Le note di Ettore Bonalberti
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15 Dicembre 2010

E' finito il tormentone con la vittoria del Cavaliere

E’ finito il tormentone e la sfida all’OK Corral si è conclusa, ancora una volta, con la vittoria del Cavaliere. Il trio Fino-Casini e Rutelli aveva preparato la sala concerto per suonargliele e sono stati suonati.

Erano tre aspiranti permanenti al ruolo di capi di governo, disposti a tutto, anche a ripudiare i propri valori e la loro storia politica: dal confronto ne escono distrutti.

Una batosta nel segno della continuità quella del saltimbanco Rutelli; frutto di un’ ambizione smisurata e cieca, quella di Casini e irrimediabile e definitiva per Fini, il presidente più indecente di tutta la storia parlamentare italiana.

Mai nessun rappresentante della terza carica dello Stato si era spinto al punto dello squallore politico e morale come quello espresso dal leader ex missino.

Mai l’ufficio di presidenza della Camera era stato utilizzato per tramare contro il governo e il capo dell’esecutivo, nelle cui liste e in virtù dell’appoggio del quale, Gianfranco Fini era stato eletto.

Termina così una lunga e turbolenta fase politica iniziata nel lontano 1986, con le manovre antiberlusconiane del duo bolognese, auspice l’attor giovane recitante, il fedifrago Follini.

Tra Sandrone- Fini e Fagiolino- Casini, il duo comico della commedia dell’arte emiliana, ha ancora una volta prevalso Capitan Matamoro da Arcore, tanto priva di respiro strategico e di oggettiva debolezza tattica era l’azione proditoria compiuta dai due, con l’appoggio esterno interessato di Bersani e D’Alema, e di qualche ambiente dei “lor signori” italiani e stranieri, alla ricerca delle antiche rendite di posizione statali perdute.

Lasciato il partito della scissione nelle mani di dilettanti senza credito come Bocchino, Granata e Bonfiglio, con l’assistenza del radical liberale, Della Vedova, l’improvvisata pattuglia finiana si è disintegrata nel voto, prima al Senato e poi alla Camera, con gli alti lai del povero Moffa, indeciso sino all’ultimo sul che fare, insieme a quell’ondivago Guzzanti, anche lui, come Fini, in preda ad un furore anticavaliere, frutto di risentimento personale prima ancora che politico.

Certo, con la fine del movimentismo lacerante sul fronte moderato di Fini e di Casini, anche la lunga parabola berlusconiana tende verso la fine. Ora si dovrà tentare di ricostruire l’area dei moderati e, dopo diciassette anni, Fini non sarà più, finalmente, della partita.

A lui, se avesse ancora un minimo di dignità, toccherebbe dare le dimissioni da un ruolo istituzionale male interpretato e che ora non può più essere svolto, tanto inaccettabile ed equivoca è diventata la sua figura.

Non potrà nemmeno più essere un interlocutore possibile per l’area guidata da Berlusconi e il suo stesso gruppo è destinato al progressivo sfarinamento.

A quanti si sono scandalizzati per gli ultimi cambi di casacca, senza aver mai detto alcunché su quanti avevano fatto i voltagabbana in precedenza, vorremmo sommessamente ricordare che a questo si giunge quando la politica si riduce, come si è ridotta, alla scelta dall’alto dei nominati senza vincolo di mandato, senza un partito programma e senza preferenze alle spalle.

Ora è tempo di ricostruire i partiti e lo si dovrà fare a partire da quello dei moderati. Abbiamo salutato con estrema soddisfazione la nascita dell’Associazione per l’Europa dei Popoli e delle Libertà, un organismo a statuto federativo che sarà l'interfaccia per l'Italia del 'Centre for European Studies', la fondazione del Partito popolare europeo.
E’ quanto anche noi abbiamo auspicato con la fondazione di ALEF, l’Associazione dei Liberi e Forti, per l’edificazione in Italia della sezione italiana del Partito Popolare Europeo. E lo si dovrà fare con quanti si riconoscono nei valori sturziani e degasperiani, declinati secondo gli orientamenti pastorali della Charitas in veritate, e si ritrovano in sintonia con la Carta dei valori del PPE.
Basta con i trasformisti e via libera al cambiamento con juicio, quello che è mancato sin qui all’amico Casini, avendo consapevolezza che se non si rafforza la compagine di governo, a Marzo si vota.

Don Chisciotte, radioformigoni, 15 dicembre 2010



26 Novembre 2010

Molti i suonatori, manca ancora il concerto

Giornata quanto mai proficua quella di Sabato 26 novembre per i sostenitori di una più forte presenza dei cattolici all’interno del Pdl.
Si sono svolte, infatti, contemporaneamente ben tre assemblee: due a Milano e una Roma.
A Milano si sono riuniti gli amici di Rete Italia, con Roberto Formigoni e i ministri Alfano e Fitto e il gruppo dei DC nel Pdl degli Onn. Giovanardi e Rotondi. Mentre a Roma l’On Pionati ha riunito i suoi amici dell’ Alleanza di Centro .
Se per gli amici di reteitalia il tema prescelto era: “ Cristiani nel Pdl”, quello dei DC nel Pdl: “Continuità di valori in Italia e in Europa”, mentre Francesco Pionati teneva la sua seconda Assemblea nazionale con la quale, da esterno al Pdl, riconfermava la propria adesione alla maggioranza, facendo appello agli scontenti dell’UDC e di Fli alla vigilia del voto di fiducia del 14 Dicembre p.v.
Insomma tre incontri con tre direttori d’orchestra a guidare un gruppo di solisti diversi, tutti, comunque, accomunati dalla volontà di confermare la fiducia all’esecutivo di Silvio Berlusconi e di concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE.
Dalla mia Venezia ho potuto seguire con radioformigoni tutta l’assemblea di reteitalia dall’Hotel Marriot di Milano, condividendo gli ottimi interventi degli amici Formigoni, Mauro, Fitto, Saverio Romano, Lupi e quello finale del ministro Alfano.
Tema conduttore: come superare la condizione di marginalità e garantire ai cattolici una prevalenza tanto più necessaria per chi intenda partecipare alla costruzione della sezione italiana del PPE, quale pilastro essenziale nell’affermazione dei valori fondanti e non negoziabili della vita, famiglia ed educazione, declinati secondo i principi della sussidiarietà e solidarietà.
Comune è la certezza che tali valori sono e possono essere difesi all’interno del PPE a livello europeo, come già accade nella concreta esperienza vissuta dai nostri parlamentari europei, testimoniata personalmente dall’On Mario Mauro, così come gli stessi possono essere sostenuti più efficacemente all’interno del Pdl e con l’apertura operosa e costruttiva con quanti, cattolici schierati su altri fronti, condividono quelli stessi valori. Come già accade assai positivamente nell’esperienza descritta dall’on Lupi dell’intergruppo parlamentare per la sussidiarietà da lui attivato con altri amici nel Parlamento italiano.
Alla vigilia del voto di fiducia del 14 dicembre p.v. in cui la telenovela del duo bolognese Fini- Casini, alla perenne ricerca di sostituzione nella leadership del Cavaliere, al di là di ogni comprensibile coerenza e razionalità strategico-tattica, celebrerà un altro atto decisivo , constatare che finalmente qualcosa si muove dal fronte cattolico interno ed esterno al Pdl non può che essere salutato con grande soddisfazione.
Peccato che molti siano i suonatori e manchi ancora l’armonia di un condiviso concerto.
La discesa in campo di autorevoli amici, come Formigoni, Fitto, Alfano con Rotondi e Giovanardi, e la stessa azione di recupero tentata da Pionati da un versante distinto, ma non distante, da quello del Pdl, come lascia presagire l’adesione al suo movimento dell’On Calearo, in fuga dal PD, lascia ben sperare per il futuro.
Da tempo vado sostenendo l’idea di un ruolo fondamentale che può e deve essere assunto dal governatore della Regione Lombardia, non solo a livello locale, ma come risorsa non eludibile per la stessa politica nazionale. Formigoni al Nord e Angiolino Alfano al Sud: un’ottima accoppiata per rafforzare la componente di ispirazione cattolica nel Pdl.
Di fronte alle fregole degli aspiranti leader senza storia, costatare questa forte ripresa di iniziativa concertata e che, come annunciato da Formigoni, si svilupperà in un grande movimento a partire dall’inizio del prossimo anno, così come da St Vincent e Salerno, hanno cominciato a fare gli Onn. Giovanardi e Rotondi in tutte le regioni italiane, è motivo di speranza e di entusiasmo per quanti si sentono impegnati nel grande obiettivo della costruzione della sezione italiana del PPE e in una più incisiva presenza in politica di una nuova generazione di cattolici.
Adesso spetta ai vassalli, valvassori e valvassini della periferia, superare le loro effimere e stupide divisioni particolari, mentre ai loro capi di riferimento il compito di non deluderci.
Dagli spartiti separati si giunga finalmente al concerto condiviso avendo consapevolezza che, scelto il percorso comune, come sempre, l’entendence suivrà….

Don Chisciotte, radioformigoni, 29 novembre 2010




22 Novembre 2010

Crisi politica. Paura di votare: timide aperture?

A Salerno, nel fine settimana, si sono incontrati gli amici democratici cristiani del PDL del meridione rispondendo a un’iniziativa congiunta degli On. Carlo Giovanni e Gianfranco Rotondi.

Dopo quella di St Vincent dell’ottobre scorso con questa nuova tappa si  consolida il percorso della costruzione di un’area unitaria di ispirazione democratico cristiana all’interno del Pdl.

Non a caso il presidente Berlusconi rivolgendo il suo saluto ai convegnisti ha ribadito la necessità di consolidare la presenza del Pdl  a livello territoriale ricordando quanto fu fatto a suo tempo da Gedda e da Fanfani con i comitati civici. Un richiamo dal sapore di possibile prossima chiamata elettorale.

Casini a Milano sembra sotterrare l’ascia di guerra e predisporsi a sedersi ad un tavolo di trattativa per la costruzione del suo vagheggiato governo di transizione e di responsabilità  nazionale. Un progetto, in verità, sin qui declinato in varie formulazioni, tutte, però, caratterizzate da un’apparente invincibile idiosincrasia leghista.

Immediata l’adesione al progetto dell’On Urso, uno fra i più autorevoli colonnelli finiani, anche se il riferimento alla comune appartenenza al PPE, fatta da un esponente politico che ha scelto di militare in un raggruppamento dalle ambigue caratterizzazioni culturali,scisso com’è tra nostalgici nazionalisti e radicali laicisti anticattolici, non sembra avere alcuna credibilità, se non di mero diversivo tattico.

La verità è che, considerate le intervenute maggiori difficoltà a quagliare una maggioranza alternativa a quella uscita vittoriosa dalle ultime elezioni politiche, i finiani temono come la peste la sempre più probabile conclusione anticipata della legislatura.

Da quanto emerso a Salerno con i DC nel Pdl e nel convegno dell’UDC a Milano, molto interesse suscita in noi l’idea di concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE con quanti si riconoscono nei valori della tradizione sturziana e degasperiana, declinati secondo gli orientamenti pastorali della Caritas in veritate, così come andiamo sostenendo da molto tempo.

Non mancheremo mai di osservare che fu proprio la scelta di restare fuori del processo di costruzione del Pdl da parte di Casini e degli amici dell’UDC che si indebolì quel progetto. La stessa ipotesi di successione alla leadership del Cavaliere, se fosse intervenuta nei tempi e nei modi suggeriti dal realismo politico, avrebbe offerto a tutti noi maggiori chances  e allo stesso Casini qualche probabilità in più di raggiungere quell’obiettivo che persegue da molto, troppo tempo: la leadership dei moderati. Ragione fondamentale di tutte le ondivaghe scelte e di quanto è accaduto in questi anni all’interno del CCD prima e dell’UDC poi.

Ora è tempo di ricomposizione e di smetterla di inseguire inutili collegamenti con un PD destinato inevitabilmente a sintetizzare le diverse anime che si agitano a sinistra nel Paese, al di là dell’attuale rappresentazione che della sinistra il PD realizza a livello parlamentare.

E agli amici dell’UDC, ancora una volta, sommessamente evidenziamo la realtà di una componente politica, quale quella della Lega, al Nord e, sempre di più presente anche al di là del Po, che finirà, anche con  il nostro aiuto, per parteciperà anch’essa e quanto prima alla grande famiglia del  Partito Popolare Europeo.

Sarebbe allora il tempo, se davvero si volessero evitare pericolose rotture nell’azione di governo, di lavorare coerentemente per tale prospettiva che, resta, in ogni caso, quella su cui si dovrà caratterizzare il confronto nella prossima tornata elettorale, alla sua scadenza naturale o anticipata che sia.




15 Novembre 2010

PDL: dopo la marcia trionfale, un pericoloso “pit stop”

La lunga marcia trionfale ( elezioni politiche del 2008, europee del 2009 e regionali e amm.ve del 2010), con il ritiro della delegazione finiana dal governo,  si è tramutata in un pericoloso “pit stop dopo la rottura intervenuta nella maggioranza di centro destra.

Quella che sembrava un’avventata scommessa del manipolo dei finiani  è riuscita a speronare in maniera quasi letale ” l’invicibile armada”  del Cavaliere.

Certo il direttore d’orchestra, con alcuni suoi  stonati suonatori di prima fila, ci ha messo  molto del suo, anche se determinante è stata l’azione istituzionalmente scorretta di un presidente della Camera, capopartito senza scrupoli,  attorniato da alcuni  squallidi uomini di coltello .

I due leader del Pdl si sono autoaffondati e con loro le speranze del popolo largamente maggioritario del centro destra.

Adesso lo spettacolo indecente andato in onda negli ultimi mesi e settimane non ci interessa più. Ci preme invece valutare cosa accadrà non tanto e non solo sul piano del governo e della legislatura, quanto sulle risposte da dare ad una situazione economica, finanziaria, sociale e politica priva di credibili alternative.

Una riflessione particolarmente approfondita s’imporrà a quelli come noi, sostenitori da sempre dell’alleanza alternativa alle sinistre, che hanno combattuto in questi anni per ricomporre gli sparsi frammenti di ispirazione democratico cristiana all’interno di Forza Italia prima e del Pdl poi.

Allo stato attuale, sin qui schiacciati dall’assurda formula di un congresso senza storia del 70/30,  non è più sufficiente l’azione  pur necessaria di ricomposizione dei frammenti interni al Pdl, ma si impone seriamente quella della ricerca di un allargamento dell’orizzonte oltre il Pdl, verso coloro che, dentro e fuori dello stesso recinto del centro-destra, intendono concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE.

Dovremo considerare elementi decisivi sul piano istituzionale per superare la dicotomia di una realtà scissa tra il modello di Repubblica parlamentare sancito dalla Costituzione rigida del 1948 e quella di una Repubblica presidenziale, di fatto già attiva nei livelli politico amm.vi locali e di governo regionali, e sancita da un sistema elettorale fondato da blocchi di partiti rappresentati da un leader e da un programma condiviso.

Ed è proprio all’interno di questa scissione tra Repubblica parlamentare costituzionalmente garantita e finta Repubblica presidenziale, conseguenza di un sistema elettorale progressivamente mutato dal referendum Segni in poi, sino all’attuale porcellum, che s’inserisce l’attuale crisi di maggioranza e di governo.

Situazione tanto più grave nel momento in cui avviene all’interno di una crisi sistemica del Paese che, perduta la stabilità della maggioranza, corre seriamente il rischio della secessione del Nord.

Da tempo vado sostenendo che la Lega è l’effetto e non la causa di una situazione squilibrata che vede sostanzialmente quattro regioni del Nord, con l’aggiunta della sola regione del Lazio, reggere l’intero sistema delle entrate e  della spesa pubblica italiana.

Una situazione difficilmente tollerata in epoca di finte vacche grasse e causa della nascita e sviluppo del fenomeno leghista padano, che diventa esplosivo, nel momento di vacche magre, come quello che stiamo vivendo, a causa della congiuntura difficile internazionale e delle perduranti diseconomie e laceranti contraddizioni nel sistema della spesa e delle entrate pubbliche dell’Italia.

L’equilibrio difficilissimo raggiunto con il centro destra, ossia con l’alleanza  tra Pdl e Lega, rappresentato esemplarmente dall’affidamento del ministero più centralista  per antonomasia, quello degli Interni, al leghista Maroni, ossia ad un rappresentante del partito  che aveva come programma la secessione, rischia di saltare. L’apparente equivoco di un equilibrio che mette a capo dei prefetti un esponente di un partito che ne aveva reclamata la soppressione, non potrà essere più garantito da eventuali soluzioni che vedessero l’emarginazione, non già per esplicito voto del popolo, ma  per l’ azione trasformistica dei parlamentari finiani,  delle più rilevanti componenti del centro-destra.

Bisogna partire da questa constatazione realistica, distinguendo nettamente le questioni di governo da quelle di sistema, se si vuole ricostruire anche da parte nostra una diversa e più qualificata presenza politica. Le prime, quelle del governo,  affidate all’equilibrio che gli elettori intenderanno esprimere con il loro voto. Le seconde, quelle di sistema, con un referendum sul modello di Stato che gli italiani intendono scegliere tra Repubblica parlamentare e Repubblica presidenziale non più rinviabile.

Una cosa è, in ogni caso, definitivamente acquisita:  non sarà più sufficiente, ancorché assolutamente necessaria, la ricomposizione delle sparse forze appartenenti alla stessa realtà del PPE, se non si attiverà una più incisiva presenza delle stesse a livello territoriale.

A Mestre si è riunito, Lunedì 15 Novembre scorso, un gruppo di esponenti cattolico popolari delle sette province venete per lanciare un appello a tutti i democratici cristiani di quella Regione per una mobilitazione politica, culturale e di forte iniziativa di base,  a partire dalle prossime scadenze elettorali amministrative.

Ripartire dal basso, dalle realtà locali in cui si esprimono i reali bisogni della gente e concorrere con le espressioni più vive dei corpi intermedi alla ricostruzione di una partecipazione politica a tutti i livelli, in coerenza con la grande tradizione sturziana e degasperiana che fece grande il ruolo dei democratici cristiani in Italia. Questo sarà il nuovo terreno di impegno politico per tanti come noi “democristiani non pentiti”.




8 Novembre 2010

La tattica del cerino

L’offerta avanzata da Berlusconi venerdì era allettante: riconoscimento della terza gamba finiana nella coalizione di centro-destra e disponibilità a ricontrattare le condizioni e i termini dell’alleanza, non solo per completare la legislatura, ma pure per la partecipazione concordata alla successiva tornata elettorale.

Troppo ambiziosa per potere essere immediatamente raccolta da un Fini che, da molto tempo,  ha assunto una posizione sempre più netta di contestazione nei confronti della coalizione di governo e, in primis, dello stesso Berlusconi e della Lega.

Era l’ultimo tentativo escogitato dal Cavaliere per saggiare sino in fondo il grado di tenuta della poliedrica e assai scombussolata squadra messa insieme dal presidente della Camera, già lacerata dalle divisioni tra i falchi alla Bocchino, Briguglio e Granata e le colombe alla Ronchi, Moffa, Consolo e Nania.

Si aspettava il pronunciamento di Fini a Bastia Umbra  (Perugia), un palcoscenico più adatto alle uscite propagandistiche per tenere la truppa in tensione, che alle riflessioni e all’indicazione di gesti e proposte  in grado di offrire soluzioni alla crisi politica venutasi a creare con la rottura della maggioranza uscita dalle elezioni del 2008.

E’ una situazione kafkiana quella in cui si ritrova il Paese. Immersi in una crisi internazionale monetaria, finanziaria ed economica, dai pesanti riflessi sul piano politico e sociale, l’Italia, che pure ha saputo affrontare in sicurezza l’onda d’urto dello tsunami scatenatosi tra la fine del 2008 e che continua a mantenere alta la sua tensione, sino a oggi e per molto tempo ancora, ha perduto l’unica certezza che le derivava da un parlamento espressione della più ampia maggioranza mai verificatasi prima nella storia repubblicana.

Errori di valutazione interni al Pdl e oggettive scelte di prospettiva divaricanti da parte di Fini e dei suoi, hanno determinato una situazione nella quale, il rischio di una crisi politica senza alternative o, peggio, la cui soluzione venisse affidata a governi tecnici, potrebbe mettere  a serio rischio la stessa unità nazionale.

Era questo il trilemma che si presentava a Gianfranco Fini nella prima assemblea del FLI di Bastia Umbra : dire sì  alla proposta di un nuovo patto di legislatura all’interno della maggioranza in cui era stato eletto  deputato e presidente della camera, oppure  togliere la spina al governo Berlusconi e favorire e compartecipare ad un nuovo governo degli sconfitti o, infine, correre il  rischio di elezioni anticipate.

Tutti si dichiarano pronti in caso di necessità a questa evenienza, anche se nessuno, veramente in cuor suo intende affrontare a cuor leggero il verdetto popolare. Oltretutto diversi parlamentari sanno il rischio che corrono per la loro pensione. E, si sa,  anche loro “tengono famiglia”. 

Anche a sinistra la situazione è assai confusa nella polemica aperta tra rottamatori giovanilisti e i fedeli di Bersani. Il segretario del  PD  chiama alla dimostrazione di piazza dell’11 dicembre, mentre Vendola risponde che non parteciperà, preferendo sfilare da solo a fianco della CGIL qualche settimana dopo. Insomma anche a sinistra  è in atto una bella battaglia per una leadership tutta da definire.

Gianfranco Fini nel prologo del  suo convegno aveva annunciato trionfalmente che non  si poneva limiti e traguardi alla propria iniziativa politica (“ nessun obiettivo ci è precluso”  e alla stampa tedesca aveva dichiarato che “ nel 2013  potrà assumere il  ruolo di “premier se gli italiani o vorranno”) . Sentiti gli interventi ci è sembrata, in realtà, un’assemblea di modesti attori, replicanti una stanca recita di una destra con la testa assai più rivolta  verso il passato che al futuro della libertà.

