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Documento appello dell'associazione
" ALEF Associazione Liberi e Forti"
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In un momento delicato della politica italiana, a 90 anni dall’appello sturziano ai “ Liberi e Forti”, si sono riuniti a Lonato di Brescia il 28 Novembre 2009, donne, uomini, anziani e giovani che ritengono doveroso e necessario impegnarsi in questo momento di trasformazione sociale ed economica che interessa il nostro Paese nel quale l'integrazione europea è diventata parte della nostra vita quotidiana;
provenienti da diverse esperienze culturali e politiche, le quali, tuttavia, fanno tutte riferimento ai valori del popolarismo sturziano e si riconoscono nei programmi politici del Partito Popolare Europeo, essi hanno deciso di costituire l'Associazione di informazione politico-culturale denominata “ ALEF” ( Associazione Liberi e Forti) sulla base di un impegno fondato su valori e tradizioni che hanno permesso all'Italia di trasformarsi da "terra povera" e di "dolorosa emigrazione" in un'area tra le più industrializzate del pianeta;
valori e tradizioni che si basano sul primato della persona e della Famiglia e sulle realtà associative che, operando in ambito sociale, economico, culturale e politico, intendono continuare la nostra tradizionale "voglia di fare insieme" anche ricorrendo agli strumenti più avanzati delle moderne tecnologie. Tradizione sturziana declinata secondo gli orientamenti pastorali espressi da Papa Benedetto XVI nell’enciclica “ Caritas in veritate”.
Siamo impegnati per la costruzione di un'Europa dei valori, unita, aperta, diversa e più umana, che tragga linfa vitale dalle sue radici cristiane e delle libertà civili, all'interno della quale le peculiarità e le particolarità regionali e locali possano lavorare assieme per promuovere il benessere di tutti.
Sosteniamo l’idea primaria di un’Europa dei popoli e non di un’Europa dei poteri finanziari forti per la costruzione degli Stati Uniti Europei, realtà istituzionale sovranazionale, secondo la visione che fu dei fondatori Adenauer, De Gasperi e Schuman.
Crediamo in un libero mercato ed una libera concorrenza che sono alla base di un "welfare" che sappia coniugare in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale.
Sono gli stessi principi e valori che hanno caratterizzato le nostre diverse esperienze politiche di provenienza e condivisi con il Partito Popolare Europeo al quale il costituendo Partito del Popolo della libertà si ispira ed intende aderire.
L'Associazione "ALEF" vuole essere un luogo di elaborazione e di progettualità politica, luogo di incontro e confronto, laboratorio di idee diffuso in tutto il territorio nazionale, riconoscendo il primato della liberta' di espressione e di informazione mutuando ai mass media tradizionali anche l'uso fondamentale della rete internet per garantire il pluralismo e la democrazia.
Riconosciamo il primato della politica come momento di sintesi ideale e come luogo di rappresentanza reale di bisogni diversi e diffusi; per una politica che rifugga le inutili conflittualità personalistiche e di parte e che riassuma i valori del popolarismo inteso come diretta partecipazione dell'Uomo - Cittadino alla costituzione del futuro suo e dei suoi Figli.
Siamo convinti assertori di un sistema elettorale proporzionale e bipolare nel quale il premio di maggioranza con sbarramento favorisca l'aggregazione fra i partiti e scoraggi la frammentazione dell'elettorato, ma intendiamo impegnarci con urgenza per modificare la legge elettorale in vigore che, con l'abolizione delle preferenze, ha di fatto eliminato ogni forma di legittimazione popolare alle classi dirigenti parlamentari.
Così pure intendiamo lavorare con grande impegno per sostenere e rafforzare in Italia, sul modello del Partito Popolare Europeo, il partito dei moderati e dei riformisti che, da un lato, raccolga nel proprio seno tutte le grandi tradizioni politico - culturali del nostro Paese (da quella cattolico - popolare a quella socialista riformista, da quella liberal - democratica a quella nazional - unitaria) e che, dall'altro, sia caratterizzato dalla più ampia democrazia interna e da una struttura organizzativa federale: solo le questioni riguardanti la politica estera, la politica economica nazionale e la politica istituzionale devono essere riservate alla competenza del livello nazionale del partito, mentre tutto il resto (compresa la selezione delle classi dirigenti locali e nazionali) deve essere affidata alle istanze locali e regionali.
La politica non deve essere esclusivamente strumento per vincere le competizioni elettorali, ma deve agire per salvaguardare e costruire anche gli interessi delle generazioni future, alle quali dobbiamo saper garantire quel lungo periodo di pace, di libertà e di benessere che i nostri padri hanno assicurato a noi.
Sosteniamo con forza l'idea di uno Stato Federale che sappia essere popolare e che nelle sue articolazioni territoriali riconosca le funzioni costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province, e delle Regioni.
Viviamo l'autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà in quella prospettiva europea che oggi ci appartiene. Una sussidiarietà tuttavia che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra istituzioni e società civile; ciò che può fare meglio il cittadino, singolo o associato, non deve essere fatto dalle istituzioni pubbliche.
Diamo vita, dunque, ad un modello di valori e di democrazia che sappia coinvolgere tutti coloro che fanno riferimento agli ideali e ai programmi del Partito Popolare Europeo, tutti coloro che con entusiasmo e motivazione ideale intendono mettere a disposizione le propria intelligenza, capacità e professionalità per il bene comune.
Intendiamo costruire insieme un movimento di ampie convergenze, capace di superare antiche e nuove divisioni per ritrovare nei valori del popolarismo sturziano declinati secondo le indicazioni pastorali della “Caritas in veritate” la nostra ragione di impegno politico.
Senza alcuna nostalgia di un passato, pure carico di indiscutibili positività, crediamo sia giunto il momento di unire tutte le energie locali, provinciali , regionali e nazionali affinché, la nostra cultura politica sia meglio rappresentata ben al di là della compromissoria formula del 70/30 con cui è nato il Partito del Popolo della Libertà.
Un'azione capillare di promozione del dibattito culturale e politico su tutto il territorio nazionale verrà attivata per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini che intendono dare il loro fattivo contributo alla costituzione su basi realmente democratiche del Partito del popolo della libertà.
Le sottoscritte associazioni e i firmatari del presente documento si impegnano a realizzare la rete di ALEF (Associazioni Liberi E Forti) come occasione e strumento di confronto, informazione e formazione politica a livello nazionale e locale.
Lonato, 28 Novembre 2009
1. I circoli veneti di “ Insieme”
2. Associazione “ Noi del PPE” di Milano
3. Popolari Liberali di Milano
4. Movimento Popolare Veneto
5. Democrazia Cristiana per le autonomie di Padova
6. Centro culturale Ermes di Sabbioneta (MN)
7. Alleanza di Centro di Lonato del Garda (BS)
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Commento alla nascita di ALEF
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Con l’avvenuta formazione della rete delle associazioni che si rifanno al popolarismo sturziano declinato secondo gli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate”, si è avviato un percorso dal Veneto e dalla Lombardia destinato a svilupparsi in tutte le regioni italiane con coloro (Associazioni. Movimenti, circoli, centri studi e cittadini) che si riconoscono nel messaggio ai Liberi e i Forti contenuto nel documento finale di Lonato del Garda.
Come nel Veneto i circoli dell’associazione “ Insieme” intendono ricollegare tutti coloro che appartengono alla tradizione cattolica e popolare liberale, per far assumere a questa componente il giusto ruolo che si ritrova a livello elettorale, così ALEF intende raccordare a livello nazionale tutti coloro che si riconoscono con i valori e i programmi del Partito Popolare Europeo.
Quanti, e praticamente la quasi totalità fra di noi, sono entrati in Forza Italia prima e nel Pdl, dopo la svolta del predellino, lo hanno fatto per la chiara scelta del Pdl all’interno del PPE.
Ora si tratta, tuttavia, di dare sostanza e valore a questa adesione che, almeno per noi, significa esattamente quanto abbiamo dichiarato nel documento finale di Lonato. (v.allegato).
Il tema dell’identità, infatti, non è più rinviabile all’interno del Pdl, per non lasciare emergere posizioni equivoche o contraddittorie su tale terreno.
Per noi l’adesione al Pdl significa sostenere “ l’idea primaria di un’Europa dei popoli e non di un’Europa dei poteri finanziari forti per la costruzione degli Stati Uniti Europei, realtà istituzionale sovranazionale, secondo la visione che fu dei fondatori Adenauer, De Gasperi e Schuman;
Credere in un libero mercato ed una libera concorrenza che sono alla base di un "welfare" che sappia coniugare in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale.”
Sono gli stessi principi e valori che hanno caratterizzato le nostre diverse esperienze politiche di provenienza e condivisi con il Partito Popolare Europeo al quale il costituendo Partito del Popolo della libertà si ispira e ha deciso di aderire.
Non basta affermare che ci si riconosce in questi principi e valori se si assumono comportamenti distinti e distanti quanto non apertamente alternativi ad essi.
I nostri riferimenti ideali sono quelli di Don Luigi Sturzo, con attenzione prioritaria alle esigenze delle fasce popolari, entro un'ottica interclassista che miri a quelle "sintesi sociali" tanto care alla tradizione sturziana.
