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Le note di Ettore Bonalberti |
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22 Dicembre 2008 |
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Un
amalgama mal riuscito
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Se non fosse stata fatta da D’Alema questa descrizione
pessimistica del Partito Democratico sembrerebbe frutto della
solita polemica degli avversari.
Ed, invece, è proprio la diagnosi impietosa del leader
diessino svolta nella direzione del PD di venerdì scorso.
Una direzione apertasi con una relazione “ma - anchista”
del segretario Veltroni e conclusasi con il rito tradizionale
del vecchio PCI e della peggiore DC dorotea della finta unanimità
su una mozione predisposta dal mediatore Fassino.
Dimissioni annunciate e poi ritirate dell’indeciso Sergio
Chiamparino, mentre l’unica proposta politica degna
di questo nome avanzata dal “fedifrago” Follini,
con cui si chiedeva di abbandonare l’infausta alleanza
con l’IdV di Di Pietro, veniva sonoramente bocciata;
così come respinta era pure quella dei giovani Mario
Adinolfi, Giovanni Bachelet e Luca Sofri, che reclamava il
mantenimento delle primarie e l‘avvio del ricambio generazionale
sin dalle prossime elezioni europee.
Colpito duramente dalle inchieste della magistratura che da
Trento a Catanzaro, passando, per Genova, Firenze, Perugia,
Napoli, Pescara, Potenza, Bari e Foggia, sta rapidamente arrivando
nella stessa capitale che fu già regno indiscusso di
Rutelli e dello stesso Veltroni; dopo il drammatico risultato
elettorale abruzzese con un PD ridotto sotto la soglia del
20%, ci si attendeva molto di più da un partito che
conferma l’ambizione di porsi in alternativa al governo
di centro-destra.
Ed, invece, scarse indicazioni sono venute sulla crisi economica
e finanziaria e sui problemi reali del Paese, per i quali
ci si limita all’auspicio che, con l’aggravarsi
della stessa crisi, possa finalmente cambiare il vento oggi
favorevole alla politica dell’odiato Cavaliere.
“Siamo un partito di gente per bene” continua
a salmodiare come uno stonato muezzin Walter Veltroni, e “non
accettiamo lezioni da Berlusconi”, come se rinfacciando
sempre agli altri i casi della “questione morale”
su cui sta affondando larga parte della classe dirigente diessina
e dell’Ulivo che ha guidato la maggior parte delle amministrazioni
locali in questi ultimi quindici anni, si potesse superare
il gap di credibilità politica, culturale e morale
che spinge il PD ai minimi storici della propria rappresentanza.
Meno male che al Quirinale siede Giorgio Napolitano che in
questi giorni, con Fini e Bossi si pone al vertice di un triangolo
che punta alla ripresa di un dialogo che faciliti quelle riforme
della giustizia e del federalismo che sono al centro, con
la politica economica, delle scelte non più rinviabili
del Governo e del Parlamento.
Ad esse si aggiunga la necessità di decidere se e quale
legge elettorale adottare sia per le prossime europee, che,
ancor più decisiva, per quelle politiche generali,
onde evitare il referendum sulla proposta Segni-Guzzetta e
salvare con la scelta bipolare la stessa ragion d’essere
delle due formazioni maggiori.
A soffiare sul fuoco, quasi a solleticare l’attenzione
dell’ordine divenuto potere dei magistrati inquirenti,
come nel 1992-93, la solita “Repubblica” di Carlo
De Benedetti e Eugenio Scalfari; prima scesa in campo a favore
di Veltroni, ed oggi intenzionata a mettere da parte lo stesso
leader romano, finendo con il portare acqua a quel Tonino
Di Pietro, non credibile araldo di una falsa moralità
ammantata da un giustizialismo intollerabile da stato di polizia
piuttosto che di diritto. Riusciranno i nostri interlocutori
democratici ad uscire dal tunnel in cui si sono cacciati,
avendo scelto l’alleanza con questo ex magistrato che
li sta cannibalizzando, forte dell’appoggio che all’interno
dello stesso PD ritrova nei suoi ex colleghi: Lanfranco Tenaglia,
ministro ombra della Giustizia, Felice Casson, Donatella Ferranti
e Gerardo D’Ambrosio ? Intanto Luciano Violante, aspirante
giudice costituzionale, e Anna Finocchiaro, aspirante al soglio
della cattedra oggi occupata da Veltroni, sembrano prendere
le distanze dalle posizioni passate e rendersi disponibili
al dialogo sollecitato dal Presidente Napolitano. Ci sarà
spazio per un accordo bipartisan?
Con questo interrogativo si chiude il 2008, con la speranza
che il nuovo Anno possa riportare il confronto su posizioni
di corretto dialogo democratico senza il quale il nostro Paese
rischia un futuro gravido di incognite pericolose.
Don chisciotte-radioformigoni-22 dicembre 2008 |
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15 Dicembre 2008 |
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Lo sciopero della discordia
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qui puoi ascoltare l'audio
In equilibrio instabile tra
le spinte della sinistra interna e la necessità di
non rompere con la Confindustria, almeno con le consistenti
frange residue montezemoliane di casa Fiat, alla vigilia del
voto abruzzese, il leader della CGIL Guglielmo Epifani, ha
adempiuto all’impegno annunciato.
Sciopero generale doveva essere, anche se, forse per la prima
volta nella storia degli ultimi vent’anni, organizzato
in totale isolamento e duro scontro con le consorelle confederazioni
sindacali di CISL e UIL. E sciopero generale, seppur in tono
minore, è stato, e, forse, è stato pure inutile
se, dopo la protesta, il sindacato non sarà in grado
di formulare qualche concreta proposta.
Solite cifre annunciate di oltre un milione di aderenti, per
lo più pensionati e professionisti organici delle marce
sindacali rosse, con l’aggiunta, ahimè in taluni
casi rivelatasi un boomerang, come nella mia Mestre e a Padova,
di Cobas, studenti e di frange no global e dei Disobbedienti
che hanno duramente attaccato la sede regionale del CISL,
con frasi e scritte inqualificabili, compresa la tragica stella
a cinque punte delle BR, destinate a non improbabili conseguenze
sul piano dei già tesi rapporti sindacali.
Si è trattato di una dimostrazione di forza che, in
realtà, si è tradotta nell’evidente manifestazione
di un isolamento politico e sindacale che nemmeno le contraddittorie
parole pronunciate da Veltroni da Parigi sono riuscite a nascondere.
Parole, quelle di Veltroni, di comprensione per le ragioni
degli scioperanti,” ma anche “ di preoccupazione
per l’esigenza di una ripresa del dialogo tra le diverse
organizzazioni sindacali, una delle quali, la CISL, presente
con i vecchi leaders, Marini e D’Antoni, in posizioni
autorevoli nel Partito Democratico.
Insomma alla vigilia del voto abruzzese si potrebbe dire:
missione compiuta, anche se Cremaschi e Rinaldini stanno già
affilando le armi contro un ondivago Epifani, incapace quasi
sempre di arrivare a siglare contratti ( ragione fondamentale
della vita di un sindacato), preoccupato di non perdere il
contatto con il padronato soprattutto torinese e con il governo;
interessato, da tempo, a sostenere l’amico Veltroni
in uno dei momenti più difficili della sua leadership
politica e in attesa di una meritata ricompensa con la candidatura
al parlamento europeo.
E’, seppur con grande approssimazione, la fotografia
dello stato dell’arte di una sinistra in grave difficoltà,
tanto sul piano della rappresentanza sociale e culturale che
su quello politico parlamentare.
Ad urne abruzzesi ancora aperte ed in attesa del risultato
su cui molto si discuterà per le conseguenze che ne
potranno derivare soprattutto a partire dalla tenuta dell’alleanza
del PD con l’IDV di Di Pietro, premessa indispensabile
per possibili evoluzioni negli stessi rapporti, oggi a corrente
alternata, tra maggioranza ed opposizione, si attende il riscontro
elettorale.
Anche per don Chisciotte, seppur non insensibile all’azzardo
delle previsioni, non c’è spazio per avventurarsi
in valutazioni che sarà meglio approfondire dopo lo
spoglio delle schede.
Sistema elettorale per le europee; quello più generale
per le politiche, non escludendo l’eventuale certo ricorso
all’imminente scadenza del referendum sulla proposta
Segni-Guzzetta; nascita del Pdl e, soprattutto, avvio delle
non più rinviabili riforme della giustizia e del federalismo:
saranno questi i temi che, anche a seconda del risultato di
quel voto regionale, potranno svolgersi con toni e relazioni
politiche tra i partiti assai diversi.
La speranza resta quella che, ancora una volta, da quel voto,
cui sarà assai difficile non attribuire il valore di
un test politico significativo, possano scaturire orientamenti
tali da favorire la ripresa di un dialogo di cui le condizioni
economiche, finanziarie e sociali dell’Italia hanno
assoluta necessità.
Don
Chisciotte-radioformigoni-15 dicembre 2008 |
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9 Dicembre 2008 |
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La
rivoluzione mangia i suoi figli
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E’ proprio vero l’assioma secondo cui: “
la rivoluzione mangia i suoi figli”. Era accaduto all’epoca
della rivoluzione francese, si è ripetuto con la rivoluzione
russa, e sta precipitosamente avvenendo anche per la tragica
falsa rivoluzione con cui fu annientata la Prima Repubblica.
Alcuni degli architravi di quel complesso fenomeno politico-giudiziario
e mediatico che determinò, da Tangentopoli in poi,
la fine dei “partiti dell’area democratica”
che avevano governato l’Italia dal 1948 al 1993, stanno,
infatti, sgretolandosi, rischiando di trascinare con sé
medesimi la stessa struttura istituzionale della Repubblica.
Da un lato abbiamo il PD che, tentando di mettere insieme
le componenti residue ex PCI e della sinistra basista e dossettiana
della DC, sta vivendo una crisi profondissima non solo di
leadership, ma della sua stessa capacità di tenuta
in quelle che sono state e sono tuttora le roccaforti del
potere amministrativo in sede locale.
Nell’Alta Italia si è aperta la questione del
Partito del Nord, rilanciata dopo dodici anni da Cacciari,
Chiamparino e Penati, sulla base della realistica constatazione
che continuando così, con un partito romanocentrico,
la sinistra è destinata a restare minoranza in eterno
e con la Lega che, ogni giorno di più, erode consenso
nella stessa base popolare su cui la sinistra da sempre faceva
riferimento. E’, soprattutto, nell’Italia centro-meridionale
che stiamo assistendo alla naturale conclusione del ciclo
della falsa rivoluzione italiana.
Dall’Emilia alla Toscana, dall’Umbria al Lazio,
dalla Toscana all’Abruzzo, con la Campania e la Calabria
è tutto uno scoppiare di scandali, di indagini giudiziarie
nelle quali sono pesantemente chiamati in causa molti amministratori
del centro-sinistra con l’accompagnamento dei soliti
accoliti che non mancano mai nemmeno tra quelli di destra.
Stiamo assistendo al lento decomporsi di una delle strutture
portanti del potere del centro-sinistra: il governo locale
su cui il PCI prima e il PD adesso hanno inteso e intendono
rappresentare l’esempio della loro superiore presunta
“diversità”.
E, d’altra parte, anche il secondo architrave della
rivoluzione di “mani pulite”, la magistratura
inquirente, ha manifestato il livello più basso e pericoloso
della sua capacità di tenuta. La tragicomica vicenda
delle due procure di Salerno e di Catanzaro l’un contro
l’altra armata, con centinaia di carabinieri che circondano
la procura di Catanzaro, la quale reagisce a suon di avvisi
di reato per i magistrati inquirenti campani, è la
sceneggiata finale di un organo fondamentale dello Stato che,
da oltre quindici anni, si è trasformato in un potere
incontrollato e incontrollabile, non solo dal legittimo ed
unico rappresentante della volontà popolare, ossia
il Parlamento, ma nemmeno dal suo organo di autogoverno, il
CSM, squassato dalle vicende giudiziarie calabro-campane che
ne hanno sfiorato il vertice più elevato.
La richiesta degli atti alle due procure da parte del Presidente
Napolitano, fatto unico nella storia della Repubblica, è
la dimostrazione di una crisi irreversibile che porta davvero
la rivoluzione delle manette a mangiare gli stessi ammanetta
tori.
Resta in campo il solito vociante Tonino di Pietro da Montenero
di Bisaccia che non ha più sponde, se non la sua “Italia
dei valori”.Peccato che sia anche lui chiamato in causa
e, questa volta, proprio da quel “feroce Saladino”,
attorno alle vicende del quale girano molte delle storie che
stanno facendo tremare numerose persone del Palazzo.
Ancora una volta sembra avverarsi quanto si era già
visto: una rivoluzione che mangia i suoi figli. E meno male
che Silvio c’è…….ma di questo parleremo
un’altra volta.
Don Chisciotte-radioformigoni-9 dicembre 2008 |
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3 Dicembre 2008 |
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L’11
settembre di Mumbai: e la guerra continua
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Dopo 60 ore di combattimenti è
terminata la strage di Mumbai lasciando sul terreno 195
morti e 295 feriti.
Finisce così l’11 settembre indiano che si
colloca tra le tragedie più efferate di Al Qaida,
dopo quelle delle torri gemelle di New York nel 2001(2074
vittime), della stazione Atocha di Madrid dell’11
marzo 2004 (191 morti e 1841 feriti) e degli attentati di
Londra alla metropolitana del 7 luglio 2005 (44 morti e
750 feriti)
La strategia del terrore del fondamentalismo islamico, innervato
dalla filosofia rivoluzionaria di matrice occidentale. sembra
incrementare il suo potenziale d’attacco all’Occidente,
con questa azione del tutto innovativa e tatticamente complessa,
portata avanti negli alberghi Taj Mahal e Oberoi di Mumbai.
E’ una striscia di sangue ininterrotta che, dopo New
York, Al Qaida alimenta in varie parti del mondo. Senza
considerare quanto accade in Irak e Afghanistan, sono otto
gli attentati compiuti dall’organizzazione terroristica
nel 2007 con oltre 300 morti e 12 attentati nel 2008 con
oltre 500 morti in diversi Paesi tra Africa ed Asia. E stavolta
succede in India, il Paese che con gli USA rappresenta la
più grande democrazia della Terra.
La strage compiuta in questi giorni, ha puntato contro gli
stranieri da un lato e, soprattutto, è stata mirata
contro gli ebrei del centro ebraico Chabad alla Nariman
House di Mumbai, all’interno della quale gli assalitori
hanno fatto strage del rabbino Gavriel Holtzberg con sua
moglie ed altri tre ebrei, assunti quale obiettivo privilegiato
e altamente simbolico dell’azione assassina.
E’ questo il segnale che Al Qaida ha voluto lanciare
ad Israele e al nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack
Obama, cui spetterà raccogliere il testimone di G.W.Bush
in una situazione internazionale aggravata dalla crisi finanziaria
e dell’economia a livello globale.
Mancano oramai poche settimane all’assunzione dei
pieni poteri del nuovo presidente americano, ma sin da questo
momento possiamo affermare che nuovi e più forti
responsabilità anche di natura militare saranno richieste
ai Paesi europei, con buona pace per le anime candide dei
pacifisti nostrani, non dimenticando quanto accade, anche
in questi giorni in Nigeria: oltre 300 morti nella città
di Jos tra musulmani e cristiani, con questi ultimi vittime
di una ferocia senza pari.
In questo quadro si dovranno rivedere
molte delle superficiali valutazioni che molti osservatori
“progressisti”, anche di casa nostra, hanno
compiuto in questi anni contro la politica del presidente
Bush, al quale va riconosciuto il merito di aver saputo
spostare il fronte d’attacco all’America sugli
oltre mille kilometri del nuovo fronte che dall’Iran
al Pakistan, ha portato lo scompiglio tra le diverse culture
sciite e sunnite, in un quadro di operazioni militari in
cui Israele è oggi assai meno isolato di quanto non
fosse prima dell’11 settembre 2001.
Anche sulla base di questa nuova
situazione strategico militare e geo politica acquista valore
e significato l’impegno assunto dal nostro Presidente
del consiglio per una ripresa di rapporti politici più
distesi tra Stati Uniti e Russia, con l’Unione europea
che si ponga da cerniera tra questi antichi contendenti,
della cui collaborazione ha assoluta necessità il
mondo occidentale.
Sarà questo l’antidoto
efficace e necessario per i Paesi europei destinati a ruoli
subalterni dalla nuova probabile politica americana del
neo presidente Obama, il quale, ispirato dalla dottrina
Monroe, cui sembra idealmente collegarsi, almeno per quanto
si è potuto capir sin qui, punterà ad un rapporto
privilegiato soprattutto con Mexico, Brasile e Canada sul
fronte americano, e con il Giappone su quello orientale.
Anche in politica estera i primi
passi del terzo governo Berlusconi sembrano si compiano
all’interno di un’intelligente strategia che
assegna all’Italia, nelle condizioni oggettive della
propria realtà geo territoriale e politica, un ruolo
attivo per garantire pace e sicurezza interna e sostegno
efficace alle azioni di contrasto al terrorismo fondamentalista
nelle zone in cui più apertamente si sta svolgendo
il confronto con l’Occidente.
Don Chisciotte-radioformigoni-3 dicembre
2008
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24 Novembre 2008 |
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Pdl: è tempo di
inclusioni malgrado La Russa
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Pdl: è tempo di inclusioni malgrado La Russa Forza
Italia si scioglie, primo partito tra quelli della coalizione
che hanno deciso di costituire il Partito del Popolo della
Libertà. Lo ha deliberato per acclamazione il consiglio
nazionale riunitosi Venerdì 21 novembre all’auditorium
di Via della Conciliazione a Roma, con Silvio Berlusconi che
non ha saputo trattenere le lacrime di commozione all’annuncio
della fine del ciclo di Forza Italia e l’apertura di
una nuova fase, da lui lucidamente prefigurata con il discorso
del predellino nel novembre dell’anno scorso. Chi, come
Don Chisciotte, dal 1994, dopo la fine della Democrazia Cristiana
ha continuato ad inseguire l’obiettivo del partito unitario
dei moderati italiani, sezione italiana del Partito Popolare
Europeo, non può che dirsi soddisfatto per questo evento.
Resta, tuttavia, lucida la consapevolezza che, pur nella comprensione
delle oggettive difficoltà esistenti nel condurre a
sintesi le diverse culture politiche che intervengono nel
processo, molte sono le questioni aperte, tanto sul piano
del metodo che su quello del merito con cui tale processo
si sta realizzando. Sul piano del metodo, non conoscendo a
tutt’oggi uno straccio di statuto e di regolamento su
cui si sono sin qui impegnati i vari Onn. Verdini, Abelli
e La Russa, apprezziamo l’idea che i delegati al prossimo
congresso del costituendo Pdl, per la parte che attiene a
Forze Italia (il 70%) ( se abbiano inteso bene, anche se non
è chiaro se tutti i delegati o solo il 10%) saranno
scelti dai cittadini chiamati ad esprimere le loro preferenze
nei gazebo che verranno allestiti nelle varie piazze d’Italia.
Tuttavia, da consumati vecchi “Dc non pentiti”,
vorremmo conoscere con quali regole e con quali sistemi di
controllo detta lodevole partecipazione democratica si potrà
concretamente effettuare. Sul piano del merito, da tempo sottolineiamo
il ruolo ancillare, se non proprio subalterno che, almeno
sin qui, ha potuto svolgere in FI la componente cattolica
di provenienza democratico cristiana. Sono prevalse, sino
ad ora, le esclusioni piuttosto che le inclusioni. Quelle
inclusioni che, almeno nei propositi annunciati, dovrebbero
costituire la cifra del processo avviato nella costruzione
del nuovo partito. Stride, al limite dell’insopportabilità,
quell’arrogante dichiarazione del ministro La Russa
che Sabato scorso a Rovigo, parlando agli iscritti di AN del
Veneto, ha dichiarato con la solita sicumera di non apprezzare:
“ chi cerca di saltare dentro dalla finestra. Si mettano
in coda'' ha tuonato il barbuto esponente ex missino. Detta
da un esponente di un partito il cui leader, dopo l’annuncio
del predellino fatto dal Cavaliere, giunse a definire quella
proposta una “comica finale”, c’è
da sperare non sia il preludio a ben più consistenti
scontri che, perdurando, finirebbero per dare ragione a quanto
affermato da Umberto Bossi circa il rischio, non improbabile
in politica, che : “uno più uno faccia necessariamente
due”. Noi denunciamo un’evidente e imprudente
sotto rappresentanza della componente democratico-cristiana
nel nascente Pdl, specie in alcune realtà territoriali
dove gli ex DC sono, nei casi migliori, dei “sopportati”
. Certo tutto questo è anche responsabilità
di chi, come l’On Casini, non ha voluto concorrere sin
dall’inizio a tale positivo processo. Tuttavia, assai
più consistenti sarebbero le responsabilità
di coloro che, cooptati e nominati senza investitura democratica
a svolgere, in diversi livelli territoriali, ruoli di guida
politica dei partiti che concorreranno alla formazione del
Pdl, pensassero di rinchiudersi nel loro recinto degli unti
del Signore. Attenzione che dopo il congresso costituente
di Marzo ci saranno molte elezioni amministrative in diversi
comuni e province d’Italia. Se non ci si muoverà
con molta prudente disponibilità e spirito inclusivo,
scatterà inevitabilmente la proliferazione delle liste
civiche, unica valvola di sfogo partecipativo per un popolo
di elettori che non si rassegnano al ruolo di spettatori passivi
e plaudenti. E, alla fine, chi ne potrebbe ricavare vantaggi,
oltre agli avversari dell’altro Polo, sarebbe proprio
quello straordinario alleato competitor che nel Nord si chiama
Lega e nel Sud Mpa ( Movmento politico per l ‘autonomia).
Don Chisciotte- radioformigoni- 24 novembre 2008 |
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17 Novembre 2008 |
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Stop al muro contro muro
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La “Soluzione finale” del caso Englaro è
stata decisa dalla Cassazione nel vuoto legislativo che affida
alla magistratura l’interpretazione creativa della legge,
sino alla formulazione de facto di una nuova norma che, in
questo caso, decreta la morte della giovane in coma irreversibile.
Ciò che fino a ieri sembrava impossibile alla coscienza
di noi cattolici è diventata drammatica realtà
e impone al più presto una soluzione legislativa prodotta
dalla sua fonte legittima, quella parlamentare, espressione
della sovranità popolare.
Bene ha fatto il Presidente Formigoni ha negare a tutte le
strutture ospedaliere lombarde la possibilitàdi togliere
l’alimentazione e l’idratazione nei casi come
quelli dell’Englaro ed ora spetterà all’amico
Tondo, presidente della regione Friuli V.Giulia, la drammatica
scelta di autorizzare quanto richiesto dal padre di Eluana
e sancito dalla Cassazione.
A parte alcune voci, come quelle dei vetero laicisti, proff.
Umberto Veronesi e Stefano Rodot‡, in questo caso la
reazione delle forze politiche è risultata abbastanza
unanime e ragionevole, nella dichiarata volont‡ di procedere
al più presto ad una condivisa soluzione legislativa
che tolga ogni possibile interpretazione arbitraria sul diritto
di dare o togliere la vita ad una persona.
Almeno su questo, Ë il caso di dire, non abbiamo, almeno
sin qui, assistito al solito scontro tra laici e cattolici,
anche se non mancheranno le occasioni in cui alla fine le
scelte si imporranno mettendo a nudo la libera coscienza di
ciascun parlamentare, rappresentante della volont‡ popolare.
Diversa la situazione sugli altri temi che sono all’ordine
del giorno della politica italiana: dalla crisi economica
e finanziaria interna e internazionale, dopo che anche l’Italia,
come la Germania, la Gran Bretagna e (notizia questa mattina)
il Giappone, Ë entrata in una fase di “recessione
tecnica” a quella dei rapporti sindacali. Aspro Ë
lo scontro sulla politica scolastica e dell’universit‡
e su quella pi_ generale della modifica contrattuale salariale,
dove, siamo ormai alla rottura netta del tessuto unitario,
alimentata da un segretario della CGIL, Epifani,chiuso nel
ridotto impotente del continuo NO, puntualmente schierato
contro il governo Berlusconi con la pistola puntata dell’annunciato
sciopero generale del 12 dicembre in aperto dissenso con gli
altri sindacati.
In attesa delle prossime elezioni regionali abruzzesi, ringalluzziti
dal risultato del voto trentino dalle motivazioni e interpretazioni
assai ambigue, l’atteggiamento di chiusura aprioristica
del sindacato, sostiene di fatto quella del Partito Democratico,
dove ogni giorno di pi_ sembra vacillare la leadership veltroniana,
che, abbandonata ogni residua velleit‡ di “ vocazione
maggioritaria”, Ë anch’essa votata all’inseguimento
delle posizioni pi_ estreme di Tonino di Pietro.