Fini ha concluso il suo intervento chiedendo una svolta, e, di fatto, le dimissioni di Berlusconi. I ministri e sottosegretari  finiani  hanno rimesso il loro mandato nelle mani di Fini, fatto unico e lacerante nella storia istituzionale dell’Italia, causata  da quel doppio ruolo del presidente della Camera assolutamente improprio e inaccettabile. Una maniera di aprire la crisi nelle mani del presidente della Camera contemporaneamente capo partito.

Si tratta  ora di vedere se quegli stessi esponenti di governo  lo faranno anche in quelle legittime di Berlusconi.

Si ipotizza anche un eventuale allargamento del governo a Casini, anticamera delle sceneggiate passate del 2004-2006. Tuttavia il tempo è assai stretto e alla prima caduta del governo in Parlamento il “trilemma” dovrà essere sciolto.

Senza un rinnovato patto di legislatura  tra i  vincitori delle passate elezioni non resta che la strada coerente del voto anticipato. Scorciatoie parlamentari diverse creerebbero  un rischio troppo grave per l’unità nazionale.  Già dal Veneto, dopo la crisi dell’alluvione, si dichiara di non versare le tasse alla tesoreria dello Stato ma a quella regionale. Lo facessero anche il Piemonte e la Lombardia e l’Italia salterebbe per aria. A ben considerare meglio, molto meglio a questo punto, a crisi parlamentare eventualmente aperta, sarebbe proporre  al corpo elettorale un rinnovato equilibrio politico che solo il voto espressivo della sovranità popolare potrà sancire.




1 Novembre 2010

Moralisti d'accatto

Non bastava la D’Addario e i continui sbeffeggiamenti dei comici de noantri sulla vita amorosa e sessuale di Berlusconi ché, adesso scoppia il caso della giovane marocchina finita sotto la protezione del Cavaliere.

Repubblica in testa, con il solito D’Avanzo, giornalista di punta che ama scrivere di politica dal buco  della serratura, e, a seguire, tutti gli altri giornaloni e  giornalini,  silenti sui casi degli amici di parte e sempre pronti a dargli al Cavaliere per i suoi, a loro detta, “anomali” comportamenti morali. E in ballo c’è sempre il sesto comandamento.

Inflessibili quando si tratta di un uomo che “ama la vita e le donne”, rispettosi e ossequienti quando si tratta di conclamate abitudini omosessuali o, peggio, diffuse frequentazioni di viados e transessuali di ogni tipo.

E al coro di questi pennivendoli si aggiunge il solito don Sciortino che, dalle colonne di Famiglia cristiana, il settimanale della nostra infanzia in parrocchia tra canonica e sacrestia, ridotto a permanente libello antiberlusconiano, alza il ditino contro il Berlusca, come già fece la “sciura Veronica”, accusandolo di essere un “ ammalato” di sesso e fuori controllo.

Si preoccupasse un po’ di più, l’intransigente monsignore, di ciò che accade tra alcuni suoi confratelli nella nostra amata Chiesa cattolica e un po’ di meno  di ciò che avviene nelle case e nelle alcove di noi poveri diavoli, per i quali, semmai, dovrebbe usare la comprensione propria di coloro che sono deputati all’esercizio del sacramento della confessione, con cui ci si affida alla misericordia di Dio.

I più indecenti, però, restano quelle mammole degli oppositori politici che, anziché contrastare il Presidente del consiglio per i suoi programmi e le scelte del suo governo, ne reclamano, come Enrico Letta, le dimissioni; udite, udite, perché potenzialmente “ricattabile” dalle frequenti ospiti ai suoi banchetti. 

Peggio ancora quello stinco di falso santo del Tonino da Montenero di Bisaccia che si erge a moralista d’accatto, proprio lui con i suoi edificanti comportamenti passati alle cronache, e a giudice di quelli privati del Cavaliere, contro cui, per l’ennesima volta,  annuncia la presentazione di una mozione di sfiducia.

Per non parlare del segretario del PD, On. Bersani, la cui “intransigente opposizione” si misurerà sulla richiesta di indagine per appurare che cosa effettivamente il Cavaliere avrebbe detto in quella telefonata alla questura di Milano a favore della povera Rudy.

Insomma: amare le donne e la vita è un peccato, pubblicizzare la propria omosessualità o transessualità  un dato di fatto da rispettare e guai a chi, come l’amico Buttiglione, osi parlare di devianza e/o di comportamenti discutibili, estranei e collidenti con la nostra concezione della morale personale e familiare.

E, come se non bastasse, Berlusconi rappresentato sempre e comunque come l’archetipo di tutti i mali: caimano, satrapo, indemoniato del sesso. Meglio, molto meglio, vuoi mettere un Nichi Vendola: cattolico romano, col suo orecchino in bella vista per l’orgoglio gay e del tutto inossidabile ai conti sballati dei suoi bilanci regionali. E, allora: sotto con lo sputtanamento quotidiano di giornali, riviste e battute  dei soliti comici ormai  privi di altre cartucce.

La verità è che, incapaci di contrastare il Cavaliere sul piano politico ed elettorale si tenta di rovesciarlo con i soliti giochi del trasformismo parlamentare o, peggio, attraverso la via giudiziaria.

Ed è proprio su questo fronte, quello del rapporto tra politica e magistratura, e sul chi comanda davvero in Italia che si tratterà di capire, una volta per tutte, come stanno le cose e cosa si dovrebbe fare per riequilibrare una situazione nella quale, perduta sciaguratamente la norma sull’immunità parlamentare, si è creata una condizione in cui il parlamento e i suoi componenti, così come il governo, sono sottoposti alla permanente spada di Damocle di un avviso di garanzia o di un tintinnar di manette del solito Pubblico Ministero d’assalto.

Potere unico ed esclusivo, quello della magistratura, lasciato nelle mani di un ordine autoreferenziale, autonomo e senza mai responsabilità delle proprie decisioni, che sta lottando con le unghie e con i denti per impedire anche la più flebile delle riforme della giustizia. Ahimè con Fini e i finiani che sembrano oramai disponibili e pronti allo show down finale.

Bisogna prepararsi a ogni eventualità. E’ questioni di poche settimane, anzi, probabilmente, di pochi giorni.




25 Ottobre 2010

Un lodo a rischio e prove di tradimento

La situazione creatasi negli ultimi giorni è in forte movimento, anche se assai confuso, e, come in una doccia scozzese, si alternano momenti di speranza  e di cocente delusione.

Il Presidente della Repubblica, art.90 della Costituzione alla mano, può rivendicare a buon titolo il suo dissenso contro il ddl sul Lodo Alfano in discussione al Senato, di fatto costringendo, come nel gioco dell’oca, a tornare indietro sino alla tappa di partenza.

In ogni caso, volente o nolente, egli contribuisce, al di là delle successive sementite, a favorire le condizioni di una probabile crisi, dopo l’eventuale decisione della Corte Costituzionale sull’attuale legittimo impedimento e successiva sentenza già scritta dei magistrati di Milano contro Berlusconi.

E, intanto, si rafforzano le attese del solito duo di Bologna con l’annuncio di possibili tradimenti dalla sponda finiana.

Giancarlo Fini, infatti, mette le mani avanti, dichiarando ad Asolo, in un dibattito con D’Alema, che, se chiamato ad assumere un ruolo di leadership, di governo o di più alta carica, magari meno faticosa, non si tirerebbe indietro, ipotizzando anche una “ nuova fase politica” nel caso di una crisi di governo. Una crisi della quale non sarebbe, comunque, uno spettatore passivo,in barba agli impegni assunti con gli elettori.  Nessuno, sino ad ora, tranne ieri l’On Bondi, trova nulla da ridire contro un falso arbitro che scende in campo per giocare anche lui la sua partita.

Casini, intanto, come succede ormai da molti anni, scalda i motori, annunciando a Mogliano Veneto di essere pronto a costituire, in caso d’ implosione del legittimo governo uscito dalle elezioni del 2008, non un governo tecnico, ma, addirittura uno politico. Insomma un vero e proprio ribaltone, attraverso cui costruire un esecutivo capace di affrontare, senza legittimazione popolare, oltre alla nuova legge elettorale, anche le questioni più urgenti del Paese.

Certo con un PD che perde  pezzi a destra  con Rutelli e diversi ex popolari e un Pdl che ha perso Fini e i suoi accoliti e vede spuntare altri cespugli a Sud e a Nord del Paese, nascono molte tentazioni e una spasmodica rincorsa al centro.

Cacciari rompe con il suo partito d’origine e fonda il movimento “Verso il Nord” e si confronta a Mestre con il ministro Sacconi. I due si “annusano, come  ha dichiarato il  senatore trevigiano, e discettano su eventuali futuri collegamenti tra i riformisti dei due schieramenti.

Galan, invece, lasciato libero il suo fedele scudiero, Franco Miracco, di seguire il   filosofo  veneziano nella nuova avventura, molto coerentemente dichiara di restare fedele al movimento in cui milita da oltre sedici anni e per il tempo che potrà ancora durare, pronto a ritirarsi dalla politica se e quando questa esperienza con Berlusconi finisse.

Il Cavaliere, invece, da un lato, vista l’ultima sortita di Napolitano, annuncia alla stampa tedesca e italiana di non aver mai chiesto personalmente lodi e scudi giudiziari, pur denunciando l’oggettivo accanimento contro di lui di una parte politicizzata della magistratura che dura dal tempo della sua discesa in campo, e, dall’altro, conferma  la sua  ricandidatura in caso di elezioni anticipate.

Da parte nostra, di fronte a questi scenari confusi, non ci resta che concorrere nella ricomposizione delle fila oggi frantumate di quanti si ritrovano accomunati dagli stessi ideali popolari e di dimostrare sin dalle prossime scadenze politiche e amministrative che ci siamo.




18 Ottobre 2010

Dal predellino al trampolino: per il Pdl un salto nel vuoto?

Tira una brutta aria a Roma come in diverse realtà locali.

La manifestazione nazionale della FIOM CGIL di Sabato  ha messo in evidenza, oltre alla profonda spaccatura sindacale, i limiti e le contraddizioni di un’opposizione divisa tra la prospettiva di una larga coalizione antiberlusconiana, da Di Pietro a Vendola e Casini e le pulsioni estremiste che, oltre ad allontanare ogni possibilità di alleanza con il leader dell’UDC, spezzano la stessa unità  del Partito Democratico, all’interno del quale s’alza il disagio degli ex Popolari di Fioroni.

Non meno brutta è l’aria che tira nella maggioranza. Continua senza soluzione  la persecuzione giudiziaria contro Berlusconi e le sue società, quasi che l’unica realtà imprenditoriale oggetto delle attenzioni dei PM delle procure milanesi e romane sia quella del Cavaliere, mentre il gruppo finiano resta fermo nella sua tattica di logoramento, in attesa della prossima sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento da cui si spera giungano conseguenze per il presidente del Consiglio e il suo governo.

I giorni scorrono veloci e Calderoli per la Lega  dà vita all’ultimo tattico tentativo di far incontrare Bossi e Fini con Berlusconi, formale riconoscimento di una maggioranza a tre che sembrava impossibile sino alla formazione del gruppo autonomo dei finiani. Dal “predellino” al “trampolino”, come ha chiamato quest’ultimo passaggio il ministro bergamasco, con il rischio di un salto mortale e la fine del governo.

Certo la maggioranza è stata raggiunta e rafforzata numericamente con il recente voto sulla fiducia, ma la sua sopravvivenza è finita nelle mani di un movimento, quello finiano, che, mentre predica lealtà, si prepara a logiche alternative sebbene ancora  prive di palese identità.

Il malessere è forte nel governo. Le difficoltà collegate alla crisi economica e ai limiti imposti all’Italia dalle regole finanziarie europee impediscono di attuare quelle scelte di programma su cui gli italiani avevano concesso una così larga fiducia alla coalizione di centro destra.

Il ministro Tremonti in una seduta lampo e senza discussione del consiglio dei ministri il 14 ottobre scorso, ottiene una fittizia unanimità sulla manovra triennale finanziaria 2011-2013, tra i silenzi e i mugugni repressi, l’assenza forzata del ministro Bondi e l’imprevista e incontrollata dichiarazione di Galan all’uscita da Palazzo Chigi sulla “tragedia” di una situazione in cui non ci sono più soldi per nessuno.

Ancor più grave ciò che sta accadendo all’interno del Pdl non solo a Roma, dove anche La Russa, sentita l’aria di contestazione, minaccia la nascita di un altro gruppo autonomo, ma in molte altre parti della periferia, dai casi della Sicilia, con il nuovo gruppo autonomo di Miccichè, a quelli della Sardegna agitata dalle manovre della pattuglia degli amici dell’On Pisanu.

Una riunione del coordinamento regionale veneto del Pdl, dopo la recente intervista dell’ex governatore Galan al Corriere della sera, si è conclusa venerdì scorso in un coro di generale frustrazione e senso di impotenza, mentre diventano sempre più consistenti le minacce di liste autonome federate alle prossime elezioni amministrative.

Insomma crisi economica e crisi sociale e occupazionale s’intrecciano con una situazione politico partitica di grande fibrillazione in entrambi gli schieramenti .

Meno male che una voce di speranza  giunge dalla 46^ settimana sociale dei cattolici italiana che ha concluso i suoi lavori domenica 17 ottobre a Reggio Calabria. Erano in 1200 i delegati riuniti per discutere sul tema: “ Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”.

Come nel 1945 furono i cattolici che contribuirono in maniera decisiva alla redazione della Carta Costituzionale, con la prima Settimana sociale del dopoguerra (Firenze 22-28 ottobre 1945) dedicata al tema “ Costituente e Costituzione”, così ancora una volta è dal mondo cattolico che giunge una voce di speranza con alcune proposte concrete, a partire dalla necessità di una riforma della legge elettorale e dello stesso sistema  organizzativo  dei partiti, mentre Papa Benedetto XVI rinnova l’invito all’impegno politico dei cattolici, alla loro fondamentale unità sui valori non negoziabili e il fervido auspicio di una generazione nuova di cattolici capaci di assumere le proprie responsabilità in ogni settore dello spazio pubblico.

E’ la stessa pressante preoccupazione che da molto tempo anche noi viviamo e per la quale intendiamo dedicare le nostre residue energie.




11 Ottobre 2010

E' tempo di ricomposizione

A St Vincent si è tenuto il primo di una serie di incontri con cui i democristiani del Pdl intendono riaffermare il valore della tradizione politico democratico cristiana all’interno del Popolo della libertà.

Organizzato dal ministro Gianfranco Rotondi il convegno ha visto la partecipazione dei ministri Fitto, Brunetta, Ronchi e Giovanardi, degli onn. Quagliariello, Cicchitto e Gasparri e dei componenti del governo Onn. Pizza e Giachino.

Sono intervenuti anche gli Onn. Lillo Mannino, Paolo Cirico Pomicino, Emerenzio Barbieri, Mauro Cutrufo, Domenico Fisichella,  Stefano Caldoro, Tommaso Zanoletti e Vito Bonsignore.

A far gli onori di casa l’assessore regionale lombardo, Domenico Zambetti.

Da tutti è stata affermata la necessità di portare avanti con determinazione i cinque punti presentati dal presidente del Consiglio Berlusconi, il quale è intervenuto con il suo messaggio, letto nella giornata di domenica 10 ottobre, evidenziando soprattutto il suo disappunto per le difficoltà attraversate negli ultimi mesi, non già nella politica del governo, quanto piuttosto nella vicenda interna del partito. Se ci sono stati errori politici ha detto Berlusconi non sono stati fatti nel governo, ma nel partito.

L’avvenuta costituzione del nuovo gruppo parlamentare dei finiani, di fatto, la terza gamba della maggioranza  di governo, impone una seria riflessione sulla strategia e la tattica sin qui seguita dal Popolo della Libertà, che dovrà ancor di più riaffermare il suo carattere di autentico di partito del centro riformatore aperto alla collaborazione della destra democratica.

A St Vincent l’On Mannino, intervenuto all’indomani della  partecipazione al convegno dell’On Saverio Romano, segretario regionale  dimissionario dell’UDC siciliano e cofondatore del nuovo gruppo dei Popolari per l’Italia, ha esposto le ragioni dell’avvenuta rottura con il partito di Casini, nel momento in cui il leader bolognese ha deciso di abbandonare la linea di un centro equidistante dai due poli, per assumere quella di un’alleanza con la sinistra per lucrare la possibilità di una fittizia leadership, come già fece l’on Prodi.

Ricordato che nel recente dibattito alla Camera e al Senato il neonato gruppo dei Popolari per l’Italia ha espresso fiducia al governo, Mannino ha affermato che il nuovo gruppo, pur non entrando nel Pdl, manterrà un atteggiamento di vigilante attesa interessato a costruire il partito dei moderati con quanti si riconoscono nel PPE.

Posizione quest’ultima affermata con grande determinazione anche dal sottoscritto, a nome degli amici di ALEF, l’Associazione dei Liberi e Forti, nella convinzione che sia giunto il tempo di affermare ancor più nettamente il carattere di centro del Pdl, nel quale la tradizione, la cultura e i valori del popolarismo sturziano e degasperiano dovranno essere quelli prevalenti. Ciò vale per un partito che voglia concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE, in cui possano confluire le altre tradizioni popolari, del liberalismo politico e dei riformisti laici e socialisti anticomunisti, con quelli della destra democratica che intendono riconoscersi nei programmi e negli obiettivi del Partito Popolare Europeo.

Precondizione essenziale affinché questo processo possa svilupparsi è il superamento della diaspora democristiana che ha caratterizzato la lunga stagione della transizione dalla Prima alla Terza Repubblica, partendo  dal superamento delle divisioni fra le conventicole interne ad personam esistenti nel Pdl, avendo  piena consapevolezza che la nostra maledizione è stata e continua ad essere, se non viene superata, la frammentazione.

In questo senso gli interventi di tutti gli esponenti di ispirazione democratico cristiana sono stati concordi nell’affermare questa necessità. Scelta ribadita nel recente incontro degli Onn Rotondi e Giovanardi con il presidente del consiglio, durante il quale è stata confermata l’esigenza di dare visibilità alla componente democristiana a tutti i livelli del partito.

Si tratta ora:

a)     di passare dalle parole ai fatti, a cominciare dal superamento dell’ormai conclusa  fase della regola del 70-30, penalizzante per la nostra presenza politica;

b)    di dar seguito alla volontà di  concludere il tesseramento e di fissare nuove regole per la convocazione immediata dei congressi a livello locale, provinciale  e regionale.

Senza una profonda riorganizzazione del partito sul territorio non è pensabile di poter contrastare efficacemente la concorrenza della Lega al Nord e l’avvio  di una pericolosa frammentazione di liste e listini nel meridione.

Il tempo, pur necessario e positivo, della sola leadership carismatica, durato straordinariamente per quindici anni, se non è scaduto, sta fatalmente per scadere. Al carisma del Cavaliere, fortunatamente ancora forte, , bisognerà accompagnare la realtà strutturata di un Partito destinato ad assumere il ruolo di capo fila della costruenda sezione italiana del PPE.

Come Aldo Moro trentacinque anni orsono, tra le elezioni amministrative del 1975 e quelle politiche del 1976, comprese che erano ormai maturate le condizioni per il passaggio alla “terza fase”, così oggi si impone al Cavaliere e al gruppo dirigente del Popolo della Libertà di definire una nuova organizzazione del partito, in cui le diverse espressioni culturali di provenienza trovino un comun sentire, al di là della pur decisiva capacità di attrazione  carismatica  del leader, nella carta dei valori del PPE. Dal troppo di prima dei partiti non si può restare fermi al troppo poco di adesso.

Se ciò vale per tutto il Pdl, deve valere ancor di più per coloro che si riconoscono nei valori e nella tradizione politica democratico cristiana.

Non è più tempo di conventicole e di gruppi di riferimento personali. Dalla diaspora e dalla scomposizione bisogna passare a quello della ricomposizione senza aver paura di nominare quella parola da molti disprezzata, ma inevitabile in un partito che abbia la giusta vocazione maggioritaria; ossia la nascita della corrente dei democratici cristiani nel Pdl, pronta a dialogare con quanti intendono, dentro e fuori del partito, concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE.

Incontri regionali sono già stati annunciati a tal fine dagli Onn Giovanardi, Pizza e Rotondi. A Novembre  ci si ritroverà in Campania e a Dicembre  a Roma. In attesa che si dia finalmente il via alla celebrazione dei congressi in sede locale. A Salerno, alla fine di Novembre, non ci saranno più i gruppi degli amici dell’On Giovanardi e di Rotondi, ma nascerà il gruppo dei Democratici cristiani del Pdl.




1 Ottobre 2010

Maggioranza precaria, ribaltone impossibile

Tutto è incominciato, almeno formalmente, da quella direzione del 22 aprile che ha segnato il momento di rottura frontale tra Berlusconi e Fini, dopo settimane e settimane di silenzi, rotti qua è là da dichiarazioni pubbliche e private, alcune finite inevitabilmente sui blog televisivi, a dimostrazione di una crescente insoddisfazione e del covare di un progetto non ancora del tutto esplicitato.

Errori di calcolo degli ex colonnelli finiani nella conta dei ribelli farefuturisti ed errore anche in quella dei possibili spostamenti nel voto su una fiducia forzata che ha reso evidenti alcune verità:

la maggioranza è più ampia di quella conseguita al momento della formazione del governo Berlusconi all’indomani delle elezioni politiche del 2008, ma adesso ci sono quattro gruppi a comporla. Oltre al Pdl e alla Lega, il neonato gruppo di NOI SUD e, fatto politico emergente, la risoluzione di appoggio congiunta firmata dai finiani e dai deputati del MPA, di fatto, detentori della golden share che può decidere le sorti del Cavaliere e del suo governo.

Al Senato, invece, la maggioranza è solida anche senza i finiani, e, dunque: maggioranza instabile, ma il ribaltone è impossibile.

Con la sconfitta di Veltroni nel PD e la rottura di Fini salta il bipolarismo forzato uscito dalle elezioni  e si apre uno scenario politico totalmente nuovo e diverso . 

Un Parlamento che si era caratterizzato come il più bipolare di tutta la storia italiana, con oltre il 70 % dei suoi componenti espressi dai due maggiori partiti, il Pdl e il PD, si è trasformato in una Camera sfarinata con un potere di gruppi e gruppetti in grado di spezzare qualsiasi trama, senza che appaia una strategia in grado di offrire soluzioni ai tanti problemi in cui versa il Paese.