Alcide De Gasperi, soprattutto con i richiami alla responsabilità, al senso dello Stato, alla laicità nella gestione delle Istituzioni, alla vocazione europea;
Luigi Einaudi per un ridimensionamento dello Stato in una prospettiva autenticamente liberale. Persone di alto profilo umano, morale e culturale del nostro "rinascimento politico" del ‘900. Don Sturzo e Alcide De Gasperi non hanno lavorato e combattuto per fare un sindacato dei valori cattolici, bensì per costruire o ri-costruire uno Stato fondato sulla Libertà, con responsabili azioni di Governo,illuminate e “possibili”.
- vero caposaldo: dottrina sociale cristiana moderna, in particolare la conciliare e postconciliare, da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: liberalismo laico in senso genuino, cioè non laicista, e liberalismo cattolico, fino a Benedetto XVI con le indicazioni della “Caritas in Veritate” sulla società della globalizzazione, della tutela dell’ambiente, dei valori della persona e dei più deboli.
Respingeremo sempre il tentativo delle Sinistre di voler confinare i Cattolici ad esercitare la loro Fede nel solo ambito privato della coscienza e non come un’esperienza di vita vissuta nella società, con i valori e i principi che si richiamano all’insegnamento di Gesù Cristo e al magistero della Chiesa cattolica espresso tramite la sua dottrina sociale.
Analogamente contrasteremo democraticamente ogni azione e proposta di chiara matrice laicista che si ponesse in netta contraddizione con tali principi sul piano della bioetica, del primato della persona e della famiglia coniugale fondata sul matrimonio, della difesa della vita dal suo concepimento sino alla fine di ogni persona.
Ma per perseguire con reale determinazione questa identità la precondizione all’interno del Pdl come in qualunque altro partito che in Italia intende riferirsi al PPE, resta quella della garanzia di un autentico assetto democratico del partito.
Due sono le condizioni essenziali per garantire al PDL, come ad ogni altro partito che intende rifarsi al PPE, una reale democrazia interna:
1) Collegialità nelle decisioni, ossia le scelte non siano mai solitarie, ma frutto di organi collegiali aperti al libero confronto e al dibattito (così e solo così la DC poté governare per quasi 50 anni, superando momenti terribili come quelli seguenti all’omicidio di Aldo Moro). Decisioni solitarie possono anche essere assunte vincenti in una fase di grande potere popolare e carismatico, ma non saranno mai di lunga durata. Aldo Moro ci ha insegnato che, specie nei momenti delle scelte più difficili :” sia meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli”.
2) Elezione diretta di tutti i dirigenti a tutti i livelli e con voto segreto, avendo la consapevolezza che, senza competitività democratica interna non si seleziona una classe dirigente ma solo dei cooptati, inevitabilmente ridotti o riducibili a condizione servile e per i quali vale sempre ricordare un insegnamento essenziale di Carlo Cattaneo secondo cui: “ chi educa al servilismo è destinato a raccogliere, prima o poi, il tradimento”. Un partito può anche essere strutturato rigidamente centralista, ma non resiste se non vige al suo interno la democrazia. L’alternativa è il centralismo democratico, oppure l’anarchia o la cooptazione sistemica senza futuro.
E’ evidente allora la necessità di superare la norma transitoria e finale dello Statuto del Pdl che, di fatto, congela la possibilità di libere elezioni delle dirigenze a tutti i livelli per almeno tre anni, assegnando al presidente del Partito e, attenzione, in caso di impedimento al suo Vice, tutti i poteri in materia di nomine.
Avviata giustamente la fase del tesseramento diventa ineludibile attivare sistemi elettivi diretti di tutti i dirigenti ai diversi livelli con voto segreto, come essenziale sarà procedere alla scelta dei candidati attraverso elezioni primarie fra tutti gli iscritti e i simpatizzanti.
Sono questi gli impegni che ALEF dovrebbe assumere sin d’ora, tanto sul piano dell’identità del partito che su quello della sua concreta organizzazione interna.
Ettore Bonalberti- Venezia, 30 Novembre 2009
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Caro
amico
Nel clima da tardo impero in
cui sembra impaludata questa lunga e travagliata fase
di transizione della cosiddetta “Seconda Repubblica”
con l’amico Marcello di Tondo di Milano, commentando
il caso della riunione sul panfilo Britannia del 1992,
in cui, di fatto, si decisero le sorti della prima
repubblica ( passaggio da me commentato in una recente
nota speditavi qualche settimana orsono) avremmo pensato
di organizzare un incontro con tutti gli amici ”
DC non pentiti” e con quanti, laici e di altra
cultura politica, intendono fare riferimento ai valori
del popolarismo sturziano.
Sarebbe quanto mai necessario
avere il tuo aiuto e ricevere, possibilmente entro
il 20 agosto p.v.:
1) la tua dimostrazione di
interesse a partecipare a questo incontro che si dovrebbe
organizzare a Milano o a Venezia entro il mese di
Ottobre;
2) la segnalazione con eventuali
coordinate (indirizzo di posta elettronica, eventuale
sito web, riferimenti personali e telefonici del responsabile)
delle associazioni o gruppi operanti sul tuo territorio
che si rifanno alle posizioni del PPE.
Il nostro obiettivo è
quello di costituire un’associazione delle associazioni
denominata ALEF (Associazioni dei Liberi e Forti)
con cui rilanciare l’esperienza politica di
laici ispirati ai valori del popolarismo sturziano,
alla luce degli insegnamenti dell’enciclica:
“ Caritas in veritate” di Papa Benedetto
XVI.
A nome degli amici di “
Insieme” ( www.insiemeweb.net)
che intendono sviluppare questa iniziativa per corrispondere
ad un’esigenza fortemente sentita nell’elettorato
italiano ti ringraziamo per l’aiuto che generosamente
vorrai darci.
Un saluto caro
Ettore Bonalberti
Cell.335 5889798
- posta@don-chisciotte.net
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PDL
E DINTORNI: DIALOGO CON ETTORE BONALBERTI
di Luigi Marcadella (direttore
della rivista Moderati Europei)
Se ne parla poco ma all’orizzonte,
oltre all’imminente battaglia per le elezioni
europee e amministrative, ci sarà il referendum
‹‹Segni-Guzzetta›› sulla legge
elettorale. È un argomento che interessa pochi
ma la legge elettorale è il cuore della democrazia
rappresentativa, è il meccanismo con cui l’elettore
elegge il proprio rappresentante. Dipende da una serie
di fattori che devono combinare tra loro la rappresentanza
e le condizioni ottimali per riuscire a prendere le
decisioni. A giugno si vota per le elezioni europee,
vero banco di prova della tenuta del sistema bipolare
italiano: in Europa non ci sono governi e maggioranze
da costruire, e si dovrebbe votare senza logiche di
voto utile o meno utile. Premesso che già i
Costituenti del 1948 si erano resi conto di quanto
fosse complicata la questione della legge elettorale.
Tanto è vero che l’impianto di sistema
elettorale che emerse dall’Assemblea Costituente
fu sostanzialmente il seguente: io (partito) conto
l’uno per cento e devo avere una rappresentanza
dell’uno per cento (proporzionale puro). Non
si voleva dunque, nella nuova concezione costituzionale
repubblicana, un sistema politico per cui nel paese
poteva esserci la sensazione dello “scontro”.
Quindi no al bipolarismo netto, troppo pericoloso,
e avvio di forme di governo “consensuali”.
Tuttavia gli italiani hanno stabilito nelle recenti
elezioni politiche che la competizione politica non
può più essere sfida tra 10 partiti,
ma al massimo fra 4 o 5 formazioni coalizzate in una
sorta di “uno contro uno” chiaramente
definibile.
***
C’è uno strano
‹‹movimentismo al centro››:
da Casini agli ex-popolari e centristi del Partito
Democratico è tutto un fiorire di iniziative.
Bonalberti, lei ha vissuto la Democrazia Cristiana
dal vivo, ha visto tutte le alchimie messe in atto
da piccoli e micro partiti della Seconda Repubblica.
Qual è lo stato dell’arte del bipolarismo
italiano: si giocherà tutto alle europee? ‹‹››
Nelle prossime elezioni europee,
grazie al proporzionale puro con sbarramento limitato
al 4% e voto di preferenza, si utilizzerà il
sistema preferito dai sostenitori di un possibile
nuovo centro. A Giugno avremo, dunque, la possibilità
di misurare l’esatto valore di tutte le forze
politiche. In libera uscita e senza necessità
del “voto utile” credo che si potranno
verificare significativi scostamenti rispetto al voto
politico del 2008. Dovrebbero avvantaggiarsene le
forze meno consistenti: IdV e Sinistra-sinistra dal
fronte PD e Lega dal fronte Pdl. L’UDC punta
a recuperare voti tanto a dx che a sx. Senza vincoli
per la necessità di governare l’obiettivo
potrebbe anche essere centrato. Altra questione quella
della tenuta del bipolarismo la cui prospettiva è
legata alla nuova legge elettorale.