Tuttavia la situazione Ë in movimento. Dopo 43 votazioni
andate a vuoto, la soluzione intervenuta per la presidenza
della commissione di vigilanza sulla RAI, con la nomina del
sen Villari, segna una frattura netta all’interno della
minoranza. Una soluzione che mentre garantisce finalmente
una guida ad un organo di estrema importanza istituzionale,
costringe la solita “pasionaria di Sinalunga”,
l’on Rosy Bindi, a scomposte reazioni al limite di improbabili
e irragionevoli scelte di sapore aventiniano.
E’ tempo che anche in quel che resta del centro-sinistra
si prenda atto della situazione, riconoscendo finalmente il
diritto-dovere di governare da parte della maggioranza decisa
dagli italiani; la quale, tuttavia, deve aprirsi ad un confronto
con l’opposizione, tanto pi_ necessitato dalla complessa
situazione economica e finanziaria del Paese.
L’alternativa Ë lo stallo nel funzionamento corretto
delle istituzioni e l’apertura di spazi troppo vasti
per i Travaglio e i commedianti del teatrino quotidiano, usi
a istillare dosi giornaliere di odio e di sfiducia insopportabili
e che concorrono a creare un clima destinato a portare il
Paese verso una deriva senza fine.
Don Chisciotte- radioformigoni, 17 novembre 2008
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10 Novembre 2008 |
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Missione
compiuta |
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Barack Obama ha vinto, anzi ha stravinto. Siamo tutti contenti
e soprattutto lo sono, in Italia, i convertiti veltroniani
ex PCI.
Quelli che un tempo predicavano “ ha da venÏ baffone”
e guardavano all’URSS come al paradiso dei lavoratori,
adesso organizzano serate di gala a Roma con il segretario
newyorchese del PD che impazzisce al trionfo del leader afroamericano.
E’ stato un grande successo della democrazia degli Stati
Uniti, di quel sistema al quale noi vecchi “democristiani
non pentiti” abbiamo sempre guardato con rispetto e
ammirazione, anche quando, scegliendo la sponda del Patto
Atlantico i comunisti di casa nostra sbraitavano contro l’imperialismo
a stelle strisce o quando marciavano compatti anche nelle
settimane scorse al Dal Molin, nelle strade di Vicenza, al
grido di : “yankee go home”.
Ricordo che negli anni cinquanta ero compagno di classe alle
elementari di un caro amico, figlio di operai comunisti, comunista
lui stesso, iscritto all’organizzazione dei pionieri
del PCI, cosÏ come me, fiamma verde dell’Azione
Cattolica.
Tra di noi un’amicizia sincera, ma appena si parlava
di politica, e a quell’et‡, in quegli anni, sulle
rive del Po, si parlava gi‡ di politica, eravamo nettamente
divisi tra PCI e DC; tra lui che inneggiava alla grande Russia
di Stalin ed io all’America di Eishenower.
Se nella mia casa era conservato sulle pareti il crocefisso
e il ritratto del Papa, nella sua, su un mobile in salotto
era in bella mostra una foto dei coniugi Rosenberg, martiri
del proletariato. In realt‡ spie americane dei sovietici
ai quali avevano passato segreti nucleari e per questo giustiziati
sulla sedia elettrica negli USA.
Nei
giorni scorsi, meditavo su come sono cambiate le cose da
noi, non solo sugli orientamenti di politica estera, ma
anche al nostro interno. Vedere il Presidente Napolitano
accompagnato dal ministro della difesa, La Russa, alle celebrazioni
della vittoria, all’Altare della Patria, a Redipuglia
e a Vittorio Veneto, era il segno di un cambiamento straordinario.
Ammirare il vecchio leader tra i
leaders del PCI, che sta gestendo la massima magistratura
repubblicana in maniera esemplare, che ricordava il sacrificio
dei nostri fantaccini sulle rive del Carso, dopo la tragedia
di Caporetto, la battaglia del solstizio sul Piave, sino
alla resa austriaca di Vittorio Veneto e all’armistizio
di Villa Giusti, in compagnia di uno degli eredi del partito
che inneggiava al ventennio mussoliniano, era la dimostrazione
di quanta strada si Ë fatta anche in Italia, Paese
delle lotte fratricide e dei guelfi e ghibellini.
Se coloro che per molti anni avevano
guardato all’URSS come la patria dei lavoratori ora
si commuovono ascoltando l’inno americano e in Italia
celebrano insieme la raggiunta unit‡ nazionale, ogni
discussione ulteriore sul ruolo svolto dalla DC prima e
dal Cavaliere negli ultimi quindici anni Ë superflua.
Se, in aggiunta, ad Asolo, nei giorni
scorsi, si sono incontrati, sotto l’occhio vigile
di Luciano Violante, Massimo D’Alema, legittimo erede
del partito di Togliatti, Longo e Berlinguer con Gianfranco
Fini, erede seppur contestato del partito di Almirante,
PisanÚ e Rauti, per discutere di bicamerale e per
organizzare una prossima summer school tra le fondazioni
di riferimento dei due leaders, allora possiamo proprio
dire: missione compiuta.
SÏ, possiamo andarne fieri,
poichÈ il nostro scopo sociale, quello dei “liberi
e forti” Ë stato raggiunto se quelli che fino
a ieri erano nemici si sforzano di camminare insieme dietro
al tricolore. Speriamo che non si debbano commuovere al
canto dell’inno di Mameli solo quando gioca la Nazionale.
Don Chisciotte-radioformigoni, 10 novembre 2008
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3 Novembre 2009 |
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Anomia
sociale e giravolte politiche |
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Né classismo né interclassismo. Oggi l’Italia
vive una condizione di frantumazione sociale, economica e
culturale; una vera e propria anomia certificata dalle ultime
indagini del Censis che parlano di “mucillagine”
quale descrizione della situazione del Paese.
E tutto questo si riverbera negli atteggiamenti contraddittori
del sindacato di classe più rappresentativo e forte,
la CGIL: unitaria nella contestazione ai progetti di riforma
della scuola e nel caso Alitalia-Cai, ma immediatamente a
sostegno della politica del NO, quando si tratta di contratti
degli statali o del progetto di riforma generale della contrattazione
salariale.
Con Epifani, nello storico sindacato di classe, siamo giunti
ad un innaturale collegamento tra le istanze corporative e
conservatrici di alcune categorie impermeabili al cambiamento
del settore pubblico con quelle più estreme del sindacato
dei metalmeccanici dei Rinaldini e Cremaschi. Di fatto, alla
rottura di ciò che rimaneva dell’unità
sindacale.
Conclusione: un sindacato votato alla rinuncia del proprio
ruolo istituzionale che resta quello di lottare per raggiungere
possibili mediazioni contrattuali. Un sindacato sempre più
condizionato da logiche politiche altalenanti: conservatrici
e/o massimaliste .
Tale frantumazione è ancor più nettamente rappresentata
dal proliferare di sigle corporative, autonome e di base,
che, nel caso dell’Alitalia, hanno raggiunto l’acme
dell’irrazionalità con il voto contrario all’accordo
CAI dei piloti e degli assistenti di volo. Due categorie disponibili
piuttosto al fallimento della società che alla perdita
delle condizioni contrattuali sin qui godute.
La stessa volontà conservatrice e corporativa che ha
dominato la posizione di molti insegnanti del sistema scolastico
e universitario, refrattari ad ogni possibilità di
razionalizzazione e di cambiamento di un comparto che non
è più onestamente difendibile nella sua attuale
arretratezza ed inefficienza funzionale. E con molti studenti
utilizzati quale arma di pressione acritica, sfruttando le
situazioni di oggettiva frustrazione di una condizione giovanile
destinata alla precarietà.
Questo stato di anomia sociale e culturale sembra guidare
le stesse ultime scelte di un contraddittorio e confuso Walter
Veltroni che, abbandonata la strategia dell’”autosufficienza
della maggioranza” e della difesa del bipolarismo/bipartitico,
tenta di sopravvivere alle contestazioni sempre più
diffuse in seno al PD, con tattiche diversive e giravolte
politiche incomprensibili e senza sbocco finendo con il convertirsi
alla logica antiparlamentare dei cortei della piazza a braccetto
dell’infido Di Pietro.
Puntava al sistema maggioritario francese e per le europee
si trova a difendere uno sbarramento ridicolo simulando una
difesa d’ufficio delle preferenze che lo renderebbero
prigioniero di tutte le diverse anime che compongono la variegata
realtà del PD. Aveva iniziato a dialogare con Berlusconi
per finire alla raccolta di firme contro il grembiule e il
maestro unico alle elementari.
In queste condizioni, ha facile gioco il Cavaliere che, nel
prendere atto di talune difficoltà insorte nello stesso
costituendo Pdl in materia di difesa delle preferenze, minaccia
la conservazione dell’attuale sistema elettorale per
le europee. Un sistema che darebbe rappresentanza al massimo
della frammentazione, rimettendo in gioco le estreme: dalle
diverse anime della sinistra radicale annullate dal voto di
Aprile alla destra estrema di Storace. E con un PD probabilmente
ridotto sotto la soglia critica del 30%.
Un disaccordo sulla legge elettorale europea sarebbe la premessa
per nessun’altra modifica della stessa legge elettorale
del porcellum e se così fosse, ci infileremmo dritti
dritti nel referendum di primavera a decidere sulla proposta
Segni-Guzzetta, un mostro giuridico degno della famigerata
Legge Acerbo.
Insomma dall’anomia sociale ad una forzata semplificazione
partitica al limite della tenuta democratica del sistema.
C’è da augurarsi che in entrambi gli schieramenti
alla fine prevalga il buonsenso e si trovi una soluzione condivisa…prima
che sia troppo tardi.
Don
Chisciotte-radioformigoni 3 novembre 2008
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27 Ottobre 2008 |
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Contro
lo tsunami finanziario aprite al dialogo
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Qualche
mese fa, con il prof Guarino ed altri esperti avevamo, dedicato
molta attenzione al problema del debito pubblico italiano,
alla vigilia della ratifica del trattato di Lisbona, schierandoci
dalla parte di coloro che sostenevano l’opportunità
di non procedere a quella ratifica che avrebbe determinato
una situazione iugulatoria per l’Italia.
Un nostro caro amico, esponente
di una delle imprenditorie più serie e mature del
Veneto produttivo, condividendo la posizione anti Lisbona
espressa dal prof Guarino, nel giugno scorso, ci scrisse
da buon “eretico” ( lo pseudonimo con cui cela
la sua identità il Nostro) la sua opinione, con una
frase lapidaria del saggio Bertoldo: “Banca ricca,
Paese povero.”
E, aggiungeva: “Se il debito
pubblico è veramente insostenibile, allora bisogna
ridurlo. Se la situazione è grave, allora servono
misure drastiche e immediate. Quali?
L’enormità della rapina conseguente al cambio
suicida “Lira-Euro” ha svalutato il reddito
e rivalutato il debito.
Risultato: le categorie produttive
sono in ginocchio; quelle finanziarie, invece, rigurgitano
di ricchezza monetaria (ossia, virtuale), mentre l’economia
reale manca di liquidità, quindi di investimenti,
dunque di sviluppo.
Il “denaro”, in realtà,
non è scomparso; bensì si è accumulato
concentrandosi “fuori circuito”. Non resta che
andare a riprenderselo là ove si trova – tassando
i sopraprofitti finanziari – per rimetterlo nel giro
restituendolo alle “buste paga”, prima che sia
troppo tardi.
I realizzi patrimoniali, il taglio
della spesa e il conseguente aumento del P.I.L. faranno
il resto, ma col tempo però; subito, invece, la “speculazione”
deve restituire il maltolto.”
Insomma sembrava vero l’assunto: Banca ricca, Paese
povero.
La situazione in cui è precipitato
l’intero sistema finanziario internazionale è
la dimostrazione di quanto assai più gravi sono stati
gli effetti di una liberalizzazione senza freni che ha garantito
immense praterie alla speculazione finanziaria sempre più
avulsa dall’economia reale. Ora sono andate in default
molte istituzioni bancarie e assicurative, anche quelle
sino a qualche tempo fa considerate tra le più solide,
mentre con il blocco del credito si sta verificando un rallentamento
dell’economia reale che porterà il nostro Paese
ad una situazione di stagnazione-recessione dagli effetti
economici e sociali del tutto imprevedibili.
Se il malessere, in gran parte artificiosamente
fomentato dall’estremismo politico, in campo studentesco
ed universitario è solo il sintomo di un disagio
sociale e culturale che copre le miserie di un corporativismo
senza più giustificazioni, sarà dal lato dell’economia
reale e produttiva che potranno venire i più forti
dolori.
Nonostante le punture di ottimismo
che il Presidente del Consiglio giustamente non si stanca
di risparmiare e le sin qui positive decisioni assunte dal
governo per far fronte ad una crisi finanziaria che, almeno
sino ad ora, sembra preservare il sistema bancario italiano
dallo tsunami che ha sconvolto con ben più forte
consistenza realtà che sembravano assai più
consolidate, è dalle imprese e dalle famiglie che
ora giungono con sempre più forte insistenza gli
alti lai.
Le prime alle prese con un blocco
del credito in una fase in cui, soprattutto, le piccole
e medie imprese, ma non sono diversamente posizionate anche
quelle più grandi, risultano fortemente sottocapitalizzate
e nella necessità di liquidità sempre meno
disponibile; le famiglie, con redditi fissi erosi quotidianamente
da un’inflazione che ne riduce progressivamente il
potere d’acquisto sino a determinare un aumento progressivo
dell’area della povertà.
Inflazione e stagnazione, ossia
quella pericolosissima stag-flation, foriera di possibili
scontri politico-economici e sociali dalle imprevedibili
dimensioni ed effetti.
Non solo alla FIAT e alla Indesit,
ossia alle auto e agli elettrodomestici, ma ad intere filiere
produttive dovranno essere concessi sgravi fiscali e facilitazioni
creditizie, ripristinando la Legge Tremonti di esonero fiscale
per gli utili reinvestiti; mentre alle famiglie va assicurato
l’immediato sgravio fiscale delle tredicesime, avendo
consapevolezza che se non si pone mano ad una revisione
delle politiche salariali in funzione dell’aumento
del potere d’acquisto e conseguente incremento della
domanda interna, la situazione potrebbe precipitare.
Tutto ciò comporta una profonda
revisione degli stessi atteggiamenti e comportamenti sin
qui assunti dalle più importanti formazioni politiche.
I nascenti poli dell’inevitabile bipolarismo italiano
o riprendono un dialogo interrotto per reciproche seppur
diverse responsabilità o saranno seri guai per tutti.
Guai, infatti, se il Paese dovesse
diventare terreno di conquista degli sfascisti dipietrini
e dei votati al “tanto peggio tanto meglio”.
Sono in ballo i fondamentali della stessa nostra convivenza
sociale, economica e politica, mentre a livello internazionale,
saltati tutti gli schemi tradizionali, si tratta per noi
europei di ripensare dalle fondamenta lo stesso processo
di costruzione europea che con questo tsunami ha ricevuto
un colpo apoplettico al limite della sua stessa sopravvivenza.
Speriamo che, dopo lo sfogo con
la manifestazione del PD al Circo Massimo di Sabato scorso
a Roma, si ritorni a dialogare, al di là degli slogans
bolsi, vecchi e stantii ripetuti da Walter Veltroni nel
suo comizio di chiusura.
Don Chisciotte-radioformigoni-27 ottobre 2008
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20 Ottobre 2008 |
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Conservatori e riformisti |
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La settimana scorsa a Milano ho avuto l’occasione di
incrociare la manifestazione degli ospedalieri che sfilavano
per la città reclamando il rinnovo del contratto.
Sacrosanto diritto dei lavoratori. Il tutto accompagnato dal
solito rito dei fischietti e dei tamburi in un corteo multiforme
caratterizzato da centinaia di bandiere rosse.
Stonavano solo alcuni cori ritmati da delle erinni scatenate,
più che infermiere a passeggio, tuonanti contro il
governo accusato di essere formato da “delinquenti”.
In questi giorni, ancora,
tra sigle dei Cobas dei trasporti e sindacati della scuola
che allenano alla protesta anche gli scolari delle elementari,
è tutto un agitarsi contro il ministro dei trasporti
e la Gelmini, accusati delle più assurde infamie.
Il tutto in attesa di quella grande
manifestazione annunciata dal PD per “salvare l’Italia”.
Insomma la cosiddetta “Italia
progressista” ancora una volta s’è desta,
salvo che lo scenario politico-culturale ed economico sociale
del Paese è oggi diverso da quello probabilmente
ipotizzato dai tristi superstiti del ’68 di cui si
celebra quest’anno il quarantennio.
Sorge spontanea una domanda: in
questo contesto chi sono i conservatori e chi i progressisti
riformatori?
In una situazione finanziaria internazionale
drammatica e con un Paese, l’Italia, a tasso di crescita
zero se non negativo, pensare di abbandonarsi alla protesta
di piazza per recuperare consensi e spingere alla soluzione
dei problemi è demagogia infantile degna del solito
Tonino di Montenero di Bisaccia e delle frange più
estreme di una sinistra massimalista senza più testa.
Nelle contestazioni sindacali di
questi giorni è sempre assente quella che è
o dovrebbe essere la finalità di ogni politica rivolta
al bene comune: l’interesse del cittadino e la qualità
dei servizi che lo Stato offre allo stesso.
Prevalgono interessi e logiche meramente
corporative ed autoreferenziali che rischiano di essere
sempre meno comprese dalla stragrande maggioranza degli
italiani che, infatti, continuano ad esprimere un forte
consenso ed un alto gradimento alle politiche del governo.
Tra i cobas e i sindacati che espongono
nelle bacheche delle elementari raffigurazioni di casse
funebri con l’effige della ministra Gelmini e per
somma capacità educativa portano a sfilare i bambini
di età scolare, e le necessarie cure indicate dal
governo per migliorare, per intanto, l’efficienza
ed efficacia della scuola elementare, l’Italia non
può che schierarsi dalla parte del governo.
E così è e sarà
per i provvedimenti già assunti e che sta per assumere
nel settore della riforma della Pubblica amministrazione
dove, con un solo decreto, il ministro Brunetta ha miracolosamente
fatto guarire il 45 % dei dipendenti pubblici dalla cagionevole
salute quotidiana.
Ne abbiamo parlato ieri con il ministro
veneziano in un convegno sul riformismo cattolico e socialista,
impegnati nella costruzione del Partito del Popolo della
Libertà.
Abbiamo concluso che i riformisti
quelli veri, eredi del migliore centro-sinistra degli anni
’60 e 70 e sino a quelli travagliati dopo la morte
di Aldo Moro, sono quelli rappresentati nel terzo governo
Berlusconi che nelle sue politiche ha dimostrato di porre
al centro della propria attenzione soprattutto il bene del
cittadino e la qualità dei servizi che vanno ad esso
garantiti. In poche parole l’esigenza di quella “riforma
minima” di turatiana memoria di cui il Paese ha un’estrema
necessità.
Noi che ci consideriamo seppur indegnamente
eredi del riformismo democratico cristiano dei Miglioli,
Grandi, Pastore, La Pira, Vanoni, Saraceno, Fanfani e Donat
Cattin ci sentiamo orgogliosi di condurre con gli eredi
dei Turati, Nenni, Craxi, Brodolini e Labor, una battaglia
comune per far nascere il nuovo Partito del popolo della
libertà, sezione italiana del Partito Popolare Europeo.
Don Chisciotte-radioformigoni-20 ottobre 2008
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13 Ottobre 2008 |
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Riformismo cattolico
riformismo socialista: due culture verso il PdL |
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Nel pieno tsunami finanziario che sta sconvolgendo
il sistema economico mondiale con il crollo delle
Borse a due cifre che bruciano centinaia di milioni
di euro al giorno, il Papa all’apertura della
XII Assemblea ordinaria del Sinodi dei vescovi di
Lunedì della settimana scorsa, nella sua meditazione
svolta a braccio ci ha ricordato che :“ se davvero
vogliamo essere realisti, la vera realtà su
cui dobbiamo proprio contare è la Parola di
Dio”.
E proseguiva sottolineando che: “ è
necessario cambiare la nostra idea che la materia,
le cose solide, da toccare sarebbero la realtà
più solida, più sicura”; cosa
che “ vediamo adesso nel crollo delle grandi
banche: questi soldi scompaiono e sono niente. E così
tutte queste cose, che sembrano la vera realtà,
sono realtà di secondo ordine”.
Sono riflessioni che ci inducono a meditare seriamente
sulle nostre azioni quotidiane e sulle stesse che
mettiamo in opera a livello politico, economico e
sociale.
Mai come adesso ritornano centrali le indicazioni
magistrali della dottrina sociale della Chiesa di
cui attendiamo gli sviluppi con l’ annunciata
enciclica sociale di Papa Benedetto XVI, dopo la “Centesimus
Annus “di Papa Giovanni Paolo II.
Formati alla scuola del riformismo cattolico ed avendo
militato sin da giovani nelle formazioni cattoliche
del movimento operaio cristiano (ACLI e CISL), siamo
attualmente impegnati nella costruzione del Partito
del Popolo della Libertà, sezione italiana
del Partito Popolare Europeo.
Siamo convinti che, al di là delle contingenze
e delle difficoltà in cui ci si ritrova per
fondere esperienze e culture di diversa provenienza
e in una situazione di leadership popolare e carismatica
oggettivamente senza alternative, sia impossibile
tentare di costruire il nuovo partito al di fuori
di regole democratiche condivise nella formazione
del consenso e trasparenti e partecipate nella selezione
delle classi dirigenti. Ecco perchè ci stiamo
battendo a livello periferico per superare le incrostazioni
e le resistenze degli “unti dal signore”
che impediscono il necessario ricambio delle classi
dirigenti pro domo loro. E lo vogliamo fare ricercando
il massimo di convergenza tra le culture di riferimento
essenziali che si ritrovano oggi nel costituendo Partito
del Popolo della libertà.
Partendo dal riformismo cattolico e da quello socialista
che con la cultura liberal democratica e quella nazional-unitaria
costituiscono il nucleo fondante del nuovo partito,
intendiamo costruire alleanze a livello periferico
capaci di produrre momenti di approfondimento politico
e culturale tali da garantire la più ampia
partecipazione a quel popolo della libertà
che non può essere ridotto a spettatore passivo
o meramente indicatore di orientamenti rilevati dalle
indagine demoscopico statistiche.
A Venezia il processo si avvierà questa sera
con la formazione del circolo “ Insieme per
il partito del popolo della libertà”
che avrà il suo momento di manifestazione pubblica
con il convegno di Sabato a Mestre sul tema: “Riformismo
cattolico e riformismo socialista: due culture verso
il PDL” con la relazione conclusiva del ministro
Renato Brunetta.
Se dalle sfere più alte nulla sembra muoversi
restando tutti allineati, come i 44 gatti….
“ in fila per sei col resto di due”, è
dalla periferia che bisogna attivare intelligenze,
passione civile e partecipazione. Spero che da Venezia
il modello possa espandersi e rilanciare con forza
il movimento verso la formazione della sezione italiana
del Partito Popolare Europeo di cui l’Italia
ha grande necessità, specie in un momento così
difficile come quello che stiamo attraversando.
Don Chisciotte-radioformigoni-13 ottobre 2008
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6 Ottobre 2008 |
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Dialogo
e non risse continue
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Entrati
in una crisi finanziaria internazionale di proporzioni
gigantesche, la cui entità è solo in
parte evidenziata dalla decisione assunta dal congresso
americano di approvazione del Piano Paulson per 700
miliardi dollari per il salvataggio delle banche e
società di assicurazione in crisi, cui si aggiungono
altri 150 miliardi di dollari di sgravi fiscali, così
come proposto dal Presidente Bush e, condiviso, dopo
non poche difficoltà da senatori e deputati
e dai due sfidanti per la guida del Paese, assistiamo,
non privi di fondate preoccupazioni, a ciò
che si sta verificando a livello europeo e italiano.
Speculazioni e dati probabilmente
oggettivi di sofferenza del nostro più importante
gruppo bancari a livello nazionale e tra i primi in
Europa, Unicredit, non lasciano spazio a ingiustificati
e facili ottimismi, dai quali ha saputo intelligentemente
rifuggire il Ministro dell’economia, Giulio
Tremonti, e lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, che ha usato parole semplici ed efficaci
in un momento di grave tensione e di possibile panico
tra i risparmiatori italiani.