L’illusione coltivata da Casini e da Franceschini, subito passati all’incasso da Fini, con la richiesta di porre all’odg delle commissioni competenti la discussione sulla nuova legge elettorale, deve fare i conti :

a)    con l’On Di Pietro, protagonista Giovedì scorso di un inverecondo show mai visto in tutta la storia parlamentare italiana che, temendo la nuova concorrenza congiunta dei grillini e dei fillini, punta tutte le sue carte sul voto anticipato

b)   con un Presidente della Camera, maschera espressiva di un’ambiguità politica resa ancor più insostenibile dopo le  vicende tragicomiche di Montecarlo e dintorni.

c)    Con le difficoltà a costruire un ubi consistam nello squinternato circo Barnum dell’ipotizzata coalizione antiberlusconiana. E, soprattutto, con i numeri del Senato che impediscono le solite manovre di palazzo.

Difficile che si possa reggere in questa situazione con una maggioranza lacerata, tenuta insieme più dalle convenienze pelose e dalla tattica del cerino da lasciare in mano all’ultimo responsabile dell’eventuale fine anticipata della legislatura e da una minoranza composita che, fino a ieri, si è guardata bene dal chiedere le elezioni anticipate.

A Berlusconi e alla Lega, al punto in cui sono giunte le cose, sono possibili due scenari:

1)   continuare con l’azione di governo e verificare sui singoli provvedimenti legislativi a partire da quelli dirimenti (Giustizia e federalismo fiscale) la coerenza e la tenuta della fragile maggioranza alla Camera e, alla prima votazione negativa, chiedere le elezioni;

2)   ricercare un’intesa con il PD e con Casini su una legge elettorale condivisa in cambio dell’approvazione dei decreti sul federalismo fiscale e sul Lodo Alfano costituzionale.

Certo il pasticciaccio brutto della Sicilia, pagina nera di un trasformismo politico nemmeno lontanamente assimilabile a quello depretisiano d’antan e allo stesso milazzismo togliattiano, in cui si sono cacciati con il mutevole Lombardo, Casini e Fini non facilita questo tentativo di accordo. E, d’altronde, se qualche sciagurato pensasse di ipotizzare per il governo del Paese una soluzione del tipo di quella adottata in Sicilia, il rischio che correrebbe l’talia sarebbe quello della secessione, stavolta non  prodotta dalla Lega, ma dalla follia di coloro che pensassero di poter governare l’Italia senza e contro il Nord del  Paese.

Con elezioni non improbabili a Marzo, anche se tutti sono pronti a gettare acqua sul fuoco e a smentire, pendenti i processi di Milano e il possibile annullamento dell’attuale lodo Alfano, il Cavaliere rischia grosso. Servirà una grande capacità di proporre soluzioni di governo popolari, a partire dal fisco, e per quanto ci riguarda tentare di rafforzare la componente di ispirazione popolare e democratico cristiana, oggi assai negletta (basta osservare il tavolo dei convitati attorno al premier alla vigilia del voto di fiducia a Palazzo Grazioli per discutere del testo del discorso, dove la rappresentanza democristiana era ridotta a zero) rilanciando alla grande il progetto della  costruzione della sezione italiana del PPE, una delle incompiute politiche di questi due anni e mezzo dal voto del 2008.




27 Settembre 2010

Crisi di maggioranza o crisi di sistema?

Seguito il video dell’On Gianfranco Fini di Sabato sera siamo rimasti alquanto perplessi:  ammette di aver svenduto la casa attraverso una società  off shore , poiché, dice lui, a Montecarlo è prassi normale, ma non sa, povero ingenuo,  chi sia l’acquirente. Eppure è stato fatto tutto in famiglia.

Se e quando lo saprà e se fosse, come sostengono a Santa Lucia, il suo “cognato”, Giancarlo Tulliani, si dimetterebbe dalla carica di Presidente della Camera.

Certo, come l’On Fini ha puntualizzato,  nel caso di Montecarlo non ci sono reati in gioco di concussione o corruzione, anche se di fronte alla magistratura romana è in ballo quello di truffa aggravata. Tuttavia, cosa che l’On Fini dimentica, la colpa più grave che gli viene addebitata è quella di natura politica e morale verso i suo ex compagni di partito e in primis, verso quella contessa Colleoni, che  donò la casa al partito per continuare “la buona battaglia”.

Resta la parte finale tutta politica aperta a un tentativo, l’estremo, di possibile ritorno a un confronto, anche se duro, con il presidente del consiglio con il quale si augura di condividere l’impegno per continuare a far vivere la legislatura.

In realtà a me sembra che, a questo punto, non sia più in ballo solo la tenuta della maggioranza e della XVI legislatura. Qui è in gioco la tenuta dello stesso sistema democratico così come lo abbiamo conosciuto e che si sta trascinando senza sbocchi positivi, dalla fine della cosiddetta prima repubblica.
E’ difficile non riconoscere che, se si è arrivati a questo punto, la responsabilità è tutta interna al centro destra, nel quale è evidente il ruolo giocato dal gruppo finiano  a sfasciare la maggioranza

Per quante ragioni l’On Fini avesse nel reclamare un partito diverso da quello che, peraltro, aveva accettato di sottoscrivere con l’assurdo statuto votato al congresso fondativo del Pdl del marzo 2009, la decisione di costituire un gruppo parlamentare distinto e in contrapposto a quello con cui era stato eletto, ha determinato una situazione politico parlamentare che, comunque finisca la votazione del 29 settembre prossimo, è destinata, più prima che dopo, ad esplodere.

E tutto ciò nel momento in cui non è pronta alcuna alternativa credibile. Siamo, infatti, uno dei pochi Paesi dell’Occidente che, in presenza di una crisi evidente della maggioranza, non esiste una minoranza capace di chiedere di imboccare l’unica strada alternativa in queste circostanze: le elezioni politiche anticipate.

E non lo fa, non tanto o non solo, per l’oggettiva situazione di estrema delicatezza economica e finanziaria in cui versa l’Italia, quanto per un’incapacità a costruire un sistema di alleanze e una leadership credibile in grado di confrontarsi con quella del centro-destra a guida berlusconiana. Insomma un’autentica crisi di sistema: rottura traumatica della maggioranza e assenza di un’alternativa.

Di qui la gran voglia di un eventuale governo di transizione per la modifica della legge elettorale, nella convinzione che passi di lì la soluzione della crisi di sistema.

Certo, se si tornasse al metodo proporzionale non c’è dubbio che si ricostruirebbe immediatamente una forza di  centro. Anziché andare avanti, si rischierebbe, però, di tornare indietro ai vecchi riti dei governi costruiti ex post elezioni dalla durata corta sottoposta ai mutevoli equilibri parlamentari.

Senza una riforma costituzionale che accompagni anche quella della legge elettorale non c’è sbocco alla crisi di sistema.

Sono fallite ben tre bicamerali (Bozzi, 1983-85; De Mita-Jotti, 1992-94; D’Alema,1997-98)  su questo obiettivo  e, con un referendum infausto, è stata bocciata la proposta di modifica dell’art V così come era stato votato dal centro sinistra, tuttora vigente, e annullata l’unica possibilità che si aveva di cambiamento significativo del sistema.

A questo punto, senza la possibilità di una modifica della legge elettorale, se non per cambiamenti parziali, quale l’introduzione della/delle preferenza/e per la scelta degli eletti, non resta che cercare di approvare il massimo delle riforme condivise e, quindi, chiedere agli elettori di garantire una forte maggioranza alla coalizione che saprà proporsi capace di assicurare un cambiamento di sistema compatibile con le cose nuove che sono già accadute e stanno accadendo all’interno e all’esterno dell’Italia.

Il tempo che ci separa da questa scadenza dipenderà da come si concluderà il dibattito e, soprattutto,  il voto sui cinque punti di programma che Berlusconi discuterà alla Camera il prossimo 29 settembre e dalle decisioni legislative e di governo conseguenti.




20 Settembre 2010

Le attese della povera gente

Al tempo della Prima Repubblica non mancavano quelli che rubavano per il partito. I comunisti, come con il compagno Greganti, dicevano che lo facevano per sé e così salvarono il partito. I socialisti e i democristiani dicevano che lo facevano per il partito, ma, si sa, “tenevano famiglia”, e qualcosa, in taluni casi il prevalente, veniva trattenuto per sé. E finirono travolti loro e i loro partiti.

Da quel che sta emergendo in questi giorni sembra che, nella cosiddetta seconda Repubblica, i furbetti della politica, quando rubano o  approfittano del potere di cui dispongono, lo facciano esclusivamente per se stessi,  anche perché i partiti, largamente sostenuti dai fondi pubblici, ossia da tutti noi contribuenti, non ne hanno più bisogno.

Succede che qualcuno si ritrovi proprietario di una casa, quasi a sua insaputa, come lo smemorato di Collegno e, altri, che nel silenzio più assordante, veda beni destinati alla “buona battaglia” trasferiti nella disponibilità dei famigli.

Insomma, anche sul piano dei comportamenti, la moralità pubblica, già molto bassa alla fine della prima repubblica, sembra giunta al punto morto inferiore.

La gente non ne può più di politici strapagati, troppo numerosi e assai poco produttivi, oltre che rappresentativi solo di se stessi e dei capi che li hanno nominati . Al riguardo credo che un referendum per chiedere l’annullamento delle attuali norme che regolano gli stipendi di parlamentari e consiglieri regionali, per allinearli alla media degli emolumenti garantiti ai loro pari in Europa, sarebbe quanto mai opportuno.

Tutto ciò, specie in un  momento di forti difficoltà economiche delle nostre aziende e di molte famiglie, come rivelano i dati sulla calo dei consumi interni.

Aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, con forte riduzione dei salari, crisi e chiusura di molte aziende, sono  le cause prevalenti  di questa contrazione.

E chi deve vivere con 500 €, la maggioranza dei pensionati,  o poco più di 1000 €  al mese, la maggior parte di operai e impiegati, non può che considerare scandalosa e intollerabile la condizione di parlamentari e consiglieri regionali dagli stipendi mensili dai 10.000 euro in su, con l’aggiunta di vari benefit al limite dell’intollerabile.  Si pensi solo alle oltre 500.000 auto blu accertate dal ministro Brunetta e l’indennità del funerale di 5000 € in dotazione ai deputati della Regione Sicilia!

Sarà bene che il governo si faccia carico di questa situazione, come quella di un’evasione fiscale giudicata dalla Confindustria a livelli “ sbalorditivi” .

Dopo la lenta flessione del 2001-2007, l'incremento dell'evasione fiscale "e' bruscamente accelerato" nel 2009, tanto che il suo peso ha oltrepassato il 20% del pil, hanno sottolineato dal Centro studi  Confindustria .

Non solo, da Viale dell'Astronomia hanno corretto nettamente al rialzo le valutazioni rilasciate precedentemente sull'importo, che ora va proiettato su valori molto superiori ai 125 mld euro indicati a giugno. Un fenomeno sempre più radicato nel Mezzogiorno, dove i valori sono il doppio di quelli registrati nel Nord della Penisola. Una posizione che ha fatto storcere il naso all'Agenzia delle entrate: "Dispiace che Confindustria affermi che l'evasione ha raggiunto livelli sbalorditivi", hanno replicato dagli uffici di Attilio Befera, "senza riconoscere lo sforzo messo in campo tutti i giorni dall'Agenzia delle entrate". Mai come in questi anni, hanno proseguito da Via Cristoforo Colombo, "il recupero di quanto sottratto alle casse dell'erario ha toccato livelli mai raggiunti in passato".

E non e' mancato uno strale indirizzato agli industriali. L'Agenzia "avrebbe bisogno di un cambiamento culturale", possibile solo con la collaborazione e il supporto delle parti sociali.

In questo ping pong di cifre e diverse valutazioni, noi poveri contribuenti sappiamo, di certo, che c’è solo una parte del Paese e dei ceti sociali che paga le tasse sino in fondo: sono quelli  che vivono da redditi di lavoro dipendente o autonomo fiscalmente accertabile. E che, come al tempo del Regno dei Borbone, il sistema fiscale italiano si basa ancora, ora come allora, sui gabellieri. Un tempo al soldo del Re di Napoli, oggi impersonati dai datori di lavoro, che prelevano per conto dello Stato le tasse sulle buste paga dei loro dipendenti alla fonte e dai distributori di benzina, autentiche pompe in grado di assicurare in tempo reale la liquidità del sistema.

E sappiamo anche  che, così come stanno le cose, sono solo cinque le Regioni che danno allo Stati centrale di più  di  quello che ricevono: Piemonte,Lombardia,Veneto, Emila Romagna e Lazio.

Tutto ciò non può durare. Senza il federalismo fiscale e un nuovo sistema di tassazione che veda gli enti locali protagonisti in prima persona dei prelievi e non solo delle spese, insieme alla possibilità di garantire il contrasto di interessi tra fruitori e fornitori di beni e servizi,  i cui costi possano essere inseriti nella dichiarazione dei redditi, ci sarà sempre un’ eccessiva quantità di “furbi” che evadono le tasse.

Non so come finirà dopo il discorso di Berlusconi il 29 Settembre in Parlamento. So di sicuro che, se non si risolvono queste essenziali questioni, nessun governo è destinato a durare e il Paese a sopravvivere all’urto delle cose nuove che porta con sé la  globalizzazione.




13 Settembre 2010

Unica la strategia, doppia la tattica

E’ unica la strategia: o una maggioranza coesa in grado di realizzare il programma o elezioni anticipate. Doppia, invece, la linea tattica affidata ai due leader, Berlusconi e Bossi secondo la formula del : “marciare divisi per colpire uniti”.

Nei prossimi giorni sapremo se e quanto potrà durare questa legislatura.  Intanto si smorzano i toni polemici e le colombe sembrano prevalere sui falchi.

Si tratterà di verificare se e come Gianfranco Fini riuscirà a destreggiarsi in questo anomalo e inusitato doppio salto mortale, tra esercizio della sua funzione notarile di presidente e quella più coinvolgente di capo partito.

Certamente, come ha sottolineato il presidente Schifani, nessuno può togliergli quanto una maggioranza parlamentare gli affidò, all’indomani delle elezioni politiche del 2008.  Resta il dato di fatto di una situazione mai nemmeno lontanamente  ipotizzata dai  padri costituenti; quella di un presidente di garanzia non più super partes, ma direttamente coinvolto nella battaglia politico parlamentare.

Per l’On Fini  dovrebbero valere gli esempi fulgidi di Saragat e Pertini, allorché si ritrovarono nella sua  medesima situazione. Per ora, l’ex leader di AN, non sembra intenzionato a mollare. Né Berlusconi  intende affrontare il tema nel suo annunciato discorso al Parlamento di fine mese.

Adesso, però, il tema più immediato è la verifica dell’esistenza di una maggioranza coesa in grado di garantire, senza strumentali logoramenti, l’attuazione del programma.

Berlusconi si dichiara ottimista. Alcuni ministri addirittura prevedono una maggioranza ancor più vasta di quella che ha dato vita al governo, prefigurando scenari  nei quali, annullata la capacità di interdizione finiana, si potrebbero realizzare nuove ipotesi interessanti sul piano politico e parlamentare.

Decisivi i rappresentanti dei gruppi minori e le decisioni dell’UDC, o, di alcuni suoi uomini.

A favore della tattica berlusconiana, rientrata, almeno per l’immediato, la minaccia di un voto di  sfiducia al governo da parte leghista per accelerare il voto a Novembre, lavora anche la forte contrarietà di quei parlamentari che sentono fortemente a rischio, con la pensione, la stessa possibilità di essere rieletti in caso di anticipata consultazione elettorale.

Si è iniziato un tiro alla fune tra Pdl e gruppo finiano con profezie destinate alla verifica nei prossimi passaggi parlamentari.

In crisi la leadership di riferimento sarkoziana in Francia e orientata la scelta del  gruppo finiano europeo verso la componente liberal conservatrice, acquista ancor più valore quanto da tempo andiamo sostenendo: la necessità di ricomporre  quanti, ispirandosi ai valori del popolarismo sturziano e degasperiano, declinati secondo gli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate”, si ritrovano nei principi e negli obiettivi indicati dalla Carta dei valori del Partito Popolare Europeo.

In questa prospettiva guardare all’esperienza lombarda di Roberto Formigoni, in cui si è saputo coniugare la tradizione del solidarismo cristiano, con quella socialista, liberale e democratico nazionale, con le istanze del federalismo leghista, orientate a realizzare il massimo di sussidiarietà in un’efficace ed efficiente azione di  governo, sarebbe quanto mai utile ed opportuno anche per il futuro.




6 Settembre 2010

Elezioni più vicine?

Dopo il discorso di Fini a Mirabello  le elezioni sembrano più vicine.

Per il Presidente della Camera, assurto a leader di un nuovo raggruppamento parlamentare in cammino verso la formazione di un nuovo partito, “  non c’è più il Pdl, ma c’è il partito del predellino”. Affermazione netta che toglie ogni residua possibilità di ricomposizione della frattura intervenuta  nel partito di maggioranza.

Si tratta ora di capire se e quanti seguiranno sino in fondo Fini nella sua nuova avventura.

Se è vero che: “ si va avanti senza ribaltoni o ribaltini, senza cambi di campo. E senza atteggiamenti che possano dare in alcun modo agli elettori la sensazione che noi si abbia raccolto voti nel centro destra per poi portarli da qualche altra parte”, come ha affermato il presidente della Camera sul palco di Mirabello, bisognerà vedere se questo nuovo patto di legislatura offerto da Fini a Berlusconi ha possibilità di realizzarsi e di durare nel quotidiano confronto parlamentare.

Saranno i cinque punti del programma per il rilancio dell’azione di governo il terreno su cui si misureranno le coerenze e la stessa capacità di sopravvivenza della maggioranza. Le parole ora sono a zero: contano i fatti e conteranno i voti che concretamente saranno espressi dai deputati e dai senatori  in Parlamento.

Restare a metà del guado con un gruppo parlamentare e senza aver annunciato formalmente la nascita di un nuovo partito, non è una situazione destinata a durare.

E’ evidente che naturale sviluppo del discorso finiano di Mirabello sarà la nascita di un nuovo partito. Più difficile sarà passare dagli slogan e dai rancorosi riferimenti emersi sul palco del  piccolo comune ferrarese, alla messa insieme delle diverse sensibilità che già ora si ritrovano nel composito raggruppamento finiano in cui, per adesso, appare piuttosto una grande confusione di idee e di concrete strategie politiche.

A Berlusconi e a Bossi il compito di valutare come rispondere alla mossa di Fini., la cui unica preoccupazione è di evitare un confronto elettorale a breve, a rischio elevatissimo per il suo movimento allo statu nascenti. Ai parlamentari che si ritrovano nel gruppo che fa riferimento al Presidente della Camera la responsabilità di decidere con il loro voto l’eventuale crisi di governo.

Questa è la sostanza che si ricava dal discorso di Mirabello in cui non sono mancati condivisibili riferimenti sulla necessità di maggiore partecipazione e libero dibattito nel Pdl e nei partiti, come a quella di dare agli elettori la possibilità di scelta dei e  tra i candidati, o nell’affermata volontà di por mano alla vexata quaestio del quoziente familiare in tema di riforma fiscale. Ciò che prevaleva, tuttavia, era un clima di sostanziale volontà di distinguo e di contrapposizione con Berlusconi e con la Lega.

Per tutto il comizio ho sofferto l’insopportabile ipocrisia di un leader che, mentre reclamava il voto sul disegno di legge per la responsabilità nei comportamenti dei politici e per il codice etico dei gestori di organi istituzionali, non solo non dava alcuna risposta alle otto domande che da oltre un mese gli vengono rivolte sulle disinvolte operazioni immobiliari di Montecarlo e della sua famiglia, ma riduceva le risultanze di quelle rigorose indagini giornalistiche ad una sorta di “lapidazione islamica” verso di lui e i suoi congiunti.

Con quale coraggio, poi, ha potuto reclamare la meritocrazia per i giovani  e la lotta al precariato, lui che è stato responsabile di assai deplorevoli favoritismi verso  il  cognato e famigli per importanti incarichi RAI, al di fuori di ogni specifica competenza?

Credo che adesso sarà ancor più difficile per Fini conservare il suo ruolo istituzionale di Presidente della Camera, nel momento in cui si è definitivamente rivestito di quello di capo partito. In caso di crisi come si comporterà nei colloqui con il Capo dello Stato quando sarà  chiamato a rispondere sul dilemma: elezioni SI- Elezioni No? Difficile resistere in questa doppia parte in commedia, mentre, se veramente vorrà evitare il salto della quaglia fuori del centro destra, lo si vedrà a breve. Basterà attendere i prossimi giorni e le prossime sedute parlamentari. A naso mi pare che le elezioni siano più vicine.




1 Settembre 2010

La torrida estate ed il compromesso storico - dialogo semiserio tra Sancho Panza (Bartolo Ciccardini) e Don Chisciotte (Ettore Bonalberti)

Durante il viaggio intrapreso per la Festa di Nostra Signora del Rosio, che in quell’anno si teneva per  il giorno dell’Assunzione a Torremolina, Don Chisciotte el Senor de la Mancha ed il suo fido Sancho Panza si fermarono ad Interrios, accampati alla meglio sotto un folto carrubo. Dopo aver consumato il frugale pasto di tortilla ed olive nere, l’astuto Sancho comincio a provocare il Signore della Mancha:

Sancho Panza:
“Illustre cavaliere, cosa dobbiamo pensare di questa estate, orribile nel clima e nelle storie politiche?”

Don Chisciotte:
“Con il voto di Mercoledì 4 Agosto sulla sfiducia all’On Caliendo,  (299 contrari, 229 favorevoli e 75 astenuti) si è salvato un sottosegretario, ma si è perduta la maggioranza alla Camera. Di fatto il governo è virtualmente in crisi, anche se non esistono soluzioni possibili alternative, dato  che al Senato permane una maggioranza Pdl-Lega difficilmente rovesciabile dai giochi dei soliti furbetti (Casini, Rutelli, D’Alema), tutti figli ed eredi dei partiti della Prima Repubblica”.