Qualcuno sostiene che la riforma
del sistema elettorale in ottica maggioritaria (cosa
che i cittadini in effetti già scelsero col
referendum del 1993) sarebbe la panacea di tutti i
mali, altri sostengono che ben altre cose sono da
modificare nella nostra Italia (il “benaltrismo”).
Non si rischia con leggi elettorali senza soglie di
sbarramento alte, di far trovare spazi di manovra
politica che in realtà non ci sono nella volontà
degli italiani, come il paventato ritorno al ‹‹neo-proporzionalismo››.
Quali sono gli scenari partitici che si apriranno
in prossimità del referendum?
L’elettorato italiano
si è chiaramente espresso per il superamento
della frammentazione propria della prima e della seconda
repubblica. Proporzionlismo puro e mattarellum sono
stati spazzati via dal porcellum in attesa del referendum
sulle proposte Segni-Guzzetta. La schizofrenia che
ha colpito il PD, prima maggioritario per vocazione
francese ed ora diviso tra proporzionalisti alla tedesca
(Marini e D’Alema), uni nominalisti puri (prodiani
con pezzi significativi degli ex DS) e disponibili
alla mediazione (ex veltroniani con il neo segretario
Franceschini), rende difficile ogni pronostico. Sin
qui non si intravvedono spazi per un compromesso con
il Pdl. Quest’ultimo è tutto orientato
verso una lieve modifica del porcellum, antidoto anti
referendum e punto di possibile compromesso con la
Lega che aborra la scadenza sui quesiti Segni-Guzzetta.
Dubito che Berlusconi e la sua maggioranza intendano
tornare indietro rispetto alla scelta bipolare. D’altronde,
basta la maggioranza assoluta per la modifica della
legge elettorale… e per il referendum c’è
chi spera nel caldo dell’estate.
La questione ‹‹preferenze››.
Da un lato la preferenza costringe a campagne elettorali
costosissime (la politica dell’apparire, del
cartellone più grande) e a competizioni dannose
intrapartito, dall’altro è il collegamento
del territorio con gli eletti. Si dice che il voto
di preferenza porti a possibili corruzioni, perché
impone spese elettorali enormi. È un’illusione
che si dà ai cittadini di contare scrivendo
la preferenza?
Il primo referendum Segni
fu fatto contro il sistema delle preferenze considerato
strumento che favoriva la corruzione dei candidati
e il ricorso a forme di finanziamento illecito di
candidati, correnti e partiti. E tutto ciò
non era campato per aria e te lo dice uno che di quel
sistema è rimasto vittima sacrificale in due
tornate elettorali (1976 e 1979), quando giocare al
potere ed al consenso con i dorotei di casa DC era
come “giocare a poker con l’Aga Khan”.
E’ vero, peraltro, che al sistema delle preferenze
che garantiva, in ogni caso, un pur parziale potere
di scelta agli elettori, si è passati a un
sistema in cui quattro o cinque leader politici decidono
chi scegliere come candidati e chi far eleggere. Non
più eletti, ma solo cooptati e nominati alla
mercè dei capibastone di turno. Quindi, anche
se con le preferenze un poco di illusione rimane,
meglio le preferenze che un parlamento di cooptati
che non rappresentano nemmeno se stessi.
Il PDL è a pochi giorni
dal congresso fondativo. È chiaro a tutti che
non sarà una riedizione della D.C., perché
è cambiata un’era e sono cambiati i personaggi.
Con beneficio d’inventario lo si potrebbe paragonare
ad un ‹‹moderno pentapartito››,
con l’aggiunta consistente della destra italiana
identitaria. Condivide? ‹‹››
Sì, per certi verso
sembra trattarsi della riproposizione del vecchio
“preambolo” allargato ad AN, se volessimo
usare categorie politiche da fine prima repubblica.
In realtà, la discesa in campo di Berlusconi
segna una profonda cesura con la storia politica precedente.
Siamo a quindici anni dalla sua discesa in campo e
ci si sta avviando verso la celebrazione del ventennio
berlusconiano, senza che appaia una credibile alternativa
al Cavaliere e con gli ex comunisti ridotti ad eleggere
un segretario “provvisorio” ex DC. Credo
che, dopo le europee e secondo la legge elettorale
che si finirà con l’adottare, o attraverso
il voto parlamentare o con il referendum, assisteremo
al necessario riposizionamento delle diverse forze
politiche con un centro-destra che si dovrà
porre il tema del post Berlusconi e il centro-sinistra
che dovrà finalmente trovare una sua più
forte e sicura leadership.
Nella Prima Repubblica regnava
la cosiddetta ‹‹unità politica
dei cattolici››. Ora i due schieramenti,
Partito Democratico e Popolo delle Libertà,
sono divisi dalla ‹‹concezione antropologica
dell’uomo››. Il ruolo dell’uomo
della società, la bioetica, i confini della
vita e della morte. È solo qui la differenza
tra il Pd e il Pdl?
Sicuramente permangono storiche
differenze anche se non più nei termini antagonistici
così netti ed alternativi come quelli esistenti
tra DC e PCI nella Prima Repubblica. L’unità
politica dei cattolici, se mai è esistita (
non c’era nemmeno all’epoca del PPI di
Sturzo, partito di cattolici e non dei cattolici)
è stata definitivamente superata idealmente
dal Concilio Vaticano II, con l’affermazione
dell’autonomia dei cattolici in politica. Autonomia
che, tuttavia, non è anarchia o peggio anomia,
ossia assenza di valori, di norme e regole di riferimento,specie
per quanto attiene ai cosiddetti “valori non
negoziabili”. Constato, tuttavia, che nel PD
prevale la concezione laicista e materialista su cui,
tranne lo sparuto gruppo dei teodem, si sono appiattiti
molti degli stessi ex Popolari, “cattolici adulti”
alla Prodi e Rosy Bindi. Analogamente nel PD, se si
eccettuano le solitarie testimonianze di Formigoni,
Rotondi, Giovanardi e Pisanu, anche se i valori non
negoziabili dei cattolici sono assai meglio difesi,
quelle dei cattolici ex DC restano posizioni sin qui
largamente minoritarie e di scarsa influenza. In alcune
realtà, come nel Veneto, in cui la componente
cattolica è rappresentata da ex DC di terza
e quarta fila di assai debole spessore politico culturale,
si assiste ad una netta prevalenza delle componenti
laico liberal- radicali e socialiste che hanno compresso
e, in alcuni casi, espulso le realtà più
incisive e critiche di quella tradizione politica.
Il partito più vecchio
sulla scena politica italiana è la Lega Nord,
che vince con due semplici idee. La prima: la centralità
politica degli enti locali, nella scia della migliore
tradizione della D.C. Il partito del territorio che
portava a Roma oltre ai sindaci e agli amministratori,
le esigenze, i bisogni reali delle comunità.
Se si scorre il sito della Camera dei Deputati non
si può non notare che la Lega Nord è
formata da Sindaci e Assessori di piccoli e medi comuni.
Il PDL deve riprendere questo “vecchio”
modo di far politica?
Assolutamente Si, anche se
temo che la partita, almeno nel Veneto, sia già
molto compromessa. Assistiamo all’apparente
paradosso che le posizione ex DC, già ferocemente
combattute all’inizio dell’esperienza
leghista nel Veneto e in Lombardia, trovino oggi più
ascolto e cittadinanza tra gli uomini della Lega che
in quelli del Pdl. I primi, seppur appartenenti ad
un partito dall’autoritarismo ferreo al suo
interno, sono, tuttavia, espressione del territorio
e degli elettori veri della Lega; i secondi, quelli
di FI e di AN, per non parlare di quelli delle residue
pattuglie ex DC, sono in prevalenza dei semplici cooptati
che permangono nelle loro posizioni di potere da oltre
quindici, vent’anni, senza patire la minima
preoccupazione e pronti ad ogni scadenza ad una riconferma
che risulta ormai intollerabile all’elettorato
moderato veneto. Non si spiegherebbero altrimenti
i recenti casi del voto padovano, veronese e vicentino
e, soprattutto, i dati degli ultimi sondaggi pre elettorali
delle europee che danno la Lega in fortissima ascesa.
La seconda idea. L’attuazione
senza remore del federalismo, fiscale e politico.
Riprendendo, per esempio, la migliore tradizione di
Don Sturzo. Chi vincerà e chi si perderà
nella strada del federalismo?
Federalismo è un sostantivo
troppo ambiguo su cui si esercitano gli spiriti più
diversi e contraddittori. Resto dell’avviso
che sino a quando non si tornerà a meditare
sull’idea delle macroregioni di cui teorizzò,
contrastato e incompreso, il grande prof Miglio, continueremo
a fare tanta accademia. Non mi convincono nemmeno
gli amici della Lega, ai quali attribuisco comunque
il merito di aver riportato al centro del dibattito
politico, temi che nella vecchia DC erano propri di
sparute minoranze interne, quando, predicando il giusto
valore del federalismo fiscale, continuano a difendere
assurdamente le inutili realtà istituzionali
delle province. Qualcosa sicuramente si farà
in questa legislatura, conditio sine qua non per la
permanenza della Lega al governo e per la tenuta della
stessa maggioranza parlamentare. Se e quale federalismo
vedremo nascere, nella crisi generale economica finanziaria
internazionale e con la pesantezza del debito pubblico,
solo il Signore lo sa….