La garanzia pubblica dei depositi
bancari e il congelamento temporaneo delle vendite
al ribasso dei titolo quotati sono le misure annunciate
dal capo del Governo che ha così lanciato un
messaggio rassicurante ai risparmiatori e al mercato.
Sconcerta che in una situazione
di così pesante difficoltà, certamente
non ascrivibile a responsabilità dirette o
indirette di questo governo, il leader dell’opposizione,
Walter Veltroni, non sappia far altro che denunciare
ogni giorno il rischio di presunti attacchi alla democrazia
nel nostro Paese, con continue provocazioni verso
il Cavaliere che sarebbe “unfit” ( come
lo descriveva un tempo per la guida del governo, il
Financial Times, , giudizio poi rovesciato da quel
quotidiano dopo le ultime elezioni politiche), ossia
“inadatto” per assumere la massima carica
istituzionale del nostro Paese.
Un Veltroni che sembra preso
dalla frenetica ed ansiosa attesa del risultato della
manifestazione del 25 ottobre, con cui intende portare
in piazza alcuni milioni di cittadini per ribadire
il NO a questo governo e tentare di arginare l’onda
montante di contestazione interna ed esterna al Partito
Democratico. Una contestazione che sembra travolgere,
con la leadership dell’ex sindaco di Roma, la
stessa fragile costruzione del Partito Democratico.
L’annunciata manifestazione di Roma, più
che “salvare l’Italia”, come è
indicato nello slogan della stessa, sembra piuttosto
assumere, ogni giorno, di più lo scopo di salvare
il povero Veltroni alla guida del PD.
Intanto il governo, dopo la
soluzione del problema immondezza di Napoli e del
pasticciaccio brutto dell’Alitalia, incassa
l’approvazione unanime del progetto di federalismo
fiscale, autentica rivoluzione storica degli assetti
istituzionali dell’Italia in un quadro di sostanziale
condivisione, mai prima prevista e prevedibile, tra
le ragioni non più rinviabili delle regioni
del Nord e le attese e le difficoltà oggettive
di quelle meridionali.
Noi ci auguriamo che, tanto
dalla manifestazione dell’opposizione quanto
da un serio ripensamento strategico del sindacato
storico della sinistra italiana, la CGIL che con Cofferati
sembra essere sempre più ridotta a sindacato
del NO, possano giungere segnali di una ripresa di
dialogo e di confronto con la maggioranza scelta dagli
italiani per governare il Paese, in una fase storico
politica dell’Italia in cui di tutto c’è
bisogno fuorché delle risse e delle contestazioni
continue.
Ruoli e manifestazioni queste
ultime da lasciare a quell’indescrivibile Masaniello
di Tonino da Montenero di Bisaccia, brutta copia politica
di un ex Pubblico ministero che tante, troppe illusioni
aveva saputo suscitare tra alcuni ingenui italiani
cui vengono ora riproposti assai poco credibili valori.
Don Chisciotte-radioformigoni-6 ottobre 2008
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29 Settembre 2008 |
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Le
capriole di Veltroni e le tentazioni di Casini
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Crisi della finanza americana
che, oltre a far perdere la trebisonda agli economisti
delle diverse scuole di pensiero sulle sorti magnifiche
e progressive del capitalismo, costringono il governo
americano ad un impegno di assoluto valore (700 miliardi
di dollari, il più grande intervento nella
storia americana di salvataggio bancario), pagato
dai contribuenti, per coprire tutte le situazioni
di crisi collegate alle dissennate politiche dei mutui
subprime, ossia del finanziamento di mutui ad alto
rischio che hanno portato le banche americane a rapporti
sbilanciati tra attivo e debiti fino a 1-25, assolutamente
al di fuori di ogni ragionevole stima .
Crisi dell’Alitalia
non ancora giunta al suo epilogo finale, anche se
sembra quasi fatta. Un’occasione in cui si è
rivelata in tutta la sua contraddizione l’ambigua
politica di Veltroni: prima tiepido con Prodi e la
soluzione Air France, poi nettamente contrario alla
cordata italiana messa insieme da Banca Intesa, su
input del presidente del Consiglio, da lui definita,
durante la campagna elettorale: “un espediente
di Berlusconi, destinato a scomparire dopo il voto”;
quindi svillaneggiata come una “compagnia di
bandierina”, per atteggiarsi, infine, dopo lo
stop and go pilotato di Epifani e della CGIL, a salvatore
della Patria e a deus ex machina del raggiunto accordo
con il sindacato ribelle.
Insomma, tornato dalla sua
vacanza newyorchese dove si è goduto la sua
nuova abitazione a Manhattan e presentato l’ultimo
suo libro ai democratici di oltre oceano, alla vigilia
dell’annunciata manifestazione contro il governo
di fine Ottobre, il nostro Walter affila le armi contro
il Cavaliere, tentando di rimettere insieme le varie
componenti interne al suo partito e della stessa composita
opposizione.
Pronta l’Italia dei
Valori di Di Pietro ad approfittare di ogni occasione
in cui possa mettere in luce divisioni e contraddizioni
del Partito Democratico per ricavarne qualche vantaggio
elettorale, così come ad annunciare la propria
partecipazione alla manifestazione di protesta contro
il governo di centro-destra.
Più ambigua la posizione
di Casini e dell’UDC, propria di chi vorrebbe,
ma non può e alla continua ricerca di una strategia
che sinora non si riesce a identificare, considerato
l’irrisolto dilemma esistente tra una base che
non potrebbe seguire il suo leader verso un’apertura
al PD e Casini che, alla luce di quanto sin qui emerso,
sembrerebbe che, proprio lì, finirà
con il parare.
La vexata quaestio delle preferenze
e del sistema elettorale, in sé piena di ragionevolezza,
è l’occasione buona per D’Alema
e compagni per aprire un fronte di lotta parlamentare
insieme all’UDC contro il governo, per puntare,
in realtà, a sottrarre l’UDC ad ogni
possibilità di ripresa di dialogo con il Cavaliere
e il PdL.
Insomma un partito, quello
del PD, tuttora diviso tra una posizione ufficiale
espressa a favore del sistema elettorale francese,
dunque maggioritario, che con D’Alema si apre
alle ragioni del sistema tedesco con preferenze voluto
dall’UDC; mentre non mancano anche le posizioni
di coloro che, avendo sottoscritto il referendum Segni
–Guzzetta, non disperano, sotto sotto, che non
si vari alcuna nuova legge elettorale e si corra dritti
al voto referendario. Un voto che, se favorevole alle
tesi dei promotori, altro che legge truffa di degasperiana
memoria, ci farebbe ritornare di colpo alla Legge
Acerbo o a qualcosa di molto simile a quella nefasta
legge fascista.
A me pare che a Casini non
dispiacerebbe, perduta ogni speranza di scalare ai
vertici della leadership dei moderati, per responsabilità
da lui scioccamente compiute, diventare il nuovo politico
bolognese al servizio del PD, in una prossima tornata
elettorale a suggello di un’alleanza tra il
PD e l’UDC. Fantapolitica? Se così non
fosse, non si capirebbero le scelte tattiche che,
di volta in volta, vengono compiute dall’ex
Presidente della Camera. Certo, sarebbe una ben strana
contraddizione quella di un Presidente dell’Internazionale
Democristiana che, anziché con i partiti aderenti
al PPE, si alleasse al partito dell’Internazionale
socialista che sta per decidere di aggiungersi l’attributo
di Democratica per tentare di favorire il consenso
dei residui popolari del PD italiano all’ingresso
di questo partito nella naturale sua collocazione
nel PSE.
Unico antidoto a questa velleitaria
tentazione casiniana : l’idiosincrasia del popolo
UDC che, per quanto lo conosciamo, e crediamo di conoscerlo
bene, assai difficilmente lo seguirebbe su questa
strada ambigua e senza ritorno.
Don Chisciotte-radioformigoni-29 settembre 2008 |
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22 Settembre 2008 |
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Voglia
di partecipazione
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Sto girando l’Italia per la presentazione del
libro: “ dalla fine della DC alla svolta bipolare”.
Un libro che il giornalista de “Il resto del Carlino”,
Giuliano Ramazzina, ha voluto scrivere con un’intervista
a tutto campo a chi vi parla. Il libro ha avuto l’onore
della prefazione di Roberto Formigoni e la postfazione
di Franco Marini, due politici a me assai cari.
In queste serate riscopro
un sano e forte gusto per il dibattito politico, con
molti giovani che, non conoscendo quasi nulla della
storia della Democrazia Cristiana, sono curiosi di
apprendere i passaggi più significativi della
storia del partito che fu, non a caso, “l’architrave”
del sistema democratico italiano.
Riscopro, soprattutto, la
voglia di partecipazione di uomini e donne, di tutte
le età e professioni, stanchi di una politica
che da troppi anni è vissuta passivamente come
da parte di tanti guardoni inebetiti davanti al televisore
per assistere a trasmissioni come “Porta Porta”,
“Ballarò”, “Anno zero”
che, di fatto, hanno sostituito quelli che sono stati
per diverse generazioni i canali tradizionali della
partecipazione politica: le sezioni di partito, le
riunioni di corrente e i convegni e le scuole di formazione
politica.
Non se ne può più
di una politica eteroguidata e leaderistica e qualcosa
sembra stia cambiando. Non a caso, specie tra i giovani,
trionfa internet e il chattare come nuovo sistema
di comunicazione che, quanto meno, permette di interagire
tra gli interlocutori e di scambiarsi in tempo reale
le proprie idee, aspirazioni e sogni.
Ciò che mi colpisce
di più, in queste ormai numerose serate di
dibattito politico, è il desiderio di molti
amici caratterizzati da una forte ispirazione ideale
e fedeli ai valori del cattolicesimo, di superare
quella condizione di irrilevanza che, tanto a destra
quanto a sinistra sembra caratterizzare questa difficile
ed opaca stagione politica per i politici di ispirazione
cristiana.
Distrutti i partiti tradizionali
e tuttora in fieri, come statu nascenti, quelli del
PD e del Pdl, tutto è tornato nelle mani dei
poteri forti, dei decisori economico-finanziari che,
senza più alcuna mediazione, fanno e disfano
a piacimento, controllando industrie e banche, assicurazioni
e mass media, partecipando in prima persona alle convention
farsa del PD (v. Profumo, Passera, e il titolare oggi
pentito della tessera n.1 del PD, Carlo De Benedetti).
Anche ciò che sta avvenendo
nel Pdl dopo la riunione lampo dei 100 costituenti
di mercoledì scorso ci lascia alquanto perplessi.
Mentre comprendiamo le difficoltà
di costituire un partito nuovo che nasce dalla confluenza
di molteplici culture politiche e consumate esperienze
di partito, siamo curiosi di esaminare le norme statutarie
e regolamentari che i costituenti stanno per redigere.
Ci poniamo alcune domande:
ci sarà una base elettorale aperta per la nomina
dei delegati all’annunciato congresso previsto
per i primi mesi del 2009, o tutto si ridurrà
alla spartizione nelle percentuali pattuite da un’assise
di nominati non eletti, sostanzialmente scelti nella
ristretta cerchia dei soliti noti?
E poi, ed è questa
la cosa che mi sta più a cuore: che ruolo avranno
gli esponenti della cultura cattolica e di ispirazione
democratico cristiana nel partito che intende rappresentare
la sezione italiana del Partito Popolare europeo?
L’on Palmieri
con la sua nota informativa puntuale ci informa che
ci si vuole affidare anche ad Internet in questa fase
che ci porterà al congresso. Ed allora, cari
amici, smanettiamo e facciamo sentire la nostra voce.
Se qualcuno pensasse di poter controllare un partito
che si spera possa arrivare ad oltre il 50 % dei consensi
elettorali, con qualche cena tra intimi e qualche
comparsata a Porta a Porta, credo che sarebbe del
tutto fuori dalla realtà. E prima o poi si
risveglierà dal sogno entusiasmante che sta
vivendo. Girando tra città e paesi e rincontrando
la nostra gente, sento tanta voglia di partecipazione
democratica e di una nuova presenza dei cattolici
in politica, a partire dal Pdl. Guai a frustrare questa
speranza. Potrebbe risultare fatale.
Don Chisciotte-radioformigoni-22 settembre 2008 |
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15 Settembre2008 |
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Il dado è tratto
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Con
l’avvenuta approvazione da parte del consiglio
dei ministri del disegno di legge Calderoli-Fitto
sul federalismo fiscale si è avviato un processo
di trasformazione profonda del nostro sistema fiscale,
destinato a provocare successive inevitabili modificazioni
dello stesso assetto istituzionale dello Stato.
Le modifiche al titolo V approvate
dalla vecchia maggioranza di centro-sinistra che avevano
determinato una situazione di permanente conflittualità
tra Stato e Regioni e la stessa riforma costituzionale
approvata dal successivo governo di centro-destra
bocciata dal voto referendario, trovano oggi una prima
risposta che, se confortata dal consenso della prossima
conferenza Stato-Regioni, dovrebbe essere definitivamente
approvata dal voto parlamentare delle camere, affidando
al governo il compito di procedere all’approvazione
dei successivi decreti attuativi.
Non sarà la riforma
fiscale federale così come era stata indicata
dal voto pressoché unanime dal consiglio regionale
della Lombardia, tuttavia siamo davanti ad una modifica
profonda del sistema fiscale e ordinamentale italiano.
Va da sé che, riconoscendo il valore dell’autonomia
dei diversi enti affidando a loro una capacità
impositiva propria e responsabilità effettive
di bilancio, si imporrà, onde evitare conflittualità
permanenti , la conseguente riforma in senso autonomistico
dello Stato con l’istituzione del senato delle
regioni
Onore alla Lega, che del federalismo
aveva fatto sin dal sorgere del movimento la propria
bandiera e grande merito alle regioni del Nord, Lombardia
e Veneto in testa, che sul federalismo avevano costruito
l’ egemonia delle forze politiche del centro-destra
e i cui governatori, Formigoni e Galan, si erano posti
all’avanguardia di quella politica in campo
nazionale. Così come grande merito va ai ministri
Calderoli e Fitto che, con grande passione e tenace
determinazione, hanno saputo saldare le esigenze di
autonomia, perequazione e garanzia di servizi alle
diverse realtà territoriali, dal Nord al Sud
d’Italia, coniugandole con il valore della responsabilità.
Insomma un grande salto di qualità potrà
finalmente avvenire dalle Alpi a Capo Passero.
Certo, con 8.100 Comuni, 107
province, 20 Regioni, 330 comunità montane,
63 consorzi di bonifica che servono 2 mila comuni,
cui vanno aggiunte le annunciate 9 città metropolitane,
senza introdurre sostanziali modifiche di ordine costituzionale,
tra le quali la promessa e auspicata chiusura delle
province e comunità montane, e il superamento
delle attuali insopportabili sperequazioni tra regioni
a statuto ordinario e regioni a statuto speciale,
il processo avviato dovrà fare i conti con
una situazione economica e finanziaria del Paese che
non può, in ogni caso, sopportare ulteriori
incrementi della pressione fiscale.
Se tutto procederà
come indicato dal governo, tra pochi mesi dovremo
assistere ad una delle trasformazioni più profonde
del nostro sistema politico-amministrativo con l’approvazione
di due tra le riforme che hanno ricevuto un ampio
consenso dagli elettori: quella del federalismo e
quella che marcerà in parallelo della giustizia.
Intanto l’avviato iter
per l’approvazione della nuova legge elettorale
per le prossime elezioni europee, non potrà
che sancire la definitiva affermazione del bipolarismo,
autentica rivoluzione politica uscita dalle elezioni
dell’aprile scorso, e non saranno i tentativi
di Casini e D’Alema a fermare un processo politico-istituzionale
che è ormai penetrato nella coscienza dell’elettorato
italiano.
A Casini vorremmo sommessamente
suggerire che, al posto di rilanciare tatticamente
il valore della soglia di sbarramento (dal 5 al 7%)
pur di reintrodurre le preferenze (battaglia quest’ultima
sacrosanta e da noi condivisiva) rivendicando una
solitaria autonomia foriera di un terzaforzismo senza
speranza, meglio sarebbe battersi per una lista unitaria
di tutte le componenti politiche che si richiamano
e/o intendono richiamarsi al Partito Popolare Europeo.
In tal modo riunificheremmo a livello elettorale quel
popolo dei moderati che è l’obiettivo
cui persegue il costituendo partito del popolo della
libertà, al cui processo fondativo non dovrebbe,
né potrebbe mancare l’apporto del partito
guidato dal Presidente di quell’internazionale
DC che del PPE ne costituisce il nucleo essenziale
e originario. Ogni altra tattica diversiva costituisce
un’inutile scorciatoia per piccole ambizioni
personali senza prospettiva.
Don Chisciotte-radioformigoni-15 settembre 2008 |
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27 Agosto 2008 |
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Rete
Italia dopo Rimini |
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Con la terza edizione dell’incontro nazionale
di ReteItalia al meeting di Rimini del 25 agosto scorso,
si è aperta una fase nuova per tutti noi.
Siamo alla vigilia di alcuni fatti importanti della
vita politica italiana:
a) la definizione delle modalità di organizzazione
del nuovo partito del popolo delle libertà;
b) i prossimi rinnovi di numerose amministrazioni
locali;
c) le elezioni europee del 2009.
A Rimini,
dopo l’interessante dibattito tra Roberto Formigoni
e Gianni Alemanno sulle proposte concrete di governo
in tema di sussidiarietà, abbiamo seguito l’incontro
di Rete Italia al quale, oltre a Formigoni, Mauro
e Luppi, hanno partecipato con Giancarlo Abelli, i
ministri: Alfano, Gelmini e Sacconi, con Alemanno,
pur febbricitante, che ha voluto portare il suo saluto,
sottolineando i forti motivi di coesione con le posizioni
espresse da Formigoni e dal movimento della rete.
Giancarlo
Abelli, vice coordinatore di Verdini e componente
del comitato ristretto che, con La Russa, lo stesso
Verdini e Rotondi, ha il compito di definire le pratiche
modalità di organizzazione del nuovo partito
in vista del prossimo congresso annunciato per l’inizio
del 2009, ha ribadito la volontà di garantire
la massima partecipazione del popolo, che con i gazebo
ha raccolto l’invito di Berlusconi alla nascita
del partito del popolo della libertà. Un partito
– sezione italiana del Partito Popolare europeo,
riaffermando la volontà di andare ben al di
là del burocratico schema 70% a FI e minori
e 30% ad AN, per assicurare una selezione della classe
dirigente che parta veramente dal basso, con l’introduzione
di primarie a tutti i livelli e per garantire nelle
elezioni il voto di preferenza. Tema da sempre sostenuto
da Roberto Formigoni e ribadito dallo stesso Alemanno
che condivide la proposta di un partito nazionale,
ma fortemente radicato sul territorio. Molto importante
anche l’apertura sia di Formigoni che di Alemanno
nei confronti dell’UDC di Casini, invitata a
partecipare, se non al processo di formazione del
nuovo soggetto politico, almeno all’ allargamento
dell’area di riferimento della maggioranza espressione
del voto moderato e centrista.
Essenziale
sarà, in ogni caso, stabilire da chi sarà
formata la base elettorale che procederà all’elezione
dei delegati al congresso nazionale, mentre sul piano
politico più generale, la comune richiesta
di approfondimento dei contenuti e dei valori, per
noi, come per altre componenti di diversa ispirazione
ideale, restano fondamentali quelli a suo tempo espresse
da Formigoni nel dodecalogo di Rimini 2007 e condivise
con Alemanno nell’intervento al meeting di quest’anno.
Sussidiarietà,Sussidiarietà, Sussidiarietà,
è il verbo unificante nuovo, cercando di passare
dalle enunciazioni ai fatti concreti. E così
temi come il quoziente familiare, quale base per l’imposizione
fiscale, il buono scuola, la libertà delle
persone nella scelta di servizi da gestire attraverso
una più ampia partecipazione dei corpi intermedi,
sono quelli che hanno trovato piena condivisione con
i ministri intervenuti. Importante quanto affermato
dal ministro Sacconi sia nel seguitissimo confronto
con Raffaele Bonanni sui temi contenuti nel libro
Verde sul nuovo welfare, sia nel suo intervento all’incontro
della rete.
Certo, stavolta, non ci accontenteremo più
delle sole promesse, ma vogliamo verificare seriamente
il procedere degli impegni e delle scadenze.
Di qui l’importanza,
anche per preparare le prossime elezioni amministrative
ed europee, di organizzare incontri provinciali e
regionali della rete, in vista dell’annunciata
assemblea di Riva del Garda che si dovrebbe tenere
all’inizio del prossimo anno, per meglio mettere
a punto la nostra strategia in vista del congresso.
Don
Chisciotte-27 agosto 2008 |
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21 Luglio 2008 |
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Movimento
nei partiti
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Situazione fluida nelle due formazioni politiche maggiori.
Nel Partito Democratico, con il recente convegno della fondazione
“Italianieuropei” si è ufficialmente aperto
il confronto, per la verità mai venuto meno, tra Massimo
D’Alema e Walter Veltroni.
Il
primo, constato il fallimento della strategia dell’”autosufficienza”
veltroniana zavorrata pesantemente dai giustizialisti dipietrini,
propone la “marcia indietro tutta”, con totale
apertura al sistema elettorale tedesco (proporzionale senza
premio di maggioranza e sbarramento al 5%) con coalizioni
che si formano in parlamento dopo il voto e ritorno al ruolo
determinante dei partiti. E’ la constatazione tardiva,
ma realistica, dell’impossibilità di far convivere
sotto lo stesso tetto gli eredi dei comunisti e della sinistra
democristiana, con l’obiettivo di puntare su possibili
coalizioni tra un partito democratico, ridotto nella consistenza,
ma aperto alla possibile collaborazione con la sinistra
di rifondazione vendoliana e con un nuovo centro organizzato
da Casini e Rutelli.
Condizione necessaria: l’approvazione
di una legge elettorale proporzionale che, tranne la possibile
tentazione per la Lega, non sembra far breccia nell’attuale
maggioranza di governo. Condizione, tuttavia, non sufficiente
poiché deve fare i conti con la capacità di
tenuta dei consensi, in una simile prospettiva, ad una UDC
definitivamente spostata sulle posizioni folliniane.
Veltroni, zavorrato da colui che
è la causa del suo mal, il bizzarro Tonino Di Pietro
da Montenero di Bisaccia, sembra stordito dalla piega che
sta prendendo la situazione politica, e, mentre dichiara
la fine di ogni possibilità di dialogo con il Cavaliere,
si riduce all’impotenza e a contrapporre con scarso
respiro strategico, vuoti appelli a favore dei poveri e
dei pensionati, ai quali non si propongono, per la verità,
concrete politiche alternative.
Fluida è anche la situazione
interna al Partito del Popolo della Libertà, dove,
finalmente, viene indicata la data di Gennaio, quella in
cui si dovrebbe celebrare la nascita del nuovo Partito in
conseguenza degli impegni assunti con gli elettori e dell’avvenuta
formazione degli unitari gruppi parlamentari della Camera
e del Senato.
Ma come si arriverà a questa
celebrazione congressuale?
Nelle note delle ultime due settimane abbiamo evidenziato
i limiti e le insufficienze di un metodo fondato, anche
per il partito, come già nella scelta dei candidati
per le ultime elezioni, sulla cooptazione e su liste rigide
prefabbricate a misura delle percentuali stabilite a Roma
tra i maggiorenti della coalizione.
Non mancano movimenti dal basso,
come quello degli auto convocati del Veneto che, a parte
le velleità antileghiste di qualche stratega di corto
respiro, esprimono tutta l’insoddisfazione di una
base, per la verità assai composita, in cui si mescolano
accanto a giovani dall’ingenua e sicura buona fede,
vecchi marpioni sopravvissuti a tutte le intemperie di tumultuose
stagioni politiche.
Da come si svilupperà la
fase precongressuale che dovrebbe portare alla formazione
del nuovo partito e, parallelamente quella relativa al sistema
elettorale, a partire dalle prossime elezioni europee (sbarramento
del 3 o del 5 % e introduzione o meno della preferenza)
si comprenderà se la situazione politica, oggi fluida,
evolverà nella direzione del bipolarismo o in quella
del ritorno all’antico nelle mani sicure dei partiti.
Se il Cavaliere sembra ben in sella
nel centro-destra e, sin qui, senza concrete opposizioni
al suo interno, sarà proprio dallo sviluppo del serrato
confronto non più sotterraneo nel PD che capiremo
come evolveranno le cose.
