia sbagliata. Anche da un punto di vista storico e culturale. La nostra storia si modella perfettamente con quella tedesca piuttosto che con quella francese, inglese o statunitense per cui non vedo perché si voglia adottare il sistema di voto di questi ultimi anziché dei primi. Tant’è che ci siamo ritrovati in un sistema politico che si regge, da una parte, sull’odio antiberlusconiano e, dall’altra, sulla capacità di Berlusconi di tenere le componenti moderate intorno a lui.


Però nel 2006 si è pur tornati al proporzionale.
E’ stata una forzatura. Oltretutto fessa. Perché un sistema proporzionale non può essere svincolato dalla logica delle preferenze. Le liste fatte in casa di Berlusconi e di D’Alema sono state sostitute da liste fatte in casa di Berlusconi, D’Alema, Fini, Casini, Bertinotti e, via via, tutti gli altri. Un sistema rispetto al quale i nostri congressi della DC, con tutti i loro limiti, erano delle oasi di pace, di democrazia e di grande tolleranza in cui, comunque, la selezione della classe dirigente veniva dal basso. Qui abbiamo mandato in Parlamento nani, ballerine, cognati, parenti, cugine, amanti, letterine, letterati, illeterati, luxurie e quant’altro. Potrà andare avanti, così, il paese?


Ma questo è colpa solo di una legge elettorale sbagliata?
No. Il problema vero è lo spappolamento del corpo sociale, economico e culturale del Paese. Tutte le contraddizioni sono venute alla luce nel momento in cui si è tentato di aggiustare i conti ed affrontare, timidamente, alcuni processi riformatori. Il corpo sociale è esploso perché non si trova più un punto di coesione e di sintesi politica. Quella sintesi che, un tempo, era rappresentata da un grande partito che aveva Donat Cattin da una parte e Andreotti dall’altra i quali riuscivano a rappresentare la complessità della società italiana.


Concretamente… Ci fa un esempio?
Nel movimento giovanile della DC, io e Castagnetti eravamo i più estremisti e, tanto per fare un esempio, non ci facevamo scrupolo di portare in piazza qualche migliaio di giovani a protestare contro la Nato chiedendo l’espulsione della Grecia dei colonnelli e del Portogallo di Salazar. Questo per dire che nella DC c’era spazio anche per simili posizioni.


Nell’attuale quadro politico, secondo lei, non ci sono più partiti, o schieramenti, largamente rappresentativi?
Oggi ci troviamo di fronte a due schieramenti: uno di centrosinistra ed uno di centrodestra. Nel primo prevale, salvo qualche caso raro, come in occasione della bocciatura del disegno di legge del Ministro Turco sugli stupefacenti, la sinistra radicale. E non può essere altrimenti perché è sempre il cane che muove la coda, non il contrario. Infatti la massa che conta non è certamente quella della Margherita ma è quella dei DS, di Rifondazione e degli altri componenti della sinistra. Un vecchio democristiano può anche starci, in questo schieramento, ma non sarà mai egemonico.


E Prodi? Non è forse un vecchio democristiano?
Certamente. Ci può essere la figura mitica e falsa di un Prodi, usato nel momento in cui non si ha la capacità di presentare qualcun altro, ma al prossimo giro ci sarà pronto Veltroni. Arrivati a Veltroni il gioco è finito. E sarà un gioco terribile perché saremo proprio al panem et circenses, il massimo della goduria marxista, il massimo della sovrastruttura che realizza il massimo del potere egemonico, controllando Comuni, Province, Regioni, Magistratura, Sindacati, Banche, Università, cultura, grande distribuzione, ecc., ecc..


E il centrodestra?
Beh, nel centrodestra la grande incognita è l’alternativa a Berlusconi. De Gasperi durò dal 1947 al 1954: sette anni. E si chiamava Alcide De Gasperi. Si pensi che Berlusconi è in campo da 13 anni e settant’anni li ha già compiuti. Quindi, porsi la questione della sua sostituzione non è sbagliato. Casini, con i suoi giochi di smarcamento, è uno dei pretendenti alla successione. Secondo me, però, con la linea che ha adottato, il capo dell’UDC si sta candidando, al massimo, alla vicepresidenza del Consiglio. Sia in qualità di stampella del centrosinistra sia rimanendo fedele al centrodestra.