Il Popolo delle Libertà
ha una genesi particolare: trova larga parte della
sua legittimazione nel carisma e nel fiuto politico
del presidente Berlusconi. Ma un partito che veleggerà,
più o meno, tra il 40-50% dei voti, dovrà
trovare un giusto equilibrio tra il carisma del leader
e la democrazia interna al partito. Come vede la cosiddetta
“corrente identitaria” di Tremonti, Sacconi,
Formigoni e Alemanno?
I partiti storicamente
hanno sempre modellato la loro organizzazione interna
sulle regole elettorali vigenti per la nomina degli
eletti nelle realtà istituzionali. Come e cosa
diventerà il Pdl lo si saprà non dal
prossimo congresso celebrativo della sua fondazione
,che sarà una semplice kermesse di incoronazione
della leadership popolare e carismatica di Berlusconi,
ma dal tipo di legge elettorale che si finirà
con l’adottare. In ogni caso pensare di reggere
un partito del 40% con il solo carisma del capo e
il potere dei suoi vassalli e valvassori credo sia
una pia illusione destinata a rovinare.
L’asse identitario da te citato è quello
in cui anch’io credo e spero da vecchio cristianosociale,
forzanovista da sempre e, come ben sai, vecchio “
DC non pentito” che il Pdl non diventi solo
a parole o per mero criterio allocativo, la sezione
italiana del PPE, ma una parte fondamentale di ciò
che resta della migliore tradizione europea dei De
Gasperi, Adenauer e Schuman.
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Contro tutti i fanatismi e per la difesa dei nostri valori.
Cosa
deve accadere ancora prima che giunga una presa di
posizione corale di quelli che ancora si dichiarano
“cristiani”?
Sui piazzali delle cattedrali del Duomo a Milano e
di San Petronio a Bologna alcune migliaia di musulmani
si radunano in preghiera rivolti alla Mecca in evidente
pubblica provocazione anticristiana e anticattolica,
con il cardinale Tettamanzi che, convinto della necessità
di un’integrazione tra i diversi e dell’inevitabile
sbocco nel meticciato multiculturale, non reagisce
in attesa di scuse ufficiali che tardano a farsi sentire.
A Genova l’UAR, l’Unione degli Atei Agnostici
Razionalisti, come già a Madrid e a Londra
i loro confratelli nella fede, comprano spazi pubblicitari
su alcune linee di autobus urbane con scritte a caratteri
cubitali che recitano: “ La cattiva notizia
è che Dio non esiste. Quella buona, è
che non ne hai bisogno”.
Nella città del cardinal Bagnasco, Presidente
della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, si consuma
così un’altra provocazione che accomuna
fronti diversi in un attacco a tenaglia contro la
Chiesa Cattolica.
Educati al motto evangelico del “porgere l’altra
guancia”, seppur tolleranti, stiamo, tuttavia
al punto di perdere anche la santa pazienza cristiana.
E’ tempo che ciò che rimane tra noi cattolici
di convinta adesione a quanto ad ogni messa confermiamo
con la recita della nostra professione di Fede, non
resti più confinato nelle nostre singole coscienze.
E’ tempo che si organizzano risposte collettive
di testimonianza della nostra appartenenza cattolica,
con manifestazioni pubbliche che accompagnino le nostre
preghiere nelle chiese in cui ci riuniamo per le celebrazioni
sacramentali.
E’ tempo che anche alcuni tra i Pastori silenti
o condizionati da discutibili propensioni alla comprensione
tollerante al limite dell’eresia irenista, facciano
sentire la loro voce in totale adesione al Sommo Pontefice
e in fraterna solidarietà con il cardinal Bagnasco.
E’ tempo che anche i laici non credenti, ma
ispirati dai valori del pensiero autenticamente liberale
e preoccupati per la salvaguardia delle nostre più
solide tradizioni storiche e culturali, facciano sentire
anch’essi la loro voce in difesa della comune
civiltà giudaico-cristiana messa a dura prova
dall’attacco concentrico dei fondamentalisti
islamici e dai sostenitori del pensiero debole e del
relativismo etico.
Contro tutti i fanatismi e per la difesa dei nostri
valori.
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Video intervista a Ettore Bonalberti
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Giovedì
18 dicembre alle ore 17 presso Villa Morosini di Polesella,
Ettore Bonalberti presenta il libro di Armando Todesco:
“ Dalla parrocchia alla rivoluzione- Vita quotidiana,
attività politica, strategia degli studenti DC nella
facoltà di sociologia di Trento 1965-1971”.
Sarà presente l’autore, vissuto per molti
anni a Polesella ora residente a Milano.
Al termine del quarantennale del ’68 questo saggio
costituisce l’ultimo tassello che mancava al mosaico
dei fatti e degli avvenimenti di quella travagliata stagione
politico culturale.
In esso si descrive una realtà diversa dalla solita
storia dei “sociologi di Trento” ridotta a semplice
ed esclusiva storia del Movimento Studentesco trentino.
Tra i diversi attori non mancarono anche a Trento alcuni
studenti iscritti e militanti nel movimento giovanile della
DC, i cui percorsi di studi e di vita sono descritti nel
libro nei loro diversi sviluppi ed esiti.
Edito dalla Mazzanti Editori di Venezia, questo secondo
libro della collana “Terza Repubblica”, si apre
con una prefazione di Ettore Bonalberti, , all’epoca
dei fatti narrati, “studente lavoratore” a Sociologia
di Trento, collega ed amico dell’autore.
Con Luciano Zerbinati, citato nel libro accanto ad altri
personaggi polesani, sono invitati nella sua splendida villa
Morosini di Polesella, quanti hanno vissuto, pur se da posizioni
diverse, quelle complesse vicende esistenziali, culturali
e politiche, insieme a quanti sono interessati ad approfondire
un aspetto della vicenda trentina fuori dagli schemi tradizionali. |
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Registrazione completa del dibattito svoltosi a Verona l'11
Luglio scorso per la prima presentazione del libro-intervista
"Dalla fine della Dc alla svolta bipolare. Intervista
ad Ettore Bonalberti"
fonte: Radio
Radicale (clicca qui) rilasciato, licenza
Creative Commons attribuzione 2.5.
www.radioradicale.it
per ascoltare l'audio dal sito
cliccare sulla copertina.
" Dalla
fine della DC alla svolta bipolare"
oltre in libreria dove può essere ordinato, il libro
si può acquistare on line dal sito
www.mazzantieditori.it
(prezzo 10 €)
Gli autori sono disponibili per eventuali incontri-dibattito
sui temi esposti nell'intervista.
posta@don-chisciotte.net
qui
la copertina in formato pdf
Durata: 1h 32' 15"
Genere: Dibattito
Licenza: Creative Commons
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Quel
rompicapo del debito pubblico italiano Dopo
quattro mesi di dati in calo il debito pubblico italiano,
in valori assoluti, è tornato a salire nel mese di
ottobre 2007 toccando un livello mai raggiunto a quota 1.629,7
miliardi di euro.
Sempre in valore assoluto, rispetto
a settembre 2007 la crescita del debito e' di oltre 10 miliardi
di euro e rispetto invece a ottobre 2006 lo stock del debito
e' addirittura superiore di piu' di 25 miliardi di euro.
Tuttavia, ai fini del patto di stabilita'
europeo e' il rapporto percentuale del debito rispetto al
Pil ad avere valore e sotto questo profilo nei mesi scorsi
Bankitalia aveva comunicato che nel 2007 questo rapporto
avrebbe dovuto scendere sotto il 105%, ovvero "dovrebbe
collocarsi - per ricordare le parole del documento di Palazzo
Koch - su livelli inferiori alle stime indicate dal Governo
a fine settembre".
CosÏ, alcuni mesi fa, Rainews
24 comunicava l’informazione relativa al debito pubblico
italiano, l’eterno incompiuto che da molti,troppi
anni, costituisce la spada di Damocle per qualsivoglia politica
economica si intenda adottare nel nostro Paese.
Una doccia scozzese continua fatta di inquietanti presagi
e/o di ottimistiche previsioni, a seconda dei tempi e dei
comunicatori ufficiali e ufficiosi dei molti governi che
si sono succeduti alla guida dell’Italia, nella Prima
come nell’oramai esausta Seconda Repubblica.
Recentemente la Fondazione Edison,
aveva individuato nelle quattro “D” (Debito
pubblico, Divario Nord-Sud, Deficit energetico ed infrastrutturale,
Differenza fiscale) le ragioni che impediscono all’Italia
di svilupparsi. Sono condizioni di oggettivo sfavore del
nostro Paese rispetto agli altri con cui ci si confronta
nel mercato globale e tali da frenarne pesantemente l’economia.
Marco Fortis, autore del pregevole
rapporto Edison citato, fotografa in estrema sintesi la
nostra attuale situazione: ogni anno un italiano paga 1.159
euro di interessi sul debito pubblico (790 in più
di uno spagnolo), riceve 3.592 dollari di spesa pubblica
di qualità (1.700 in meno rispetto a un francese),
soffre di un deficit energetico verso l’estero di
851 euro. E nessun altro grande paese dell’Europa
occidentale ha 16 milioni di concittadini che abitano in
regioni depresse.