Don Chisciotte-radioformigoni-21 Luglio 2008 |
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7 Luglio 2008 |
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Il
Popolo dei gazebo
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Sono
trascorsi appena sei mesi dall’appello del predellino
in San Babila con cui Berlusconi annunciò la nascita
del Partito del popolo della libertà, e ancor meno
dalle giornate nelle quali il popolo dei gazebo rispose
all’appello, con una mobilitazione straordinaria di
adesione a quella proposta, segnale anticipatore della successiva
vittoria elettorale del 13 e 14 aprile.
Da alcune settimane si comincia
finalmente a riparlare della nascita del nuovo partito,
già delineato a livello dei gruppi parlamentari costituitisi
subito dopo il voto tra tutte le diverse componenti e storie
politiche che hanno concorso a quel successo, ed è
proprio adesso che bisogna capire bene se, dove e come si
intende procedere.
Almeno quattro culture politiche
si sono messe insieme per costituire la realtà del
movimento per la costruzione del partito del popolo della
libertà: quella cattolica e democristiana, quella
liberale e della destra nazionale, quella riformista di
ispirazione socialista.
Tutte e quattro sono accomunate
dalla precisa volontà di costituire, attraverso il
nuovo partito, la sezione italiana del Partito Popolare
Europeo, al quale appartiene per storia e tradizione politica
la stessa UDC, il cui leader è, non a caso, Presidente
dell’internazionale Democratico Cristiana.
Una diversa opzione pre-elettorale
caratterizzata dalla volontà di conservare nome e
simbolo e dal rifiuto di concorrere con gli altri partiti
con cui, pur tra alterne vicende, si era condotto un tratto
non breve (quasi quattordici anni) di vita politica insieme,
esclude, noi ci auguriamo solo per ora, la partecipazione
anche di questa nobile tradizione alla formazione del partito
dei moderati italiani destinato a diventare il polo di riferimento
essenziale del PPE.
Si sente parlare di strani accordi
e di stravaganti regole tra FI al 75% e AN al 25 %, quali
postulati attorno ai quali sviluppare le prossime fasi del
percorso che porterà alla nascita del nuovo partito
prima delle prossime elezioni europee del 2009.
Non mancano estemporanee assemblee
di autoconvocati senza uno straccio di firma (anche se tutti
ne conoscono origine e paternità), come nel Veneto,
per la costruzione di un partito regionale “autonomo
e federato” che, in questa particolare e delicata
fase politica, tutto può provocare, fuorchè
il bene per l’alleanza con la Lega che regge, unitamente
al MPA di Raffaele Lombardo, e garantisce la solidità
e la stessa sopravvivenza della maggioranza politico-parlamentare
nazionale.
Non ci si aspetterebbe un tale disinvolto
e imprudente atteggiamento proprio da chi, da sempre, si
dichiara intimo del Cavaliere. Certo, con questi intendimenti
non gli si facilita la vita.
A noi interessa assai di più
capire se il nuovo partito nasce secondo condivise regole
democratiche che ridiano al popolo dei gazebo lo stesso
ruolo che ebbe all’avvio di questa innovativa esperienza
politica.
Garantire rappresentanza secondo
formule precostituite, magari con quote prefissate per gli
eletti e i partiti di provenienza, sarebbe peggio della
fusione fredda e della convention farsa con cui il PD scelse
Veltroni.
Intanto gli eletti, se si escludono
sindaci e governatori, sono espressione di cooptati senza
alcun rapporto con l’elettore privato del sacrosanto
diritto della preferenza.
Inoltre, piaccia oppure no, ci interessa sapere se e quale
destino si prepari per la componente cattolico-democristiana
che riteniamo essere a livello elettorale, assai più
consistente della nomenclatura di cooptati attualmente eletta
ai vari livelli istituzionali.
Ci batteremo in tutte le sedi affinchè
il potere di scegliere i dirigenti del nuovo partito e i
candidati alle diverse scadenze elettorali spetti unicamente
ed esclusivamente al popolo dei gazebo, cosÏ come chiederemo
a gran voce il ritorno della preferenza, per evitare derive
pericolose di tipo sovietico.
Ai nostri campioni, Formigoni in
testa, con Scajola, Rotondi, Giovanardi,Fitto e Pisanu,
il compito di dimostrare che il popolo già democristiano
continua ad esistere e che, senza velleità egemoniche,
non intende fare la fine della ruota di scorta di un partito
che intende richiamarsi alla cultura e alla tradizione che
ci appartiene da sempre.
Don chisciotte-radioformigoni-7 Luglio 2008
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1 Luglio 2008 |
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Stato
e magistratura. |
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Varato il DdL diventato
il “ lodo Schifani 2”, ossia l’immunità
per le più alte cariche dello Stato, dopo l’emendamento
al decreto sulla sicurezza, già approvato al Senato,
con cui si è deciso la sospensione per un anno per
i processi che comportano pene inferiori a dieci anni, per
dare priorità a quelli connessi ai reati più
gravi “che provocano maggior allarme sociale”,
ritorna prepotentemente alla ribalta il tema dei rapporti
tra politica, nelle sue espressioni istituzionali più
rilevanti del Parlamento e del Governo e la magistratura.
Con l’aiuto
del mio amico Eretico che mi fa dono delle sue riflessioni,
cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
I tre poteri fondamentali
– legislativo, esecutivo, giudiziario – fanno
capo allo Stato, ossia – in uno Stato democratico
– ai cittadini.
Alla Magistratura è assegnata la “funzione
giurisdizionale”, ossia di “applicazione”,
al servizio del “potere giudiziario”, che, tutto
intero, rimane allo Stato. Deve, in sostanza, amministrare
la giustizia secondo le leggi emanate dal “legislatore;
dunque sempre dallo Stato. Lo Stato fa le leggi, le applica,
le fa rispettare. Per farle rispettare dispone dell’ordinamento
(non potere) giurisdizionale, della Magistratura per l’appunto.
E questa, dunque, non è alla pari nè, tanto
meno, al di sopra dello Stato; ma ne fa parte quale “strumento
tecnico-operativo”, non politico. Essa può,
anzi deve, esprimere le sue istanze e i suoi pareri anche
politici, ma soltanto attraverso il Ministro che la rappresenta
all’interno del governo.
L’autonomia
di cui la Magistratura è dotata, riguarda l’amministrazione
della giustizia, ossia l’applicazione delle leggi
dello Stato, e vale a garantire al cittadino l’imparzialità
di giudizio, non a separarla dal corpo dello Stato. Autonomia
giurisdizionale non significa indipendenza istituzionale.
La Magistratura ha dei doveri, non dei poteri. Il suo motto
dovrebbe essere: “La legge Ë uguale per tutti
e la giustizia anche”.
Se tutto ciò
ha un qualche fondamento, assistendo a quanto sta accadendo
in Italia (ormai da troppo tempo) nascono le seguenti riflessioni.
“Sovversione” significa comportamento contrario
all’ordine costituzionale. In tale fattispecie rientra
anche il prevaricare le norme sulle quali tale ordine si
fonda.
Le esternazioni pubbliche – quali le diffusioni mediatiche
di opinioni, messaggi e proclami – sono prevaricazioni
lesive per uno Stato di diritto e squalificanti per l’autorevolezza
sia morale che istituzionale della Magistratura.
La cosiddetta “macchina
della Giustizia” può essere, metaforicamente,
vista come una “macina”, che trasforma “biada
di varia natura” (contenzioso) in “farina confezionata”
(sentenze).
La “farina” alimenta il civile convivere, che,
dunque, deperisce quando la “macina” (per insufficienza
propria, o per altri motivi) produce troppo poco o male.
In tal caso, uno Stato democratico deve intervenire, pena
la sua stessa sopravvivenza. E la regolazione del flusso
di “biada” alla “macina”, in funzione
del prodotto che il corpo sociale e politico reclama con
urgenza, Ë una delle operazioni che lo Stato può
e deve fare.
Rimarrà poi – sempre allo Stato – il
problema di “adeguare la macina” al fabbisogno
o – se necessario – di munirsi di una “macina
migliore”.
La Magistratura è “macina” non “mugnaio”.
Un pensiero cattivo: Se le Forze armate assumessero atteggiamenti
simili a quelli di una “certa Magistratura”,
si urlerebbe al “golpe”. E con ragione.
Spiace che Veltroni,
strattonato dall’inquisitore di Montenero di Bisaccia
ridotto a esternazioni da osteria, colpevolmente da lui
fatto sopravvivere politicamente, debba inseguire girotondini
e micromegafoli, i vari Grillo e Travaglio dell’ antipolitica,
i quali, perdenti sul piano elettorale, tentano di rovesciare
ancora una volta per via giudiziaria quanto gli elettori,
ossia il popolo sovrano, con voto democratico liberamente
espresso hanno sancito il 13 e 14 Aprile scorso: il diritto
del premier di governare per cinque anni. E dire che il
leader del PD si era presentato come l’uomo nuovo
che avrebbe dovuto superare l’antiberlusconismo di
cui si era nutrita, nelle alterne fortune, la fallimentare
esperienza dell’Ulivo e dintorni. Propositi durati
“l’Ëspace d’un matin”…..
Attenzione ai richiami prima alla piazza e poi al referendum
di cui vanno predicando alcuni esponenti dell’Idv
: potrebbero risultare un boomerang pericolosissimo, con
un elettorato stanco di inefficienze e rinvii e che chiede
solo una cosa: un governo che sappia e possa governare.La
piazza, se chiamata ad esprimersi, potrebbe rivelare amare
soprese…….specie per i Tonini di turno.
Don chisciotte-1 Luglio 2008 |
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23 Giugno 2008 |
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Ancora
sull’indigesto Trattato di Lisbona
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Stavolta, cari amici, il compito
mi è assai facilitato. Mi basta trascrivere quanto
mi ha inviato un caro amico che ama trincerarsi sotto lo
pseudonimo di “Eretico”:
“Ho letto con molto
interesse il saggio del prof. Giuseppe Guarino. Lo trovo
molto istruttivo, illuminante e anche……sconfortante.
E’ una radiografia di un’Europa
squinternata e di un’Italia gravemente a rischio.
In quanto Eretico posso permettermi
alcune considerazioni; principalmente di carattere economico.
La omogeneità delle economie,
seguita dalla unificazione politica, avrebbe necessariamente
condotto alla moneta unica.
Si è, invece, partiti dalla
moneta unica con il risultato che “le discipline congiunte
del mercato unico e dell’euro, anzichÈ omogeneizzare
le economie e promuovere coesione provocano disparità
e, ove preesistano, la accentuano” (G.Guarino –
Ratificare Lisbona? pag. 143).
Se questo si verificasse afferma
il Guarino, “la fiducia potrebbe attenuarsi o venir
meno”, fiducia verso la moneta unica, per l’appunto.
Questo sta, in effetti, avvenendo e proprio perchè
è mancata la prioritaria omogeneizzazione delle economie.
“Lisbona” è
soltanto un tentativo (con piglio imperativo) di far nascere
il “soggetto politico Europa” senza aver omogeneizzato
le economie, anzi nonostante che l’Euro abbia accentuato
le disparità esistenti e altre ne abbia prodotte.
Di danni l’Italia ne ha già
avuti, e non pochi, anche perchè il “percorso
Euro” ha coinciso con una nefasta fase inerziale del
suo vecchio e cadente sistema politico, fase che non si
Ë ancora del tutto esaurita.
Dunque, il problema rimane sempre
lo stesso: l’Europa dev’essere prima “Comunità
Economica omogenea” (one Market) e, per esserlo deve
– necessariamente – equiparare al suo interno
i “parametri base” dei costi di produzione (energia,
lavoro, danaro, fisco). Sinora si è disatteso (per
comodo di alcuni) proprio il principio basilare del trattato
di Maastricht: 1_ one Market – 2_ one Money.
Ora, dunque, non resta che lavorare
con ritardo (ma, meglio tardi che mai) alle fondamenta di
una costruzione la cui precariet‡ si evidenzia sempre
più.
Una rinata politica italiana proprio
questo dovrebbe, secondo me, chiedere prima di sottoscrivere
ulteriori vincoli. Non lo ottenesse, allora persegua con
decisione i propri interessi ponendoli – se necessario
– al di sopra delle disposizioni comunitarie.
Non dobbiamo uscire dall’U.E.;
ma non preoccuparci se ci buttano fuori. Tanto più
con un “fuori” ben più ampio del “dentro”.
Il “Direttorio Europeo”
non gradisce – nè ha mai gradito - un’Italia
svincolata e intraprendente.
La prova? Il trattato di Maastricht
non concede il diritto di recesso; nè dall’Unione
nè dall’Euro. Quello di Lisbona consentirà
all’ Italia di recedere dall’Unione, ma non
dall’Euro. Traspare la malizia originaria: interessa
soltanto che l’Italia rimanga legata all’impianto
monetario che l’ha rovinata, per il resto……può
andarsene.
A pag. 135 il prof. Guarino fa
riferimento al “deterioramento dell’economia
italiana nel confronto con i Paesi sia dell’U.E. che
dell’eurozona”. Tale deterioramento si accompagna
– a mio giudizio – al sopraggiungere dei vincoli
comunitari.
Avevamo certamente i “nostri
problemi e i nostri nemici interni” – ma, da
sempre, anche ai tempi “di glorioso sviluppo”
(Guarino pag. 138) – tuttavia non Ë un caso che
la fase di deterioramento segnalata da Guarino prenda avvio
da Maastricht e si aggravi poi con l’Euro. Un 30%
almeno del nostro debito è “prodotto comunitario”;
l’effetto cambio Euro-Lira è più che
sufficiente per darne la prova.
Considerazione finale.
L’Unione Europea vorrebbe
esistere, ma non esiste. Ha tare nazionalistiche che permangono
a dispetto di tutti i trattati.
E’ ancora l’Europa
del ‘7-‘800, benchè – per fortuna
– all’uso delle armi sia subentrato quello del
danaro.
L’Europa per rinascere dovrebbe
rinnegare buona parte della propria storia (schiavismo,
colonialismo, guerre di conquista, razzie, conflitti mondiali,
ecc. ecc.) e questa Ë una difficolt‡ che incontrano
soprattutto i cosiddetti “Stati membri principali”,
perchÈ di quella parte di storia sono i grandi protagonisti.
In sostanza: l’”Unione”
da farsi non è quella che c’è. Ma l’altra,
quella giusta, chi la vuole?”
Ai voi lettori e ascoltatori intervenire sul tema che nei
prossimi giorni diverrà, sempre di più, di
grande interesse, almeno si spera……..
Don Chisciotte-radioformigoni-23 Giugno 2008 |
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16 Giugno 2008 |
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Continua
la luna di miele, però…..
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A
sessanta giorni dal voto di Aprile la luna di miele del
governo Berlusconi sembra continuare al meglio, forte dei
risultati dei sondaggi favorevoli all’esecutivo e
in crescita di consenso per il Presidente del consiglio.
Attenti però: le attese dell’elettorato
erano e rimangono forti e la situazione reale del Paese
è quella che è fotografata nei giorni scorsi
in maniera inequivocabile dalla Banca d’Italia: l’ammontare
complessivo dell’enorme debito pubblico al Gennaio
2008 si attesta sulla cifra record di 1621 miliardi di euro
!
Trattasi di una situazione assolutamente
anomala nel quadro di un’economia in cui il sommerso
la fa ancora troppo da padrone, a dimostrazione di una situazione
effettiva non rappresentata nelle cifre ufficiali del PIL
e che permette ad una quota consistente e intollerabile
di evasori fiscali di vivere sui sacrifici richiesti soprattutto
ai lavoratori e agli imprenditori onesti e che pagano le
tasse oltre il limite del ragionevole.
Miracoli non li potrà fare
nemmeno il pur bravo Tremonti che continua ad assicurarci
di riportare il rapporto deficit/PIL al di sotto del 100%
sino ad annullare il disavanzo entro il 2011; situazione
questa che, in ogni caso, non ci libererà dal pesantissimo
fardello del debito pubblico complessivo e che le “stravaganti”
norme del Trattato di Lisbona che ci accingiamo, ahimè,
a ratificare senza senso e senza discussione, renderanno
ancor più iugulatorio per l’Italia. Meno male
che ci hanno pensato gli irlandesi i quali con il loro voto
negativo ci costringeranno almeno a rivedere alcune norme
di quel trattato.
Sin qui abbiamo assistito accanto
ad alcuni provvedimenti concreti ( decreto per l’immondizia
di Napoli, sgravio fiscale per gli straordinari e annullamento
dell’ICI sulla prima casa, sicurezza e intercettazioni)
a molti annunci, spesso accompagnati da repentini aggiustamenti
e correzioni in corso d’opera, vuoi per le impuntature
previste della Lega, vuoi per sotterranee frizioni con il
Quirinale che pure, almeno sin qui, ha mostrato doti di
equilibrio e di saggezza commendevoli.
Diversa la situazione sul fronte
dei partiti. Acque agitate in casa del PD, dove D’Alema
con la sua fondazione-corrente si batte per la permanenza
del PD nel gruppo del Partito socialista Europeo, mentre
Rutelli e gli ex Popolari vagheggiano improbabili soluzioni
terzaforziste del tutto ininfluenti a livello europeo, con
Veltroni costretto ad una difficilissima mediazione con
minacce continue di ricorrere a quel congresso, prima temuto
ed ora annunciato come clava.
L’avvicinarsi delle europee
rende tutti più attenti e preoccupati rispetto ai
tentativi del duo Berlusconi-Veltroni di introdurre sbarramenti
esiziali per la sopravvivenza di pochi.
Se Casini, ogni giorno di più,
dimostra l’inconsistenza di una linea politica in
mezzo al guado, con ammiccamenti neanche troppo velati verso
Rutelli e il PD, in attesa dell’annunciata costituente
di centro, anche in casa del PdL le cose non stanno muovendosi
secondo quel rispetto di regole democratiche che da tempo
andiamo richiedendo.
A Casini vorremmo sommessamente
ricordare, quanto ci ha scritto alcuni giorni fa un saggio
amico degasperiano d’antan, ossia che: “ l’U.D.C.,
L’Unione di centro ecc., non sono “posizioni”
di riferimento, ma “siti di indirizzo” utili
a formare idee e persone da far, poi, confluire - e pesare
– nel corpo politico bipolare. I “poli”,
oggi, vanno condizionati al loro interno, inserendovi idee
e persone. Gli “aghi della bilancia” non funzionano
pi_ perchè la comunitù nazionale vuol essere
rispettata e governata, non usata per giochi di potere aperti
al ricatto.
La componente cristiano-sociale
deve – prima di tutto – dimostrare di esistere,
praticando e diffondendo (con l’esempio) i propri
valori; non può pretendere che le sia riconosciuto
un ruolo guida, quando essa stessa è frantumata,
dispersa, incoerente, inadeguata – nei fatti - alle
idealità e ai comportamenti che agli altri propone.
Non un partito serve – al momento – ma una pratica
di vita che generi “politica” caratterizzando
la società.
Il centro non è “luogo
politico”, ma “cerniera” del sistema;
linea di demarcazione che l’elettore sposta verso
l’uno o l’altro dei due poli, rispondendo a
profferte e giudicando i fatti. In un sistema ordinato il
“terzopolio” non esiste, cosÏ come le non
dimenticate “convergenze parallele”.
Ovvio che di questo dovremo discutere
anche noi all’interno del PdL. Non siamo assolutamente
soddisfatti di come stanno andando avanti le cose e, sinceramente
vorremmo che i nostri campioni dessero con maggiore frequenza
qualche segno di vita.
Don Chisciotte-radioformigoni-16 giugno 2008
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9 Giugno 2008 |
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Ratificare
Lisbona?
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Avevamo lanciato un grido di allarme
dopo il recente convegno di Treviso sul debito pubblico.
Dopo pochi giorni, però, il Consiglio dei ministri,
con il solo mugugno della Lega e di Calderoli, ha deciso
di sottoporre al Parlamento la ratifica del Trattato di
Lisbona che, nella sua attuale formulazione, come abbiamo
spiegato in altra occasione, risulterà iugulatorio
per il nostro Paese.
Possibile che dell’europeismo
in Italia se ne debba fare un tabù sino a smarrire
il più elementare senso critico e guai a chi parlasse
male di ciÚ che viene deciso dai burocrati di Bruxelles?
Peggio che “parlar male di Garibaldi”!
E’ uscito in questi giorni,
per i tipi dell’editore Passigli di Firenze, il saggio
del prof Giuseppe Guarino: “Ratificare Lisbona?”
Si tratta dell’analisi puntuale e sistematica degli
oltre 400 articoli di cui si compongono i due trattati che
costituiscono il Trattato di Lisbona: il primo, con i suoi
53 articoli, che modifica e sostituisce il Trattato dell’Unione
europea (TUE) e il secondo, con 358 articoli pi_ 7 articoli
di disposizioni finali, che ha per oggetto il funzionamento
delle istituzioni (TF). I due trattati hanno pari valore
giuridico e si integrano.
Oltre alle considerazioni, svolte in una precedente nota
di commento al convegno di Treviso sul debito pubblico,
relative alle conseguenze economico-finanziarie sin qui
sopportate nell’inutile rincorsa compiuta dal 1992
ad oggi per sanare il disavanzo deficit/PIL, con un esborso
di oltre 900 miliardi di euro sottratti alla nostra economia
e con il bel risultato di ritrovarci nel 2008 con un rapporto
deficit/PIL peggiore di quello esistente nel 1992, val la
pena di ricordare quanto sottolinea il prof Guarino con
somma sapienza giuridica e non poco sens of humor circa
il paradosso che le nuove norme determineranno nel funzionamento
delle istituzioni comunitarie.
Tralasciando il differenziale fiscale
e il diverso trattamento già oggi esistente tra i
13 Paesi euro
(ossia che sono entrati, come l’Italia, nell’euro
con tutti i conseguenti vincoli del Trattato di Maastricht)
e gli altri 14 Paesi ( Danimarca e Inghilterra che dispongono
dell’”opting out”, ossia della possibilità
di decidere se e quando vorranno entrare nell’euro
con i condizionamenti conseguenti- e gli ultimi 13 Paesi
entrati a far parte dell’UE che, godendo di tutti
i vantaggi del mercato comune, non sono sottoposti ai pesanti
condizionamenti di Maastricht), sono le nuove regole di
funzionamento previste dal nuovo Trattato a risultare quanto
meno “stravaganti”, per dirla con Guarino.
“Se al posto di Unione leggessimo Italia e dove Stati
membri, Regioni o Province autonome, Berlusconi, il PdL
e la Lega, che sono in maggioranza in Parlamento, non potrebbero
formare il Governo!
I Ministri nel numero di 21, estranei al Parlamento e destinati
a restare in carica per l’intera Legislatura, sarebbero
designati uno a testa dai Presidenti delle Regioni che appartengono,
nella maggior parte, alle minoranze sconfitte. I 21 Ministri
di designazione regionale, determinerebbero il “quantum”
delle risorse annualmente spendibili in ciascuna Regione,
compresa la Lombardia”.
Basterebbe questa citazione, tratta
pari pari dal saggio del Prof Guarino, per far drizzare
le orecchio e aprire gli occhi e la bocca a partiti, movimenti
e politici che sembrano invece diventati improvvisamente
ciechi, sordi e muti. O, forse, solamente ignoranti di ciÚ
che sta per accadere se, come, quatto quatto, il Governo
ha deciso nei giorni scorsi, si proceder‡ alla ratifica
del Trattato di Lisbona senza richiederne alcuna modifica.
E tutto ciò nel deserto
silenzioso e colpevole dei mass media e di un’opinione
pubblica lasciata nella totale ignoranza degli atti e dei
fatti.
Don Chisciotte non ci sta a questa rovinosa congiura del
silenzio e invita lettori ed ascoltatori a chiedere conto
a deputati e senatori del loro operato, invitandoli ad assumersi
piena responsabilità nelle loro decisioni, consapevoli
che avranno conseguenze terribili per l’Italia. Un
ripensamento e la richiesta di modifiche ad un trattato
che trasformerà l’Unione europea in un‘”organocrazia”
senza alcun mandato democratico e senza controllo, ossia,
in un mostro giuridico che non era certo quanto avrebbero
voluto i padri fondatori dell’Europa.
Don chisciotte-radioformigoni-9 giugno 2008 |
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3 Giugno 2008 |
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Un’occasione
da non perdere
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Con la decisione dei nostri tre
assessori regionali ( Abelli, Beccalossi e Corsaro) di optare
per il Parlamento si entra in una fase nuova dell’esecutivo
lombardo, mentre le nomine, rispettivamente, di Formigoni
alla Vice Presidenza del PdL e di Giancarlo Abelli a quella
di Vice coordinatore nazionale del Pdl, rappresentano l’occasione
irripetibile per tentare di costruire su solide basi il
nuovo partito del popolo della libertà.