S.P.
“Mi pare di ricordare che anche il saggio dottor Prodi, della nobile Università di Bologna, aveva perduto la maggioranza al Sento, ma non alla Camera a causa della orribile legge elettorale. Ed anche allora si parlò di un possibile governo di transizione per cambiare la legge elettorale e quando tale promesse non fu mantenuta, il cavalier Berlusconi, offeso dalle proteste del signor Casini, lo cacciò dalla sua illustre coalizione. Non si potrebbe fare ora quello che non si volle fare allora, con le conseguenze che abbiamo visto a causa della pestilenziale legge elettorale?”

D.C.
“Un Governo formato da Di Pietro, Vendola, Bersani, Casini, Rutelli e Fini solo per cambiare la legge elettorale contro il Pdl e la Lega : è questo che si intende realizzare contro la volontà della maggioranza degli italiani in base alla quale anche il gruppo dei finiani furono eletti al Parlamento? E dopo, che succede?”

S.P.
”Anche i nobili Mastella e Dini, che il Cavalier Berlusconi acquistò assieme a Pato, erano stati eletti con il nobile dottor Prodi e furono accolti dalla opposizione, contro la volontà della maggioranza degli italiani in base alla quale erano stati eletti in Parlamento. E l’ unico ribaltone che mi viene in mente dopo quello operato dal prode Bossi di Giussano nel 1994.”

D.C.
”Confermato l’accordo tra Pdl  e Lega non si intravvedono ipotesi politico parlamentari in grado di rappresentare un blocco sociale, economico, politico e culturale espressione di una reale maggioranza, nel e del Paese. Il rischio che corriamo è che, con l’attuale porcellum e il meccanismo particolare per il voto al senato con premi su base regionale, si possa avere un Nord a netta dominanza Pdl-Lega, con una Lega ancor più irrobustita ed espansa oltre il fiume Po, un Centro a maggioranza del centro-sinistra e un Sud, la vera incognita, dove il centro-destra senza Fini e Casini rischia di brutto.

In tutti i casi un’Italia lacerata che a quel punto rischia oggettivamente, come vado da tempo temendo, non la successione a Berlusconi ma la secessione del Nord del Paese.”

S.P.
“Ma se il pericolo di andar alle elezioni con questa legge elettorale è cosi grande e disastroso, perche rifiutare una tregua contrattata, una sorta di armistizio, come da tempo chiede il signor Presidente della Repubblica, al fine di fare una nuova legge elettorale? Io so che la vostra Signoria è favorevole al modello tedesco che è un compromesso fra maggioritario e proporzionale.”

D.C.
“Ci fossero altri dirigenti nel PD e non gli attuali gnomi, dovrebbero avere il coraggio di proporre a Berlusconi un accordo istituzionale di legislatura, anziché continuare a sperare in una sua caduta per via giudiziaria.

Solo così si dimostrerebbero forza alternativa per una credibile successione.

Riforma costituzionale, federalismo fiscale, riforma della giustizia con la separazione delle carriere (finendola di essere al rimorchio di magistrati senza responsabilità) e riforma della legge elettorale: questi i punti su cui trovare una convergenza parlamentare tra Pdl-Lega e PD fuori da ogni tatticismo e condizionamento dei Di Pietro, Fini e Casini, interessati solo alla sopravvivenza di se stessi.

E ci sarebbe un terreno favorevole, oggi più di ieri: Fini deve lasciare l’incarico di Presidente della Camera divenuto oggettivamente insostenibile e sul nuovo Presidente si potrebbe trovare un ragionevole accordo super partes tra Pdl-Lega e PD. Penso a un Pisanu, a un Fioroni, a un Castelli. Purtroppo, se continua l’andazzo di questi giorni non sono sicuro che ciò possa avvenire.”

S.P.
“La proposta è geniale, quasi pazzesca come tante cose geniali. Un compromesso storico tra Berlusconi e Bersani per distruggere Casini, Fini e Di Pietro, tutti nemici di Berlusconi ! D’altra parte c’è un precedente storico importante. Quando il nostro Re Juan Carlos, Iddio lo benedica, accettò di attendere in silenzio, umilmente, la successione gentilmente concessa dal generalissimo Franco, Dio l’abbia in gloria, fino al giorno in cui il nobile Franco si decise a morire. Cosi il Partito democratico avrebbe molto tempo per maturare, con l’aiuto di Nostra Senora del Rosio.”

Tutte le frasi di Don Chisciotte sono tolte, alla lettera, dal commento di Don Chisciotte, trasmesso il 16 luglio 2010 da Radio Formigoni




6 Agosto 2010

E dopo la rottura: che fare

Tra la sera di giovedì 29  e il pomeriggio di venerdì 30 Luglio si è consumato il divorzio tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.

Si è posta fine, così,  all’esperienza avviata con il congresso del  Marzo 2009 nel quale si era sancita l’unificazione  tra FI e AN con altri amici di provenienza democratico cristiana nel Partito del Popolo della Libertà, dopo l’accordo intervenuto alle elezioni politiche dell’aprile 2008.

Con un comunicato dell’ufficio di presidenza del Pdl di giovedì 29 Luglio, votato da 33 membri su 36, il premier Berlusconi ha sfiduciato il co-fondatore Fini, il quale, all’indomani,  con una conferenza stampa all’Hotel Minerva, annunciava la costituzione dei gruppi parlamentari di “ Futuro e Libertà” sia alla Camera dei deputati che al Senato.

33 deputati e  10 senatori si sono schierati con Fini, qualcuno di più di quelli che avevano stimato i suoi ex colonnelli passati con Berlusconi e dallo stesso Cavaliere.

Banco di prova il voto di sfiducia  sul sottosegretario Caliendo di Mercoledì 4 agosto.

Il presidente della camera Gianfranco Fini, ancora iscritto al gruppo del Pdl, da capo partito, caso unico nella storia  repubblicana, ha invitato gli esponenti del nuovo gruppo parlamentare componenti del governo a votare contro la sfiducia, mentre con i suoi gaulaiter, Conte, Bocchino e Granata spingeva per la formazione di un nuovo raggruppamento centrale o di “responsabilità nazionale”, come lo ha voluto denominare Casini, con Rutelli , UDC e i deputati del MPA.

Non si era mai visto un presidente della camera, che riunisce alla sera un gruppo di deputati che a lui fanno diretto riferimento, per concordare se e come votare all’indomani in aula.

Non si era mai visto un presidente della camera che, perduta ogni funzione arbitrale e notarile, ha assunto quella di diretta partecipazione al confronto  parlamentare.

E, infine, non si era mai visto un presidente della camera entrare come Fini nel cono d’ombra di un’ incredibile  storia monegasca foriera di inquietanti sviluppi. Una storia che chiama in causa  Fini,  nel suo precedente ruolo di segretario di AN,  una donazione offerta a quel partito da una nobildonna militante fascista “ per la buona battaglia”, un appartamento a Montecarlo finito, attraverso operazioni di compravendita con società offshore al di fuori di possibili controlli fiscali, in locazione al fratello dell’attuale compagna dello stesso Fini.

Fatti tanto più inquietanti per un politico che si era fatto vindice di moralità e di richiami alla coerenza, quella moralità  e coerenza  che, adesso per quanto lo riguarda, vengono  messe a dura prova dalle circostanze che stanno quotidianamente emergendo, dopo l’apertura formale di una inchiesta della Procura di Roma per reati di natura patrimoniale e  penale contro ignoti.

Ci auguriamo che il Presidente Napolitano non mancherà di far sentire anche stavolta la sua voce, nel momento in cui è venuta meno in maniera così clamorosa la funzione arbitrale del presidente della Camera. Un presidente che, volente o nolente, risulta, altresì, investito da una tremenda  bufera sul piano politico  morale e che dovrà fare i conti con i suoi ex compagni di partito.

Non condividiamo quanto sostenuto da Casini circa uno ’” squadrismo intimidatorio” contro Fini e riteniamo invece che Fini  debba chiarire come si sia potuti passare da Gianfranco (Fini, depositario e titolare responsabile  a nome del partito della donazione Colleoni) a Giancarlo (Tulliani, il fratello della compagna del presidente, locatario dell’appartamento donato ad AN). 

Sarebbe meglio, a questo punto e in coerenza con quanto sin qui da lui sostenuto, che il Presidente Fini desse  le dimissioni dalla terza carica dello Stato.

Ce n’è abbastanza, in ogni caso,  perché il Paese abbia qualche ragione in più per condannare lo sfascio che l’iniziativa dell’On Fini ha determinato, dopo oltre un anno di reiterate differenziazioni dalla linea del partito di cui fu  cofondatore.

Una posizione di dissenso non solo da una linea, di per sé sempre compatibile all’interno di un corretto dibattito democratico, ma di attacco frontale e talora obliquo verso lo stesso partito, il suo leader e alcune rilevanti posizioni  di principio su cui si fonda l’appartenenza ad un movimento politico facente parte del Partito Popolare Europeo.

Con il voto di Mercoledì 4 Agosto sulla sfiducia all’On Caliendo,  (299  contrari, 229 favorevoli e 75 astenuti) si è salvato un sottosegretario, ma si è perduta la maggioranza alla Camera. Di fatto il governo è virtualmente in crisi, anche se non esistono soluzioni possibili alternative, dato  che al Senato permane una maggioranza Pdl-Lega difficilmente rovesciabile dai giochi dei soliti furbetti (Casini,Rutelli,D’Alema),  tutti figli ed eredi dei partiti della Prima Repubblica.

Confermato l’accordo tra Pdl  e Lega non si intravvedono ipotesi politico parlamentari in grado di rappresentare un blocco sociale, economico,  politico e culturale espressione di una reale maggioranza nel e del Paese

Un Governo formato da Di Pietro, Vendola, Bersani, Casini, Rutelli e Fini solo per cambiare la legge elettorale contro il Pdl e la Lega : è questo che si intende realizzare contro la volontà della maggioranza degli italiani in base alla quale anche il gruppo dei finiani furono eletti al Parlamento? E dopo, che succede?

Davvero si pensa che al Nord, stanco di questo impotente balletto, non possa accadere nulla di nuovo? Attenti che alla fine, anziché  la vagheggiata  successione  al tiranno dei Fini e dei Casini, non si finisca per creare le condizioni di una possibile secessione del Nord dell’Italia.

Si tenti pure a Settembre di ricostruire su basi rinnovate  l’alleanza tra i partiti che vinsero le elezioni nel 2008, ma se ciò non fosse possibile, ai pasticci e alle ammucchiate incongruenti, meglio, molto meglio e quanto prima, il pronunciamento diretto degli elettori, cui soltanto appartiene la sovranità, al fine  di  verificare finalmente se sia possibile eleggere un Parlamento in grado di cambiare un sistema costituzionale vecchio e stantio,  non più confacente con la nuova realtà italiana e internazionale.




26 Luglio 2010

Una partita difficile

Da mesi va avanti una strana partita giocata tra il premier Silvio Berlusconi, il presidente della Camera, cofondatore del Pdl, Gianfranco Fini e il ministro dell’economia Giulio Tremonti.

Molto dura e per molti aspetti irrituale quella tra Berlusconi e Fini che rischia di mettere in discussione la stessa sopravvivenza del governo; più sottile la partita giocata dal ministro dell’economia, che, proprio nei giorni scorsi ha solennemente professato totale solidarietà al presidente del consiglio, anche se sono in molti a giurare che le cose non stiano esattamente così.

Se per la tenuta del governo, al di là dell’evocata formazione di un governo di unità nazionale formulata da Casini, l’intervento del presidente Napolitano alla cerimonia di consegna del tradizionale ventaglio al Quirinale, Venerdì 23 Luglio scorso, ha eliminato ogni equivoco, è all’interno del Pdl che si sta giocando una partita che ha come posta la successione alla leadership del Cavaliere.

Diverse concezioni del e sul partito, sulla sua funzionalità e sulle stesse sue prospettive dividono profondamente i cofondatori. L’uno, Berlusconi, legato a un’idea di partito-movimento elettorale a struttura leggera con un solo leader carismatico che pensa e decide per tutti, in stretto rapporto con gli umori e il consenso misurato costantemente del suo popolo. L’altro, Fini, più fedele a una concezione di partito strutturato con tessere, sezioni, luoghi e momenti di partecipazione democratica di discussione e di decisione secondo lo schema classico del partito del secolo scorso.

Più defilato Tremonti, sempre in equilibrio tra Arcore e Cassano Magnago, certo non indifferente ad andare oltre la sua già pur rilevante posizione di potere solo che le condizioni diventassero favorevoli.

Tutto questo sta creando inevitabilmente frizioni e sommovimenti interni con la nascita di gruppi, fondazioni, movimenti e correnti, ultima quella degli ex colonnelli finiani e quella personale di Alemanno, Sindaco di Roma, anch’egli impegnato verso un futuro ruolo di possibile  leader post berlusconiano. Per ora si limita a sottolineare che “ dopo Berlusconi non ci sarà un altro Berlusconi” quanto piuttosto “una squadra”. Una squadra nella quale, lui sente di avere un ruolo da giocare da protagonista.

Attenti, però, che la partita non si gioca solo tra questi attori.

Nei giorni scorsi abbiamo salutato con favore l’avvenuta aggregazione di tutte le componenti ex DC nel Pdl. Con la  nascita de “ I Democratici Cristiani”, nel momento in cui si aprisse veramente il tempo della successione al Cavaliere si dovrà tener conto di questa realtà, molto più estesa a livello elettorale di quanto non sia la sua attuale rappresentanza nel parlamento e nel partito.

Sbaglierebbero seriamente coloro che intendessero sottovalutare le potenzialità di tale avvenimento e abbiamo ragione di credere che qualche segnale verrà anche da Roberto Formigoni all’incontro agostano di reteitalia a Rimini.

Nei prossimi giorni sapremo se, quando e come si verificherà  lo show down all’interno del Pdl.  Uno scarto  improvviso del Cavaliere non è da escludere anche sino alle estreme conseguenze nel rapporto con i finiani. Il congresso, se si potesse disporre di una base reale di iscritti e militanti, o quanto meno di regole partecipative controllate e controllabili per una convention autenticamente aperte a tutti i cittadini interessati/bili, andrebbe celebrato prima di assumere qualsiasi decisione solitaria e senza ritorno.

Abbiamo seguito con forte sostegno la lunga transizione politica berlusconiana per aver titolo a suggerire al Cavaliere di accettare l’idea di regole interne al Pdl fondate sul principio aureo della democrazia: una testa un voto.

Presidente: si liberi una buona volta dei vili cortigiani plaudenti e dei profittatori del potere senza responsabilità e concorra da autentico statista a garantire al Paese le risposte agli impegni assunti con gli elettori : federalismo, riforma della giustizia, calo delle tasse.  E  al partito dei moderati, che ha costruito in maniera determinante dopo la fine della Prima Repubblica, assicuri la possibilità di  un futuro in grado di sopravvivere alla sua stessa esperienza politica. E lo faccia adesso, nel momento in cui la sua leadership è ancora indiscutibilmente forte nel partito e nel Paese.




19 Luglio 2010

La manovra finanziaria salverà il governo ?

Con 170 si e 136 no è, dunque, passata la manovra finanziaria al Senato  su cui il governo aveva posto la fiducia.

Le principali misure riguardano:

la Pubblica Amministrazione, nella quale è stabilito lo stop al rinnovo dei contratti, agli aumenti degli stipendi e ai turn over, con l’eccezione per poliziotti, vigili del fuoco ed enti di ricerca;

I Professori e i Magistrati ,per i quali sono bloccati gli automatismi stipendiali per il personale non contrattualizzato e si prevedono 61,3 milioni per assunzioni di giovani magistrati;

i Ministeri, per i quali viene prevista una sforbiciata del 10% e un giro di vite sulle auto blu che da un check up in coso di ultimazione da parte del ministro Brunetta sembra che, a livello nazionale, costino oltre 4 miliardi di euro all’anno;

le assicurazioni, su cui cala una stangata di 264 milioni di euro all’anno

i Processi, con mini aumenti delle tasse processuali

Scia (segnalazione certificata di inizio attività): rivista in senso più restrittivo;

i Costi della politica, con un taglio del 10% alle buste paga di ministri e sottosegretari non parlamentari, in attesa che che vengano assunti ( ma quando mai?!) analoghi provvedimenti per tutti gli altri politici ai diversi livelli istituzionali che, in molti casi, come in alcune regioni, vedi la Toscana, proprio tra i primi atti hanno proceduto ad un aggiustamento in rialzo degli emolumenti dei consiglieri regionali

i Partiti, ai quali si riducono i  rimborsi elettorali

i manager della P.A., con un taglio del 5% sugli stipendi  oltre i 90.000 € e del 10% per quelli che superano i 150.000 €

La pensione alle donne della P.A., per le quali, recependo la direttiva europea, l’età pensionabile viene elevata a 65 anni a partire dal 2012, mentre dal 2015 l’età anagrafica viene collegata alle aspettative di vita;

gli Invalidi, per i quali è innalzata al 74% la soglia per gli assegni e si affidano all’INPS 250.000 verifiche sulla legittimità di quelle in atto

le Regioni e gli Enti Locali: il punto più dolente e ancora aperto di tutta la manovra, per le quali  si richiedono tagli per 8,5 miliardi di € con pesanti riflessi sugli interventi in sede locale; riduzione di 4 miliardi per i Comuni e di 800 milioni per le province

Lotta all’evasione: ai comuni che collaboreranno verrà riconosciuto il 33% dei tributi statali rientrati

Roma capitale: beneficerà di 500 milioni di euro tra Tesoro, aumento tasse di imbarco e addizionale comunale IRPEF

Taglia Enti: soppressi tra gli altri, l’Ente teatrale Italiano, quello per la montagna e l’ISAE

Tasse Abruzzo: sospensione per le imprese fino al 20 dicembre, mentre i cittadini pagheranno nel 2011

Case fantasma: entro il 31 dicembre 2010 che ha un fabbricato non censit o dovrà denunciarlo e farlo accatastare

Redditometro: nuovi indicatori per risalire dal tenore di vita al reddito guadagnato

Tracciabilità: tetto a 5.000 € per i pagamenti in contanti e obbligo di fattura telematica  oltre i 3.000

Quote latte, sui ci si è aperto un delicato contenzioso tra Lega e ministro Galan: proroga al 31 dicembre per il pagamento delle multe.

E, oltre a tutto ciò, non possiamo scordare quanto sta accadendo nell’editoria minore, soprattutto quella cattolica, con oltre 200 testate territoriali oggi a rischio di sopravvivenza, dopo il decreto del 31 marzo scorso con cui sono state soppresse le tariffe postali agevolate per la spedizione di tutti gli organi di stampa e il mancato varo, almeno sino ad oggi, del decreto annunciato dal governo di stanziamento di 30 milioni di euro per ripristinare le tariffe agevolate al settore.

Ora il provvedimento votato dal Senato passa all’esame della Camera dove dovrebbe essere  licenziato senza modifiche e con voto di fiducia entro il mese di Luglio.

Tutto risolto? Solo in apparenza. In realtà permane un forte conflitto all’interno del Pdl tra finiani e le varie anime che tentano, come quella dei democristiani che hanno  deciso di superare le vecchie divisioni unendosi nella nuova componente de “ I democratici cristiani”, di garantire la continuità del governo e della  legislatura. Continua  il permanente attacco mediatico e giudiziario con la  riesumazione della discussa Legge Anselmi sulla P2, a proposito di quella compagnia di giro, spacciata per la nuova P3, così come si tenta di rovesciare per via amministrativa e giudiziaria il risultato  elettorale del voto piemontese.

Berlusconi ha annunciato che quest’anno non farà ferie per dedicarsi al rilancio del Pdl. Chi vivrà vedrà. Certo siamo a un passaggio decisivo della legislatura e della stessa tenuta del partito di maggioranza relativa.
Speriamo  che, alla fine, prevalga il buonsenso.




12 Luglio 2010

Tutti a casa o pasticcio trasformistico?

Il 13 e 14 Aprile 2008 l’elettorato italiano, depositario della sovranità popolare, scelse: un simbolo, un leader, una coalizione  e un programma. Se cambia anche uno solo di questi elementi in corso d’opera, a costituzione vigente, tentare di dar vita a un’altra maggioranza è operazione legittima e possibile, salvo tradire l’ indicazione espressa dalla maggioranza degli italiani.

Dalla fine della prima repubblica assistiamo a questo perdurante dilemma tra una repubblica costituzionalmente  di tipo parlamentare, e una costituzione materiale che, con il bipolarismo favorito dalla legge elettorale, punta diritto ad un sistema di tipo presidenziale.

Di qui il perdurante insanabile conflitto tra fedeli custodi della volontà popolare e interessate vestali, talora assai poco caste, della Costituzione.

Sta accadendo anche adesso, dopo un’estenuante azione di logoramento portata avanti da un presidente della Camera, che, dall’alto del suo scranno istituzionale, manovra un manipolo di parlamentari mettendo a rischio la tenuta della coalizione che sostiene il governo e di cui lui stesso è espressione. E, come sempre, si dà il verso alle più contraddittorie manovre del trasformismo parlamentare.

Perduta ogni speranza in un PD sempre più spostato sulle posizioni dipietriste e in preda alla fibrillazione dei residui ex popolari, dopo la recente nomina di D’Alema a presidente della fondazione europea della sinistra, Repubblica e Corsera, con gli interessi mediatico finanziari e industriali da essi rappresentati, puntano decisamente su un ipotetico nuovo centro.

Al gioco di lor signori, da tempo, si sta prestando l’On Fini , contando in tal modo di ereditare non si sa bene quale ruolo. Per ora l’unico risultato è quello di farsi strumentalizzare in funzione anti Berlusconi, intralciando con il suo manipolo di parlamentari l’attuazione del programma di governo votato dagli elettori.

Squallida operazione quella tentata dal Presidente della Camera  e resa ancor più indigesta dalla bassa caratura dei suoi ufficiali di complemento, a cominciare da quell’infido Bocchino e quel logorroico Granata, degni rappresentanti dell’infimo livello cui è giunto il confronto politico nel nostro Paese.