Per colpa dell’immenso debito
pubblico, quasi 1.600 miliardi di euro, l’Italia ha
pagato nel 2006 oltre 68 miliardi di interessi: cioè
3 miliardi di euro più della Germania, quasi 22 miliardi
pi_ della Francia, 28 miliardi pi_ della Gran Bretagna e
52 miliardi più della Spagna. In quest’ultimo
paese gli oneri sul debito pubblico incidono solo per l’1,6
per cento del pil contro il 4 dell’Italia. Il pagamento
degli interessi sul debito pubblico sottrae ogni anno risorse
preziose che potrebbero essere altrimenti destinate a maggiori
investimenti infrastrutturali, oppure a permettere una consistente
riduzione delle tasse. Il carico di debito pubblico che
grava su ogni cittadino italiano ammonta a 26.816 euro,
contro valori molto pi_ bassi negli altri quattro maggiori
paesi europei: 19.026 euro per abitante in Germania, 18.260
in Francia, 13.909 in Gran Bretagna, solo 8.893 euro in
Spagna. Così, rispetto a uno spagnolo, il carico
di interessi sul debito pubblico sulle spalle di un singolo
cittadino italiano Ë stato nel 2006 di 791 euro più
elevato: 1.159 euro contro 368 euro.
Ogni italiano ha sulle spalle quasi 27 mila euro di debito
Insomma sebbene il governatore Mario Draghi continui a sostenere
la solidità del sistema finanziario italiano, non
v’è dubbio che in Italia non potremmo concludere
con la celebre frase di Ronald Reagan pronunciata in risposta
a chi gli faceva notare la grandezza del debito pubblico
americano, ossia che “ il debito Ë abbastanza
grande da poter badare a se stesso”. Se non cominciamo
a pensarci e seriamente ogni discussione politica rischia
di diventare sterile accademia o, peggio, fumosa propaganda.
I dati sue esposti li ho desunti da un recente saggio del
prof. Giuseppe Guarino, uno dei maggiori, se non il più
importante, studioso del debito pubblico italiano che ha
appena ultimato un suo ultimo lavoro che verrà pubblicato
in questi giorni a Firenze alla vigilia della ratifica del
Trattato di Lisbona.
La tesi esposta da Guarino Ë la seguente: tra il trattato
di Maastricht e quello di Lisbona di prossima ratifica esiste
una stretta connessione con pesanti conseguenze per l’Italia,
sia dal punto di vista costituzionale che della stessa capacità
di tenuta finanziaria del Paese.
Alcune note sul debito pubblico
italiano
Il Trattato di Maastricht, come
è noto, impone ai Paesi che fanno parte del sistema
dell’euro ( sono 13 sui 27 che fanno parte del mercato
comune) un tetto invalicabile: il debito delle pubbliche
amministrazioni non deve superare il 60% nel rapporto con
il PIL. In Italia il debito pubblico al 31 dicembre 2006
era pari al 106,8 %, ossia circa 47 punti in pi_ del limite
consentito. Questi 47 punti hanno comportato nel 2006 un
onere per interessi di 30 miliardi di euro, pari a circa
il 2 % del PIL.
Se Ë chiara la patologia (insufficienza
delle risorse) e così pure la diagnosi (la causa
va riposta nel volume del debito pubblico) manca la terapia.
Spetta al ministro dell’economia indicarla con il
presidente del Consiglio. Sino ad ora, però, da molti
governi a questa parte, si è rimasti silenti, preferendo
trattare il problema in maniera tale da non creare allarmismi.
Ci si Ë basati sull’avanzo primario ( ossia il
saldo attivo del bilancio esclusi gli interessi sul debito)
fiduciosi di un avanzo annuale tale da garantire negli anni
la riduzione del debito sino al suo annullamento.
L’avanzo primario avrebbe
dovuto derivare per effetto combinato della crescita del
PIL, attesa quale naturale conseguenza della stabilità
dei prezzi, e a seguito della ristrutturazione della spesa
(leggi riduzione) che avrebbe riguardato i settori più
incidenti: contrattazione salariale, pensioni, sprechi nella
sanità, riduzione degli organici della PA.
Ebbene le vendite di patrimonio
societario pubblico effettuato e gli avanzi primari che
ne conseguivano, specie negli anni 1995-2000, hanno attenuato
l’impatto del debito, ma non hanno risolto il problema.
Anzi nei quindici anni dal 1 gennaio 1992 al 31 dicembre
2006 (moneta 2005) gli interessi corrisposti per la parte
del debito eccedente il 60% del PIL (limite massimo consentito
dal Trattato di Maastricht) hanno raggiunto l’astronomica
cifra di 728 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti i
191 miliardi di euro ricavati dalle privatizzazioni, Insomma
un totale di 919 miliardi di euro. Un salasso che sta per
portarci alla bancarotta e che non ha risolto, ma anzi aggravato
il problema. In 15 anni di costante applicazione del criterio
dell’avanzo temporaneo, quello sin qui suggerito dall’UE,
se al 1 gennaio 1992 l’Italia presentava un rapporto
debito/PIL pari al 98%, a fine del 2006 lo stesso rapporto
era aumentato al 106,8%.
Vale la pena di ricordare che per ridurre il volume del
debito del 2 per cento all’anno occorrono nell’immediato
30 miliardi. Con i chiari di luna sull’andamento probabile
del PIL, almeno sino a qualche anno fa, non ci restava che
una soluzione nuova e immediata: vendere in maniera intelligente
il patrimonio pubblico ricorrendo alle armi del diritto
privato. Con la nuova situazione dei valori del mercato
mobiliare e immobiliare questa stessa ricetta risulta adesso
di ancor più difficile, se non impossibile, applicazione.
Questa è la tesi sostenuta con estremo rigore dal
prof Guarino, già diversi anni prima dell’entrata
in vigore del trattato di Maastricht; da lui sviluppata,
poi, coerentemente negli anni che vanno dal 1992 al 2006
e che, con la nuova situazione dei mercati mobiliari e immobiliari,
nella totale passività dei diversi governi che si
sono succeduti sin qui alla guida del Paese, supinamente
ossequienti alle indicazioni comunitarie, risulta ancor
più drammaticamente reale.
Con lui e con Nino Galloni, unitamente al prof. Roberto
Fini, dell’università Ca Foscari di Venezia,
con i politici Onn. Tabacci della Rosa Bianca e Stradiotto
del PD abbiamo discusso di questi temi a Treviso, Sabato
17 Maggio, presso la Sala dei Carraresi della Fondazione
Cassa Marca.
Sono emerse posizioni articolate, ma tutte convergenti nel
considerare il tema del debito pubblico come il tema centrale
e prioritario della politica economica.
Il prof Guarino, nel suo intervento, ha evidenziato le enormi
conseguenze che un’approvazione acritica del prossimo
trattato di Lisbona provocherebbe all’Italia,dato
che, dopo 16 anni in cui, seguendo il criterio dell’Unione
Europea di riduzione del disavanzo, avendo sprecato 919
miliardi di euro, essa si ritrova nelle condizioni peggiori
di quelle d’inizio (rapporto deficit/Pil al 2007 del
104%, contro il 98% del 1992). Ha quindi aggiunto, con ampi
riferimenti ai diversi articoli del Trattato, che, anche
volendolo considerare solo dal punto di vista della coerenza
costituzionale, nella sua attuale formulazione l’Italia
non puÚ e non deve ratificarlo, pena ulteriori conseguenze
gravissime sia da un punto di vista costituzionale che finanziario.
Gli Onn. Tabacci e Stradiotto, sostenendo che, sarebbe,
tuttavia, un grave errore attribuire le responsabilità
del debito a sole cause esogene, hanno ricordato la necessit‡
che tutto il Paese nelle sue diverse componenti sappia reagire
e ritrovare la volont‡ di una nuova stagione dei doveri.
Hanno ribadito che prima esigenza resta quella della crescita
del Paese, cui deve accompagnarsi una strenua lotta contro
un’evasione fiscale drammaticamente elevata, collegata
ad un sommerso (30% e oltre del PIL) del tutto incompatibile
con gli standard dei più importanti Paesi Europei.
Insieme a ciÚ,per gli esponenti delle due opposizioni
parlamentari, si tratta di attivare una diversa organizzazione
del bilancio statale e di ridurre la spesa cattiva a vantaggio
di quella buona, cosÏ come non va abbandonata la strada
a suo tempo indicata (Convegno di Ferrara del 2006), proprio
dal prof Guarino, di una diversa allocazione del patrimonio
residuo pubblico e dello stesso debito .