Non ci nascondiamo in ipocrite bugie
e riconosciamo che ci aspettavamo per il nostro governatore
un ruolo di responsabilità diretta nell’esecutivo
nazionale, così come ritenevamo e riteniamo che la
solida esperienza accumulata dai nostri assessori meritassero
un diverso e più consono riconoscimento a livello
governativo.
Abbiamo tuttavia compreso e comprendiamo
le non banali o strumentali ragioni politiche attuali e
di prospettiva che hanno suggerito al Cavaliere di chiedere
a Formigoni un ulteriore impegno nel governo della regione
più importante del Paese.
Siamo, tuttavia, altrettanto persuasi
che sarebbe cosa assai sbagliata trastullarsi sull’ottimo
risultato elettorale e lasciare affievolire l’entusiasmo
che aveva accompagnato l’annuncio della nascita del
nuovo partito in cui sono confluite, almeno a livello della
lista elettorale unitaria e nella formazione del gruppo
parlamentare unico, le componenti di Forza Italia e di AN
e di altre formazioni riconducibili al vecchio ceppo democratico
cristiano.
Siamo, infatti, in presenza di gruppi
e movimenti di diversa ispirazione ideale e non sempre omogenea
storia politica e culturale ai quali va dato atto che hanno
compiuto uno sforzo straordinario accomunati dalla volontà
di costruire, attorno alla leadership di Silvio Berlusconi,
il nuovo partito unitario dei moderati italiani, quale sezione
italiana del Partito Popolare Europeo.
A differenza dei diversi partiti
e movimenti (essenziali i DS e la Margherita) confluiti
nel Partito Democratico che, come ha ben sottolineato l’on
Enzo Carra in uno dei suoi recenti interventi sul blog personale,
sono tuttora in preda al dilemma se aderire o meno al gruppo
della socialdemocrazia europea, unanime nel nascente PdL
è la volontà di rappresentare la sezione italiana
del Partito Popolare Europeo, di cui, pertanto, se ne assume
il titolo e la rappresentanza ideale e politico-culturale
.
Ovvio che amalgamare storie, uomini
ed esperienze politiche così diverse, seppur cementate
oramai da quasi quindici anni di battaglie politiche comuni
assieme a Berlusconi, non sarà un compito né
semplice, né facile, considerando che, volenti o
nolenti, in gioco si porrà inevitabilmente la questione
della futura leadership post berlusconiana.
Nessuna volontà di improbabili
rivincite, né tantomeno di sacrificali estemporanei
ed assurdi parricidi quali quelli paventati dai più
fanatici berluscones, solo la richiesta che il nuovo partito
nasca e si organizzi secondo metodi e regole di assoluta
trasparenza e democraticità.
Non ci appassionano le intemerate
dell’amico Galan su improbabili partiti regionali
che sanno molto di inutili rincorse antileghiste, mentre
siamo interessati alle prime indicazioni date da Abelli
circa la necessità che, nella scelta dei futuri candidati
ai vari livelli, a partire dalle prossime elezioni europee,
si proceda con il sistema delle elezioni primarie, anche
per evitare, in assenza del voto di preferenza, che vengano
imposti sul territorio personaggi improbabili che, alla
prima prova del voto, si squagliano come quei cento smemorati
nella votazione per il decreto sul digitale.
Da sempre siamo dell’idea
che piuttosto di una Testa che pensa e decide per tutti,
preferiamo il rispetto della regola aurea: Una Testa un
Voto.
Ai nostri due amici il compito di garantire che il processo
avviato continui su questi binari di elementare prassi democratica.
Don chisciotte-radioformigoni-3 giugno 2008 |
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26 Maggio 2008 |
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Governi
itineranti
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Berlusconi
riunisce il suo governo a Napoli, cosi come aveva annunciato
in campagna elettorale e Veltroni convoca il suo governo
ombra a Milano.
Il Cavaliere sceglie la Prefettura
e Palazzo Reale per assumere ed annunciare decisioni importanti
per l’emergenza rifiuti, la sicurezza e il welfare.
Veltroni Ë ospite della Regione Lombardia nella sala
Pirelli restaurata e riportata, dopo l’incidente dell’aereo,
all’efficiente sobrietà di Giò Ponti
ed assicura che il dialogo continuerà sulle riforme,
mentre ribadisce un’opposizione ferma sulle frequenze
del digitale e sul fisco.
La terza opposizione invece, quella
della “banda dei quattro”, cosÏ come viene
ormai identificata la compagnia di giro Santoro-Travaglio-Grillo-Di
Pietro, è sempre più impegnata nell’azione
di permanente disturbo dei due manovratori.
Se i primi due lavorano per cambiare
un Paese fermo in economia, arretrato sul piano istituzionale
e delle infrastrutture, in preda ad una gravissima crisi
di valori, la “banda dei quattro” continua a
cavalcare l’antipolitica, trovando in Tonino Di Pietro
il nuovo Pubblico ministero politico, altoparlante in Parlamento
di un’area elettorale che, senza l’apparentamento
garantito all’IDV da Veltroni (tragico errore di cui
al loft si sono già pentiti) avrebbe rischiato la
fine della sinistra Arcobaleno.
Dovremo abituarci a questo schema
tripolare e a questa novità dei governi itineranti,
tanto che Bossi, incontratosi Venerdi scorso a Milano con
il collega ministro – ombra Chiamparino per le scelte
sul federalismo, annuncia già una prossima riunione
del governo a Malpensa in vista della soluzione del caso
Alitalia, e chissà che Veltroni non risponda con
una riunione d’urgenza del suo gabinetto ombra nella
saletta VIP di Fiumicino.
La “banda dei quattro”
ha invece la sua sede permanente ad Anno zero dove, con
i soldi del contribuente-abbonato, può permettersi
il suo “J’accuse” settimanale contro tutto
e contro tutti.
Berlusconi, però, è
partito con il piede giusto. Non solo perchè ha saputo
assumere immediate decisioni su alcuni temi decisivi ed
urgenti sui quali si era impegnato in campagna elettorale:
annullamento dell’ICI sulla prima casa, detassazione
degli straordinari per i lavoratori del settore privato,
in attesa di una riforma complessiva per quelli dell’impiego
pubblico; decreto legge e disegno di legge sulla sicurezza
che era stato impossibile portare in porto dal governo Prodi
sul testo di Amato e, infine, una sterzata decisiva sulla
questione dei rifiuti campani con i provvedimenti che accompagnano
la nomina con pieni poteri del nuovo sottosegretario ad
hoc e capo della protezione civile, Guido Bertolaso.
Emerge, soprattutto, una chiara
volontà di ripristinare il senso e la presenza effettiva
dello Stato, specie in territori da troppo tempo in balia
delle mafie, camorre e n’dranghete organizzate, con
un ministro degli Interni, l’on Maroni che, omen nomen,
sembra ben intenzionato a mostrare gli attributi.
Le prime reazioni a Chiaiano, il
quartiere di Napoli dove dovrebbe essere ubicata la prima
delle dieci discariche previste nelle quattro province campane,
non si sono fatte attendere. Oltre duemila manifestanti
hanno bruciato un autobus e fomentato lo scontro con le
forze dell’ordine. Dagli studi di Matrix Maroni ha
invitato giustamente alla calma sottolinenando la necessità
dell’impegno di tutti per risolvere un’autentica
tragedia nazionale.
Va bene l’effetto nimby (
not in my backyard- non nel mio giardino) ma che una parte
irresponsabile dei napoletani pretenda che i propri rifiuti
vengano stoccati da altre parti, magari in Germania a 250
euro a tonnellata, a carico del solito Pantalone italico,
Ë fuori da ogni ragionevolezza. Pensassero prima a
liberarsi di quegli amministratori inetti che hanno permesso
si giungesse a tale catastrofica situazione. Ora”
non c’è più trippa pe’ i gatti”
e tutta l’Italia che lavora e paga le tasse è
unita attorno a Bertolaso, impegnato in un compito che sono
certo porterà a buon fine con la serietà e
la professionalità dimostrata in altre gravi vicende
e catastrofi italiane e internazionali.
Don Chisciotte-radioformigoni-26 maggio 2008 |
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19 Maggio 2008 |
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Il
convegno di Treviso sul debito pubblico
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Sabato
17 maggio si è svolto a Treviso il convegno organizzato
dalle riviste “ Il governo delle cose “ e “
Formiche”, in collaborazione con l’associazione
di studi e ricerche Koinè di Venezia sul tema: “
Come uscire dalla spirale perversa del debito pubblico”.
Hanno partecipato al dibattito il prof Giuseppe Guarino,
massimo esperto italiano sul tema, con i professori economisti
Nino Galloni e Roberto Fini e i politici On. BrunoTabacci
della Rosa Bianca e Sen. Marco Stradiotto del Partito Democratico,
quest’ultimo in sostituzione del sen Treu, impedito
da un problema familiare. Chairman: Ettore Bonalberti
Assente giustificato dell’ultima
ora, il neo ministro Brunetta, che aveva accettato di partecipare
al confronto solo due giorni prima della sua chiamata al
governo e che, con la nuova nomina, ha inviato il tradizionale
telegramma con la classica giustificazione: dell’impossibilità
partecipare per impegni istituzionali connessi al nuovo
incarico”.
Confronto quindi senza il governo,
ma non per questo meno proficuo ed interessante per le analisi
e le proposte emerse.
Per colpa dell’immenso debito
pubblico, quasi 1.600 miliardi di euro, l’Italia ha
pagato nel 2006 oltre 68 miliardi di interessi: cioè
3 miliardi di euro più della Germania, quasi 22 miliardi
più della Francia, 28 miliardi più della Gran
Bretagna e 52 miliardi più della Spagna. Il pagamento
degli interessi sul debito pubblico sottrae ogni anno risorse
preziose che potrebbero essere altrimenti destinate a maggiori
investimenti infrastrutturali, oppure a permettere una consistente
riduzione delle tasse.
Non v’è dubbio che
in Italia non potremmo concludere con la celebre frase di
Ronald Reagan pronunciata in risposta a chi gli faceva notare
la grandezza del debito pubblico americano, ossia che: “
il debito è abbastanza grande da poter pensare a
se stesso”. Se non cominciamo a pensarci e seriamente,
ogni discussione politica rischia di diventare sterile accademia
o, peggio, fumosa propaganda
Il prof Guarino, nel suo intervento,
ha sottolineato le enormi conseguenze che un’approvazione
acritica del prossimo trattato di Lisbona provocherebbe
all’Italia,dato che, dopo 16 anni, seguendo il criterio
dell’Unione Europea di riduzione del disavanzo, avendo
sprecato 919 miliardi di euro, essa si ritrova nelle condizioni
peggiori di quelle d’inizio (rapporto deficit/Pil
al 2007 del 104%, contro il 98% del 1992). Ha quindi aggiunto,
con ampi riferimenti ai diversi articoli del Trattato, che,
anche volendolo considerare solo dal punto di vista costituzionale,
nella sua attuale formulazione l’Italia non può
e non deve accettarlo, pena ulteriori gravi conseguenze,
sia da un punto di vista costituzionale che finanziario.
Gli Onn. Tabacci e Stradiotto, evidenziato che, sarebbe,
tuttavia, un grave errore attribuire le responsabilità
del debito a sole cause esogene, hanno ricordato la necessità
che tutto il Paese nelle sue diverse componenti sappia reagire
e ritrovare la volontà di una nuova stagione dei
doveri.
Hanno ribadito che prima esigenza resta quella della crescita
del Paese, cui deve accompagnarsi una strenua lotta contro
un’evasione fiscale drammaticamente elevata, collegata
ad un sommerso (30% e oltre del PIL) del tutto incompatibile
con gli standard dei più importanti Paesi Europei.
E’ diffusa la consapevolezza che le diverse situazione
oggettive esistenti oggi tra i 13 Pesi euro rispetto agli
altri Paesi (caso della Gran Bretagna e della Danimarca
per i quali Ë stata inventata la formula dell'opting
out”, ossia la possibilità di sottoscrivere
il Trattato senza aderire all’Unione monetaria; ad
esse vanno aggiunti i restanti 12 Stati entrati successivamente
nell’Unione con deroga) i quali, pur garantiti dalla
opportunità dell’euro, non sono sottoposti
ai vincoli che Maastricht impone ai primi, rischiano di
costituire fattori di disuguaglianza e di forti diseconomie
di scala, specie sul piano fiscale,che, se non venissero
riequilibrate determinerebbero una condizione iugulatoria
per l’Italia, il cui patrimonio pubblico, ai valori
attuali di mercato, a differenza di quanto valeva nel 1992
e/o anche solo alcuni anni fa, non è più in
grado da solo di compensare l’enorme montagna del
debito accumulato.
Il governo seppur assente non potrà far finta di
niente. Da parte nostra non mancheremo di sollecitare le
istituzioni e di sensibilizzare l’opinione pubblica
su un tema decisivo per le prospettive dell’Italia.
Don Chisciotte-radioformigoni-19 Maggio 2008 |
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19 Maggio 2008 |
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Coincidenze emblematiche |
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La Nuova Venezia
se ne esce domenica 18 maggio con un titolo a caratteri
cubitali:
“ Cacciari cerca un successore”, mentre “
Il gazzettino” nella pagina del Nordest ci informa
che “ intanto il Governatore pensa ad un “tris”
per la sua successione alla guida del Veneto: Riello, Tomat
e Costato.
E’ l’estrema semplificazione
politica che accompagna il momento del travaglio dalla seconda
alla terza repubblica. Non solo i deputati e i senatori
vengono nominati dai capibastone a Roma e imposti alla scelta
iugulatoria degli elettori, risultando così, in molti
casi, del tutto esterni se non estranei alle diverse realtà
territoriali, ma, adesso, anche i sindaci e i governatori
in scadenza sentono il dovere di indicare i propri successori.
Passi per Galan che, senza falsa
modestia, se ne esce con un libro dal titolo pi_ ridicolo
che inquietante: “ Il Nordest sono io”. Insomma
come il Re Sole (“l’ètat c’est
moi”) è, dunque, a lui, il sovrano assoluto,
che compete la scelta del proprio delfino, il suo successore.
Ci sarebbe da mettersi a piangere anche se Ë meglio
prenderla dal punto di vista dell’ironia.
Che tutto ciò accada nel
momento in cui Galan cambia strategia e dalla riconferma
del quarto mandato ( sarebbe un ventennio !) passa alla
richiesta di un buen retiro e del diritto di indicazione,
se non proprio di nomina, del suo successore, Ë il
segno del degrado della vicenda politica nel nostro Paese.
Tanto più grave se accade
mentre si Ë aperto uno stucchevole dibattito sul partito
veneto. Vecchia discussione che animò noi democristiani
alla fine degli anni ’80 e che si ripropone ora in
condizioni, termini e modi che, come ricordava bene l’amico
Cremonese alcuni giorni fa su “ Il Gazzettino”,
sono del tutto simili a quelli presenti a noi nel tempo
passato.
“Tutti i cittadini hanno diritto
di associarsi liberamente in partiti per concorrere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
CosÏ recita l’art.49 della nostra Costituzione.
Gli Ë che, però, ora quel “concorrere
con metodo democratico” non Ë pi_ la condizione
vigente in alcuna delle formazioni politiche esistenti.
Nè nel PD, nè nel
Pdl, nÈ nella Lega del senatur Bossi, per non parlare
dell’IdV di Di Pietro e della stessa UDC di Casini,
viene rispettato l’elementare principio democratico
fissato per sempre alla Pallacorda, al tempo della rivoluzione
francese, in base al quale le decisioni si prendono secondo
la regola aurea: “una testa un voto”.
Ovunque, non sono gli iscritti o
gli elettori, ma Ë la testa del capo bastone, al massimo
confortato da qualche amico al caminetto, che decide se
e come selezionare e, di fatto, nominare la classe dirigente
prossima futura.
Ora nel Veneto sembra che i due
dogi, al di qua e al di là del Canal Grande, vogliano
fare ancora meglio: dedicarsi attivamente, prima della loro
scadenza, all’indicazione dei loro rispettivi successori.
Credo che non ce la faranno. Troppo
forte è la spinta alla partecipazione consapevole
e democratica dei cittadini e consistente, come si Ë
visto nelle recenti elezioni politiche ed amministrative,
la volontàdel ricambio.
Un tempo alcuni amici ed amiche,
ancora oggi sulla breccia, si sono costruite importanti
carriere politiche contestando i vecchi notabili che sopravvivevano,
sempre confortati dal voto degli elettori, per tre o quattro
legislature.
Ora si vuole compiere un passo
un poco pi_ in lù oltre alla propria vicenda si pensa
di condizionare anche quella che verrà dopo il tempo
in cui, per amore o per forza, si sarà costretti
a cedere il passo.
Ci sarà mai un limite all’arroganza dei potenti
e quando finirà la pazienza degli elettori?
Don Chisciotte-19 maggio 2008 |
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12 Maggio 2008 |
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Quel rompicapo
del debito pubblico
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Con la nomina dei viceministri e dei sottosegretari oggi si
completa la formazione del IV Governo dell’On Berlusconi,
che si avvia ad essere il più longevo presidente del
consiglio della storia repubblicana.
Al primo consiglio dei ministri che si terrà, come
promesso a Napoli, il ministro Giulio Tremonti ha garantito
che, come da programma elettorale, si delibererà
l’abolizione dell’ICI sulla prima casa e la
detassazione degli straordinari insieme ad un pacchetto
di misure sulla sicurezza.
Al potente ministro dell’economia spetterà
il compito di affrontare e tentare di risolvere il rompicapo,
che dal 1992 ci perseguita, del debito pubblico.
Il trattato di Maastricht, come è noto, impone ai
Paesi che fanno parte del sistema dell’euro ( sono
13 sui 27 che fanno parte del mercato comune) un tetto invalicabile:
il debito delle pubbliche amministrazioni non deve superare
il 60% nel rapporto con il PIL. In Italia il debito pubblico
al 31 dicembre 2006 era pari al 106,8 %, ossia circa 47
punti in più del limite consentito. Questi 47 punti
hanno comportato nel 2006 un onere per interessi di 30 miliardi
di euro, pari a circa il 2 % del PIL.
Se è chiara la patologia (insufficienza delle risorse)
e cosÏ pure la diagnosi (la causa va riposta nel volume
del debito pubblico) manca la terapia. Spetta al ministro
dell’economia indicarla con il presidente del Consiglio.
Sino ad ora, però, si Ë rimasti silenti, da
molti governi a questa parte, preferendo trattare il problema
in maniera tale da non creare allarmismi. Ci si è
basati sull’avanzo primario ( ossia il saldo attivo
del bilancio esclusi gli interessi sul debito) fiduciosi
di un avanzo annuale tale da garantire negli anni la riduzione
del debito sino al suo annullamento.
L’avanzo primario avrebbe dovuto derivare per effetto
combinato della crescita del PIL, attesa quale naturale
conseguenza della stabilità dei prezzi, e a seguito
della ristrutturazione della spesa (leggi riduzione) che
avrebbe riguardato i settori più incidenti: contrattazione
salariale, pensioni, sprechi nella sanit‡, riduzione
degli organici della PA.
Ebbene le vendite di patrimonio societario pubblico effettuato
e gli avanzi primari che ne conseguivano, specie negli anni
1995-2000, hanno attenuato l’impatto del debito, ma
non hanno risolto il problema. Anzi nei quindici anni dal
1 gennaio 1992 al 31 dicembre 2006 (moneta 2005) gli interessi
corrisposti per la parte del debito eccedente il 60% del
PIL (limite massimo consentito dal Trattato di Maastricht)
hanno raggiunto l’astronomica cifra di 728 miliardi
di euro ai quali vanno aggiunti i 191 miliardi di euro ricavati
dalle privatizzazioni, Insomma un totale di 919 miliardi
di euro. Un salasso che sta per portarci alla bancarotta
e che non ha risolto, ma anzi aggravato il problema. In
15 anni di costante applicazione del criterio dell’avanzo
temporaneo, quello sin qui suggerito dall’UE, se al
1 gennaio 1992 l’Italia presentava un rapporto debito/PIL
pari al 98%, a fine del 2006 lo stesso rapporto era aumentato
al 106,8%.
Vale la pena di ricordare che per ridurre il volume del
debito del 2 per cento all’anno occorrono nell’immediato
30 miliardi. Con i chiari di luna sull’andamento probabile
del PIL non ci resta che una soluzione nuova e immediata:
vendere in maniera intelligente il patrimonio pubblico ricorrendo
alle armi del diritto privato.
E’ quanto da tempo va suggerendo il prof Giuseppe
Guarino, già ministro nel governo Amato ed uno dei
più illustri studiosi del debito pubblico.
Con lui e con Nino Galloni, unitamente ai politici Onn.Brunetta,
neo ministro dell’Innovazione e per la riforma della
PA, Tabacci e Treu, discuteremo a Treviso, Sabato 19 Maggio,
presso la Sala dei Carraresi, messa a disposizione della
Fondazione Cassamarca presieduta dell’On Dino De Poli
sponsor dell’evento, in un convegno (“ Come
uscire dalla spirale perversa del debito pubblico”)
promosso dalle riviste “Formiche” e “Il
governo delle cose”, con il think tank veneto KoinÈ,
associazione di studi e ricerche. Purtroppo il ministro
Tremonti, che abbiamo invano inseguito da molti mesi per
averlo nel parterre dei relatori, non si Ë nemmeno
degnato di una risposta. Speriamo, tuttavia, che sappia
affrontare e risolvere un problema reale, grave e indilazionabile
di cui dovremmo essere tutti consapevoli della sua drammaticità
ed urgenza.
Don Chisciotte-radioformigoni-12 Maggio 2008 |
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5 Maggio 2008 |
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Torna
a casa Pierferdi
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Avevamo
prevista una possibile conclusione tafazziana nella vicenda
dell’UDC. Scampato il pericolo della scomparsa politica
con un non irrilevante risultato di oltre il 5%, Pierferdinando
Casini ha salvato l’UDC dal rischio estremo, ma si
trova adesso in una situazione assai precaria al limite
dell’impotenza e dell’inutilità.
Restare equidistante tra i due poli dopo che è sfumata
l’ipotesi di risultare determinante al Senato è
una fatica di Sisifo che ogni giorno di più si rileva
al limite dell’impossibile.
Già per il voto alle amministrative di Roma si è
immediatamente sfasciato ciò che era stato artificiosamente
tenuto insieme con lo spago nell’”avanti- indrè”
tra UDC e Rosa Bianca, con il disinvolto Baccini capace
di interpretare più ruoli in commedia.
Se prima contestava da sinistra il leader dell’UDC,
il realismo romano alla fine ha prevalso facendolo schierare
a fianco di Alemanno, prima, e votando,poi, Fini alla presidenza
della Camera, dove si è collocato immediatamente
nel gruppo misto.
E fuori uno. D’altronde il giorno prima nella votazione
al Senato i tre senatori che si sono aggiunti al voto per
l’elezione del Presidente Schifani non potevano che
essere i conterranei siculi del trio Cuffaro e C. e non
per mera solidarietà territoriale. Il sicuro serbatoio
di voti dell’UDC in Sicilia non potranno alla lunga
che orientarsi verso il Cavaliere, dato che organico rimane
il rapporto con il neo governatore Raffaele Lombardo, alleato
fedele della coalizione maggioritaria Pdl-Lega-Mpa.
Si aggiungano gli smottamenti già annunciati dalla
Puglia al Veneto, a seguito delle opzione intervenute da
parte dei capilista inevitabilmente a vantaggio di alcuni
secondi in lista e con conseguenti sanguinose esclusione
di aspiranti parlamentari, per cui il travaglio di Casini
non potrà che continuare.
Ora a Casini, fallita la sua strategia, sembra imboccare
la strada sempre assai rischiosa in politica dell’attesa,
sperando che nel PD prevalga la linea D’Alema per
una modifica della legge elettorale secondo il modello tedesco.
In realtà e proprio per difendere il raggiunto bipolarismo
c’è già chi sta lavorando per introdurre
un possibile sbarramento al 4-5 % per le prossime elezioni
europee.
Se è vero che in questa tornata elettorale diversi
voti sono transitati dalla Margherita all’UDC e da
questa al Pdl, resta, tuttavia, la realtà di una
base elettorale UDC in larghissima parte legata al Pdl con
cui si continua a restare alleati nella stragrande maggioranza
degli enti locali. La recente rapida conclusione della giunta
regionale del Friuli sta lì a dimostrarlo.