Lei dovrebbe conoscerlo bene Pierferdinando Casini.
Sì, lo conosco bene. Pierferdinando è uno che non ha mai timbrato il cartellino. Ha sempre fatto il politico. Ricordo un colloquio sulla Bmw di Toni Bisaglia il quale mi diceva: “Ho conosciuto due ragazzi bravissimi. Uno xe beo e chealtro xe inteligente. E quel beo non xe Follini”. Follini era moroteo per cui Bisaglia puntò su Casini. “Lo candido – mi disse Toni – ghe pago la campagna eletorale, a lo candido”. “Beh - dissi io – ma questo ragazzo, che fa?”. “Lo go meso nell’ente di sviluppo” mi rispose. E da allora lui ha sempre fatto solo politica. Al di là della battuta di Bisaglia, Casini è una persona molto intelligente, non a caso è diventato anche Presidente della Camera, ma con queste sue ultime prese di posizione rischia di non essere più credibile né per la destra né per la sinistra.


Chi vedrebbe, allora, come successore di Berlusconi alla guida del centrodestra?
Io vedrei bene l’attuale Governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Credo abbia tutti i numeri. Uno che ha fatto, e bene, il Governatore per tre legislature della Lombardia, dove c’è il terzo pil per abitante d’Europa, ha le carte in regola per guidare l’Italia. Non c’è paragone con uno che è stato messo a fare il deputato dal mio compianto amico Bisaglia su di una Bmw. Poi, non essendo sposato e non avendo figli, si dedica alla politica a tempo pieno.


Come vede il futuro della politica italiana?
Io sono terribilmente pessimista. Però conservo l’ottimismo della volontà, gramscianamente. Ci sono ancora delle componenti sociali, culturali ed economiche, di ispirazione sia cattolica, sia liberale che socialista, che possono ancora salvare il nostro Paese. Compresa una parte del vecchio movimento comunista. Queste forze, unendosi, potrebbero guidare l’Italia attraverso una fase di passaggio e poi se son rose fioriranno.


Allora lei vedrebbe bene, anche in Italia, la formazione di una grosse-koalition?
Oggi siamo in una situazione di anomia, cioè di assenza di norme condivise, di riferimenti e di certezze. La condizione anomica è la peggiore di tutte. La più pericolosa per la democrazia. Credo che un passaggio che metta insieme tutti gli sforzi per superare questa fase sia auspicabile e benefico. Quindi, ben venga una grande coalizione in cui convergano le forze riformiste di centro, di destra e di sinistra, come nel dopoguerra, ma sapendo che sarebbe solo una fase a cui dovrebbe seguire una situazione in cui un grande partito di sinistra, riformista e democratico si confronterà con un grande centro moderato, laico, cattolico e liberale. E poi vinca il migliore. Non cascherà il mondo se una volta prevale uno schieramento e quella successiva l’altro.


Per chiudere, cosa ne pensa della classe dirigente polesana?
Ne penso male. Con la fine della prima repubblica sono emerse le terze e quarte file. C’è gente che ricopre ruoli e posizioni di primissimo piano che, alla mia epoca, non avrebbe fatto nemmeno il segretario della sezione di Runzi. Un tempo, nella DC, ma anche negli altri partiti, c’era tutto un cursus honorem. Non si diventava Consigliere Comunale se non si era, quantomeno, membro del direttivo di sezione. Io non ho mai fatto il segretario di sezione (abitavo a Ficarolo) perché, quelle volte che potevo anche avere la maggioranza, arrivava Bisaglia e la coldiretti aveva già iscritto sette od otto persone. Risultato: 52 loro e 48 io. Ma del resto, ero di “Forze Nuove”, cosa potevo pretendere? Pensare alle cose di allora, parlo della fine degli anni sessanta, dei primi anni settanta, quando è nata una classe dirigente importante, e vedere le terze e quarte file che sono arrivate oggi ai posti di responsabilità, anche in provincia, mi resta solo che augurare ai giovani di prendere, prestissimo, il loro posto.

Alberto Melloncelli