Assai poco commendevole è anche il tentativo svolto nei giorni scorsi in casa di Bruno Vespa, di cambiare alleanza in corso d’opera, sostituendo Fini con Casini. Da tempo rappresentano  il duo comico della commedia dell’arte  emiliana, che sembrano volersi scambiare ogni tanto di ruolo, finendo con l’assumere, a parti alterne, quelle di Fagiolino e di Sandrone, a secondo dei diversi atti in cui si svolge lo spartito del teatrino della politica italiana.

Sino ad ora  entrambi si  sono  dimostrati alleati assai infidi, interessati esclusivamente all’eredità politica del Cavaliere. D’altronde, cosa può garantire il bel Pierferdinando se, subito dopo che si è sparsa la voce di un tentativo di imbarcarlo nel governo con i suoi amici, immediatamente gli Onn Carra e Pezzotta, si sono affrettati a smentire congiuntamente ogni possibilità del genere, annunciando lotta dura senza paura al signore di Arcore? Bossi, d’altronde, ha già tuonato: o noi o l’UDC. Anche se il ministro La Russa sospira il fatidico: mai dire mai…..

Meglio allora proseguire per la strada  maestra e portare in Parlamento i provvedimenti decisi dal governo e ratificati in sede di partito,  a cominciare dalla prima e più decisiva verifica, quella sulla manovra finanziaria. E se la maggioranza non reggesse, al Presidente Napolitano il compito di accertare se far prevalere, nel rispetto formale alla Costituzione, l’ennesimo pasticcio  trasformistico parlamentare o ridare la parola al popolo sovrano.

Intanto, va raccolto con interesse, l’invito degli amici Onn. Barbieri, Compagna, Cutrufo, De Luca, Giovanardi, Pionati, Pizza, Rotondi e Zanoletti, che hanno annunciato per Giovedì 15 Luglio una manifestazione a Roma dal titolo: “ I democratici cristiani nel centro-destra”.  Dopo tante fondazioni e correnti più o meno organizzate, sentire che anche la componente di ispirazione democratico cristiana nel Pdl batte un colpo, ci fa molto piacere, con la speranza che nascano fatti nuovi e positivi verso la costruzione della sezione italiana del Partito Popolare europeo.




5 Luglio 2010

Un tagliando in autunno o salta prima il banco?

Gradevole la musica che proviene dai risultati dei viaggi all’estero del Presidente del  Consiglio, quanto risulta cacofonica, al limite della sopportabilità, quella che si sente in casa Italia.

Se all’estero Berlusconi riesce a farsi ascoltare e a raggiungere risultati positivi per le nostre imprese, autentico toccasana per l’economia italiana, molto accidentato appare il percorso parlamentare relativo alla manovra economica, alle intercettazioni e alla riforma della giustizia, mentre la temperatura all’interno del Pdl sale al calor bianco.

Gianfranco Fini sembra aver oltrepassato il segno, e, continuando a confondere bellamente il doppio ruolo di capo di una componente minoritaria del partito con quella istituzionale di presidente della Camera, dopo l’ennesimo scontro (l’ultimo con il coordinatore,On Sandro Bondi, in occasione della presentazione della neonata “ Rivista della Politica”del prof Campi) è giunto al punto in cui si rende forse inevitabile la soluzione del nodo: convivenza forzata con definitive regole interne o divorzio consensuale. Senza dimenticare la possibile rottura traumatica della coalizione.

Anche il presidente Napolitano, che aveva, sin qui,  assunto atteggiamenti di estremo equilibrio per evitare un aperto conflitto istituzionale ai massimi livelli, con l’ultima esternazione maltese, ridà fiato alla tattica dell’ex leader di AN che, un giorno accelera con le sue dichiarazioni di distinguo, affidando, il giorno dopo, al solito Bocchino il compito di frenare, riconfermando l’indissolubilità di un rapporto, al di fuori del quale, onestamente non si capisce dove andrebbe a parare l’ondivaga strategia di Fini.  E, intanto, furbescamente, Dario Franceschini  ne approfitta annunciando il possibile voto comune sugli emendamenti dei finiani in sede di commissione giustizia sulle intercettazioni. Obiettivo: sparigliare la maggioranza e far saltare il governo, con Casini pronto a un governo di larghe intese ed Enrico Letta che invita  Berlusconi “ a farsi da parte”. Tanto sarebbe già pronto lui con Di Pietro, Rosi Bindi e magari qualche tecnico di turno a rovesciare, Costituzione alla mano e, forse, Presidente dell’Alto Colle consenziente,  il voto espresso dagli italiani per il Cavaliere.

Bossi, preoccupato, soprattutto, di non perdere il biglietto della corsa per il federalismo fiscale, tenta con estrema difficoltà di assumere un ruolo di mediatore tra il Cavaliere, Fini  e lo stesso Presidente della Repubblica, anche se non mancano le gatte da pelare in casa sua, a cominciare dall’ infida Insubria. Berlusconi, invece,  appena sceso dall’aereo dopo il giro del mondo, rilascia due interviste al TG1 e al TG5 con il suo solito sorriso smagliante e la facile battuta meneghina del :” ghe pensi mi”. In realtà siamo di fronte a un punto di svolta nella vita di questo governo e all’interno dello stesso partito di maggioranza relativa.

Stretti tra una crisi economica e finanziaria di livello planetario, siamo in una fase di crisi di valori sul piano morale, culturale e politico tra le più drammatiche della nostra recente storia.

La politica, punto di sintesi tra gli interessi e i valori, sembra aver perso completamente questi ultimi, per ridursi a scontro degli interessi particolari, con una classe dirigente che, dopo alcuni episodi al limite del tragicomico, come quelli di Scajola e di Lunardi, accostati  a  quei furbastri della “cricca”, risulta  perdere ogni giorno di più credibilità. Esiziale, poi, quanto è successo nella nomina, con tanto di padri e padrini, oggi scomparsi, dell’inconsapevole Brancher alla guida di un fantomatico ministero che non c’è.

Un tagliando di revisione della macchina  a questo punto si impone. Se non subito, con la ripresa di Settembre, anche se nelle prossime ore potrebbe accadere una pericolosa precipitazione degli eventi e il banco potrebbe saltare.

Noi ci auguriamo che, superato a livello parlamentare lo scoglio della legge finanziaria rivisitata, un repulisti nel governo e la ricostituzione di una squadra a prova della massima trasparenza e onestà si giunga a un chiarimento definitivo con la minoranza di Fini. Un chiarimento che, onestamente, non è più rinviabile. Così come diciamo no a qualsiasi tentativo di ribaltone trasformistico. Se salta il banco l’unica strada percorribile sono le  elezioni anticipate.

Continuare a galleggiare con permanenti docce scozzesi che impediscono alla più forte maggioranza numerica di cui abbia mai potuto godere un esecutivo di governare, alla lunga diventerebbe esiziale e tanto più grave, nel momento in cui dall’opposizione non sembrano emergere proposte e leadership pronte e autorevoli per una reale alternativa.




28 Giugno 2010

Destinati a morire da “compagni”?

Sulla rivista on line “Camaldoli” , nella rubrica Cultura, le lamentazioni di Sancho Panza, costituiscono uno stimolante momento  di confronto con l’amico Ciccardini che, raccogliendo alcune riflessioni di Don Chisciotte a Radioformigoni, mi invita a un dibattito al quale con piacere partecipo.

Trascurato il disagio dei cattolici nel centro destra, Sancho Panza il 14 giugno scorso si occupa dei “fratelli” dei cattolici nel partito democratico.

E’ un tema interessante cui mi dedico anch’io da tempo, convinto come sono, di quanto  mai difficile sia  la convivenza dei nostri ex amici in quel partito.

Traggo spunto dalla notizia secondo cui Massimo D’Alema, mercoledì prossimo, verrà eletto alla guida della fondazione politica più importante della sinistra europea: la Foundation for European Progressive Studies, che contribuisce in maniera ancora più decisiva a orientare le scelte di collocazione del PD in sede europea.

Sino ad oggi il PD, per mantenere i suoi precari equilibri interni, fa parte del gruppo dei Socialisti e Democratici europei senza essere membro del PSE.

La prossima nomina di D’Alema a capo della Fondazione suddetta, da molti considerata una specie di ricompensa, dopo il siluro alla sua elezione ad Alto rappresentante per la politica estera europea, incarico per il quale i dirigenti del PSE preferirono la britannica Lady Catherine Ashton, riapre, dunque, la querelle della collocazione europea del PD.

E così, molti ex democristiani che dovettero abbandonare l’antica casa del PPE, rischierebbero di finire in quella da sempre antagonista del PSE.

Andrea Peruzy, segretario generale della fondazione dalemiana  Italianieuropei, intervistato nel merito da Il Foglio , confermando che compito della Foundation for European Progressive Studies è quello di costruire una nuova cultura socialdemocratica, con molta chiarezza sostiene che in quanto “socialdemocratici progressisti” sono chiamati ad offrire il loro convinto sostegno a questo progetto.

E, aggiunge: “ Anche il futuro del PD dipenderà da come verrà riscritta l’agenda dei progressisti europei. Il rischio di dirottare il Partito Democratico ancora più a sinistra non ci interessa. Se succederà francamente non è un problema nostro”.

Certo non è un problema loro quanto piuttosto degli ex DC ancora ospiti del PD.

Di qui la domanda che mi sono posto all’indomani della manifestazione del PD contro il governo:  Compagni o amici?

E’ accaduto, infatti Sabato 16 Giugno scorso:  quando l’attore Fabrizio Gifuni  è intervenuto, salutando il pubblico con l’antico appellativo di “compagni”, è scattato un uragano di applausi da una platea stanca dal silenzio forzato imposto da quell’innaturale fusione tra amici e compagni.

E così dopo la questione massonica è scoppiata quella dei compagni indigesta agli ex popolari DC.

Solo la pasionaria di Sinalunga, anche stavolta, lei che democristiana lo è sempre stata di complemento, si è immediatamente dissociata dai vecchi sodali . E non me ne voglia l’amico Sancho Panza se continuo ad appellare la senatrice senese con il titolo che con grande onore ed orgoglio appartenne alla mitica  Dolores Ibarurri, cui la nostra Rosy sicuramente sarà felice di essere accostata.

Rimane intatta la realtà di ciò che sempre ci insegnò Carlo Donat Cattin: è il cane che muove la coda.

Finita l’epoca dei “cattolici adulti “ utilizzati  come specchietti per le allodole, nel PD, a guida bersaniana con prospettive di alternativa vendoliana prossima ventura, si ritorna all’antico e, capovolta la storia, non saranno i vecchi comunisti costretti a “morire democristiani”, ma proprio questi ultimi a dover morire da “compagni”. E la Rosy Bindi ne è pure felice, mentre Marini, Fioroni, Merlo, Morgando e il vecchio amico di tante battaglie, Castagnetti, non hanno nulla da dire?




21 Giugno 2010

Fondazioni o correnti? Il dibattito si fa serrato

Non è un bel momento per il governo del Paese.

Imballato sul DdL  per la regolamentazione delle intercettazioni telefoniche dalle potenti corporazioni illiberali diffuse e logorato dalle continue docce scozzesi finiane è  iniziata la maratona sulla legge finanziaria che, come ogni anno ( e questa volta ancor di più, visti i paletti imposti dalla situazione di crisi internazionale e dall’UE) suscita le più ampie contestazioni.

Con Gianfranco Fini e il suo manipolo di parlamentari è in atto un tentativo, l’ennesimo, di compromesso che, al di là dei contenuti specifici dei provvedimenti legislativi in esame, riguarda soprattutto gli organigrammi interni di partito, l’annunciato congresso e le prospettive future della leadership del Popolo della Libertà.

Falchi e colombe dei due schieramenti si confrontano sopra e sotto traccia, mentre l’azione di governo perde di credibilità con i continui rinvii, i frequenti stop and go, nonostante gli sforzi del Cavaliere e dei soliti ambasciatori plenipotenziari.

La realtà dei problemi strutturali del Paese è messa a nudo dai vincoli comunitari e, senza l’antica valvola di sfogo della svalutazione monetaria, oggi nelle mani della BCE, con il saldo della finanziaria da tutti considerato intoccabile, emerge sino in fondo la struttura fortemente differenziata dell’Italia e la grande difficoltà di trovare un equilibrio compatibile.

Le vibranti proteste di Formigoni ed Errani sui sacrifici richiesti alle Regioni, con oltre il 13-14 % di tagli previsti alle loro entrate di bilancio relative alle spese realmente disponibili sul piano del governo locale, sono state riconosciute fondate.

Anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, sollecita il ricorso alla regola  dei costi standard su cui misurare la diversa entità dei sacrifici richiesti tra regioni formiche virtuose e regioni cicale dissolute, onde evitare che nella notte dei tagli univoci orizzontali, tutti i gatti diventino bigi.

Non sarà facile per i neo governatori delle Regioni Lazio, Campania e Calabria che hanno ereditato le sciagurate gestioni dei Marrazzo, Bassolino e Loiero, affrontare la nuova situazione che la finanziaria, comunque si concluda, imporrà in termini di sacrifici.

E lo stesso accadrà, dovrà accadere, per realtà regionali dal deficit strutturale cronico come la Puglia di Vendola e la Sicilia di Lombardo.

E’ difficile discutere di federalismo fiscale in una situazione bloccata come questa. E non si risolve, certo, il problema affidando all’ennesimo ministro il compito di dirigere il processo riformatore perno del programma del governo.

Superato il difficilissimo scoglio della finanziaria prima delle ferie e rinviato a tempi migliori la riforma della giustizia e delle stesse intercettazioni, in autunno si imporrà una severa riflessione sullo stato di avanzamento dell’azione di governo.

E non potrà essere una partita giocata dai soli berlusconiani lealisti che, con Frattini,Sacconi, Bondi e la Gelmini hanno organizzato sabato scorso a Moniga del Garda  la loro riunione di area  e i finiani residui e d’antan. Credo sia giunto il momento che anche Formigoni con Fitto, Rotondi, Giovanardi, Penati, Pisanu, batta finalmente un colpo e che il Cavaliere si rassegni all’idea di una circolazione delle idee e del confronto interno al Pdl. Una circolazione e un confronto senza i quali il partito al centro, come già accade in periferia, è destinato a non sopravvivere alle fortune del Capo. D’altra parte, Fondazione Fare Futuro di Fini, Fondazione Magna Carta di Quagliarello e Valli, la neonata Fondazione Liberamente dei lealisti, così come il gruppo degli ex AN di La Russa, Matteoli, Alemanno e Gasparri, cosa sono se non aree di tendenza, gruppi di amici, correnti vere  e proprie più o meno strutturate?

E meno male che a sinistra c’è il vuoto di un Bersani vociante senza strategia, replicante stonato del malmostoso Di Pietro  con una CGIL senza più guida e alla mercè della FIOM incapace di interpretare i bisogni veri dei lavoratori che intende rappresentare. Una prima risposta l’hanno data i 5000 che hanno sfilato a Pomigliano d’Arco a favore dell’accordo con la Fiat e l’aria che tira non sembra favorevole agli estremismi di Cremaschi e di Landini.

Segnali di fumo giungono dal centro di Casini e Rutelli. Sarebbe saggio tentare di interpretarli e possibilmente raccoglierli.




14 Giugno 2010

Adelante Silvio con juicio

Crisi finanziaria internazionale con pesanti riflessi in tutti i Paesi dell’Europa, mentre in Giappone il  capo del governo, Naoto Kan, annuncia una situazione drammatica  che potrebbe sfociare nel default  di tipo greco.

Tutti i Paesi europei  hanno assunto decisioni drastiche sul piano economico, con dolorosi tagli sulle spese pubbliche di bilanci gravati da enormi deficit e insostenibili debiti sovrani.

Anche in Italia la manovra decisa dal governo incide profondamente nel tessuto sociale e nella stessa struttura organizzativa della spesa pubblica.

E’ evidente, tuttavia,  un netto squilibrio tra i sacrifici richiesti alle regioni e alle altre diverse componenti dello Stato a partire proprio dai ministeri e negli enti locali :province e comuni.

Bene ha fatto Formigoni ha rappresentare quest’oggettiva sperequazione che il ministro Tremonti ha tentato di contestare nel recente incontro con i presidenti delle giunte regionali.

Qualche aggiustamento, annunciato anche dal presidente del consiglio, si dovrà pur fare, a parità del saldo consuntivo, se non si vuol paralizzare completamente l’attività regionale e l’avvio dello stesso federalismo.

Troppe contorsioni e incomprensibili giravolte  da parte del governo. Un andirivieni che non facilita il rapporto di fiducia con i cittadini.

Tragicomica la mancata decisione in materia di abolizione delle province. E mentre la manovra finanziaria ha appena avviato il suo iter parlamentare, già sono scese in campo le diverse corporazioni in cui è strutturato da sempre il Paese.

La più contestata di tutte è quella dei magistrati,  la cui credibilità nell’opinione pubblica è scesa al livello minimo inferiore.

Non solo hanno conquistato il privilegio di scatti automatici negli stipendi e, quel che più inquieta, nelle carriere, a prescindere, ma appena vengono toccati negli stipendi, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, scatta una reazione rabbiosa dei magistrati con la mistificante motivazione dell’attacco alla loro autonomia.

Sull’inevitabile malcontento che ogni provvedimento di stretta economica comporta, si accompagna rituale  il solito copione antagonista di Epifani e  della CGIL.  Così come, sul solco del trattorista di Montenero di Bisaccia, anche Bersani con il PD, rincorre l’onda dello sciopero  generale con grave disappunto degli altri sindacati e dei politici del PD da sempre vicini alle posizioni della CISL e UIL.

E’ la stessa situazione che si sta vivendo nel martoriato iter parlamentare della legge sulle intercettazioni.

Qui la politica dell ‘IdV , con l’occupazione diuturna dei banchi del governo al Senato, un gesto che ricorda certi episodi squallidi  al limite dello squadrismo parlamentare, ha manifestato tutta la sua perniciosa sfrontatezza.  E, non meno deplorevole, è stata la decisione della sen. Finocchiaro e del gruppo del PD  di abbandonare l’aula al momento del voto, con una scelta aventiniana incomprensibile per un Partito  che si dichiara Democratico.

L’on Di Pietro si appella al supremo Colle affinché il presidente Napolitano non firmi la futura legge, sentendosi replicare lapidariamente: “I professionisti della richiesta al presidente della Repubblica di non firmare sono numerosi, ma molto spesso parlano a vanvera

Siamo alla farsa parlamentare di una legge che, le corporazioni dei magistrati da un lato, e dei giornalisti dall’altro, non intendono assolutamente accettare. Eppure  è una legge di cui si  discute da più di due anni e il cui iter parlamentare occupa, a corrente alternata, i due rami del Parlamento da più di dodici mesi ed è alla terza lettura. In barba all’art 15 della Costituzione che sancisce “l’inviolabilità della libertà e della riservatezza delle comunicazioni personali” principio da contemperare con quello altrettanto essenziale dell’art 21 che contempla la libertà di informazione, si continua a demonizzare la cosiddetta “legge bavaglio”.

Se il solito Tonino  Di Pietro minaccia sfracelli anche alla Camera, il mite Enrico Letta, giunge a minacciare “ il VietNam “ per  la maggioranza, assumendo un ruolo da vietcong che, onestamente, assai poco si addice, al giovane economista della scuola bolognese del compianto Nino Andreatta, membro di quella  “rivoluzionaria”, si fa per dire, confraternita dell’ AREL.

Anche l’ineffabile Luca Cordero di Montezemelo, intervenendo all’annuale convegno dei giovani industriali, sollecitando la discesa in campo in politica dei giovani imprenditori, sembra dar corpo alle insinuazioni che, giorno dopo giorno, lo indicano quale prossimo protagonista di qualche nuovo scenario politico.

Tira una brutta aria dentro e fuori il Parlamento e, credo, sia  tempo che l’On Berlusconi prenda il toro per le corna: esamini e risolva le situazioni delicate che ruotano attorno a qualcuno dei suoi ministri e chiarisca una volta per sempre il ruolo della minoranza finiana nel partito, con cui va aperto un confronto serio e senza possibili scorciatoie per alcuno.

Sopravvivere a continue docce scozzesi e troppo frequenti cadute, come sta accadendo troppo frequentemente nel voto alla Camera, alla lunga destabilizza una maggioranza alla quale gli elettori italiani hanno assegnato il compito di realizzare il programma su cui essa ha vinto le elezioni nel 2008 e dalle quali ha tratto la sua piena legittimità a governare.




7 Giugno 2010

La Lega: un interlocutore indispensabile

Predicavano la secessione del  Nord e si ritrovano a governare in quattro regioni: Piemonte, Lombardia,Veneto e Friuli  V.Giulia.

Inveivano contro “ Roma ladrona” e adesso occupano stabilmente e con riconosciuta efficienza ed efficacia il santa sanctorum del potere centrale: il Ministero degli Interni.

Maroni avrà anche bigiato il 2 Giugno a Roma restandosene a Varese, ciò non toglie che egli sia uno dei migliori ministri degli interni della recente storia italiana.

Non si parla più di “Padania libera”, salvo il fenomeno Borghezio, e se il governatore Cota auspica il passaggio dei poteri dai prefetti ai presidenti di regione,mentre si scandalizza qualche amico di corta memoria, a me risulta convincente, dato che sembra declinare in termini attuali l’antica aspirazione autonomistica popolare sturziana.

Agli amici leghisti e ai loro detrattori vorremmo ricordare che l’unità d’Italia fu fatta dal nord contro il Sud e che, tra i garibaldini, la quota più rilevante era quella delle giubbe rosse bergamasche. Certo, alla fine prevalse la logica centralistica sabauda contro quella federalista di Cattaneo e Minghetti, che sarà poi, quest’ultima, quella ripresa da don Luigi Sturzo. Il tricolore fu introdotto dal reggiano Giuseppe Compagnoni, quale simbolo della Repubblica cispadana ed allora l’alpino Gentilini, orgoglioso del suo cappello con la penna nera, poteva anche trovare i soldi per esporlo sul pennone del palazzo di Treviso per la festa del 2 Giugno. La Repubblica,quella italiana che, non dimentichiamolo, fu, soprattutto, espressione del “vento del Nord” della Resistenza. Il risultato del  referendum del 1946 in cui fu il massiccio voto repubblicano del Nord a prevalere su quello maggioritario monarchico del Sud.