Una tesi particolarmente interessante esposta dal Prof Guarino
è la seguente:
le diverse situazioni esistenti oggi tra i 13 Pesi- euro
rispetto agli altri Paesi (caso della Gran Bretagna e della
Danimarca per i quali Ë stata inventata la formula
dell’”opting out”, ossia la possibilità
di sottoscrivere il Trattato senza aderire all’Unione
monetaria; ad esse vanno aggiunti i restanti 12 Stati entrati
successivamente nell’Unione con deroga) mentre impongono
ai primi i pesanti condizionamenti derivanti dai vincoli
di Maastricht, garantisce ai secondi, senza l’obbligo
di rispettare quei vincoli, tutte le opportunità
offerte dall’euro e dal mercato comune. Ne derivano
disuguaglianze pesanti e forti diseconomie, specie sul piano
dei diversi trattamenti fiscali, tali che , se non venissero
riequilibrate, determinerebbero una condizione iugulatoria
per l’Italia, il cui patrimonio pubblico statale,
ai valori attuali di mercato, a differenza di quanto valeva
nel 1992 e/o anche solo alcuni anni fa, non Ë pi_ in
grado da solo di compensare l’enorme montagna del
debito accumulato. Personalmente ho anche evidenziato il
fatto che siamo entrati nell’euro con una sopravvalutazione
della lira (cambio 1936,27 Lire per un euro) di almeno il
25-30% più elevato del suo valore reale, offrendo
un immediato vantaggio competitivo ai nostri tradizionali
concorrenti europei e mondiali.
A questo punto possiamo solo sperare che il nuovo governo
sappia affrontare e risolvere questo che costituisce, a
nostro parere e per quanto Ë stato confermato dal convegno,
il problema dei problemi italiani. E’ un problema
reale, grave e indilazionabile e di cui dovremmo essere
tutti consapevoli della sua drammaticità ed urgenza.
Ettore Bonalberti- giornalista |
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Si
è aperta una questione cattolica, anzi democristiana
Mentre scrivo questo
articolo non è ancora nota la lista dei ministri
che formeranno il nuovo governo Berlusconi. Dalle antcipazioni
giornalistiche e di corridoio e valutata la distribuzione
degli incarichi istituzionali parlamentari, mi sembra di
poter dire che, tanto a destra che a sinistra sembra emergere
prepotente una questione cattolica. Meglio e più
correttamente una questione democristiana.
Non che si tratti di insufficenza o assenza di cattolici
nei diversi e più ridotti (almeno nel numero) schieramenti
emersi dopo il voto di Aprile; chè,anzi, di cattolici
più o meno osservanti ce ne sono stati sempre molti
nel Parlamento italiano nelle diverse legislature che si
sono succedute dal 1948 in poi.
Si tratta piuttosto di una profonda reductio di influenza
e di ruolo del personale collegato alla tradizione cattolico-democratica
e cristiano-sociale, in una parola ex democristiani che,
sia nel Pdl che nel PD, sembrano soffrire una condizione
di oggettiva subalternità.
Dopo la scomparsa della DC e la complessa e difficile fase
della scomposizione progressiva, sino alla dispersione delle
vecchie correnti e degli uomini che avevano caratterizzato
quella straordinaria esperienza politica, con il voto di
aprile la situazione risulta profondamente cambiata, tanto
sul versante dei moderati che su quello di sinistra.
Se, da un lato, con Prodi, il tentativo neodossettiano di
costituire un asse tra cattolici di sinistra ed eredi del
vecchio PCI aveva tenuto, seppur con enormi difficoltà,
sino all’ultima recente esperienza del governo guidato
dal leader bolognese, con il prevalere della linea di Veltroni
e della sua “vocazione maggioritaria”, peraltro
sconfitta dagli elettori, il ruolo dei vecchi popolari risulta
profondamente ridimensionato e dalle prospettive quanto
mai incerte e confuse.
Nel PD, infatti, a parte il ruolo del querulo Franceschini,
ridotto a mero amplificatore delle opinioni del segretario
del partito, perduti i ruoli di Prodi e di Marini, di capo
del governo il primo e di Presidente del Senato il secondo,
ci si deve ora accontentare delle due Vice Presidenze della
Camera affidate a Rosy Bindi e a Rocco Buttiglione. Strana
nemesi quella di quest’ultimo che, nel 1995 ci condusse
ad una tragica scissione del PPI per collegarsi a Berlusconi
nella casa della libert‡, secondo e decisivo strappo
tra gli eredi della Balena bianca, per ritrovarsi ora a
ricoprire il ruolo di V.Presidente della Camera per grazia
ricevuta dagli odiati ex comunisti.
Nel PD, inoltre, sembra che sia ritornata in auge la mai
conclusa guerra di posizione tra i due ex leader diessini,
Veltroni e D’Alema, rispetto alla quale i reduci popolari
sembrano ridotti al ruolo di passivi spettatori, o, al limite
di supporter pi_ o meno interessati/ibili dall’una
o dall’altra fazione diessina.
Si aggiunga che, nell’irrisolta questione della collocazione
in sede europea del nuovo partito, se da una parte i moderati
sembrano concordare nella costruzione della sezione italiana
del PPE, in questa si Ë ancora in bilico tra un’incerta
e confusa terza via e l’adesione al gruppo dell’Internazionale
socialista.
Ultima ciliegina, il dover probabilmente subire l’umiliazione
della chiusura della loro ultima testata giornalistica,
“Europa”, per adattarsi alla lettura quotidiana
dell’Unità, che ridiventa organo ufficiale
anche del nuovo partito, ieri comunista e oggi Democratico.
Il che per vecchi amici quali Marini, Fioroni e Castagnetti,
per non parlare dei pi_ anziani Scalfaro, Emilio Colombo
ed amici, deve essere una goduria senza pari sorbirsi ogni
giorno il giornale fondato da Antonio Gramsci e oggi nelle
mani di Antonio Padellaro e dei vari Furio Colombo e Travaglio
sempre prodighi di grande equilibrio e sobriet‡ di
giudizio.
Anche sull’altro fronte le cose non sembrano andare
molto meglio. A parte la silente presenza di amici quali
Giovanardi, Barbieri e Rotondi, almeno sin qui, ripagati
solo dalla loro riconferma parlamentare, il casus belli
più emblematico resta quello di Roberto Formigoni,
leader popolare e carismatico e capo di governo dell’unica
vera Regione-Stato, la Lombardia, il quale, ancora una volta
viene sacrificato sull’altare di una ragion politica
assai difficile da digerire, anche se comprensibile dal
punto di vista del mero interesse di parte.
Insomma non solo in molte regioni, a partire dal mio Veneto,
in cui scomparsa la DC, la classe dirigente che guida la
vecchia Casa della libertà, oggi Pdl, Ë prevalentemente
di estrazione liberal-radicale (Galan) e/o socialista (Lia
Sartori-Maurizio Sacconi-Renato Brunetta) con gli esponenti
della tradizione cattolica del tutto marginali, quando non
ancora emarginati, ma; anche oramai a livello centrale e
di governo, l’egemonia prevalente sembra caratterizzarsi
in espressioni sempre più laiche, se non laiciste,
e ademocrsitiane se non proprio antidemocristiane.
Ecco perchè, dopo l’avvio del dibattito della
nostra rivista sulla terza Repubblica, dimostratosi quanto
mai attuale dopo il voto di Aprile, credo sia giunto il
tempo di una riflessione sulla funzione ed il ruolo dei
cattolici in politica oggi, nei e tra i due schieramenti
prevalenti della realtà italiana.
Con le sue noterelle settimanali a radio formigoni (www.radiformigoni.it)
don Chisciotte non ha mancato di sottolineare la sua posizione
ben nota anche ai lettori de “ Il governo delle cose”.
Esponente della vecchia corrente di Forze Nuove, ho sempre
creduto e credo che il ruolo dei cristiano sociali in politica,
non possa che essere quello di punta progressista all’interno
di uno schieramento moderato. Questa Ë la funzione
che è stata svolta da Donat Cattin per una vita dentro
la DC, nonostante alcune tentazioni, poi sempre rientrate,
di fughe in avanti, fermate dalla consapevolezza storico-politica
e culturale dell’essenziale rapporto tra le culture
democratiche di ispirazione cristiana, liberale e socialista
per l’equilibrio politico e di governo del Paese.
Convinto di questa scelta, non ho seguito i vecchi amici
che appoggiarono il tentativo neo dossettiano di Prodi di
alleare tronconi di sinistra della vecchia DC con gli eredi
del Partito comunista italiano.
Berlusconi, di cui tra poco celebreremo i quindici anni
dalla sua “discesa in campo”, è stato
il naturale punto di riferimento di un’area di contrasto
al tentativo occhettiano prima e di quello successivo prodiano.
Gli è che, dopo la scelta del predellino sono venuti
a mancare alcune pedine essenziali di una strategia che,
grazie soprattutto al richiamo al voto utile, oltre che
alle condizioni di vita materiali e reali della gente, è
stata comunque premiata, tanto a livello politico generale
che per il rinnovo dell’amministrazione di Roma capitale.
Con Giovanardi e Barbieri, da un lato, e con Formigoni sul
versante interno avevo sempre sperato che anche Casini,
alla fine, restasse a giocare una partita decisiva nel momento
in cui si decideva di costruire finalmente ciò che
era negli auspici di molti: la sezione italiana del PPE.