Insomma se proprio Casini, come con ironia ha riconosciuto
nei giorni scorsi, non vuol fare la fine della Siora Cecilia
( “ che tutti la vogliono e nessuna se la piglia”),
non gli resta che fare l’unica scelta per chi è
stato recentemente riconfermato alla Presidenza dell’Internazionale
DC: concorrere alla formazione del Partito della libertà,
sezione italiana del Partito Popolare europeo, insieme a
quanti di ispirazione democratico cristiana intendono mantenere
viva la tradizione cristiano sociale all’interno di
un partito in cui (vedi la stessa probabile formazione del
nuovo Governo ) è quanto mai necessario che essa
non risulti emarginata in posizioni subalterne. Se non vuole
finire tra le braccia del fedifrago Follini, deve riconoscere
la giusta scelta di Giovanardi e Barbieri così come
quella di Gianfranco Rotondi con i quali costruire insieme
un nuovo tratto di strada dentro il Pdl.
L’annunciata nomina di Roberto Formigoni a Vice Presidente
nazionale del Pdl costituisce la premessa per avviare un
processo di costruzione del nuovo partito in cui, non solo
gli esponenti di Forza Italia e di AN avranno un ruolo essenziale,
ma anche quanti si riconoscono nella tradizione politica
dei cattolici italiani.
Un tempo, ricordando i personaggi della commedia dell’arte
popolare emiliana, avevo paragonato simpaticamente Casini
e Fini, rispettivamente, al furbo “ Fagiolino”
il primo e al più grezzo “ Sandrone”,
il leader di AN: visti i risultati e la tempistica nelle
scelte, temo che i ruoli si siano invertiti.
Questo accade quando si rischia di essere accecati dall’ambizione
presuntuosa e impaziente e da una errata lettura della realtà
effettuale.
Don Chisciotte-radioformigoni-5 Maggio 2008 |
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29 Aprile 2008 |
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Storico
risultato |
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Risultato
storico nelle elezioni al comune di Roma. Vince Alemanno
e viene superata con la sconfitta di Rutelli una lunga stagione
di egemonia-dominio della sinistra nella capitale.
E’ un duro colpo alla linea
Veltroni dopo quello subito alle politiche di quindici giorni
fa. Roma come la linea del Piave che si trasforma in un’autentica
Caporetto tanto più emblematica nel momento stesso
in cui, per la provincia, il centro-sinistra riesce a prevalere
con Zingaretti.
La staffetta prevista tra Veltroni
e Rutelli che aveva funzionato nel 2001 stavolta ha perduto
il testimone. Non sono bastati gli anatemi e l’ukase
contro il rischio della “marea nera” al potere
a coprire il vuoto di una amministrazione che aveva fatto
dell’effimero sovrastrutturale la cifra della sua
azione, senza risolvere i gravi problemi con cui i romani
quotidianamente debbono fare i conti.
Ora si aprirà un’inevitabile
fase nuova di riflessione e di sicura autocritica all’interno
del Partito Democratico. La linea della sufficienza maggioritaria
non ha funzionato né a livello politico generale
né su quello della tenuta nella città capitale,
dove crolla un intero sistema di potere costruito con sagacia
dall’astuto Goffredo Bettini, gran visir della strategia
veltroniana.
Perdere voti a destra e non recuperare
quelli sulla sinistra di cui, peraltro, si determina la
scomparsa parlamentare, non è il miglior viatico
per continuare sulla linea sin qui intrapresa.
E’ un motivo di grande soddisfazione
per il partito del Popolo della libertà che conquista
anche altre significative realtà amministrative,
tra cui la provincia di Foggia, anche se non mancano situazioni
nelle quali, come a Vicenza, anche nel Pdl si imporranno
severe riflessioni.
Quanto al resto, avevamo creduto
e crediamo che sarebbe stato quanto mai utile ed opportuno
utilizzare l’esperienza positiva del governatore lombardo
ai massimi livelli istituzionali e/o governativi nazionali.
Sono prevalse ragioni politiche
non trascurabili e comprensibili nella volontà del
Cavaliere di proseguire nella continuità di un governo
regionale che si intende far giungere al suo naturale compimento.
Da un punto di vista egoistico non
saremo noi a rammaricarci per tale continuità. Guai
se, però, qualcuno pensasse che tutto ciò
avesse il significato di una messa da parte del nostro Formigoni.
Abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo che dopo il presidente
del consiglio la più alta autorità di governo
in Italia non può che essere il capo del governo
della più importante Regione-Stato quale è
la Lombardia. E ciò non solo per mere questioni geoterritoriali,
quanto per i risultati tangibili e unici di un sistema di
governo che costituisce oggetto di analisi e di valutazioni
positive a livello europeo.
Berlusconi ha deciso di affidare
la Vice Presidenza del Pdl al Nostro. Di sicuro non sarà
un incarico simbolico e, certo , adesso non sarà
più tutto come prima. L’impegno nella costruzione
del Partito del popolo della libertà, sezione italiana
del Partito Popolare Europeo, dovrà essere , insieme
al completamento del programma di governo regionale, l’obiettivo
fondamentale su cui ci auguriamo Roberto Formigoni vorrà
orientare la propria azione.In ballo non c’è
più un ministero, ma, in prospettiva, la leadership
stessa del partito dei moderati.
Noi saremo tutti con lui convinti
che, dopo il Cavaliere che ha davanti a sé la possibilità
di passare definitivamente alla storia politica del nostro
Paese, un ruolo non secondario spetterà a Formigoni.
L’augurio è quello
di costruire insieme quel grande partito dei moderati che
resta l’ultimo grande sogno che condividiamo con Berlusconi,
nella realizzazione del quale il ruolo dei cristiano sociali
non potrà che essere essenziale e paritetico con
quello di coloro che sono portatori dei valori democratici,
liberali e riformisti i quali, insieme, hanno ricevuto un
così vasto consenso politico tanto a livello politico
generale che in quello locale.
Don Chisciotte-radioformigoni-martedì 29 aprile 2008 |
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21 Aprile 2008 |
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Duellanti
con la rete |
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Non
ci si è ancora riavuti dallo choc della rivoluzione
bipolare determinata dal voto del 13 e 14 aprile, che incombono
i casi dei ballottaggi in alcuni importanti comuni capoluogo.
A Roma si gioca la partita più
attesa e difficile dato che, dopo diverse tornate, è
la prima volta che il candidato del centro sinistra è
costretto al ballottaggio.
Si confrontano due stagionati componenti
della tanto vituperata casta politica. Da un lato, “er
piacione” Rutelli cui il sindaco uscente e leader
del PD, Walter Veltroni, tenta di riconsegnare il testimone
di una staffetta che li vede in tandem da quasi dieci anni
alla guida della città eterna. Dall’altro il
rampante Alemanno della Destra sociale di AN, vecchio camerata
d’armi degli epigoni della nuova Destra, Storace e
Bontempo.
Li separano sulla carta, meno del
5 % dei voti e tutto dipenderà dall’affluenza
al voto e dagli orientamenti che assumeranno i partiti sconfitti
nelle ultime elezioni politiche.
Schierati per Alemanno i vecchi
sodali della destra, certi che per i loro elettori è
più forte il sentimento della rivincita sul centro-sinistra
delle questioni che hanno portato alla divisione dei vecchi
capi, resta da vedere cosa faranno le pur composite schiere
elettorali dell’UDC e della Rosa Bianca o Rosa per
l’Italia, presentatesi divise al rinnovo dell’amministrazione
capitolina.
A Roma va in scena il primo atto
di una stagione assai difficile per la nuova compagine dell’UDC,
così come uscita nella composizione del gruppo parlamentare,
dopo la necessitata unificazione delle posizioni di Casini
e Cesa da un lato e di Baccini, Pezzotta e Tabacci dall’altro.
Del tutto particolare quella di Totò Cuffaro ed amici
siciliani, i quali sono stati e restano fedeli alleati dell’astro
nascente Raffale Lombardo, nuovo governatore della Trinacria.
.
Prima mossa di Casini: la libertà
di voto lasciata agli elettori e ai capi locali, Ciocchetti
e Baccini in testa. Posizione pilatesca che esprime tutta
quanta l’insufficienza al limite dell’impotenza
dell’attuale posizione centrista. Non sono mancate
le vibrate proteste di molti dirigenti ed elettori UDC romani.
A Roma gli elettori UDC si troveranno
di fronte al dilemma: battere dopo molti anni la sempre
contestata egemonia della sinistra che dagli anni di Petroselli
in qua ha praticamente avuto mani libere sulla città
con il gran visir Bettini e i suoi amici ex palazzinari
in posizione dominante oppure, in odio al Pdl e alla destra
con cui si è fatto opposizione per lunghi anni in
consiglio comunale, garantire la continuità di quell’egemonia
che ha ridotto a mal partito la città eterna. E,
intanto, i due fighters romani attendono tranquilli l’esito
del voto. Infatti, comunque vada, sempre nella casta resteranno:
l’uno, Alemanno, candidato a futuro ministro e l’altro,
Rutelli, al duro laticlavio senatoriale. Tanto per continuare
a lavorà…..
Anche contro questo andazzo,
di duellanti che combattono sempre assistiti da una consistente
rete di protezione il popolo italiano ha votato nelle recenti
elezioni politiche.
Don Chisciotte-radioformigoni-21 Aprile 2008 |
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15 Aprile 2008 |
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ITALIA
BIPOLARE
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Se dalle
elezioni del 2001 era uscita un’Italia divisa a metà,
dal voto del 13 e 14 aprile si è affermata un’Italia
bipolare.
L’impetuoso vento del Nord e la rivincita del Sud
hanno portato ad una netta semplificazione del quadro politico.
Alla Camera avremo solo cinque gruppi parlamentari (Pdl
–Lega- PD+ IdV-UDC e autonomisti) mentre al Senato
il bipolarismo sarà ancor più netto con la
presenza di soli due gruppi parlamentari completi, quelli
delle due coalizioni maggiori ed una residua pattuglia nel
gruppo misto.
La rivoluzione compiuta dal voto
popolare ha determinato l’imprevista débacle
della sinistra radicale e dei verdi che, almeno a livello
parlamentare, risultano scomparsi con un perdita secca di
oltre due milioni di voti, scontando, per un verso, l’incrementato
astensionismo e, dall’altro, la fuga di elettori verso
il PD, allettati dall’invitante richiamo al voto utile.
Il disegno di Walter Veltroni risulta
vincente sul piano della semplificazione del sistema, anche
se l’assorbimento sino a determinare la scomparsa
parlamentare del voto a sinistra, con l’accordo dei
radicali, gli ha impedito di sfondare al centro, con la
fuga di numerosi voti ex margheritini verso l’UDC.
La cosiddetta “vocazione maggioritaria”
alla base della scelta solitaria del leader romano resta,
dunque, una pia aspirazione, dato il netto distacco di ben
nove punti percentuali dal centro-destra vincitore.
Casini sopravvive con un apprezzabile
5,6% alla Camera e con una sparuta rappresentanza al Senato.
Resta da capire se e come resisterà alle sirene dei
due poli maggiori. L’impossibile ambizione di diventare
ago della bilancia nell’ipotesi di un pareggio al
Senato si è infranto nella realtà di un voto
nettamente orientato in senso bipolare. Si aprirà
un’inevitabile discussione sul come utilizzare quei
voti acquisiti: a vantaggio di chi? E per che cosa?
Nonostante il vituperato porcellum,
il combinato disposto dei paletti rigidi fissati alla Camera
e al Senato (sbarramento del 4% per la prima e dell’8%
regionale per il secondo) e la volontà popolare di
por fine alle risse e alle interdizioni dei partiti minori,
ha portato alla semplificazione bipolare su cui da tempo
dissertiamo.
Con la sinistra radicale scompare
anche la dx di Storace e della Santanchè che si trastullano
nel milione di voti racimolati, di fatto sottratti alla
coalizione dei moderati, mentre va sottolineato lo straordinario
risultato della Lega al Nord, con risultati padani a due
cifre costanti e con il raddoppio della rappresentanza parlamentare
a livello nazionale.
Da decifrare anche l’ottimo
risultato dell’Italia dei Valori espressione di un’ambiguità
politica all’altezza di un leader dalle assai mutevoli
manifestazioni politico- comportamentali.
La generosa battaglia pro Life di
Giuliano Ferrara meritava un ben diverso risultato. Certo
l’ostinata volontà di correre da solo nulla
ha potuto contro il timore diffuso della dispersione e del
richiamo al voto utile.
Ed allora, giù il cappello
al Cavaliere alla sua terza prova, stavolta senza appello,
chiamato a governare in uno dei momenti più difficili
della nostra recente storia repubblicana.
Ora è tempo, come già Berlusconi ha affermato
nella sua prima dichiarazione a caldo, di decisioni urgenti
e non rinviabili. Noi vigileremo attenti sia per le prossime
nomine ai vertici istituzionali che alla composizione del
governo, che ci auguriamo rapida e in cui al nostro Formigoni
venga assegnato il ruolo più adeguato alle sue competenze
e al vasto consenso che, anche in questa ennesima prova
elettorale ha saputo acquisire. Così come saremo
attenti al rispetto del programma e degli impegni assunti
con gli elettori.
E, intanto, apriremo da subito la
campagna non rinviabile della costruzione vera, democratica
e dal basso della sezione italiana del PPE. Sarà
proprio su questo fronte che dovrà riemergere con
netta determinazione il ruolo di tutte le migliori energie
di ispirazione cristiano-sociale presenti dentro e fuori
il partito del Popolo della libertà, per dare finalmente
risposta alle attese che anche da questo voto la nostra
gente ha voluto esprimere.
Don Chisciotte-radioformigoni-15 aprile 2008 |
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Radioformigoni, 7 Aprile 2008 |
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Sei
giorni all’alba
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Debito Pubblico
gigantesco, permanente e crescente divario Nord-Sud, rilevante
deficit energetico ed infrastrutturale, insostenibile differenziale
fiscale con i paesi concorrenti, inflazione crescente con
salari, stipendi e pensioni costanti: sono questi i problemi
di fondo su cui siamo chiamati a rispondere con il voto
di domenica e lunedì prossimi.
Il clima tra i cittadini non è
il più favorevole nei confronti di una classe politica
vissuta come sempre più distante ed autoreferenziale,
sempre uguale a se stessa, capace solo di gattopardesche
trasformazioni con cui si intende far passare per nuovo
quanto di più vecchio e stantio permane della nostra
tradizione, con l’aggiunta della perdita di qualsivoglia
sicuro riferimento ideale.
S’ aggiunga l’ennesima
richiesta di rinvio a giudizio di un ministro tuttora in
carica, il verde Alfonso Pecoraro Scanio con il fratello
senatore, accusati di associazione a delinquere per presunti
fenomeni corruttivi con scambio di favori tra imprese e
i sunnominati, tanto più sgradevole per un signore,
da sempre rigoroso vindice di moralità nei confronti
degli avversari, il quale, anziché fare il doveroso
passo indietro, rinunciando alla corsa elettorale sino al
chiarimento definitivo dell’inquietante caso, si limita
a dichiarare che rinuncia all’immunità parlamentare,
ma non alla sicura rielezione tra i componenti della casta.
E , mentre il povero Mastella si
lecca le ferite dopo un attacco sistematico al limite del
linciaggio e rimane in attesa di tempi migliori, ancora
una volta constatiamo la realtà di una giustizia
che fa acqua da tutte le parti, e alla quale i cittadini
non danno oramai più alcun credito.
Nonostante una campagna condotta
in solitaria da Veltroni, con l’obiettivo di annunciare
il finto nuovo che avanza e di occultare ogni residuo ricordo
del governo Prodi, adesso scaricato da tutti, il lodevole
tentativo del PD di ridurre la precedente frammentazione
partitica, non sembra procedere con tranquillità.
Sono frequenti le divergenti prese di posizioni non solo
tra i radicali, per adesso tatticamente costretti al silenziatore,
e la senatrice Binetti, sempre più in difficoltà
in un partito dal codice dei valori di elastica interpretazione,
ma anche da quel Di Pietro che, pur nella generica dichiarata
fedeltà all’alleanza, ha corso una sua battaglia
personale e del tutto autonoma e diverrà, come già
per Prodi, una spina al fianco del PD qualunque sia l’esito
del voto.
Anche nel PdL, nonostante lo straordinario
impegno profuso dal duo Berlusconi e Fini, con l’alleata
Lega di Bossi e l’attivismo nel Sud messo in campo
dal Mpa di Raffaele Lombardo, si attende con una certa trepidazione,
da un lato, di conoscere l’entità dell’astensionismo
( che stavolta, tuttavia, non dovrebbe colpire a senso unico)
e dall’altra, se e quanto riusciranno a raccogliere
UDC e la Destra di Storace a danno del centro-destra, specie
nel voto al Senato. Infine, resta permanente il timore di
brogli elettorali non solo all’estero, dove già
si sono avute ripetute avvisaglie del caos che questo voto
incontrollato e incontrollabile porta con sé, ma
anche nei seggi in Italia, dove alla consumata abilità
di scrutatori formatisi alla vecchia scuola del PCI e della
DC si tenta di rispondere con improvvisati difensori del
voto. Si rischia lo scontro istituzionale nella polemica
Berlusconi-Di Pietro contro il ministro Amato e la chiamata
in causa dello stesso Napolitano, mentre già si prefigurano
possibili reazioni e polemiche post elettorali se il risultato
non sarà nettamente orientato.
Gravi problemi di governo
in una congiuntura economica interna ( PIL stimato dal FME
allo 0,3%, dimezzando lo stesso 0,6 % cui hanno dovuto inchinarsi
i pur sin qui ottimisti Prodi e Padoa Schioppa che si sono
visti frantumare le previsioni di crescita indicate nella
finanziaria) e internazionale negativissime (recessione
americana e risiko dei subprime sulle stesse banche europee
sin qui molto abbottonate) e timori per un voto che non
permetta di superare lo stallo di un’Italia divisa
alla ricerca di un nuovo equilibrio politico. Realisticamente
è questa la situazione nella quale il prossimo 13
e 14 aprile siamo chiamati ad esprimere, su liste prefabbricate,
la “volontà popolare”. Auguriamoci che
l’intelligenza del popolo, nonostante tutto, ancora
una volta sappia esprimersi in totale trasparenza e libertà
fornendo indicazioni non equivoche.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 31Marzo 2008 |
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Una
stanca campagna elettorale |
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Siamo a poco
meno di due settimane dal voto con una campagna elettorale
che si trascina stancamente con scarsi entusiasmi.
Sarà per la gravità
di una situazione economica che le famiglie italiane vivono
nella crescente precarietà; sarà per il permanere
di un giudizio negativo sulla casta della politica vissuta
come sempre più distinta e distante dai problemi
quotidiani della gente. Ciò che si constata è
un clima generalizzato di sfiducia e disinteresse.
Grazie ad una legge elettorale
che assegna ai segretari di partito e ai leader di coalizione
la scelta dei candidati, quelli che vengono eletti, eliminato
il voto di preferenza, sono degli “unti dal signore”,
ossia dei cooptati ai quali basta sapere in quale posizione
sono stati inseriti nella lista per avere ampia certezza
del proprio destino: assolutamente tranquilli quelli sicuri
e, dunque, senza obblighi di corsa, mentre quelli certi
di non esserlo sono figuranti frustrati e rancorosi ben
lontani dall’affrontare un’inutile caccia all’elettore.
Ed è cosi che, tranne per
le comparsate televisive complicate da un’assurda
legge sulla par condicio, i pochi dibattiti organizzati
nelle città e nei paesi dove un tempo ferveva la
partecipazione democratica, sono caratterizzati dalla pressoché
nulla presenza di candidati e di elettori.
Si salvano solo le grandi manifestazioni
organizzate dai gruppi e dalle associazioni di interessi
corporativi con l’invito e la presenza ai loro convegni
dei due principali leader delle coalizioni che si contendono
il primato: Berlusconi e Veltroni.
Di qui la rabbia degli esclusi,
tra i quali eccellono Casini e Di Pietro. Il primo, vittima
della sua stessa legge e di un’incomprensibile strategia
politica sostenuta da una tattica al limite del suicidio,
il quale oramai punta tutte le sue carte sul risiko dell’8%
da raggiungere in almeno tre regioni per poter partecipare
alla distribuzione dei seggi al senato, con la speranza
di diventare ago della bilancia nella formazione del futuro
governo che già auspica possa essere quello dei “migliori”.
Meno comprensibile il secondo che,
coalizzatosi con il Partito Democratico, ogni giorno rivendica
uno spazio autonomo minacciando a destra e a manca l’utilizzo
dello strumento di cui sa disporre a meraviglia: la denuncia
alla procura dell’avversario di turno, pensando di
risolvere per via giudiziaria ciò che non gli riesce
di fare sul piano del confronto e della battaglia politica.
C’è da sperare che,
esaurita la vis polemica del comico Grillo, stranamente
resosi del tutto silente, l’elettorato sappia reagire
e non abbandonarsi allo sconforto totale. La situazione
grave in cui versa il Paese, dal debito pubblico gigantesco,
dal divario sempre più netto tra Nord e Sud, da un
differenziale tra salari e prezzi intollerabile e con un
carico fiscale insopportabile, richiede una forte e netta
indicazione di governabilità. Se è abbastanza
certa quella che uscirà per la Camera, è al
Senato che si gioca l’equilibrio futuro dell’Italia.
L’astensionismo degli sfiduciati e/o i voti dispersi
su formazioni destinate a difficili sopravvivenze e che
producessero ingovernabilità al Senato non farebbero
bene né a quel bipolarismo politico semplificatorio
verso cui sembra volersi orientare l’Italia, né
alla soluzione delle gravi emergenze economico-sociali e
politiche che la situazione richiede.
Don Chisciotte
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Radioformigoni,
25 Marzo 2008 |
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Pasqua
di conversione che rafforza la nostra Fede
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I sacramenti
del battesimo, comunione e cresima impartiti ai sette catecumeni
nella notte del Sabato Santo da Papa Benedetto XVI hanno
determinato un forte interesse tanto nell’opinione
pubblica italiana che in quella internazionale.
La conversione di Magdi Allam il
quale ha voluto assumere il nome di “Cristiano”,
a conclusione di un processo di profonda meditazione interiore
culminata nell’abbraccio alla fede cristiana della
religione cattolica, è stata al centro dell’attenzione,
non solo del giornale di cui Magdi Allam è il vicedirettore
ad personam, il “ Corriere della Sera”, ma anche
su tutti i giornali italiani. Anche quelli d solitamente
neutrali quando non costantemente ostili alle posizioni
della Chiesa Cattolica italiana.
Notevole attenzione anche nella
stampa e nei media internazionali, i quali, sono stati impressionati
non solo e non tanto per la conversione di un islamico illustre
alla fede cristiana, quanto al rilievo che di detto avvenimento
è stato dato, con la somministrazione dei Sacramenti
da parte del Sommo Pontefice nella solenne Messa Pasquale.
Nel momento in cui nel Medio Oriente
l’uccisione a Mosul del vescovo cristiano di rito
caldeo ha aperto una ferita lacerante nella comunità
cristiana irakena, ridotta oramai a quasi la metà
di quella presente all’inizio della guerra, per l’abbandono
disperato dei cristiani di quelle terre nelle più
sicure e vicine comunità siriane e giordane, e dopo
le minacce esplicite pronunciate dal fantomatico Bin Laden
contro i Paesi Europei e, in maniera diretta, contro il
Pontefice romano, la tradizionale prudenza vaticana è
stata superata da un gesto pontificio di enorme significato.
La Chiesa cattolica romana non intende
lasciare abbandonati nell’isolamento quanti dalla
fede islamica hanno inteso abbracciare la religione cristiana,
e proprio nel tempo in cui più diretta e minacciosa
si alza la voce del capo dei terroristi di Al Qaeda. impegna
in prima persona il successore di Cristo a testimoniare
il valore della conversione.
E’ un monito di altissimo
valore che carica di grande responsabilità tutti
noi cristiani.
Magdi Allam, che da anni vive sotto
scorta per la sua intransigente difesa dei valori umani
e per la denuncia sistematica delle violazioni perpetrate
dagli interpreti violenti e disperati di un islam aggressivo,
rischia oggi ancor di più la possibile “fatwa”
di condanna a morte per apostasia .
Nella lucida ed appassionata lettera
scritta al direttore del suo giornale nella giornata della
Pasqua di Nostro Signore, egli, consapevole di una scelta
che ha reso il suo Sabato Santo, “il giorno più
bello della sua vita”, si dice pronto ad affrontare
ogni possibile conseguenza di questa sua conversione. “
So cosa vado incontro ma affronterò la mia sorte
a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità
interiore di chi ha la certezza della propria fede”.
Così ha scritto Magdi Allam nella lettera al Corriere.
E’ un grande insegnamento
per tutti noi cristiani dalla tiepida Fede che ci induce
a prendere consapevolezza del valore della nostra appartenenza.