E, infine, è evidente a tutti che,  abbandonati i vecchi riti pagani delle ampolle al Dio PO, gli esponenti più autorevoli della Lega, adesso  frequentano stabilmente le curie vescovili e i Palazzi Apostolici romani.

Superata la fase saturniana in cui il Senatur fagocitava inesorabilmente i suoi figli politici  o affini, specie se concorrenti  potenziali di stirpe veneta ( Achille Tramarin, Franco Rocchetta, Marilena Marin, Fabrizio Comencini i quali, già si cannibalizzavano alquanto tra di loro) la leadership si è stabilmente consolidata, senza alternative, nella figura carismatica e popolare di Umberto Bossi. Oggi, più che “mangiare i suoi figli”, il Senatur, semmai, appare come un padre padrone, burbero e benefico, che protegge e vigila sui suoi virgulti. Poi, anche lui “tiene famiglia” e si sa…. “ i figli so’ piezzi e’core” al Sud come nel Nord d’Italia.

Fenomeno complesso quello della Lega, con caratteristiche differenziate nelle quattro principali realtà del Nord in cui si è imposta e che, con le ultime elezioni politiche del 2008 e con quelle regionali del 2010 ha dimostrato una capacità di espansione ben al di là del confine meridionale del grande fiume. Se la DC, dagli anni ’50 in poi, ha rappresentato il partito che ha saputo selezionare una nuova classe dirigente e resi protagonisti della vita politica e amministrativa numerosi esponenti dei ceti popolari: contadini, artigiani, commercianti, insegnanti e liberi professionisti, saldando con grande efficacia gli interessi dei  ceti popolari con quelli medi produttivi e, analogamente, il PCI e il PSI seppero integrare importanti componenti popolari elevandoli a classe dirigente del Paese, analogamente questo processo è stato realizzato, dalla fine degli anni’80 in poi, dalla Lega.

Partito con caratteristiche e regole interne di tipo prussiano, a forte dominanza carismatica del Senatur, con la netta distinzione di ruoli tra “sostenitori” e “militanti” ( solo questi ultimi candidabili, dopo una lunga e verificata esperienza politica di base), la Lega ha rappresentato e rappresenta il nuovo strumento per la circolazione delle élites in senso paretiano.

Le vecchie “volpi” della Prima Repubblica diventate “leoni”, secondo l’immaginifica descrizione di Pareto, sono state surclassate dalle nuove volpi leghiste che, radicatesi fortemente nei comuni e nelle province, hanno saputo conquistare ruoli decisivi nel governo nazionale e, con le ultime elezioni regionali, praticamente in tutto il Nord, in condominio con il Pdl.

La Lega non è la DC, anche se nelle regioni del Nord ha saputo recuperare moltissimi consensi elettorali del vecchio elettorato democratico cristiano. L’intera fascia pedemontana lombardo-veneto-friulana è caratterizzata da un netto trasferimento di voti ex DC alla Lega, in comuni nei quali lo scudo crociato aveva un consenso oltre il 40-50%. Serietà ed efficienza amministrativa dei loro sindaci, un’azione capillare verso ceti e classi sociali un tempo oggetto delle attenzioni dei partiti di sinistra, anch’essi imborghesitisi e sempre più lontani  dagli interessi e dai valori un tempo predicati, fanno della Lega un elemento decisivo per qualsivoglia politica innovativa. Oggi insieme al Pdl di Berlusconi, e domani chissà….

Personalmente continuo a pensare che sbagliano Casini e  gli amici dell’UDC a leggere in maniera riduttiva e con lenti deformate ciò che sta accadendo nelle regioni del Nord, dove, solamente la forte leadership di Roberto Formigoni ha saputo sin qui coniugare correttamente le istanze di libertà proprie del Pdl con quelle della Lega.

Penso che quando, e credo sarà inevitabile, anche la Lega aderirà al gruppo parlamentare del PPE e, successivamente, alla stessa organizzazione europea del PPE, di fatto sarà nata la CSU padana con cui il Pdl e/o qualunque altra formazione di centro destra collegata al PPE dovranno fare i conti.

Anche in previsione di quando questo accadrà è necessario lavorare per ricomporre e superare la diaspora democristiana per una rinnovata presenza dei cattolici nella vita politica italiana. E il dialogo con la Lega è una condizione indispensabile, se non si vuol cadere nella fantapolitica, tra la nostalgia di un passato senza ritorno e la profezia di un futuro senza speranza.




31 Maggio 2010

La diaspora dei democristiani

Affrontiamo, come annunciato, la situazione dell’attuale diaspora democristiana e cosa si intravede per il prossimo futuro.

Nel PD sono rimasti alcune residue componenti ex popolari che sembrano soffrire l’attuale crisi involutiva del partito, dopo l’uscita dallo stesso della componente di Rutelli dell’ex Margherita e degli Onn. Binetti e Carra. In ogni caso mi sembra che l’incidenza degli ex DC nelle scelte fondamentali di quel partito sia pressoché nulla.

Diversa, ma a macchia di leopardo, la situazione degli ex DC presenti nel Pdl. Molto ben rappresentati in Lombardia, grazie soprattutto al ruolo preminente del governatore lombardo, in altre realtà sono in posizioni del tutto irrilevanti. Come nel Veneto, dove, non a caso, la lunga egemonia del duo Galan-Sartori, ha ridotto la presenza ex democristiana ad una netta subalternità sino alla quasi definitiva scomparsa. A tutto vantaggio della Lega che, nelle vecchie roccaforti bianche di Vicenza, Verona,Treviso e Padova ne ha raccolto in copiosa messe l’eredità.

Fuori dei due schieramenti prevalenti, abbiamo l’UDC in fase di difficoltosa ricerca di un nuovo ruolo e di una nuova identità e la testimonianza pressoché solitaria dell’amico Tabacci nell’API (Alleanza per l’Italia), la formazione ideata con Rutelli alla ricerca di una nuova formazione centrista.

In realtà tutto si muove nella prospettiva del dopo Berlusconi. Un tempo al quale, anche noi siamo interessati, così come, con maggior distacco dalle contingenze politiche, si stanno muovendo gli amici Bianco, Ciccardini e Fiori attorno alla citata bella rivista “Camaldoli”.

E’ un pullulare di iniziative e di movimenti dentro e fuori degli attuali schieramenti politici che sono, in ogni caso, caratterizzati da questi elementi comuni:

a)    tutti si dichiarano “DC non pentiti”, nel senso non solo che non rinnegano la loro storica appartenenza politica, ma rivendicano i meriti di quell’esperienza ultraquarantennale della vicenda italiana;

b)    tutti si rifanno ai valori sturziani e degasperiani declinati nel nostro tempo secondo gli orientamenti pastorali della” Caritas in veritate”, autentica stella polare per i cattolici che intendono impegnarsi in politica fedeli agli insegnamenti della dottrina sociale cristiana;

c)    tutti dichiarano l’insufficienza delle attuali risposte politiche alla grave crisi culturale e morale, prima ancora che economico e finanziaria, che attraversa il pianeta e l’Europa;

d)    tutti, con diversa gradualità di accettazione, si riconoscono nell’esperienza politico parlamentare del PPE, anche se declinata a livello italiano con diversità di collocazione in sede parlamentare.

Bisogna partire da questi dati della realtà, avendo consapevolezza che:

a)    il bipolarismo, per quanto sbilanciato nella sua attuale espressione, è entrato a far parte della coscienza dell’elettorato italiano e con l’attuale rapporto di forza parlamentare, difficilmente verrà superato, tranne, forse, con qualche correttivo alla legge elettorale del “porcellum”, magari attraverso l’introduzione delle preferenze per la selezione dal basso degli eletti;

b)    la lunga transizione berlusconiana, comunque la si voglia giudicare, sta per giungere al capolinea. Sarà alla fine di questi ultimi tre anni di legislatura o qualche tempo prima, qualche tempo dopo, ma è certo, che nuovi equilibri si dovranno realizzare.

Siamo convinti di disporre di uomini capaci e meritevoli, in primis l’amico Roberto Formigoni, il leader di governo più autorevole in Italia, dopo il Presidente del Consiglio, in grado di concorrere con altri alla successione del Cavaliere, nei tempi e modi che le circostanze politiche matureranno in un prossimo futuro.

Discorso a parte merita la Lega e i cattolici che, numerosi, si riconoscono in essa. Di questo,però, tratteremo la prossima volta.




24 Maggio 2010

Riflessioni per la politica dei cattolici

Tre avvenimenti di interesse politico culturale hanno caratterizzato lo scorso fine settimana: l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i laici, l’Assemblea nazionale del PD e il Convegno dell’UDC a Todi per il lancio del nuovo partito della Nazione.

In Vaticano Papa Benedetto XVI ha riconfermato la necessità di “ politici autenticamente cristiani” in un’epoca in cui “relativismo e individualismo favoriscono il dominio dei poteri forti”.

Un’ indicazione netta per un’assemblea che aveva come tema: “Testimoni di Cristo nella comunità politica”.

Citando un passo della Gaudium et spes, il Papa ha ribadito che la missione della Chiesa è quella di “ dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e della salvezza delle anime….., utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni”.

Sottolineato come “il Vangelo è garanzia di libertà e messaggio di liberazione; che i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, quali la dignità della persona umana, la sussidiarietà e la solidarietà, sono di grande attualità e valore per la promozione di nuove vie di sviluppo al servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”, Papa Benedetto XVI ha chiaramente indicato che: “ compete ancora ai fedeli laici partecipare attivamente alla vita politica, in modo sempre coerente con gli insegnamenti della Chiesa”.

Ho riflettuto a lungo su queste parole del Papa, mentre le agenzie battevano quanto stava accadendo, quasi nelle stesse ore, alla nuova Fiera di Roma, dove si svolgeva l’assemblea nazionale del PD e a Todi, dove gli amici dell’UDC, dopo l’azzeramento degli organi dirigenti, celebravano, con la conclusione dell’esperienza di quel partito, l’avvio di una nuova fase verso il partito della Nazione.

Di una “nuova fase” aveva anche parlato Massimo D’Alema nel suo intervento all’assemblea del PD. L’ennesima nuova fase di un partito in grave crisi di leadership  e di strategia, alla ricerca di un rinnovato contatto con la realtà di base da cui far emergere le nuove proposte per la prossima legislatura.

Assemblea di transizione, dunque, quella del Partito Democratico, nel quale, superate le divisioni sull’interpretazione del regolamento in merito  a primarie e norme per la selezione dei candidati, non sono mancate le solite dissonanti valutazioni della “pasionaria di Sinalunga”, On Bindi,  nei confronti dell’ex ministro Fioroni, che reclamava indicazioni precise del partito sulla grave situazione economica e finanziaria internazionale e sui  suoi riflessi per l’Italia. Indicazioni che non sono pervenute. Di fatto, rinviate a quando si conosceranno le decisioni del governo con la manovra finanziaria annunciata ; un governo verso  il quale si continua a gestire una tattica di mera contestazione episodica, senza indicazioni strategiche di prospettiva.

Unica nota stonata l’infelice espressione utilizzata dal povero Bersani contro la ministra Gelmini, indegna per un leader del partito che ha nella sua storia, esponenti del calibro di Togliatti, Longo, Natta e Berlinguer.

Valutando quando stava accadendo all’assemblea del PD e in contemporanea al convegno dell’UDC a Todi, consideravo quanto sta verificandosi per molti cattolici di ispirazione popolare e democratico cristiana in questa fase della vita politica italiana. Lasciando ai superstiti ex popolari ancora presenti nel PD il compito di adeguare sui valori non negoziabili, i loro comportamenti e le loro scelte alle indicazioni pastorali pontificie, ero, soprattutto,  interessato a cogliere i fatti nuovi che stavano emergendo nell’UDC.

A Todi, si è preso atto della conclusione di una lunga e sofferta fase della vita del partito e, intanto,  si fa appello ad un nuovo governo di salute pubblica o, quanto meno, ad un rinnovato rapporto tra maggioranza e opposizione per affrontare insieme la grave crisi economico finanziaria. In realtà, con molto realismo, ci si sta preparando alla nuova situazione che si porrà al termine, se e quando avverrà, dell’esperienza quasi ventennale dell’età berlusconiana.

Tema al quale non siamo indifferenti e che cercheremo di sviluppare compiutamente in una prossima nota.

Per ora ci limitiamo a sottolineare che guardiamo con molto interesse alla ripresa di positivi rapporti di governo in realtà come il Lazio, la Campania e la Calabria tra il Pdl e l’UDC e continuiamo a lavorare affinché, dall’interno e dall’esterno del Pdl, si ricerchino tutte le occasioni per ricostruire l’unità tra quanti si riconoscono nei valori sturziani e degasperiani, declinati secondo le indicazioni pastorali della “Caritas in veritate” e si ritrovano insieme nel gruppo parlamentare e nell’organizzazione internazionale del PPE. La presenza congiunta di Formigoni e di Pezzotta all’assemblea plenaria del pontificio consiglio dei laici è un buon segno che ci lascia ben sperare. Se possiamo dare un consiglio agli amici dell’UDC: non abbandonate il glorioso simbolo dello scudo crociato a noi ancora assai caro, considerando quanto, con puntuale saggezza, ha sottolineato Ciriaco De Mita a Todi: quel simbolo rappresenta la memoria e senza memoria non c’è futuro.




17 Maggio 2010

Sperequazioni intollerabili: riforme ora o mai più

L’ultima ricerca del Centro studi dell’associazione degli artigiani  di Mestre (CGIA), dimostra con dati alla mano come le tre regioni del Nord (Lombardia,Veneto e Piemonte) contribuiscano, con l’Emilia e Romagna, in solidarietà al resto del Paese, per oltre 56 miliardi di euro all’anno.

In testa la Regione Lombardia che, a prezzi costanti 2007,  incassa 159.057 milioni di euro, ne spende 116.483 contribuendo alle spese delle altre amministrazioni per 42,574 miliardi di euro. Una cifra enorme, cui si aggiungono i saldi positivi del Veneto di 6,882 miliardi di euro, dell’Emilia e Romagna di 5,587 miliardi di euro e del Piemonte di 1,219 miliardi di euro.

Tranne il Lazio, che pure contribuisce con 8,72 miliardi di euro, tutte le altre Regioni sono gravate da residui fiscali passivi. Massimi: quello della Sicilia di 21,713 miliardi di euro, Campania di 17,29 miliardi,Puglia di 13,668 e così piangendo.

Con le fortunate, si fa per dire, regioni a statuto speciale del nord della Val d’Aosta (- 617 milioni di euro),Trentino AA (- 2,177 miliardi di euro) e Friuli V.Giulia (-2,104 miliardi di euro) che, senza patire situazioni di sottosviluppo, vivono un condizione di indiscusso privilegio.

Comunque la si voglia giudicare è una situazione insostenibile, tanto più grave se si mettono al confronto le regioni a statuto ordinario del Nord con quelle limitrofe  a statuto speciale.

Basta evidenziare i differenti costi della vita tra Nord e Sud che rendono insopportabili parità di trattamento salariale tra lavoratori del Nord e del Sud, così come tra impiegati e dirigenti. Stipendi appena dignitosi al Sud diventano assolutamente insufficienti al Nord con il diverso costo della vita, così come buoni stipendi dei dirigenti privati e pubblici al Nord diventano autentici privilegi per i colleghi pari grado e funzione del Sud.

E’ giunto il tempo  di procedere alle necessarie riforme. Se non si fa ora quando?

La crisi economica e finanziaria che colpisce l’Unione europea e l’area dell’euro ci costringe ad assumere iniziative non più rinviabili. E’ in cantiere un provvedimento di aggiustamento del nostro bilancio per circa 25 miliardi di euro.

Da un punto di vista strutturale si dovrà, più prima che poi, por mano alla riforma dell’età pensionabile, prolungandola sino a 65 anni per le donne (per il pubblico impiego come stabilito dall’Europa)   e, forse,  qualche anno oltre per gli uomini; al riequilibrio dei costi della politica sanitaria oggi tremendamente distorta tra Nord e Sud d’Italia e a riprendere in seria considerazione quanto contenuto nello stesso programma elettorale della maggioranza di governo in materia di superamento delle obsolete e per lo più inutili amministrazioni provinciali. Anche la stessa attuale eccessiva ripartizione delle regioni dovrà essere riconsiderata, per giungere a quell’obiettivo di cinque o sei macroregioni che era nel disegno strategico lungimirante del prof Miglio, primo e più profondo ispiratore della politica del Senatur.

Siamo entrati in una congiuntura terribile internazionale e adesso serve una classe dirigente all’altezza del compito straordinario che ci viene richiesto.

E, intanto, spetta al Presidente del Consiglio compiere la scelta annunciata, sicuramente condivisa dagli elettori,  di liberarsi di quanti, all’ombra del suo carisma hanno sin qui approfittato del potere acquisito, per scopi di arricchimento personale, con metodi indegni di una classe politica dedita al bene comune, quale precondizione indispensabile per richiedere a tutti gli italiani, come già stanno facendo con enormi sacrifici i cittadini greci, spagnoli e  portoghesi, di concorrere tutti insieme al superamento di questo momento in cui si gioca la sopravvivenza stessa del sistema europeo e dell’Italia.




10 Maggio 2010

Tra speculazioni internazionali e   scandali politici

Nel pieno di una crisi finanziaria collegata al default del caso Grecia e di un attacco speculativo di vaste proporzioni destinato a colpire , in primis, Portogallo e Spagna, senza perdere di vista il nostro Paese, sono scoppiati i casi politici e giudiziari, in sequenza: di Scajola, Verdini, Ciarrapico e la sentenza Storace dentro e ai margini del Partito del Popolo della Libertà.

Inqualificabile il caso del ministro dello sviluppo economico, tanto più intollerabile e odioso, poiché destinato a fomentare quella diffusa propensione anti politica, tanto più grave nel momento in cui la nuova casta della seconda repubblica, è costituita non da esponenti risultanti da una naturale selezione democratica, quanto  dalla cooptazione incontrollata e incontrollabile dei capi partito.

A poco serve il carisma del Cavaliere se i suoi cortigiani assumono comportamenti e azioni  degni degli strali di Rigoletto contro la “vil razza dannata”.

Unanime, dentro e fuori il Pdl, al di là  della difesa di circostanza e della  doverosa presunzione di innocenza che si deve ad ognuno, specie se, come nel caso di Scajola, nemmeno indagato, è la rabbia e lo sdegno tra la gente. Si è di fronte a un comportamento assurdo al limite della stupidità. Il comportamento di chi, per dirla  con Carlo Cipolla, è causa di danno a sé e agli altri.

Un danno difficilmente quantificabile verso un governo costretto al quotidiano controcanto di un socio fondatore, interprete di un inconsueto ed equivoco doppio ruolo in commedia: quello di regolatore imparziale di un organismo istituzionale, che mai, prima d’ora, aveva conosciuto presidenti dai comportamenti assimilabili a quelli di Fini e, contemporaneamente, di un capo manipolo aspirante a ruoli politici che andrebbero perseguiti all’interno della normale dialettica di partito, spogliandosi del ruolo di terza carica dello Stato.

Stroncata, dopo l’ennesima caduta, la carriera politica di un amico, come Scajola,  su cui pure avevamo affidato qualche nostra speranza, in attesa di conoscere l’evolversi della vicenda Verdini, mentre si annunciano altri scandali per qualche altro esponente politico, ci viene spontaneo domandarci: cosa sta accadendo?

Lungi dal voler rifugiarci nella comoda teoria del complotto, mentre condanniamo senza riserve i comportamenti inaccettabili di quei potenti che vivono la loro fortunata concessione di potere politico, non per generosa passione civile, quanto come mezzo di arricchimento personale e familiare, non possiamo non costatare come questa forte ripresa dell’attività delle procure, coincida col momento in cui, forse con eccessivo clamore, si sta tentando di realizzare la sempre annunciata  e mai approvata riforma dell’ordine giudiziario.

Tutto questo accade all’interno di una crisi internazionale, nella quale sembrano riprendere forma e sostanza gli antichi e mai scomparsi spiriti  anglosassoni  dei grembiulini del “Britannia”, con annessi e collegati accoliti di casa nostra. E, come nel 1992, anche stavolta è in gioco il ruolo di quelle compagnie di rating  statunitensi (Moody’s in testa) che con le loro previsioni azzardate, quasi sempre smentite ex post ( basti pensare a cosa vaticinava in positivo, addirittura 10  e lode, Moody’s su Lehman Brothers, solo pochi giorni prima del fallimento di quella banca d’affari americana) anche stavolta hanno dato il fiato a una speculazione tuttora  pesantemente in atto.

E’ una partita complessa in cui giocano i colossi finanziari internazionali. Non a caso  il prof Marco Giaconi, docente al Centro militare di studi strategici, sostiene che: “ siamo in piena geopolitica del denaro. E’ in corso un attacco che utilizza Atene come grimaldello. Rotta la macchina dell’euro, le banche USA saranno libere di sommergere i mercati europei di commercial  paper, come fecero negli anni ’70 e ‘80””. Speriamo che i provvedimenti, seppur tardivi, sollecitati a Bruxelles da Berlusconi e Sarkozy, venerdì notte, e assunti alle prime ore di questa mattina dall’Ecofin,siano in grado di contenere e respingere questo attacco. Intanto un primo risultato la speculazione l’ha determinato: la sconfitta di Angela Merkel alle elezioni del Lander di Renania Vestfalia e la perdita della maggioranza nel Bundesrat, la Camera alta o dei Lander di Germania.

Altra coincidenza strana: qualche settimana prima che Berlusconi incontrasse Vladimir Putin, con cui il nostro Paese sta sviluppando importanti rapporti sul piano energetico e politico strategico, Gianfranco  Fini, il 3 e 4 Febbraio era negli Stati Uniti e al ritorno, con perfetta scelta di tempo,  diede fuoco alle polveri da cui sperava derivasse uno scoppio deflagrante a livello parlamentare e del partito che, invece, si è rivelato, almeno sin qui,  un fuoco di paglia.