Ed, invece, si Ë verificato quello che nell’articolo
sulla fase di avvento della terza Repubblica (v. Il governo
delle cose- n. 64-Gennaio 2008), consideravo tema da seduta
psicanalitica: Fini in una posizione di leadership nel futuro
PdL e la conquista del governo della città di Roma.
Ebbene, come con simpatica ironia ha scritto don chisciotte
in questi giorni, nella commedia dei burattini, popolari
tra le contrade emiliane, si Ë verificato una straordinaria
inversione dei ruoli con Casini ridotto al ruolo del rozzo
Sandrone dopo aver consegnato il bastone di comando dell’astuto
Fagiolino nelle mani di Gianfranco Fini, oggi seduto nel
suo stesso vecchio scranno pi_ alto della Camera e pronto
a correre per la futura leadership del PdL.
E qui si pone la questione del casus belli Formigoni. Costretto
dal risultato elettorale e dal cambiamento tattico della
Lega di Bossi, a restare inchiodato nella seppur prestigiosa
carica di Governatore lombardo, il Nostro paga un’oggettiva
idiosincrasia che, al di là dei pubblici reciproci
riconocimenti di affetto e simpatia, Berlusconi nutre nei
suoi confronti. E’ tempo, tuttavia, che non solo Formigoni,
ma anche tutti noi che abbiamo seguito con non poco interesse
la vicenda, se ne faccia una ragione e che, insieme a noi,
assuma le conseguenti scelte.
L’incarico ricevuto dal Cavaliere di V.Presidente
del Pdl, ossia, per quanto possa valere in un partito a
monarchia assoluta come l’attuale, di Vice Capo del
PdL, puÚ essere vissuto in molti modi: come mera
formale gratificazione per una mancata scelta ai massimi
livelli istituzionali da tenere come quel “sigaro
e nomina di cavaliere” che, a detta di Giovanni Giolitti,
“ non si negano mai a nessuno”, oppure come
premessa per dar vita ad un’iniziativa politica di
straordinario spessore per garantire un processo di costruzione
del nuovo Partito del Popolo della Libertà, sezione
italiana del PPE, in cui la tradizione dei cattolici di
ispirazione democratico cristiana non puÚ essere
nÈ subalterna, tanto meno ininfluente, ma almeno
paritetica con quella di altre nobili culture che concorreranno
alla formazione del nuovo partito.
Questa è la sfida interna al PdL che vorremmo fosse
assunta come bandiera dal Nostro, una sfida che si accompagna
a quell’altra, tutta interna al governo e al quotidiano
impegno parlamentare, di corrispondere nei fatti alle promesse
della campagna elettorale e al fine di attuare un programma
in cui non mancano i riferimenti, anche di natura etica
ai valori che intendiamo rappresentare, unitamente agli
interessi di ceti e categorie popolari che hanno garantito
un cosÏ vasto consenso nelle ultime consultazioni di
primavera.
Ettore Bonalberti
7 maggio 2008
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Quali
sigle detteranno i tempi della politica?
Verso la Terza Repubblica
Serve solidarietà economica, sociale, culturale
e politica per gestire i tempi di transizione
Ettore Bonalberti
stampa segnala commenta
Con l’incontro tra Veltroni e Berlusconi, preparato
dai buoni auspici dei due gran Visir romani, Goffredo Bettini
ed Enrico Letta, si chiude una fase della vita politica
italiana, quella della contrapposizione ad personam contro
il Cavaliere, e si sancisce di fatto, la fine dei Poli così
come si erano andati strutturando dal mattarellum in poi.
L’avvenuta faticosa costruzione, non priva di traumatiche
divisioni, del Partito democratico prima, e l’annunciata
formazione del nuovo Partito del Popolo della libertà,
determinano l’automatica fine dell’Unione da
una parte e della Casa delle libertà dall’altra.
Fine dell’Unione nel momento in cui il nuovo leader
Valter Veltroni, eletto a grandissima maggioranza dalle
primarie, annuncia la volontà maggioritaria di quel
partito, pronto a correre anche da solo nelle prossime consultazioni
elettorali; fine della casa della libertà, peraltro
già decretata da Casini e dall’UDC subito dopo
l’esito delle elezioni, e formalmente sancita dal
discorso sul predellino in piazza San Babila a Milano, il
giorno in cui, raccolti otto milioni di firme per mandare
a casa il governo Prodi, il Cavaliere ha annunciato la sua
volontà di chiudere Forza Italia per lanciarsi nella
nuova avventura del partito del Popolo della libertà.
Le nuove sigle che detteranno i tempi della politica saranno,
d’ora in poi: PD e PdL. Immediate le reazioni nei
due fronti: a sinistra con la volontà di costituire,
seppur con grande fatica, la “Cosa Rossa” e
sulla destra, scontata la solitaria posizione della Lega,
smottamenti e tentativi di ricomposizione tanto in AN che
tra i diversi tronconi moderati degli ex DC. A dettare tempi
e modi di tali sommovimenti è il dibattito apertosi
sulla nuova legge elettorale, con un referendum incombente
e destinato, se verrà effettivamente indetto, a rivoluzionare
la situazione politico-partitica dell’Italia. Insomma
è la fine della seconda Repubblica che è durata
quasi quattordici anni (1994-2007) nei quali, scomparse
le grandi formazioni del dopoguerra, non si sono ancora
potute ricostruire formazioni omogenee riconducibili alle
tradizioni politico culturali prevalenti in Italia e in
Europa.
Tutto ciò, peraltro, avviene in un momento di crisi
istituzionale, economica, sociale e culturale tra le più
gravi degli ultimi quarant’anni. Crisi ben rappresentata
nella metafora della “poltiglia” o “mucillagine”,
utilizzata dal Censis nel suo ultimo rapporto sullo stato
del Paese. Una condizione di anomia, ossia di discrepanza
tra mezzi e fini, di dissoluzione dei rapporti sociali tra
e nei corpi intermedi, di assenza di regole certe e condivise,
destinata a fomentare frustrazioni individuali e sociali
generanti le più diverse reazioni. E così
che un ceto medio, sino all’avvento dell’euro,
abituato a condizioni di vita positive, si vede falcidiare
la propria capacità di acquisto di quasi il 50% (
chi guadagnava 3, 4 milioni al mese era, prima dell’euro,
un benestante; oggi, con 1500, 2000 euro, non è un
povero, ma si trova a disporre di una capacità di
acquisto dimezzata). A Torino, cosa che non accadeva dall’epoca
del terrorismo e della contestazione degli anni ’60,
gli operai indignati dopo l’ennesima morte sul lavoro,
per il drammatico episodio della Thyssen, contestano apertamente
il leader di Rifondazione comunista e presidente della Camera,
Fausto Bertinotti e della Fiom CGIL, Gianni Rinaldini, mentre
ovunque è diffusa una sensazione di incertezza e
di sfiducia che a fatica viene recepita da un ceto politico,
sempre uguale e sempre più lontano dalla gente, vissuto
come “casta” privilegiata e parassitaria dalla
stragrande maggioranza degli italiani.
Tocca al Presidente Napolitano tentare di rovesciare l’immagine
deformata di un Paese in declino di cui parla il New York
Times e che viene rappresentata nelle manifestazioni del
V- day del comico Beppe Grillo. Anomia e frustrazioni sono
elementi da valutare con attenzione e rispetto ai quali
agire con grande cura. Potrebbero, infatti, innescare processi
politico sociali dai risvolti sempre più incontrollati
ed incontrollabili, come quelli accaduti con la serrata
dei padroncini autotrasportatori che hanno paralizzato l’Italia
e fatto vivere a tutti noi una situazione che ricordava
tristemente quella cilena prima della fine del governo di
Salvador Allende. Crisi della politica e una magistratura
che, da parte di alcuni inquirenti, viene ancora utilizzata
come strumento oggettivo di supplenza o a sostegno di una
determinata fazione politica, mentre anche sul piano economico
e finanziario gli assetti e gli equilibri di potere del
nostro ancora bolso capitalismo stentano a riposizionarsi
stabilmente.
Tutto questo accade con un governo impotente, ridotto a
condizione di uno zombie, sottoposto ai condizionamenti
continui di frange senza storia, e che sembra cadere ad
ogni prova del voto al Senato, dove da tempo non esiste
più, anche per dichiarazioni ufficiali di diversi
suoi esponenti, una maggioranza politica in grado di governare
e di affrontare le grandi questioni cui il Paese è
vitalmente interessato.
Quali attese per il 2008?
Se questo è, seppur a grandi linee, lo scenario
entro cui si sta svolgendo il confronto tra le diverse forze
politiche in Italia, cosa possiamo aspettarci nel 2008?
Molto dipenderà da come verrà risolta la questione
della legge elettorale. All’orizzonte non mi sembra
prenda corpo una possibile convergenza su un testo di nuova
legge condiviso in grado di conservare gli attuali schieramenti
oramai obsoleti. Se la richiesta di referendum verrà
approvata dalla suprema corte e l’alleanza strategica
tra il PD e il nascente PdL reggerà all’urto
delle contestazioni interne ed esterne, mi sembra realistico
un percorso che sconterà o la celebrazione del referendum
o la crisi di governo. Va evidenziato che sono molto consistenti
le difficoltà interne al centro-sinistra, tra PD
e alleati minori, questi ultimi per ora riuniti nella fragilissima
rete della sinistra arcobaleno. Difficoltà non meno
presenti nello stesso Partito Democratico, dove si confrontano
posizioni diverse non solo sulle modalità di organizzazione
e di gestione del partito, “liquido” o “strutturato”,
ma sulla stessa strategia e tattica da portare avanti verso
l’ancora da molti assai odiato Cavaliere. Difficoltà
ancor più accentuate dai rischi mortali oggettivi
per la stessa sopravvivenza del governo Prodi.