Senza perseguire assurdi atteggiamenti di rivalsa che finirebbero
con l’alimentare le idee di coloro che hanno profetizzato
“ lo scontro di civiltà”, dobbiamo ancor
di più aumentare il nostro spirito di tolleranza
e di collaborazione fraterna con quanti cristiani non sono
e vivono in pace le loro fedi, ma, dobbiamo, al contempo,
assumere il coraggio del Santo Padre che con quei segni
sacramentali impartiti urbi et orbi ci ha indicato la strada
per una manifestazione aperta e forte della nostra Fede
e della nostra appartenenza a Santa Madre Chiesa.
Anche per questo la Pasqua che abbiamo
appena celebrato ci ha rinnovati nel profondo dei nostri
cuori e ci dà la forza per testimoniare in maniera
ancor più esplicita la nostra Fede.
Don Chisciotte
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Radioformigoni, 17 Marzo
2008 |
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Uno
sguardo sul mondo |
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Rivolta dei monaci
nel Tibet e immediata terribile repressione della Cina che
vede aumentare, ogni giorno che ci si avvicina alle prossime
Olimpiadi, gli episodi di contestazione interni ed esterni
al governo di quel grande Paese. Ora però, dopo le
tragiche giornate di piazza Tien an men del 1989 e la cortina
del silenzio imposta dal regime, qualcosa sembra scricchiolare
nel caotico e impressionante sviluppo della Cina. Il dissidente
Warry Wu, in un recente articolo su “ Avvenire”,
denuncia l’esistenza di diecimila esecuzioni capitali
l’anno con 600 ospedali che trapiantano le parti degli
uccisi. La transizione al capitalismo socialista è
stata, è sarà accompagnata da enormi traumi
nello scontro sempre più netto tra città e
campagna e tra i nuovi ricchi e le moltitudini di eterni
poveri ai limiti della sussistenza.
Netta affermazione di Josè
Luis Rodriguez Zapatero nelle elezioni politiche spagnole,
ancora una volta bagnate dal sangue di una violenza che
esplode con cronometrica precisione politica alla vigilia
delle consultazioni elettorali. Prima la mattanza alla stazione
di Atocha a Madrid e adesso l’assassinio dell’esponente
socialista della Regione basca ad opera dell’Eta.
Forte avanzata socialista nella
tornata delle elezioni municipali di domenica 9 marzo in
Francia, dove la popolarità del presidente Sarkozy
è messa a dura prova dai problemi irrisolti sul piano
economico e sociale e da quelli connessi ad una disinvolta
gestione delle questioni di cuore.
Gèrard Colomb socialista, riconquista alla grande
la strategica Lione, seconda metropoli del Paese, mentre
a Parigi, il sindaco socialista uscente, Bertrand Delanoe
è in grande vantaggio per il prossimo ballottaggio.
Se non ci fosse stata la vittoria
del gollista Alain Juppè a Bordeaux, Sarkò
avrebbe rischiato il KO. Si attendono gli esiti dei ballottaggi
di Marsiglia, Tolosa e Strasburgo, dopo i quali il Presidente
dovrà mettere mano ai necessari correttivi nelle
politiche del governo.
In Medio oriente, dopo la strage
degli innocenti perpetrata dai guerriglieri di Hamas con
l’uccisione di otto adolescenti della scuola rabbinica
di Gerusalemme, le improvvide prese di posizione del nostro
ministro degli esteri, Massimo D’Alema, provocano
una vera e propria crisi diplomatica tra Israele e Italia.
L’ambasciatore Gidon Meier non si è trattenuto
all’ennesima richiesta dalemiana ad Israele di trattare
con Hamas, giungendo a dichiarare: “ chi ci invita
a negoziare con Hamas ci invita semplicemente a negoziare
sulla misura della bara e sul numero dei fiori da mettere
sulla corona: Hamas vuole soltanto la distruzione di Israele”.
Sembra che al nostro ministro degli esteri, così
disponibile con Hamas e gli Hezbollah e dialogante con lo
stesso leader iraniano Ahmadinejad, interessi soprattutto
acquisire consensi con quei paesi europei del fronte anti
israeliano ( Cipro, Malta, Finlandia e la Slovenia) dai
quali forse spera di ottenere l’appoggio nella successione
alla carica di ministro degli esteri dell’Unione Europea.
E, intanto, in Afghanistan, dopo tredici giorni di prigionia
si scopre a Mosul il corpo senza vita di Mons Faraj Rahho,
arcivescovo caldeo di quella città, rapito il 29
febbraio subito dopo un agguato in cui erano stati uccisi
il suo autista e due guardie del corpo. E i cristiani di
quelle terre sono sempre di meno e sempre più in
fuga verso terre più sicure.
In Sudamerica dopo l’avvenuto
passaggio interfamilias dei poteri tra Fidel e Roul Castro
la scena politica è occupata dall’estroverso”
bocon” (la “bocca grossa” o “lo
sbruffone” come lo chiamano da quelle parti) Hugo
Chàvez che rischia la guerra con la confinante Colombia,
dopo che l’esercito di quest’ultima è
sconfinato in territorio ecuadoriano per attaccare una base
delle Farc con le quali Chàvez mantiene rapporti
di particolare vicinanza e da cui ottiene la liberazione
a corrente alternata e a suon di petrodollari degli ostaggi
che i guerriglieri tengono prigionieri, tra i quali la povera
Ingrid Betancourt Pulecio, leader del “partido verde
oxigeno” nel parlamento colombiano.
In Africa, il recente rapporto della
FAO parla di emergenza cibo in 23 Paesi devastati dalla
guerra civile, condizioni climatiche avverse ed economie
arretrate. Dal Darfur, dove le cose continuano come sempre
nella repressione delle minoranze cristiane , all’inquieto
Kenia dove non si riesce a trovare l’intesa tra le
due formazioni politiche che si sono confrontate nelle ultime
elezioni presidenziali, sino alla Costa d’Avorio e
alla Guinea Conakry attraversate da gravissimi problemi
economici e sociali, la situazione è sempre calda,
mentre si accende il confronto tra le grandi nuove potenze,
tra cui la Cina e l’India, alla ricerca disperata
del controllo delle fonti energetiche e dei minerali di
cui quell’immenso continente dispone e che le economie
in prepotente crescita di questi due Paesi richiedono.
Alla vigilia delle elezioni presidenziali
negli Stati Uniti e dopo il risultato scontato e assai contestato
di quelle appena tenutesi in Russia, in un quadro dell’economia
internazionale dalle fosche tinte recessive, parlare di
declino come da tempo sostengono Giulio Tremonti ed Enrico
Cisnetto non è più un azzardo. E’ in
questa situazione interna e internazionale che Partito del
Popolo delle libertà e Partito Democratico si contendono
il primato per la guida del governo italiano. Speriamo che
il voto dia indicazioni sicure, tali da garantire una governabilità
non effimera.
Don Chisciotte
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Radioformigoni, 10 Marzo 2008 |
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Il
risiko politico che deciderà il nostro futuro
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Con la kermesse
del Palalido a Milano è iniziata Sabato 8 marzo la
campagna del Partito del popolo della libertà. Berlusconi
e Fini davanti ad una platea entusiasta hanno presentato
il programma e garantito la vittoria.
Continuo a pensare che, se l’ottimismo
è utile in combattimento, la certezza dell’esito
finale può giocare dei brutti scherzi se non si tengono
ben presenti le situazioni sul campo.
L’esito della partita alla
Camera dipende da quanti voti il PD riuscirà a strappare
alla Sinistra arcobaleno, il cui leader Bertinotti, sembra
un po’ appannato nel ruolo di capopolo, dopo l’esperienza
vissuta ai vertici della Repubblica e da quanti voti cattolici
sarà in grado di conservare dopo l’incomprensibile
alleanza con i radicali e con quell’imprevedibile
personaggio della politica italiana, Antonio Di Pietro.
Insomma bisognerà vedere il grado di tenuta di quella
miscellanea composta dal finto buonismo di Veltroni (testimonianza
di Massimo D’Alema) accoppiato al radicalismo di Pannella
e al giustizialismo dell’ex PM da Montenero di Bisaccia.
Sull’altro fronte il prevalere
del PdL dipenderà da quanti voti riuscirà
a trattenere a destra, dove il fianco è sottoposto
all’attacco del partito di Storace e della Santanchè
e da quanti riuscirà a strapparne alla neo formazione
centrista di Casini e della Rosa Bianca.
Un posto a sé è quello
rappresentato dalla lista pro life di Giuliano Ferrara,
con la quale solo un’incomprensibile pregiudiziale
laicista ha impedito un apparentamento che, continuo a credere,
sarebbe stato utile. Speriamo che, alla fine, non si riveli
determinante ed esiziale.
Tutto questo per prevalere alla
Camera e incassare il premio di maggioranza stabilito dalla
legge.
Al Senato la partita è assai
più complessa e si gioca in alcune regioni, tra le
quali, i risultati della Campania e della Sicilia saranno
probabilmente essenziali.
L’unione di centro rischia
molto al Senato e il fatidico 8% o lo raggiunge in Sicilia
o in altre regioni la vedo molto dura.
Ciò che emerge da questo
nasometrico pronosticare è il ruolo sottotraccia
dei cattolici che pure risulteranno decisivi con il loro
voto.
Traslocati i “pericolosi e
inaffidabili” teodem dal rischioso Senato (dove la
Binetti potrebbe provocare effetti indesiderati) alla Camera
e trasferito il povero Enzo Carra in Sicilia in posizione
per niente sicura, l’accordo con gli inquieti radicali
rischia di far perdere diversi consensi al partito di Veltroni.
Bisognerà vedere se l’effetto
del trascinamento bipartitico riuscirà a far scomparire
alcune nobili tradizioni politiche, quale quella socialista
e la stessa residuale democristiana, rappresentate, rispettivamente
dallo SDI e dall’Unione di Centro.
Intanto l’avvenuta presentazione
delle liste dei candidati mostra tutti i limiti di un sistema
senza regole lasciato alle voglie e alle tranquillità
dei capi senza alcun rispetto di persone e realtà
territoriali.
Lo stesso Berlusconi, alla fine,
ha dovuto riconoscere che sarà meglio quanto prima
ritornare alle preferenze. E pensare che, proprio su un
referendum Segni per annullare la preferenza si mise la
pietra tombale sul sistema politico della Prima Repubblica!
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 3 Marzo 2008 |
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Oltre
il 14 aprile
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Presentati i programmi dei due principali
partiti e in attesa delle liste dei cooptati ci siano consentite
alcune riflessioni.
Meno si fa ricorso al petulante
richiamo ai sondaggi con ciascuno dei candidati premier
pronto a sostenere di avere il vento in poppa e più
forte sarà l’impegno ad andare a votare degli
elettori.
Questo sistema di selezione alla
rovescia dei candidati operato dai vertici e non dalla base
non ci piace e sarà bene che, chiunque vinca, quando
si metterà mano alla riforma della legge elettorale
si reintroduca la preferenza se si vuol dare un senso alla
partecipazione popolare che non può ridursi alle
convention prefabbricate o ai referendum- sondaggio presso
i gazebo.
C’è bisogno di ritornare alle regole, tra le
quali, quella antica, nata nella sala della pallacorda nel
1789: una testa un voto.
I programmi sono condensati nei
dodici punti di Veltroni e nei sette di Berlusconi.
I primi, resi improbabili dalla pesante eredità dell’infausto
biennio prodiano che si cerca di far
dimenticare con operazioni trasformistiche e giovanilistiche
dal corto respiro . I secondi, possibili solo se nascerà
un governo dal forte consenso elettorale con maggioranza
garantita al Senato.Piaccia oppure no ai partiti minori
la semplificazione del
quadro politico, dopo la lunga stagione del bipolarismo
coatto e impotente, è nelle corde degli elettori.
Personalmente sono molto interessato
a che la costituzione allo statu nascenti della sezione
italiana del Partito Popolare, cui punta il partito del
Popolo della libertà, avvenga subito dopo il voto
del 14 aprile, seguendo procedure e regole di assoluta trasparenza
e di autentica
partecipazione democratica.
Ecco perché, da “DC
non pentito”, anche se il cuore non è insensibile
al richiamo degli amici dello
scudocrociato, con la ragione considero la scelta di Casini
e dei suoi ritrovati compagni d’arme politicamente
sbagliata.
Meno male che Formigoni, Pisanu e Scajola con Giovanardi
e Barbieri, per citare quelli più noti, sono lì
a rappresentare una componente essenziale della tradizione
di ispirazione democratico cristiana nella nascente sezione
italiana del PPE. Mi auguravo e mi auguro che anche gli
altri amici oggi diversamente schierati, dopo il 14 aprile,
possano concorrere con tutti noi a rendere sempre più
forte questa storia.
Intanto va osservata con molta attenzione
quanto succederà in Sicilia e in Campania, regioni
strategiche per la sopravvivenza non solo dei governi regionali
locali, ma della stessa tenuta di alcuni partiti e delle
possibili maggioranze nazionali.
A Napoli, dopo il rinvio a giudizio
del governatore Bassolino per fatti connessi alla tragica
situazione dei rifiuti e dopo la rottura drammatica del
PD con Mastella prima ed ora con De Mita, l’alleanza
del vecchio blocco di potere catto-comunista, è alla
prova del nove e non basterà inserire a capolista
una giovane ventiseienne al posto del leader di Nusco per
impedire lo tsunami politico che si scatenerà dopo
il voto.
Insomma: sentiamoci tutti molto
impegnati per far prevalere le ragioni del Partito del popolo
della libertà con lo sguardo, però, rivolto
già al dopo 14 Aprile, quando si tratterà
di costruire finalmente il grande partito dei moderati italiani
nel quale la componente di ispirazione cristiano sociale
non potrà risultare minoritaria o residuale.
Don Chisciotte
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Radioformigoni, 25 Febbraio
2008 |
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In
balia dei sondaggi
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C’è molta,
troppa sicurezza nei due contendenti principali alla vittoria
finale.
E’ il solito giochetto della “profezia che si
autoadempie o si autodistrugge” che sta alla base
del richiamo ossessivo quotidiano ai sondaggi.
Se Veltroni annuncia trionfante
che dopo alcune settimane ha recuperato 12-13 punti percentuali,
roba da quel grande scalatore dell’aquila di Toledo,
Federico Bahamontes, il Cavaliere rilancia a Matrix, affermando
che i sondaggi danno il Pdl al 46 %. Insomma con 4-5 punti
della Lega si sarebbe già oltre il 51% anche senza
l’UDC.
Non mi fiderei troppo di questi
annunci e attendo con molto interesse la conclusione certa
del caso Sicilia.
Ancora una volta nella Trinacria
si gioca una partita complessa e gravida di conseguenze
non solo locali ma sull’intero quadro politico nazionale.
Lì si saprà, ad esempio,
se l’UDC potrà raggiungere o meno il fatidico
8% necessario per l’ingresso al Senato e, molto probabilmente
proprio lì, oltre alla guida del governo regionale,
si decideranno le sorti della maggioranza al Senato e, dunque,
della stessa governabilità del Paese.
Continuo a pensare, con Formigoni,
che il Pdl farebbe bene ad accettare l’accordo con
la lista di Ferrara specie nel momento in cui sull’altro
versante, mano a mano che ci si avvicina al termine ultimo
per la presentazione delle liste, si apre a destra e a manca
finendo con il costruire il caravanserraglio denunciato
dall’On Diliberto, nel quale cosa ci stiano ancora
a fare i vari teodem è tema da lasciare al loro libero
arbitrio.
L’esclusione di De Mita dalle
liste del PD, dopo oltre 44 anni di vita parlamentare costituisce
un fatto che va ben al di là del caso personale.
Se, come dice il leader di Nusco, quello del PD più
che un progetto politico concreto è una mera aspirazione
destinata al fallimento, e se, come ha affermato anche Venerdì
sera a Otto e mezzo, egli intende concorrere in prima persona
a ricostruire il centro di ispirazione democratico cristiana,
una riflessione critica ed autocritica si dovrebbe pure
compiere specie da parte di coloro che tanta responsabilità
hanno avuto nella fine ingloriosa e senza opposizione della
grande DC.
Si apre al centro un processo di
ricomposizione tra Rosa Bianca, UDC ed eventuali altri transfughi
dal PD, che potrebbe rendere assai più complessa
la situazione politica del dopo elezioni.
Il Cavaliere mette le mani avanti
e, forte di quanto già aveva annunciato all’indomani
della partita finita pari nel 2006, annuncia che in caso
di parità è pronto al governo di coalizione
con Veltroni.
Da quanto riuscirà a tenere
la sinistra arcobaleno e da quanto riuscirà a raccogliere
la nuova formazione centrista si decideranno gli equilibri
politici post elettorali.
Certo, gli ultimi dati sulla congiuntura
economica, debito pubblico, proiezione del PIL sono talmente
negativi che un governo di larghe intese sembra essere nella
realtà delle cose.
Intanto aspettiamo l’ultima
edizione dei programmi sin qui solo annunciati e, soprattutto,
la scelta dei candidati. Constatiamo la totale assenza di
ogni elementare regola democratica in tutte le formazioni.
Si decide chi candidare e chi far fuori. nei loft o nei
palazzi storici della Roma bene A noi questo sistema non
piace e ci batteremo affinché le cose, dopo il voto,
possano e debbano cambiare. Un partito che si chiama democratico
e uno del popolo della libertà che scelgono i loro
candidati nella cerchia ristretta dei capibastone non è
l’approdo verso cui intendono attraccare coloro che
credono ancora nel sistema democratico e rappresentativo.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 18 Febbraio 2008 |
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Vincoli
o sparpagliati? |
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Le posizioni si
stanno delineando tra i diversi schieramenti. Si sperava
in un felice assemblaggio ed invece emerge la realtà
di un sistema politico che fatica a rinnovarsi. Molte, troppe
posizioni
restano cristallizzate, frutto spesso più del sentimento
che della ragione. Insomma più sparpagliati che vincoli,
per dirla con Pappagone.
E così il titolare del brevetto del “ma anche”,
Walter Veltroni, dopo tanti proclami per andare da solo
alla pugna con il suo PD, alla fine, forte dell’ironica
sapienza di Totò, si è convinto che è
“la somma che fa il totale”, e, dunque, meglio
accattarsi quei punti percentuali nelle mani di Tonino Di
Pietro da Bisaccia. E, così, la ragione dei numeri
ha finito prevalere sul sentimento della coerenza. Assai
poco casto connubio per chi avrebbe voluto assumere posizioni
liberali e non giustizialiste e che ha finito, invece, con
il mettere nella stesso carniere Enzo Carra e il PM di mani
pulite che lo costrinse in manette; l’agnello sacrificale
e il suo irriducibile inquisitore.E, dunque: sì a
Di Pietro e no ai socialisti che tentano la riunificazione,
quasi per rivivere quel riflesso condizionato dell’antisocialismo
di ritorno che è nelle corde dei diessini d’antan
e dei residuati bellici basisti e dossettiani antipreambolari….E
no anche ai radicali. Anche se con la Bonino e soci non
è ancora detta l’ultima parola…. Ma anche
nel centro destra, sempre parafrasando il giovane Uolter,
le cose non vanno meglio. Fatto l’accordo con Gianfranco
Fini e con gli altri disponibili a concorrere alla formazione
del nuovo partito del popolo delle libertà e stabilita
l’alleanza con la Lega Nord, non si è ritenuto
di aprire alla destra di Storace e Santanchè, alla
lista pro vita di Giuliano Ferrara e, soprattutto, niente
accordo con Casini e quel che resta della sua UDC. Quanto
tutto ciò potrà costare in termini elettorali
lo sapremo solo la sera del 14 Aprile. Tuttavia, passi per
la Destra da sempre contraria all’ingresso nel PPE
che è stata una delle ragioni dell’avvenuta
separazione tra Fini e Storace, ma, assai meno comprensibile
è la testardaggine di Casini nel voler restare esterno
se non estraneo al processo avviato.
Ma come? Sei il presidente dell’Internazionale DC,
partecipi da quando eri un ragazzo al PPE, ed ora che sta
per costituirsi finalmente una grande sezione italiana del
PPE, rivendichi una primogenitura orgogliosa destinata,
se va male, solo a far vincere l’avversario contro
cui hai condotto un’intera esperienza politica?
Se comprensibile è il distinguo degli amici della
Rosa bianca, da sempre critici con il Cavaliere e destinati
ad una nobile corsa di testimonianza, ci sembra che nel
caso dell’UDC il sentimento abbia prevalso sulla ragione.
La nostalgia di ciò che fu e non può più
essere o, peggio, la sopravvalutazione di una funzione e
di un ruolo incompatibile con la rappresentanza reale di
cui si dispone, sembrano siano alla base di questa improvvida
decisione. Attenti che con la politica del “voler
far male a tanti “non si faccia la fine del Tafazzi…
Don Chisciotte |
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Radioformigoni,
11 febbraio 2008 |
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La
rivoluzione del predellino
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Finita l’esperienza
di governo di Romano Prodi si è consumata pure quella
dell’Unione rivelatasi impotente a governare.
La nascita del Partito Democratico ha segnato una svolta
nella politica del centro-sinistra e della stessa politica
italiana, avviando un processo di semplificazione che ha
permesso al Cavaliere di compiere quel passaggio cruciale
verso il partito del popolo delle libertà, annunciato
a Dicembre a San Babila e concordato con Gianfranco Fini,
Venerdì 8 Febbraio a Palazzo Grazioli a Roma.
Di qui un’autentica rivoluzione nei e fra i partiti
destinata a mutare i caratteri del confronto politico italiano.
E’ sancita la fine della Seconda Repubblica con l’avvio
di una Terza Fase della storia repubblicana tutta da sperimentare
Sembrava che il sistema elettorale tedesco finisse con il
prevalere, con l’eventuale variante alla spagnola,
ma, l’anticipazione del confronto elettorale con la
legge attuale, ha determinato un tale smottamento di posizioni
che, anche senza la celebrazione del referendum ( ora rinviato
di un anno) si sta andando verso una soluzione di tipo fortemente
maggioritario. Soluzione che è nell’interesse
del duo Veltroni-Berlusconi.
Non è ancora il bipartitismo, ma, certo, una profonda
semplificazione del quadro politico.
A sinistra, consumata la separazione consensuale tra PD
e Cosa Rossa o sinistra arcobaleno, si va alla verifica
della tenuta elettorale delle due posizioni prevalenti:
quella più moderata del PD e quella composita e più
radicale del raggruppamento che ha scelto Bertinotti come
portabandiera.
Nel centro-destra, Sabato scorso alla riunione dei circoli
della libertà di Michela Vittoria Brambilla, Silvio
Berlusconi ha annunciato pimpante la nascita del Partito
del popolo delle libertà. Fini, che già a
Parigi qualche settimana prima aveva fatto riferimento alla
comunanza di valori tra AN e il PPE, ha immediatamente colto
l’invito del Cavaliere. E, dunque, fine dell’esperienza
politica di Forza Italia e di AN e nascita di un grande
raggruppamento che si rifà alla tradizione del PPE.
Dovremmo essere tutti felici, almeno noi, che da molti anni
auspicavamo l’unità di tutte le componenti
che, a diverso titolo, si riconoscono nella storia e nella
tradizione del Partito Popolare Europeo.
E, così, mentre Giovanardi, Barbieri, Rotondi, hanno
già scelto di concorrere nella formazione di questo
grande disegno, restano ancora incerti e recalcitranti,
Casini e Cesa da un lato con l’UDC e Mastella, dall’altro,
con la sua UDEUR, troppo invischiata nelle collaborazioni
di governo locali con l’ex Unione e, quindi, con fattori
di inerzia che impediscono a Clemente di esercitarsi nella
sua ben nota elasticità di posizioni.
Al centro si è inserita, come da tempo vado pronosticando,
la Rosa Bianca di Tabacci,Baccini e Pezzotta, orgogliosamente
equidistante dai due Poli maggiori, con la speranza di poter
superare le forche caudine di uno sbarramento alto per la
Camera e, al limite dell’impossibile, al Senato.
A furia di scartare dal Cavaliere, con il fedifrago Follini
nella passata legislatura, e con i suoi troppo frequenti
distinguo da diversi anni, Casini ha portato la sua UDC
in un cul de sac pericoloso. E si sa, l’isolamento,
in una condizione elettorale come quella definita dalla
presente legge ( in larga misura parto della volontà
proprio dell’UDC) non è la condizione migliore
per sopravvivere.
Se la Lega, coerentemente con la propria impostazione di
sempre, si acconcia a federarsi con il nuovo partito delle
libertà, garantendo un vantaggio al centro-destra,
almeno sulla carta, decisivo per la battaglia finale, l’UDC,
perso a destra i berluscones e a sinistra la Rosa Bianca,
dovrà sciogliere nei prossimi giorni il dilemma del
che fare.