Non avesse vinto le regionali nel Lazio e in Piemonte e non ci fosse il saldo collegamento con Bossi e la Lega, il governo Berlusconi sarebbe forse già caduto. Ora è ammaccato e le prossime votazioni in Parlamento su atti qualificanti di attuazione del programma ( altro che le  provocatorie invenzioni finiane sugli immigrati da porre nelle priorità della Camera!) ci diranno se e come evolverà la situazione politica italiana.  E speriamo che lo stellone, che ha confortato sin qui la politica del Cavaliere, continui a brillare, visto che, almeno sin qui, non compaiono alternative credibili dentro e fuori il perimetro del centro destra, nonostante la proposta di Casini di un “governo di salute pubblica”.




3 Maggio 2010

Ricordando la “dichiarazione di Schuman”

Domenica 9 Maggio si festeggerà la nascita della Comunità Europea.

Sono passati, infatti, 60 anni dal giorno in cui Robert Schuman, ministro degli Affari esteri della Francia, pronunciò, quella che è passata alla storia come “ la Dichiarazione di Schuman”.

Il leader del MRP francese ( il partito della Democrazia Cristiana di Francia) presentò la proposta di creare un’Europa coalizzata e organizzata, fondata sui valori di pace e solidarietà, proprio quando lo spettro di un terza guerra mondiale angosciava tutta l’Europa. Nasceva così l’Unione Europea che, in origine, fu la Comunità del carbone e dell’acciaio.

Queste le tappe decisive di quel fatidico 1950:

Il 9 Maggio, con un discorso ispirato da Jean Monnet, Robert Schuman, propone che la Francia e la Germania, e ogni altro Stato europeo che lo desideri, mettano in comune le loro risorse di produzione di carbone e di acciaio ("Dichiarazione Schuman").

Il 3 Giugno Belgio, Francia, Lussemburgo, Italia, Paesi Bassi e Germania sottoscrivono la dichiarazione Schuman.

Il 26-28 Agosto L'Assemblea del Consiglio d'Europa approva il piano Schuman e il 19 Settembre viene istituita l'Unione europea dei pagamenti

Infine, il  4 Novembre La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali viene firmata a Roma.

Sono i primi passi fondamentali dell’Europa dei sei stati fondatori che nacque per la determinata volontà di tre illustri esponenti dei partiti democratico cristiani dell’Europa:  Konrad Adenauer,  Alcide De Gasperi e Robert  Schuman.

Con la creazione della CECA nel 1951, al suo interno si forma anche un organo assembleare composto da delegati eletti dai parlamenti nazionali, i quali delegati dal 1953 si organizzano in gruppi parlamentari.

Il 23 giugno del 1953 si forma ufficialmente il Gruppo Democratico Cristiano, composto dai partiti democristiani di Germania Ovest, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.

Le Nouvelles Equipes Internationales nel 1965 diventano l'organizzazione Unione Europa dei Democratici Cristiani (EUCD). Suo primo presidente è l'italiano Mariano Rumor e suo primo segretario generale è il belga Leo Tindemans.

Nel 1976 gli italiani della DC, i tedeschi dell'UCD Unione Cristiano Dempocratica)  e dell'UCS ( Unione Cristiano Sociale della Baviera) , i francesi del CDS, i belgi del Partito Cristiano Sociale, gli olandesi dei ARP, CHU,KVP, i lussemburghesi del Partito Cristiano Sociale e gli irlandesi del Fine Gael, fondano il primo partito transnazionale europeo, il Partito Popolare Europeo; il gruppo al parlamento europeo cambia nome in Gruppo Democratico Cristiano (Gruppo del Partito Popolare Europeo) nel marzo del 1978.

Il Partito Popolare Europeo (PPE) è un partito politico transnazionale e paneuropeo fondato, dunque, nel 1976.

A partire dagli anni ’90 il PPE,  da raggruppamento dei democratici cristiani diviene il raggruppamento del centro-destra europeo, allargandosi a partiti conservatori e liberali e ai principali partiti europei di centro-destra.

Suo presidente è il belga Wilfried Martens, riconfermato al Congresso PPE del 2009 a Bonn.

In concomitanza con il 60° anniversario della “dichiarazione di Schuman” a nome della rete di Associazioni ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti) ho inviato al Presidente del consiglio, On Silvio Berlusconi, e al Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, l’invito a cogliere l’occasione per riaffermare che il Partito del Popolo della Libertà è impegnato concretamente nella costruzione della sezione italiana del PPE con quanti si riconoscono nei valori sturziani e degasperiani e si ritrovano nei programmi del Partito Popolare Europeo.

E’ il momento, infatti,  di dare un segnale forte ai giovani e al Paese di un futuro di garanzia della libertà e di una forte presenza del PPE, per concorrere al superamento della pericolosa deriva relativistica della società europea.

Non è casuale l’invito rivolto al Cavaliere e a Formigoni: essi rappresentano gli esponenti di governo più autorevoli del nostro Paese. Il primo quale presidente del Consiglio italiano e il secondo responsabile della più importante realtà di governo regionale su cui fanno sicuro affidamento quanti come noi, cattolici, popolari liberali, ex militanti e simpatizzanti della Democrazia Cristiana, intendono costruire con loro la grande casa del PPE in Italia.




26 Aprile 2010

La guerra di Fini: dallo psicodramma alla trincea

Esaurito lo psicodramma della direzione nazionale, dove sono emerse tutte le pulsioni rimaste sino a quel momento sotto traccia o solo parzialmente svelate, ci ritroviamo in una situazione totalmente nuova e ricca di incognite.

Scontata la maggioranza bulgara attorno al leader Berlusconi, sorprende  la scarsissima consistenza del manipolo rimasto attorno a Gianfranco Fini, di cui si fatica a comprendere il senso della sua strategia quanto a obiettivi perseguiti.

Avevamo annunciato che, finito o in esaurimento il tempo della leadership carismatica, un partito di oltre il 35 % di consenso elettorale, non può che rassegnarsi a veder nascere al suo interno delle correnti, più o meno nettamente e palesemente organizzate.

Nella Prima Repubblica, al centralismo democratico di comunista memoria non c’era alternativa, salvo l’anarchia socialista precraxiana, se non con il sistema correntizio della DC, regolato con geometrica precisione dal codice Cencelli.

Certo, era il tempo della proporzionale pura e del sistema delle preferenze, causa di una più ampia libertà di scelta degli eletti da parte degli elettori, e, nello stesso, tempo, occasione per promuovere pratiche di inevitabili scambi tra politica e affari al limite della corruttela. Una delle ragioni su cui cadde miseramente quel sistema.

Con l’imperante “porcellum” senza preferenze, se, da un lato, si è tolta ogni possibilità di scelta degli eletti da parte degli elettori, dall’altra e nonostante un  assai prodigo sistema di finanziamento pubblico dei partiti, non sembra venuta meno la ben consolidata pratica di corruttele e concussioni diffuse.

Ora, tuttavia, nel Pdl non si potrà più evitare il confronto e la discussione. Confronto e discussione che non vuol dire, tuttavia, praticare il sabotaggio all’azione del governo. Lo stesso Berlusconi nel suo intervento in Direzione ha confermato che: “ Le correnti di pensiero e il dibattito interno vanno bene. La guerriglia non può essere tollerata”. Si tratta di capire se Fini, delegittimato oggettivamente nel suo ruolo di garante dell’imparzialità parlamentare, nel momento in cui assume esplicitamente quello di capo corrente minoritario del partito di maggioranza relativa, si porrà di traverso con i suoi  rispetto all’azione riformatrice promessa agli elettori e non più eludibile.

Un Presidente della Camera che sabotasse l’azione di governo del partito  cui dichiara di appartenere non si è mai visto nella storia di questa e di altre consolidate Repubbliche democratiche. Forse sarebbe meglio per tutti e per la stessa durata della Legislatura se Fini compisse il gesto di coerenza necessario: le dimissioni da presidente della Camera,ruolo istituzionale in cui fu eletto dalla maggioranza Pdl-Lega senza i voti dell’opposizione.

Bene ha fatto Umberto Bossi a minacciare la crisi della coalizione e della legislatura, qualora venisse meno l’impegno riformatore del governo, a partire proprio dal federalismo fiscale.

Chi e che cosa oggi Fini intenda rappresentare non si comprende. Non la destra tradizionale, dai cui elementi fondanti il leader bolognese si è sostanzialmente distaccato, perdendo colonnelli e intendenza ex aennina. Forse, una nuova destra liberale e democratica  dai toni radical- libertari;  in ogni caso l’ espressione di una ristretta minoranza nella realtà politica del Paese.

Nei prossimi giorni avremo elementi più concreti per formulare ipotesi più precise. Sarà guerriglia o guerra di posizione in trincea? Intanto sarà bene utilizzare i nuovi spazi di confronto politici che si sono aperti per ricostruire le ragioni fondanti del Pdl, sezione italiana del PPE e, da parte nostra, di ricomporre le sparse membra di una presenza cattolico popolare quanto mai necessaria, se non indispensabile, per sostenere una leadership di cui il Popolo della Libertà ha ancora necessità e senza alternative oggi praticabili.





19 Aprile 2010

No alla scissione si alle correnti

Superato con grande successo il giro di boa della legislatura con le elezioni regionali prodighe di ottimi risultati per il centro-destra, Gianfranco Fini ha ricominciato la sua azione destabilizzatrice giungendo ad un passo dalla definitiva rottura.

Differenze strategiche decisive non se ne vedono, mentre rimangono sempre quelle più direttamente connesse con le prospettive personali e di garanzia per il futuro. Un futuro dato sempre per prossimo, ma che la vitalità politica del Cavaliere riconfermata ad ogni scadenza elettorale, fa spostare sempre più in là.

Ci si mettono anche questioni di natura psicologica, dall’attacco insistente di giornali e riviste della casa madre berlusconiana, impegnati a fare il pelo e il contropelo al Presidente della Camera e non solo sul piano strettamente politico, unite a un’ evidente sofferenza vissuta da Fini per il personale rapporto politico preferenziale di Berlusconi con il Senatur e le loro cene di Arcore.

Al fondo, tuttavia, resta il limite di un partito, il Pdl, nato dalla confluenza di diverse culture politiche che, con grande approssimazione si è tentato di tenere insieme con la formula del 70-30, dimostratasi una gabbia indigesta a molte realtà politiche e territoriali.

Somma insofferenza per Fini, poi, il passaggio intervenuto di molti suoi  ex colonnelli di AN nelle grazie e nella considerazione del Cavaliere, tanto da far reclamare all’ex leader missino il riequilibrio nella rappresentanza del potere interno e di governo.

Già la settimana scorsa avevamo denunciato la necessità di por fine alle docce scozzesi che con eccessiva frequenza  sono state attivate da Fini, quasi da fare contrappunto permanente a Berlusconi anche in momenti delicatissimi quali quelli alla vigilia delle ultime elezioni regionali.

Piuttosto che una convivenza così lacerata e lacerante meglio sarebbe che ognuno andasse per la sua strada. E, per la verità, a questo esito ci si era quasi arrivati prima della riunione del consiglio di presidenza del Pdl di Venerdì scorso. Con l’annuncio della convocazione  di una direzione per giovedì prossimo e di un congresso del partito tra un anno  e mezzo, sembra essersi ritrovata un’unità che dovrebbe essere sancita proprio nella direzione annunciata .

Insomma unico vero antidoto alla scissione, che avrebbe più il senso di una strategia tafazziana da parte di una maggioranza più volte riconfermata dal voto degli elettori, i quali reclamano solo che si dia seguito agli impegni riformatori promessi, è la presa d’atto dell’esistenza nel Pdl di diverse culture e sensibilità.

Si prenda, in altri termini, atto di un’elementare regola della democrazia nei partiti. Questi, a differenza delle aziende, vivono a condizione  che siano assicurate regole interne e momenti istituzionali di dibattito e di confronto. E dibattendo e confrontandosi e poi decidendo, votando, è inevitabile che nascano quelle realtà effettuali che non si vorrebbero mai nominare: le correnti.

Sì, proprio quelle che permisero alla DC di far convivere per quasi quarant’anni esponenti  rappresentativi di diversi interessi, seppur accomunati dagli stessi valori, garantendo una partecipazione democratica senza eguali nella storia politica italiana.

Se ne facciano una ragione sia Berlusconi che Fini e, soprattutto, comincino a farsene una ragione anche quei molti, troppi leader sparsi di provenienza democratico cristiana, i quali, dovranno cominciare a misurarsi con altre sensibilità presenti nel Pdl, onde evitare che il nucleo principale della costituenda sezione italiana del PPE, finisca con l’essere egemonizzato da leader che con quella tradizione hanno assai ben poco a che spartire. Non è un caso che noi, da tempo, puntiamo su Roberto Formigoni come ad un sicuro futuro leader di questo PPE.

Tema questo  del ruolo dei cattolici nella sezione italiana del PPE che, prima o poi, dovrà pure essere ripreso con gli amici dell’UDC i cui elettori hanno dimostrato con chiara evidenza da che parte preferiscono stare.





12 Aprile 2010

Stop alle docce scozzesi

Non è passata una settimana dalla conclusione delle elezioni regionali che l’On Fini , silente solo negli ultimi giorni del voto, ha ripreso il suo puntuale atteggiamento di distinguo e dissenso  dalle posizioni espresse dal presidente Berlusconi.

E’ una continua doccia scozzese che non interessa più a nessuno, se non all’opposizione, che può sottolineare le permanenti divisioni nel centro-destra e agli aficionados finiani che, per la verità, nemmeno loro sembrano  sappiano esattamente cosa vogliano per sé e per il loro leader.

E’ comprensibile che, su un tema così delicato e strategico come quello del mutamento istituzionale della forma di governo e della stessa organizzazione statuale repubblicana, si apra un dibattito a tutto campo dentro e tra i partiti. Tuttavia, ragionevolezza vorrebbe che si procedesse all’interno di organi a ciò predisposti, prima di dare indecente spettacolo su tesi appena annunciate e prive di qualsivoglia approfondimento critico.

Non siamo mai stati teneri con i sistemi presidenzialistici o semipresidenzialistici appartenenti ad altre storie e culture politiche, americane o francesi che siano. Non lo fummo all’epoca dell’infausto referendum Segni del 1993 che, con l’introduzione del maggioritario, nella versione ibrida del mattarellum, concorse alla dissoluzione della prima repubblica, e non lo siamo nemmeno ora che, da Berlusconi a Fini, pur con non poche differenze tra doppio turno elettorale o turno unico,  questo tema sembra essere tornato all’ordine del giorno.

Scelta la strada del federalismo fiscale e del superamento della confusione introdotta dalle modifiche al Titolo V, purtroppo annullato dal referendum irrazionale del centro sinistra prodiano, e considerate le intervenute modifiche a livello globale della vita economica, finanziaria e nei rapporti tra poteri statuali e multinazionali che richiedono tempi di risposta delle istituzioni nazionali non più compatibili con le norme costituzionali assunte più di un mezzo secolo fa,è evidente che un rafforzamento dell’esecutivo si pone.

Convinti come siamo di una storia patria che, almeno sino alla seconda guerra mondiale, ha avuto caratteri molto più omogenei con quella tedesca che con quella francese o  anglo americana, da sempre abbiamo sostenuto il valore del sistema del cancellierato tedesco e del relativo sistema elettorale, quale quello più idoneo per superare, contemporaneamente, la frammentazione propria del proporzionale e di assicurare la capacità di governo nella leadership del leader cancelliere, in un corretto rapporto parlamentare determinato dall’istituto della sfiducia costruttiva.

Puntare, dunque,  sul rafforzamento del sistema bipolare garantendo, tuttavia, un grado di elasticità assai più consono alla realtà politica e culturale dell’Italia rispetto alla rigidità del maggioritario a doppio turno. E, senza, demonizzare la possibilità di forzate convergenze nell’esecutivo, in momenti di particolare difficoltà e privi di nette alternative maggioritarie nella realtà effettuale del Paese.

Certo servirebbe una contemporanea riduzione dell’attuale eccessiva frammentazione di venti regioni, alcune delle quali rette da  oramai anacronistici statuti speciali, e la loro razionalizzazione in cinque o sei macroregioni, come il compianto prof Miglio andò predicando sino alla fine della sua vita.

Tuttavia, considerata la nuova disponibilità della Lega, autentica vincitrice dell’ultimo test elettorale, della stessa UDC, di cui andrebbe favorito il suo rientro a pieno titolo nell’area dei partiti collegati al PPE, e dello stesso PD, se e in quanto capace di sottrarsi dal condizionamento vampiresco degli estremismi giustizialisti e girotondini, crediamo che potrebbe essere questo il punto di equilibrio attraverso cui procedere alla riforma costituzionale con voto qualificato parlamentare, che ci dovrebbe portare,finalmente, entro il  2013, alla fine di questa troppo lunga transizione, alla Terza Repubblica.





7 Aprile 2010

Pausa di riflessione

Mille giorni alla fine della legislatura e la volontà di affrontare le riforme di cui il Paese ha assoluta necessità. Riforme istituzionali, relative all’assetto stesso della Repubblica, dal federalismo fiscale alle modifiche di ordine costituzionale  non più rinviabili, con annessa questione irrisolta dei rapporti tra politica e giustizia; Riforme economico  finanziarie: da quella tributaria ai provvedimenti a favore delle famiglie e delle imprese in una situazione di crisi interna e internazionale ancora lontana dall’essere superata. Queste le scelte che le forze politiche di governo e di opposizione  dovranno affrontare.

Non v’è dubbio che i risultati elettorali relativi a un campione di oltre 40 milioni di elettori, con l’avvenuto spostamento di quattro regioni ( e che regioni, con Piemonte, Lazio, Campania e Calabria!) dal centro-sinistra al centro-destra, stanno alla base della riflessione cui sono chiamati, nei prossimi giorni, tutti i partiti, nessuno escluso. Dall’astensione che, con oltre il 7 % in più rispetto alla già rilevante cifra precedente, porta a oltre un terzo dell’elettorato (primo partito d’Italia) la verifica di un distacco e di un disincanto dalla partecipazione politica di cui si dovranno pure analizzare cause e terapie.

C’è molto da meditare in casa del PD, dopo l’avvenuta formazione di un’area di contestazione radical-giustizialista (Grillo-Di Pietro)  che, erodendo una parte significativa  del voto a sinistra, sembra sostituire le tradizionali formazioni estreme alla sinistra del partito guidato dall’On Bersani, la cui leadership, seppur formalmente difesa da tutti, è messa ogni giorno in discussione da molti.

Una riflessione quella in casa del PD che non mancherà di esercitarsi anche tra i residui popolari rimasti in quel partito. Penso ai Marini, Fioroni, Castagnetti,  Merlo con lo stesso v.segretario, Enrico Letta, i quali, perduti gli amici teodem Carra e Binetti, soffrono la progressiva trasformazione del partito, dall’Ulivo verso una cultura prevalente radicale di massa del tutto estranea alla  loro di provenienza. Salvo acconciarsi a una futura probabile subordinazione alla leadership di Nichi Vendola.

Una riflessione che riguarderà anche l’annunciata Alleanza per l’Italia di Rutelli e Tabacci, impantanati nella terra di mezzo di un sistema che, anche dopo il risultato delle regionali, non sembra orientarsi al di fuori di logiche bipolari.

Stesso tema per l’UDC che, pur conservando i suoi voti tra il 5 e il 6%, ha sperimentato la sostanziale irrilevanza della propria funzione a sinistra, dato che quando si sposta su quel fronte, come nelle Marche, Piemonte e Liguria, viene pesantemente abbandonato dal suo elettorato moderato. Il destino di quel partito resta inevitabilmente legato alla costruzione della sezione italiana del PPE.

Una riflessione che dovrà riguardare anche il Pdl che, specie nel Nord, soprattutto in terra veneta, ha subito una pesante sconfitta, con la Lega che lo ha superato come primo partito regionale, distanziandolo di quasi 11 punti percentuali. Situazione drammatica, se anche gli amici di Reteitalia del Veneto giungono a richiedere gli stati generali del partito per cambiare registro nei criteri di selezione della classe dirigente e di conduzione dello stesso Pdl, sempre meno presente sul territorio.

Anche la Lega, superato il momento dell’euforia per lo splendido risultato, dovrà meditare sul da farsi più in là. Restare isolata dal contesto dei partiti vivendo sulla forza carismatica del Senatur e del suo specialissimo rapporto con il Cavaliere, o entrare naturaliter nella grande famiglia europea del PPE, sperimentando quanto prima la strada di una federazione con il Pdl, premessa di di futuri e più stabili assetti?

Insomma è un cantiere aperto, che non mancherà di fornirci qualche sorpresa nei prossimi giorni. Speriamo che l’ottimismo dimostrato dal Presidente Napolitano circa il rasserenamento del clima tra i partiti, possa trovare corrispondenza nelle scelte che questi ultimi si accingono a compiere dopo i risultati elettorali di Marzo.





30 Marzo 2010

Dopo il crescendo rossiniano si apre una nuova stagione politica

Scontate le prime proiezioni che davano per acquisite alla coalizione Pdl-Lega le due Regioni più importanti del Nord, Lombardia e Veneto, e il quadrilatero rosso di Emilia-Romagna, Marche, Toscana ed Umbria per il PD, giungeva notizia del dato della Puglia.

Nichi Vendola, grazie anche alla dispersione del consenso moderato sulla candidata dell’UDC-MPA, Adriana Poli Bortone, confermava una facile previsione di successo sul pur bravo e combattente Rocco Palese.

Man mano che affluivano i dati dalle prime proiezioni, agli esiti degli scrutini dei voti reali nei seggi, si delineavano non solo le conferme di quei primi rilevamenti degli exit poll, ma risultava confermata la netta affermazione di Roberto Formigoni in Lombardia e assumeva carattere trionfale il successo di Luca Zaia nel Veneto.

Sbrigata con facilità la pratica della Basilicata, da tre legislature terra conquistata e ben mantenuta nell’egemonia-dominio di sinistra, e con altrettanto netto distacco quella della Calabria, da un formidabile Scopelliti trionfatore sullo spento e logorato Agazio Loiero. si attendevano con trepidazione i risultati di Piemonte e Lazio, da cui dipendeva in larga misura l’esito complessivo di questo turno elettorale di rilevanza politica nazionale.