Non minori difficoltà sconta il nascente PdL di
Berlusconi, non tanto per interne difficoltà, impossibili
in un partito dalla leadership carismatica e popolare senza
alternative a breve, quanto per quelle provenienti dagli
ex alleati, Fini e Casini ossessionati dalla prospettiva
della leadership dei moderati e portati ad assumere comportamenti
e decisioni spesso incomprensibili. Difficoltà, soprattutto,
provenienti dai soliti poteri forti e incontrollabili, fatti
di pezzi di magistratura, di potentati economico-finanziari
e mediatici ben noti, che hanno nel quotidiano “ La
Repubblica” il proprio altoparlante amplificatore,
sempre pronti a far scattare meccanismi giudiziari ad orologeria
al limite dell’assurdo, come quello legato a presunte
corruzioni a favore di attrici e di compravendite di senatori
che, per la verità, non hanno cambiato campo. Strana
situazione quella italiana in cui si indaga con metodi degni
della polizia di Pinochet e del KGB russo sul capo dell’opposizione,
con intercettazioni illegali e pedinamenti di parlamentari
nel pieno esercizio delle loro funzioni istituzionali, e
si trascura il dettaglio che, semmai, elargizioni e favori
sono state fatte a piene mani dal Governo che, pur di avere
assicurato il voto dei senatori ribelli alla finanziaria
ancora in discussione al Senato, non ha lesinato risorse
per accontentare le fameliche richieste a Nord e Sud del
Paese e in giro per il mondo…
La situazione è in rapida e complessa evoluzione
tanto sul versante del centro-destra che su quello di centro-sinistra.
Il tema che sembra prevalere è il seguente:
conquistare il voto del centro annullando le formazioni
centriste o dar vita ad un centro di dimensioni anche modeste
ma in grado di condizionare i futuri assetti politici e
di governo?
Tutti d’accordo nella volontà di superare
il bipolarismo impotente della seconda Repubblica; meno
scontata l’intesa su quali equilibri costruire la
politica nella Terza Repubblica, mentre si trascina stancamente
una fase di transizione ormai intollerabile per la maggioranza
degli italiani.
PD e PdL sembrano puntare sulla competizione a due per
conquistarsi il voto dei moderati anche a danno dei loro
attuali o ex alleati. Una prospettiva che se può
anche andar bene per le diverse sinistre che, in tal modo,
sperano di conquistare un loro spazio alla sinistra del
PD, pur rimando in molti il sopravvenuto contagio della
voglia di restare al governo dopo anni di lungo digiuno
all’opposizione, non è certamente una prospettiva
accettata da coloro che, consideratisi da sempre eredi della
vecchia Balena Bianca, mal sopportano il Cavaliere prendi
tutto, compresa la rappresentanza di quell’area che
considerano stabilmente di loro appartenenza specifica.
Se nel centro sinistra il tema sembra riguardare, da un
lato, il dibattito interno tra nuova leadership veltroniana,
prodiani e popolari mariniani, con Rutelli e D’Alema
che non intendono considerarsi oramai fuori gioco e, dall’altro,
i tempi e i modi in cui potrà, se mai si costituirà,
la nuova “Cosa rossa”, sul fronte del centro-destra
la situazione appare la seguente:
a)Berlusconi con la scelta di dar vita al PdL compie una
svolta di enorme portata sul piano della stessa nuova fisionomia
che si intende assegnare ai partiti e al loro rapporto con
i cittadini e nella scelta delle classi dirigenti;
b)nello stesso tempo, se non direttamente, oggettivamente
egli ha dato spazio e fornisce ossigeno a quei movimenti
di scissione tanto in AN (Storace e Santanchè) che
in UDC (Giovanardi e popolari-liberali) pronti a confluire
con Rotondi (Nuova DC e PSI) e con Pizza (DC) nel PdL;
c)Gianfranco Fini, a corrente alternata, delfino o strenuo
oppositore del Cavaliere, smanioso di leadership, con la
foto sul comodino in permanenza dei suoi miti, Aznar e Sarkozy,
si immagina già, senza alcun limite, Sindaco di Roma
o Presidente del Consiglio. Roba da seduta psicoanalitica
per un ex leader missino che vede ogni giorno di più
ridursi il consenso interno ed esterno al suo partito. Pronto
per entrare nel PPE con tutti gli ulteriori pedaggi che
tale scelta potrà provocare in termini di consenso
e terrorizzato dalla piega che potrà prendere la
politica se l’accordo PD-PdL dovesse alla fine prevalere;
d)Casini, il Fasulein della commedia dell’arte bolognese
(con il dr Balanzone –Prodi e il Sandrone Fini, coprotagonisti
attivi di questa fase) è quello che, con più
furbizia, ma scarso respiro strategico tenta di pensarle
tutte pur di conservare un ruolo, se non decisivo, almeno
influente, nello scenario politico italiano. Presiede l’Internazionale
DC e fa sempre parte del PPE, in cui, guarda caso, da molti
anni oramai è stabilmente insediato anche l’amato-odiato
Cavaliere. Ha tentato a suo tempo la carta Follini con l’unico
risultato di indebolire l’azione del governo Berlusconi
e lo stesso esito delle ultime elezioni politiche, finendo
con il ritrovarsi il fedifrago Follini, portavoce del nuovo
PD, e Berlusconi che si credeva già irrimediabilmente
azzoppato, se non ancora politicamente morto, più
forte e popolare che mai.
L’UDC vive una condizione terribile di crisi e di
possibile disgregazione con Giovanardi e company pronti
al trasloco nel nuovo PdL, solo che quest’ultimo si
dichiari sezione italiana del PPE e si dia regole interne
degne di una formazione autenticamente democratica.
E, sulla sua sinistra, con Baccini e Tabacci pronti a dar
vita con Pezzotta e altri esponenti di area cattolica e
liberal democratica ad una nuova formazione politica in
grado di porsi al centro dello schieramento tra Veltroni
e Berlusconi, con l’obiettivo di ricostruire un centro-sinistra
liberato dai condizionamenti delle estreme.
E’ una partita complessa e difficile. Molto dipenderà
dall’esito del confronto sulla legge elettorale. Da
parte nostra staremo attenti nell’osservare ciò
che accade, non nascondendo il nostro consenso ad un passaggio
in cui le due grandi forze politiche possano trovare un
punto di intesa non solo di tipo istituzionale ma anche
di governo. I tempi di transizione sono quelli più
difficili per una democrazia ancora fragile come la nostra
e vanno gestiti con ampia solidarietà economica,
sociale, culturale e politica. Pensare di poterli viverli
nella contrapposizione frontale degli ultimi quindici anni
è assurdo e sarebbe esiziale per la stessa tenuta
del sistema.
» 19-12-2007
fonte : http://www.terzarepubblica.it/
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Ciao
Toni |
19
Marzo 2007 |
Quando muore un amico, si apre un vuoto grande nel nostro
cuore: quando l’amico che ci lascia per sempre lo fa
nel modo tragico ed improvviso di Toni Bisaglia ancor più
grandi sono lo stupore misto ad incredulità, lo sbigottimento
ed il dolore.... (clicca per
leggere l'articolo)
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17
Febbraio 2007 |
Intervista di Alberto Meloncelli |
E’ uscito da pochi mesi nelle librerie l’ultimo
lavoro di Ettore Bonalberti, un polesano da anni stabilitosi
fuori dai confini della nostra Provincia (prima a Mestre
e poi a Milano) ma che, nel cuore, è rimasto sempre
uno di noi. Per i più giovani diremo che Bonalberti,
classe 1945, laureato in Sociologia presso l’Ateneo
di Trento, si iscrisse giovanissimo alla Democrazia Cristiana
nella cui organizzazione ricoprì ruoli importanti
a livello nazionale....( clicca
per leggere l'articolo)
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12
Febbraio 2007 |
La Lunga Marcia nel Deserto |
Nel Marzo del 1993 la casa editrice Cinque Lune (storica
casa editrice della DC) pubblicò il suo ultimo libro.
Nasce così il primo libro di Ettore Bonalberti intitolato:
Il Caso "Forze Nuove"- Dal preambolo alla quarta
Fase-un contributo alla storia della DC....( clicca
per leggere l'articolo)
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12
Febbraio 2007 |
Gli Anni di Piombo |
Nel corso degli anni 2004-2005 per la rivista il Governo
delle cose, Ettore Bonalberti ha pubblicato una serie di
articoli sugli anni di piombo che sono stati ripresi anche
dal sito curato da Tommaso Fera: www.brigate.rosse.it....( clicca
per leggere l'articolo)
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