Chiesto lumi al card Ruini (uomo saggio e di buoni consigli)
spero proprio che l’amico Casini sappia ritrovare
la strada del buon senso e concorrere alla costruzione di
un processo nel quale la nobile tradizione dei democratici
cristiani non potrà che svolgere un ruolo rilevante
e non solo adesso, ma in una prospettiva assai prossima.
Ora si elabori un programma all’altezza dei bisogni
della nostra gente e si scelgano candidati degni della fiducia
degli elettori. La partita è aperta, mentre la situazione
economica a livello nazionale e mondiale dà segni
di grande instabilità. Chiunque vinca non avrà
vita facile, con una recessione mondiale annunciata, ed
allora a urne chiuse e risultato acquisito, il tema delle
larghe intese sarà probabilmente all’ordine
del giorno delle cose necessarie.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 4 Febbraio 2008 |
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E
dopo Marini, il voto?
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Se
non succedono fatti nuovi e imprevisti, stasera o domani al
massimo, dovremmo conoscere l’esito del tentativo impervio
assegnato al presidente Franco Marini di costituire un nuovo
governo.
Se dovessimo stare a quanto hanno sin qui dichiarato le varie
forze politiche nella prima consultazione svolta dal Quirinale
e dopo gli incontri con il presidente incaricato, spazi per
governi di larghe intese, non dovrebbero essercene e la strada
delle elezioni anticipate sembrerebbe spianata.
Massimo D’Alema, il più intelligente tra i suoi,
terrorizzato dall’idea che si vada a votare con il governo
dimissionario, le sta tentando tutte, compresa l’ultima
sua proposta di un governo con cui svolgere il referendum.
In tal modo allontanerebbe di parecchi mesi la data per le
elezioni, si sfilerebbe dalla negativa ipoteca rappresentata
dal permanere al governo, anche se per poco, del professore
bolognese, assai impopolare nel Paese e punterebbe alla messa
in discussione della raggiunta unità d’intenti
nella Casa delle Libertà.
Chi sino a qualche giorno fa teorizzava, per terrorizzare
i senatori incerti, l’automatismo: crisi di governo
ed elezioni anticipate, considerata l’aria che tira
nei sondaggi punta ad ogni manovra diversiva pur di allontanare
il probabilissimo calice amaro del risultato elettorale.
Ci auguriamo che il supremo colle sappia operare con quell’equilibrio
e con quella saggezza che tutti, almeno a parole, riconoscono
al nostro Presidente della Repubblica.
La situazione come andiamo predicando da tempo è assai
grave e seria. Guai se si pensasse di procrastinare l’unica
scelta che rimane dopo il fallimento del governo Prodi: ridare
la voce al popolo sovrano e ricostruire una maggioranza parlamentare
che sembrerebbe alla portata della coalizione di centro-destra.
Miracolosamente, dopo mesi e mesi di distinguo e di polemiche
ad alta tensione, vanno registrati positivamente alcuni fatti:
a) Fini in Francia, nei giorni scorsi, ha riconosciuto la
comunanza di valori di riferimento di AN con quelli del Partito
Popolare Europeo, e si accinge, subito dopo le elezioni europee
a condurre AN nel PPE. Ciò dovrebbe ulteriormente accelerare
i tempi per la formazione di un grande partito del popolo
della libertà da costruirsi con regole certe di sicura
democrazia interna.
b) Casini, dopo l’annunciata uscita di Baccini e Tabacci
che con Pezzotta ed altri si accingono a dar vita alla “Rosa
Bianca”, acquista all’UDC gli Onn Adornato e Sanza
che lasciano Forza Italia, non condividendo le ultime scelte
del Cavaliere inerenti alla costruzione del nuovo partito.
Come abbia fatto Casini a cambiare la propria strategia in
un batter d’ali, è materia di studi approfonditi.
Forse basterebbe sapere che cosa si sono detti e cosa hanno
concordato lui e Berlusconi nel loro recente incontro al gruppo
parlamentare.
A questo
punto, mentre attendiamo l’esito degli incontri di
Marini e le decisioni che assumerà il Presidente
Napolitano, sarà bene cominciare, come di fatto già
tutti i partiti stanno facendo, a prepararsi alla consultazione
elettorale.
Guai dare per scontato un risultato che richiederà
il massimo di impegno e di mobilitazione. Guai se i quattro
capi della Casa della libertà, pensassero di riproporre
sic et simpliciter candidati scelti senza alcuna partecipazione
democratica sul territorio. Crediamo che elezioni primarie
ovunque sarebbero assolutamente indispensabili, sia per
mobilitare gli elettori e sia per scegliere al meglio i
nuovi alfieri che avranno il difficilissimo compito di governare
il Paese nei prossimi anni.
Il tempo della rendita garantita dagli errori del centro-sinistra
è finito: tocca ora al Cavaliere e ai suoi alleati
dimostrare, con fatti e uomini nuovi, di essere all’altezza
del gravoso compito che li attende.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 4 Febbraio 2008 |
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E
dopo Marini, il voto?
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Se
non succedono fatti nuovi e imprevisti, stasera o domani al
massimo, dovremmo conoscere l’esito del tentativo impervio
assegnato al presidente Franco Marini di costituire un nuovo
governo.
Se dovessimo stare a quanto hanno sin qui dichiarato le varie
forze politiche nella prima consultazione svolta dal Quirinale
e dopo gli incontri con il presidente incaricato, spazi per
governi di larghe intese, non dovrebbero essercene e la strada
delle elezioni anticipate sembrerebbe spianata.
Massimo D’Alema, il più intelligente tra i suoi,
terrorizzato dall’idea che si vada a votare con il governo
dimissionario, le sta tentando tutte, compresa l’ultima
sua proposta di un governo con cui svolgere il referendum.
In tal modo allontanerebbe di parecchi mesi la data per le
elezioni, si sfilerebbe dalla negativa ipoteca rappresentata
dal permanere al governo, anche se per poco, del professore
bolognese, assai impopolare nel Paese e punterebbe alla messa
in discussione della raggiunta unità d’intenti
nella Casa delle Libertà.
Chi sino a qualche giorno fa teorizzava, per terrorizzare
i senatori incerti, l’automatismo: crisi di governo
ed elezioni anticipate, considerata l’aria che tira
nei sondaggi punta ad ogni manovra diversiva pur di allontanare
il probabilissimo calice amaro del risultato elettorale.
Ci auguriamo che il supremo colle sappia operare con quell’equilibrio
e con quella saggezza che tutti, almeno a parole, riconoscono
al nostro Presidente della Repubblica.
La situazione come andiamo predicando da tempo è assai
grave e seria. Guai se si pensasse di procrastinare l’unica
scelta che rimane dopo il fallimento del governo Prodi: ridare
la voce al popolo sovrano e ricostruire una maggioranza parlamentare
che sembrerebbe alla portata della coalizione di centro-destra.
Miracolosamente, dopo mesi e mesi di distinguo e di polemiche
ad alta tensione, vanno registrati positivamente alcuni fatti:
a) Fini in Francia, nei giorni scorsi, ha riconosciuto la
comunanza di valori di riferimento di AN con quelli del Partito
Popolare Europeo, e si accinge, subito dopo le elezioni europee
a condurre AN nel PPE. Ciò dovrebbe ulteriormente accelerare
i tempi per la formazione di un grande partito del popolo
della libertà da costruirsi con regole certe di sicura
democrazia interna.
b) Casini, dopo l’annunciata uscita di Baccini e Tabacci
che con Pezzotta ed altri si accingono a dar vita alla “Rosa
Bianca”, acquista all’UDC gli Onn Adornato e Sanza
che lasciano Forza Italia, non condividendo le ultime scelte
del Cavaliere inerenti alla costruzione del nuovo partito.
Come abbia fatto Casini a cambiare la propria strategia in
un batter d’ali, è materia di studi approfonditi.
Forse basterebbe sapere che cosa si sono detti e cosa hanno
concordato lui e Berlusconi nel loro recente incontro al gruppo
parlamentare.
A questo
punto, mentre attendiamo l’esito degli incontri di
Marini e le decisioni che assumerà il Presidente
Napolitano, sarà bene cominciare, come di fatto già
tutti i partiti stanno facendo, a prepararsi alla consultazione
elettorale.
Guai dare per scontato un risultato che richiederà
il massimo di impegno e di mobilitazione. Guai se i quattro
capi della Casa della libertà, pensassero di riproporre
sic et simpliciter candidati scelti senza alcuna partecipazione
democratica sul territorio. Crediamo che elezioni primarie
ovunque sarebbero assolutamente indispensabili, sia per
mobilitare gli elettori e sia per scegliere al meglio i
nuovi alfieri che avranno il difficilissimo compito di governare
il Paese nei prossimi anni.
Il tempo della rendita garantita dagli errori del centro-sinistra
è finito: tocca ora al Cavaliere e ai suoi alleati
dimostrare, con fatti e uomini nuovi, di essere all’altezza
del gravoso compito che li attende.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 28 Gennaio 2008 |
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La rete del pescatore |
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Ho partecipato,
nel week end della settimana scorsa all’incontro di
Riva del Garda di Reteitalia, promosso dalla Fondazione
Europa e civiltà.
Il tema era quanto mai impegnativo,
“ Bellezza, dignità e gratuita nell’impegno
politico al servizio del popolo”.
Il convegno, programmato da tempo,
si è svolto all’indomani del voto del Senato
che ha posto fine al governo Prodi, diventando politicamente
ancor più interessante.
L’attesa era tutto incentrata
sulla relazione di Roberto Formigoni sul tema: “ Il
popolo: gente che si riconosce amica e collabora per un
ideale di migliore umanità. Un popolo può
sorgere solo dalla gratuità”.
Dopo il richiamo alle nostre ragioni
ideali e alla matrice antropologico-culturale che sono alla
base della nostra esperienza, è seguita la parte
più propriamente politica dell’intervento del
governatore il quale ha voluto riaffermare , innanzi tutto,
il carattere distintivo di reteitalia che non è e
non vuol essere una corrente dentro Forza Italia, aperta
come essa è alla partecipazione di tutti, a qualunque
area politica appartengano, purchè vicini ai valori
della nostra ispirazione, quanto piuttosto un’occasione
di confronto e di dialogo. Un metodo di partecipazione offerto
quale modello a tutto il partito.
E’ stata ribadita l’adesione
all’idea lanciata da Berlusconi del nuovo Partito
del Popolo della libertà, ossia di un partito capace
di mettersi continuamente in discussione, in cui vengano
condivise regole chiare di funzionamento grazie alle quali
siano garantite a tutti i livelli la democrazia e la meritocrazia,
con la scelta delle classi dirigenti da farsi attraverso
libere elezioni primarie. E il Cavaliere, nel collegamento
telefonico di domenica, ha confermato l’impegno che
nella scelta dei candidati si ricorrer‡ al voto del
popolo dei gazebo.
Riaffermata anche l’idea di
un partito che, sulla via indicata dal Cavaliere e da alcuni
anni in corso di sperimentazione proprio in Regione Lombardia,
sia capace di apertura al dialogo e al confronto tra i riformatori
di entrambi gli schieramenti.
Riaffermata, infine, l’indiscussa
leadership di Berlusconi a capo non solo di Forza Italia,
ma dell’intera coalizione dei moderati e garantito
che dagli amici che fanno riferimento a Reteitalia, non
verr‡ mai tesa alcuna trappola al nuovo capo del governo
ed anzi si lavorerà per offrire quanto di meglio
la nuova coalizione ed il nuovo esecutivo avranno la necessità
di disporre, Formigoni ha riconfermato il decalogo programmatico
esposto nell’incontro di fine estate a Rimini, quale
piattaforma di impegno per la politica italiana.
Insomma, nella totale lealtà
e fiducia nella guida del Cavaliere, il governatore è
pronto a svolgere, come già di fatto svolge, un ruolo
di primo piano nella scena politica italiana e internazionale.
E così, anche gli altri e le altre aspiranti alla
ribalta nel ruolo di protagonisti dentro e fuori Forza Italia
sono tutti avvisati: Formigoni c’è e i suoi
vogliono appassionatamente e convintamene che ci sia.
La rete che da sempre ha in Roberto
il suo solerte pescatore è pronta ad essere lanciata
in mare aperto per una pesca……. ricca di soddisfazioni.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 21 Gennaio 2008 |
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Fuochi d'artificio |
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E’stata
una settimana di fuochi artificiali.
In Campania “a munnezza” ha continuato a riempire
le strade di città e paesi di molte province, Napoli
in testa, senza che alcuno degli amministratori responsabili
di questo degrado, espressione dello sfacelo di governo
politico e amministrativo di una intera regione, sentisse
l’elementare dovere di gettare la spugna.
A Roma uno sciagurato manipolo di
pseudo intellettuali illiberali accompagnati da alcune decine
di studenti facinorosi e ignoranti, hanno impedito al Papa
di tenere la sua lectio magistralis per cui aveva ricevuto
l’invito per l’inaugurazione dell’Anno
Accademico.
E così, quella che è chiamata Università
della Sapienza si è dimostrata al mondo come la culla
dell’intolleranza e della stupidità.
Ancora in Campania, a Santa Maria
Capua a Vetere, un gruppo di magistrati sulla base di accuse
che, almeno sin qui appaiono del tutto incongrue, portano
in galera alcune esponenti dell’Udeur, riducono agli
arresti domiciliari il presidente del consiglio regionale,
donna Sandra Mastella, che lo apprende da un comunicato
radiotelevisivo, e inquisiscono lo stesso Clemente di un
reato al limite dell’inverosimile, ossia quello di
aver concusso, per ottenere alcune nomine di amici fidati
in una direzione di ASL, nientepopodimeno che quel tale
angioletto ingenuo che risponde al nome di Bassolino.
Il ministro furibondo nel giorno
in cui è impegnato a presentare il resoconto sullo
stato della giustizia, pronuncia parole di fuoco contro
alcuni magistrati militanti sino ad affermare “ di
avere paura” e a presentare, nel contempo, le sue
dimissioni, prima annunciate e quindi rese irrevocabili
e senza possibilità di sostituzioni con altri esponenti
Udeur. Insomma, se non proprio l’abbandono della maggioranza,
il passaggio del suo partito all’appoggio esterno.
Non passa un giorno che sempre a
Napoli la procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio
del leader dell’opposizione, Berlusconi, accusandolo
di corruzione per aver sollecitato l’assunzione, mai
avvenuta, di alcune soubrette in Rai, amiche di alcuni senatori
che il Cavaliere tentava di ingraziarsi alla causa dell’opposizione.
Chissà cosa avrebbero dovuto
richiedere per Prodi che, invece, i voti di quei senatori
indisciplinati è riuscito a garantirseli, lui sì
sulla legge finanziaria, a suon di favori concessi a questo
e a quello, dalle Alpi di Bolzano sino alle Ande di quel
simpatico senatore Pallaro, rappresentante degli italiani
d’Argentina e della Patagonia.
E, naturalmente, dopo Napoli anche
i magistrati di Palermo hanno compiuto il loro dovere con
la condanna a cinque anni dell’amico TotÚ Cuffaro,
accusato di favoreggiamento semplice, bontà loro,
senza l’aggravante temuto del concorso esterno in
associazione mafiosa.
Insomma dalla procura di Milano,
regina della scena mediatico-giudiziaria al tempo di tangentopoli,
sembra che la magistratura militante abbia trasferito il
suo teatro itinerante da Roma in giù. E così
ci si ritrova con un presidente del consiglio inquisito
(anche se le sue pratiche da sempre vanno molto a rilento
sino ad esaurirsi e a svanire nel nulla) che assume l’interim
proprio del ministero di Giustizia nel momento di massimo
conflitto tra politica e magistratura; un capo dell’opposizione
ancora una volta accusato di corruzione per faccende ridicole
e un ministro della giustizia che dall’aula parlamentare
parla di “emergenza democratica” in Italia.
E’ da tempo che denunciamo
lo stato di degrado politico, economico, culturale, sociale
e civile in cui è caduto il Paese. Sarebbe tempo
che se ne rendesse conto anche il presidente Napolitano
e ponesse fine all’indegno spettacolo che ogni giorno
è rappresentato da un governo totalmente allo sbando.
Ora Prodi dovrà districarsi
dal cappio che, con l’ordine del giorno dell’Udeur
previsto per oggi o domani, gli si stringe attorno al collo:
dare completa fiducia a Mastella e, dunque, ammettere da
neoministro ad interim della Giustizia, anch’egli
inquisito, le nefandezze di cui questaè accusata
dall’uomo di Ceppaloni, o corrispondere alle sollecitazioni
del ministro, sempre un po’ Rodomonte, Antonio Di
Pietro che reclama la più netta presa di distanza
da quelle valutazioni e il passaggio della responsabilit‡
di guida di quell’agognato dicastero ad un politico
non inquisito?
Tra oggi e il voto di Mercoledì
prossimo sulla fiducia a Pecoraro Scanio si decideranno
i destini parlamentari dello sbrindellato governo del professore
bolognese. Dopo, con il referendum approvato dalla Consulta
e con tempi della sua celebrazione certi e definiti, o si
vara una legge elettorale accettata dai due maggiori partiti,
o si va ad un governo istituzionale per unanime volontà
della trimurti costituzionale: Napolitano-Marini-Bertinotti,
o non resterà che l’alternativa del voto anticipato.
I fuochi d’artificio sono scoppiati, manca solo il
botto finale.
Don Chisciotte |
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Radioformigoni, 14 Gennaio 2008 |
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Stato di grazia di Formigoni |
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NÈ la miopia di Casini, nè la presbiopia di
Gianfranco Fini. Con questa immagine Ludovico Festa, su “
Il foglio” di Venerdì 11 gennaio, evidenziava
l’attuale “stato di grazia” del nostro Roberto
Formigoni e lo sollecitava a guidare la Casa della libertà
verso le prossime amministrative.
Da vecchio democristiano
di lungo corso non avevo avuto difficoltà ad immaginare
il percorso politico cui era destinato il governatore.
In un non dimenticato consiglio nazionale della DC era
stato Carlo Donat Cattin, dopo l’assemblea degli esterni
(Novembre 1981), ad additarci quel giovane ciellino tra
coloro che avrebbero saputo garantire sangue rinnovato al
corpo che si stava inaridendo di una DC sempre più
in crisi.
Ed anch’io, molti anni più tardi, in un consiglio
nazionale del CDU (1999), il primo approdo cui giungemmo
dopo la fallimentare esperienza del Partito Popolare di
Buttiglione, sfracellatasi sul caso dell’apertura
di credito a Berlusconi nello scontro con i popolari per
Prodi, non ebbi difficoltà a preconizzare per Roberto,
un futuro politico di rilievo e non solo a livello lombardo.
Ho sempre sostenuto che guidare, come Formigoni ha fatto
in questi dodici anni, una regione-stato come la Lombardia,
era ed è una situazione paragonabile solo a quella
che ha sempre caratterizzato nella CDU il rapporto tra Helmuth
Koll, capo del governo federale tedesco e Franz Joseph Strauss,
capo del governo della Regione-stato della Baviera.
Tanto più dopo dodici anni di governo che ha segnato
un modo nuovo e diverso di condurre la Regione che, sotto
la sua guida, ha saputo diventare ogni giorno di più
da semplice ente amministrativo di vaste dimensioni, ente
di governo a tutto tondo.
Quando si parla, allora, di futura leadership dei moderati,
una volta che la vicenda del Cavaliere aver raggiunto, come
in tutte le parabole della politica, l’inevitabile
punto di svolta inferiore, non v’è dubbio che
il governatore della Lombardia, ossia il capo di governo
della più importante Regione italiana, sarà
in pole position tra coloro che aspireranno a raccogliere
l’eredità di Berlusconi.
Nella situazione difficile politica, economica, culturale,
e della stessa organizzazione amministrativa del Paese,
chi, se non colui che ha già dato ampia e concreta
prova della sue capacità di governare una Regione-Stato
come la Lombardia, potrà assumere la guida della
politica italiana per conto dei moderati?
Adesso che anche il giornale di Giuliano Ferrara, con l’articolo
di Festa, riconosce questo dato di fatto della politica
italiana, non ci resta che spronare Roberto a continuare
con la serietà e la determinazione dimostrata in
tutti questi anni.
Don Chisciotte |
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4 Gennaio 2008 |
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Aspettando la sentenza della Suprema Corte |
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Siamo
tutti in attesa della decisione della Suprema Corte prevista
per il 16 gennaio sull’ammissibilita' del referendum
sulla legge elettorale.
In pendenza di tale decisione abbiamo assistito e continuiamo
ad assistere ad una confusa melina tra i partiti, ciascuno
preoccupato di tirare l’acqua al proprio mulino.
Centrale resta l’accordo vero o presunto tra il Cavaliere
e Veltroni per soluzioni che portino a semplificare l’attuale
scenario con forte agitazione dei “minori”.
A sinistra Ë venuto a galla lo scontro mai interrotto
tra Veltroni e D’Alema e si annuncia una sfida da
O.K. corral che riguarda non solo e non tanto la leadership
del PD, quanto la stessa natura di quel partito.Veltroni
punta su un nuovo soggetto maggioritario ed autosufficiente
dai forti connotati di partito riformista di tipo americano,
pronto a confrontrarsi con lo schieramento moderato di cui
si riconosce finalmente la leadership di Berlusconi; D’Alema,
invece, sogna un partito socialdemocratico, possibilmente
senza avversari a sinistra, pronto ad allearsi con una “cosa
bianca” che allarghi lo schieramento fondato sull’alleanza
tra ex comunisti ex DC.
Di qui la preferenza del sindaco di Roma per il maggioritario
a doppio turno (antica proposta diessina e ulivista) rilanciata
tatticamente dal fedele scudiero Franceschini, e quella
di D’Alema per il proporzionale alla tedesca in sintonia
con le richieste prevalenti tra i residui popolari dell’Ulivo,Marini
e Fioroni in testa, e da sempre cavallo di battaglia di
Casini e dell’UDC.
Ovvio che in questo estenuante menar di torrone si levino
le giuste preoccupazioni di quanti, gli uomini della Lega
in testa, vedono concretizzarsi lo spettro di un referendum
che, passando al vaglio positivo popolare, farebbe rimpiangere
la tanto vituperata “legge truffa” degasperiana
del 1953 (premio di maggioranza alla coalizione di governo
che avesse ottenuto il 50% - con il 50% si sarebbe ottenuto
la rappresentanza del 65%), introducendo un sistema elettorale
piu' vicino alla famigerata legge Acerbo del 1923 (due terzi
dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza
relativa e riparto proporzionale del restante 35%) che
ad un corretto sistema in equilibrio tra rappresentanza
e ruolo di governo.
E, mentre si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale
da cui potranno derivare scenari politici totalmente diversi
a seconda che il referendum venga o meno dichiarato ammissibile,
si aggravano i problemi di un Paese sempre piu' allo sbando
e per il quale le pur comprensibili parole del Presidente
Napolitano nel suo discorso di fine d’anno non possono
arrecare alcun giovamento, continuando una situazione di
sgoverno al limite della sopportabilita' e della tenuta
sociale e politica dell’Italia.
L’inflazione galoppante che aggrava la sempre piu'
bassa capacia' d’acquisto delle famiglie italiane
e il corto circuito che si sta determinando tra le diverse
categorie e ceti non solo appartenenti alle tradizionali
fasce di poverta', unita all’impossibilita'
oggettiva di garantire,salvo i funambolismi retorici e verbali
di Prodi e di Padoa Schioppa, contemporaneamente piu' elevati
salari e la riduzione del carico fiscale (ultima promessa
del duetto dei tenori governativi) rende la situazione sociale,
economica e politica dell’Italia al limite della deflagrazione.
I casi tragicomici di Napoli e dell’immondezaio non
solo dei rifiuti ma di una classe politica irresponsabile
e indecente al limite del disprezzo, sono la plateale rappresentazione
dello sgoverno che caratterizza a Roma, come in una regione
strategica del Meridione, la maggioranza di centro-sinistra
dell’Unione. Sino a quando questa situazione potra'
durare?
Attendiamo anche noi con ansia le decisioni della suprema
Corte, certi che, in ogni caso, subito dopo, verifica o
non verifica di Prodi e compagni, lo scenario dovra'
assolutamente cambiare,con buona pace di coloro che vorrebbero
ritornare ai vecchi riti e ad antiche formule buone solo
ad assicurare la sopravvivenza di caste ormai prive di ogni
credibilita' e che dovranno inevitabilmente lasciare
il campo a nuovi attori e ad una nuova fase della nostra
storia repubblicana.
Don Chisciotte |
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