Restava, solo per qualche ora, un margine esiguo di suspence sui dati della Liguria, anche se, ben presto, si evidenziava l’effetto dell’ appoggio a Burlando degli incoerenti amici dell’UDC liguri, per  tre legislature alternativi alla sinistra, e che, invece, in questa tornata sono risultati decisivi per la vittoria finale del candidato del PD.

I dati sulla scarsa affluenza alle urne di  Domenica e Lunedì 28 e 29 marzo, non lasciavano margini di molte speranze, soprattutto a Roma e provincia, dove l’assenza forzata della lista del PdL, aveva costretto Renata Polverini a combattere con una gamba sola, contro tutto e contro tutti.

In gioco c’era assai di più del pur importante bilancio finale tra regioni assegnate al centro-destra e al centro-sinistra.

In queste due regioni si scontravano, infatti, in maniera diretta e senza veli due concezioni politico culturali e valoriali, sulle quali, non a caso, aveva così fortemente e autorevolmente  invitato a riflettere i cattolici, con il card Bagnasco e la CEI, lo stesso accorato appello del Sommo Pontefice per la difesa dei valori non negoziabili.

Sino a quasi la mezzanotte di ieri, seppure si poteva già essere moderatamente soddisfatti in casa Pdl-Lega, per l’esito di una consultazione che dava già sette regioni, delle 11 da cui partiva prima del voto, al centro sinistra e quattro al centro destra, non appena la forbice esigua si andava leggermente allargando e consolidando a favore di Roberto Cota in Piemonte e di Renata Polverini nel Lazio, veramente si sentiva il suono di  un crescendo rossiniano che tramutava una già netta affermazione in un autentico trionfo per il centro-destra.

Esaminiamo,  in sintesi , ciò che  è avvenuto:

1)   l’astensionismo, fenomeno oramai tipico di tutte le elezioni di medio termine, aggravatosi in tutta Europa anche a seguito della pesante crisi economica e finanziaria, ha colpito anche l’Italia e, stavolta,  in maniera ancor più rilevante rispetto ad altre consultazioni elettorali, seppur  in misura minore che in Francia. Esso non ha colpito a senso unico, come di norma, a scapito del centro-destra, ma con evidenti effetti anche sul polo di sinistra.  Insomma, ora,  la disaffezione è trasversale in entrambi i poli;

2)   delle tredici regioni in lizza, undici erano guidate dalla sinistra e alla fine ad essa ne sono rimaste sette; alle due storiche  roccaforti  del centro destra al Nord si  sono aggiunte altre quattro regioni sottratte al centro-sinistra, tanto da assegnare la maggioranza al centro-destra nella conferenza permanente delle Regioni, dopo una lunga stagione minoritaria;

3)   il trionfo a valanga della Lega nel Veneto, con conseguenze pesantissime sul grado di tenuta del Pdl superato dal partito bossiano in tutte le province, ad eccezione di quella di Rovigo, e il concomitante successo di Cota in Piemonte apre uno scenario quanto mai nuovo e diverso su cui sarà necessaria una seria riflessione dentro e fuori del Pdl e nella stessa Lega.

4)   Il ruolo di Roberto Formigoni, insieme a quello del Cavaliere, a questo punto, risulta decisivo non solo per gli equilibri complessivi tra Lega e Pdl nel governo delle regioni del Nord, ma anche e soprattutto, all’interno dello stesso Pdl, in cui il governatore lombardo si è conquistato, e non da ieri, un ruolo rilevante e non  più giocabile sotto traccia.

5)   A Roma e nel Lazio è accaduto un autentico miracolo, basti pensare che il Pdl, assente con la sua lista, nel più vasto collegio di Roma e provincia, è riuscito a trasferire sul simbolo rosso cupo della lista Polverini, oltre l’80% dei suffragi del proprio elettorato e, grazie, alla netta affermazione dell’ex sindacalista UGL in tutte le restanti province laziali, ha potuto alla fine prevalere, seppure di un soffio, su Emma Bonino, cui va reso, in ogni caso, l’onore delle armi. Qui un ruolo fondamentale ancora una volta l’ha giocato il Cavaliere, che non ha esitato a metterci la faccia e a combattere una battaglia che sembrava, a prima vista, perduta. Essenziale, altresì, l’appoggio dell’UDC, come sarebbe dovuto avvenire, coerentemente, anche in Piemonte. Di ciò, credo, si discuterà e non poco, anche all’interno del partito di Casini.

Da questi risultati dovremo trarre molte conseguenze di natura politica e di governo e all’interno di tutti i partiti, pdl per primo.  Per ora ci limitiamo ad osservare che, dopo questo voto, non ci saranno più alibi, né possibilità di rinvii. Ancora una volta la gente  ha dato fiducia al governo Berlusconi Ora si reclama la fine di scandali e scandaletti, politica di buon governo in tutte le sedi ma, soprattutto, di avviare senza più tentennamenti la strada delle riforme: federalismo fiscale e riforma istituzionale, comprensiva di quella organica della giustizia, e riforma tributaria, con politiche per lo sviluppo  e l’occupazione, sono i passaggi ineludibili se si vuole conservare il consenso.





22 Marzo 2010

In nome del popolo sovrano

Sabato, una tre Italie  sono  scese in piazza.

A Milano “Libera”, l’associazione di Don Ciotti è sfilata per mantenere vivo l’impegno della lotta contro la mafia. A Roma si sono dati appuntamento i vari movimenti che si battono contro la privatizzazione dell’acqua, mentre a Piazza San Giovanni, la storica piazza del sindacato e delle manifestazioni oceaniche della sinistra, si è svolta la manifestazione del Partito del Popolo della Libertà  contrassegnata dallo slogan: “ L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”.

E’ il nuovo modo di fare politica, dopo che la spettacolarizzazione introdotta dal sistema maggioritario, dal 1994 ha sostanzialmente mutato i criteri di partecipazione e di formazione del consenso in questa lunga transizione che ci separa  dalla fine della prima repubblica.

Si era dato convegno a Piazza del Popolo, la settimana prima, il centro sinistra con alte grida contro il Cavaliere e il rischio del regime. Una situazione comica quella di chi urlava contro il rischio per la libertà, nel momento in cui era proprio il Pdl che era estromesso dalla possibilità di partecipare al voto nel collegio di Roma e provincia.

E il centro destra non  poteva rimanere inerte. “ Quando ce vò, ce vò” e in soli sette giorni ecco che Berlusconi è riuscito a portare a piazza San Giovanni diverse centinaia di migliaia di supporter giunti da ogni parte d’Italia e a ricompattare le diverse anime del Pdl sul grande palco, in cui si è riaffermata la stima e l’amicizia all’alleato più fedele, il Senatur Umberto Bossi, che ha ricambiato con parole affettuose e politicamente impegnative le attestazioni di affetto rivoltegli dal Cavaliere.

Dodici dei tredici candidati alle presidenze delle regioni in lizza il 28 e 29 marzo p.v. facevano corona a Berlusconi, ai ministri e dirigenti politici del Pdl. Mancava solo, per un lutto grave che ha colpito la sua famiglia, il nostro Luca Zaia, la cui adesione è stata, in ogni caso, confermata dallo stesso Bossi e dal candidato On Cota alla presidenza della Regione Piemonte.

Migliaia di bandiere del Pdl e tricolori hanno sventolato ininterrottamente durante il comizio di Berlusconi che, reclamato, ancora una volta, il diritto del Pdl a partecipare in tutti i collegi al voto di fine marzo, ha polemizzato con quel magistrato, fan del Che Guevara, che, secondo le ricostruzioni fatte dagli interessati, avrebbe di fatto impedito la presentazione della lista del Pdl in quel breve lasso di tempo in cui si è consumato “ il pasticciaccio brutto de Roma”.

Non sono passati che pochi minuti dalla conclusione della manifestazione del Pdl che il consiglio di stato, prima, e il V.Presidente della Regione Lazio immediatamente dopo, hanno definitivamente tolto ogni speranza di recupero della lista del Pdl  e lo spostamento di almeno due settimane del voto laziale, come richiesto da Sgarbi dopo la riammissione della sua lista al confronto elettorale.

Ingiustizia è stata fatta. Si sono, forse, rispettate le forme e le regole burocratiche di un’assurda normativa, colpendo tuttavia al cuore la sostanza della democrazia, nel momento in cui si costringe la prima forza politica del Paese, alla forzata assenza della sua lista in  uno dei collegi più importanti dell’Italia.

Ora la parola passerà al popolo sovrano cui spetterà il compito di rispondere con il voto in queste elezioni che, al di là dell’indubbio significato politico, restano a tutti gli effetti elezioni regionali.

Da una parte il centro-destra può vantare i modelli di eccellenza nel governo di Regioni come la Lombardia e il Veneto. Dall’altra il centro sinistra dovrà fare i conti con i risultati  fallimentari dei governi di Calabria,Campania e con le situazioni indifendibili della Puglia e della regione Lazio, con un sistema di potere rosso tosco-umbro emiliano che ha mostrato tutti i suoi limiti politico culturali.

A Roma un ruolo decisivo sarà svolto dal voto dei cattolici. Tra Renata Polverini, leader del sindacato, impegnata coerentemente nella difesa dei valori non negoziabili, e  l’ultrastagionata radicale Emma Bonino, la più fiera avversaria con Pannella di quegli stessi principi, spetterà, soprattutto a loro, di decidere il destino di una regione che con Marrazzo, ha segnato il punto di svolta più negativo di tutta la sua recente storia.

Nonostante tutto, con il vulnus dell’assenza di una lista decisiva al suo fianco, abbiamo la speranza che anche la regione Lazio possa provare una nuova esperienza di governo, segnata dall’impegno dei programmi che i candidati governatori del centro-destra hanno assunto di rispettare, con la sottoscrizione del patto con gli elettori per i prossimi cinque anni dei governi regionali.

E dopo, qualunque sia l’esito del voto, ci saranno tre anni senza scadenze elettorali rilevanti, per una maggioranza di governo solida che dovrà corrispondere, senz’altri indugi , agli impegni riformatori  che anche sabato sono stati riconfermati dal Presidente del  Consiglio.





15 Marzo 2010

Il solito copione

Gira e rigira siamo alle solite: a piazza del popolo si è ritrovato l’Ulivo e la vecchia Unione, con qualche bandiera viola in più e qualche ex DC in meno.

Vince la strategia di Di Pietro, autentica sanguisuga elettorale del PD. Marcano visita Marini e Castagnetti, sempre più a disagio in un partito  che, persa ogni connotazione di classe,  scivola ogni giorno di più nel radicalismo di massa.

Bersani aveva chiesto a Di Pietro di smetterla con gli attacchi a Napolitano e il vice segretario Enrico Letta addirittura minacciato: se qualcuno insulta il Presidente è automaticamente fuori dell’alleanza. Il trattorista ha tirato il freno a mano. Si tratterà di vedere per quanto tempo durerà.

Non ci sono stati attacchi diretti, anche se la piazza, molto meno numerosa rispetto alle attese, non era priva di striscioni contro la svendita della Repubblica in un tripudio di bandiere rosse.

Positiva la scelta di Casini di non partecipare all’ennesima bolsa kermesse anticavaliere, anche se l’appoggio alla Bresso in Piemonte e a Burlando in Liguria non lo assolve dalla responsabilità di una strategia ambigua, innaturale per un partito di riferimento della grande tradizione popolare europea.

Sono trascorsi sedici anni dalla discesa in campo del Cavaliere e l’opposizione, dopo averle tentate tutte, cosa si ritrova? Una magistratura, parte della quale, sente oramai sul collo il momento della sua riforma non più rinviabile, che  a Milano e a Roma  si mette a giocare con i cavilli e le interpretazioni formali a senso unico, ossia contro il centro destra; mentre Bersani, Vendola, Di Pietro, con i radicali, i verdi e le forze residue della sinistra antagonista, sono ridotti a rispolverare ancora una volta l’antiberlusconismo  senza costrutto.

Mancava solo la perla delle intercettazioni dei PM di Trani, ennesimo utilizzo improprio e illegittimo di uno strumento cui si dovrà ben presto porre rimedio, per dar fiato alla fiaba dell’attacco alle libertà democratiche.

Ma come? Avete voluto  la legge della par condicio e, ora che la commissione di vigilanza ha deciso di applicarla sino in fondo, si grida allo scandalo per non poter mandare in onda il settimanale trio contro il Cavaliere di Anno zero, Ballarò e l’Infedele. C’è sempre, comunque, un TAR pronto a dare una mano.

Ci si straccia le vesti e si grida allo scandalo per Berlusconi che, in conversazioni telefoniche private, ribadisce ciò che dichiara pressoché ogni giorno in pubblico contro i Santoro, Travaglio e Floris, campioni dell’attacco sistematico al premier e alla sua maggioranza, proprio da parte di quelli che, dopo aver riempito la RAI di fedeli giornalisti e mezzibusti in carriera, sono stati capaci di elevare ai massimi livelli elettivi le loro Gruber, Badaloni, Marrazzo, oltre allo stesso Santoro, seppure, quest’ultimo per una breve parentesi feriale a Strasburgo.

E’ un brutto clima quello in cui non si sta svolgendo il confronto elettorale per i rinnovi dei consigli regionali.

Sistemata in via definitiva la lista di Formigoni in Lombardia, dove giustizia è stata fatta e un’operazione verità, ha messo in chiara luce il doppio pesismo utilizzato dalla commissione circoscrizionale elettorale, resta il vulnus della mancata accettazione della lista del Pdl a Roma, con una Bonino che, dimenticata ogni tradizione radicale libertaria, combatterà alla Tecoppa, con un avversario costretto a combattere con una mano legata dietro la schiena.

Ci sarà il tempo per ragionare sul Pdl, sui suoi limiti politici e organizzativi. Ora, tuttavia, resta solo l’impegno di compiere il grande sforzo di partecipazione corale  al voto di Marzo.

Si ripartirà da quel risultato per ragionare sulle prospettive, mentre si apre l’ultimo triennio di una maggioranza di governo costretta a realizzare le riforme promesse di cui il Paese ha urgente necessità.





8 Marzo 2010

La Piazza e il voto

In attesa dei pronunciamenti definitivi del Tar del Lazio e di quello della Lombardia, prendiamo atto della sospensiva deliberata dal tribunale amministrativo regionale lombardo che, di fatto, ha riammesso la lista di Roberto Formigoni alle elezioni del 28 e 29 marzo.

Sepolcri imbiancati che affermavano di non voler vincere a tavolino, mentre non si sono scandalizzati dai disinvolti comportamenti delle commissioni elettorali, estremamente rigorosi sul piano formale con le liste del centro-destra e di larghe vedute, su situazioni analoghe, per quelle del centro-sinistra, sbraitano adesso contro il presidente della Repubblica, di cui il solito trattorista di Montenero giunge a chiedere l’impeachment o, più convenientemente, come il PD di Bersani, salva Napolitano e si appresta a scendere in piazza.

In piazza per fare che cosa? Per chiedere di votare senza i partiti della coalizione di maggioranza che  governa il Paese? Dove sta la difesa della democrazia? Nell’interpretazione capziosa e a senso unico delle regole o nella possibilità di garantire a tutti i cittadini di esprimere il loro voto?

Ancora una volta abbiamo assistito a uno scontro non più latente, ma alla luce del sole, tra politica e una certa magistratura, sino a giungere al possibile conflitto istituzionale ai massimi livelli, per arrivare, grazie all’intelligenza e all’equilibrio di un presidente della Repubblica garante, all’unica soluzione che permetterà lo svolgimento delle elezioni in condizioni di normalità democratica.

Certo, restano gravi le responsabilità di quegli stolti rappresentanti di lista romani  che, per ragioni ancora tutte da decifrare, hanno impedito, o, come sembra, sono stati, alla fine, impediti di presentare nei termini la lista del Pdl nel collegio di Roma. Così come, forti di una prassi consolidata, anche a Milano  si dovranno prendere le opportune misure, sperando, altresì, in una modifica delle norme di cui, già il decreto  votato dal governo e controfirmato da Napolitano,  fornisce l’autentica interpretazione.

Il” pasticciaccio brutto” di  Roma e  quanto accaduto a Milano saranno oggetto di una riflessione più approfondita e senza rete da compiere sullo stato di avanzamento del processo fondativo del Pdl, ma, adesso, tutte le energie vanno indirizzate alla migliore riuscita dei candidati  governatori del centro destra e delle liste ad essi collegate. Allo “spiazziamoli” di cui parla l’Unità di ieri dobbiamo rispondere con una partecipazione corale alle prossime elezioni.

Di Pietro e Bersani, scendendo in piazza, finiranno con attribuire inevitabilmente a queste ultime quel significato politico generale che, potrebbe, alla fine, persino rivolgersi contro di loro.

Se, come pare, essi intendono chiamare il Paese “al giudizio di Dio” pro o contro Berlusconi, credo che abbiano scelto il terreno più arduo per loro stessi e stavolta, il popolo del centro-destra è chiamato ad un duplice impegno:  a riaffermare il suo primato per garantire, da un lato, i migliori governi regionali, specie in quelle regioni, come la Campania, la Calabria e il Lazio dove il centro-sinistra si è ricoperto di gravi responsabilità politiche e  amministrative e di personali responsabilità di alcuni loro esponenti, gravissime anche sul piano morale, oltre a consolidare il buon governo lombardo, modello esemplare per il Paese e nell’intera Europa.

Dall’altro, a riconfermare la fiducia nel governo del Cavaliere cui spetterà il compito di utilizzare gli ultimi tre anni della sua durata per attuare quelle riforme che il popolo della libertà non considera più procrastinabili.

Sul Pdl e sulla necessità di una sua profonda ristrutturazione, con il superamento dell’insostenibile regola del 70-30, frutto di valutazioni sommarie e compromissorie a tavolino, ci torneremo a urne chiuse, sempre convinti che la questione sia troppo complessa per essere ridotta ad una mera faccenda di rapporti tra Berlusconi e Fini. Intanto pensiamo ad andare a votare uniti per raggiungere il migliore dei risultati: se gli altri vanno in piazza, noi andiamo a votare.





1 Marzo 2010

Liste in chiaroscuro

Si è conclusa, con la presentazione delle liste e dei listini,  la prima e più tormentata fase della campagna elettorale.

La stucchevole querelle sul certificato penale dei candidati, nel momento in cui è scoppiata in tutta la sua enormità la nuova questione morale, ha evidenziato tutti i limiti di un sistema privo di regole nella selezione dei candidati, a destra come al centro e nella sinistra di tutti gli schieramenti.

Non ci fosse il voto di preferenza, presente ovunque tranne che nella rossa Toscana, dove una legge di tipo bolscevico costringe gli elettori a liste bloccate con gli eletti praticamente tutti decisi a tavolino dai maggiorenti dei partiti, dovremmo accontentarci di ciò che hanno deciso capi e capetti locali, in gran parte privi della benché minima autorevolezza e sicuramente , almeno nel Pdl, di nessuna legittimità democratica.

Anche il Cavaliere stavolta ha dovuto sudare per imporre la sua autorità, dovendo slalomare tra Scilla e Cariddi della regola del 70-30, stabilita prima e durante il congresso di formazione del partito e tra le paturnie di un sempre più ribelle e lontano Gianfranco Fini, e di qualche riottoso leader regionale.

Speriamo, ad esempio, che l’impuntatura di Fitto contro la Poli Bortone e la difesa strenua di Rocco Palese, produca un risultato positivo, che , onestamente allo stato degli atti, appare quanto meno assai difficile da raggiungere.

Si aggiunga il pasticciaccio brutto della mancata presentazione nei termini della lista della Polverini a Roma. Alla fine, ciò che doveva essere l’occasione per un trionfo del centro-destra rischia di trasformarsi in un miracoloso recupero per il centro-sinistra.

Come sempre è accaduto, anche stavolta si contano vincitori e vinti. Vincitori la quasi totalità dei consiglieri uscenti, ostinatamente in difesa delle proprie posizioni di potere e di privilegi, anche quelli che stanno per riproporsi per la quarta o la quinta legislatura, alla barba del rinnovamento e dell’apertura verso le nuove generazioni.

Sconfitti quasi tutte le componenti di ispirazione democristiana interne al Pdl, vittime della sciagurata regola spartitoria tra ex FI ed ex AN. Una regola che, ahimè, non fa i conti con le concrete realtà dell’elettorato nei diversi collegi.

Nessun posto garantito nei listini, di fatto bloccati, per gli amici di Giovanardi e di Rotondi, che, infatti, stanno meditando scelte alternative nel dopo elezioni, a dimostrazione che,  a coloro i quali hanno scelto con il Pdl di far parte della grande famiglia dei Popolari Europei, non  si  intende riconoscere, non dico la pari dignità, ma nemmeno il diritto di rappresentanza. E tutto questo, proprio a quelli che di quella tradizione sono  i legittimi eredi.

Meno male che registriamo la forte presenza dei cattolici attorno al leader naturale di questa componente all’interno del Pdl, il nostro Roberto Formigoni. Su di lui ruotano le speranze di quanti, cattolici e laici,  si ispirano agli ideali struziani e degasperiani dentro il Pdl, declinati secondo gli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate”, per mantenere viva una voce indispensabile nella politica italiana, come ben ha sottolineato il segretario di stato vaticano, card Bertone, nella sua lectio magistralis introduttiva del recente convegno di Riccione di Rete Italia.

La Regione Lombardia, che ha raggiunto il primato di leader tra tutte le regioni europee per il PIL ( il 21% dell’intero PIL nazionale italiano), ancora una volta potrà contare sulla sicura guida di governo di una persona che ha saputo dimostrare in questi anni come si possa introdurre una seria e innovativa politica di governo fondata sui principi della sussidiarietà, solidarietà e della responsabilità ai diversi livelli di competenza istituzionale.

Attendiamo fiduciosi gli esiti della campagna elettorale, anche se gli errori compiuti nella formazione delle liste e nella sottovalutazione di alcune componenti, non potranno non avere effetti.

Ci sarà il tempo, come già annunciato e di fatto avviato in alcune decisioni  assunte da Berlusconi, per ragionare con calma e serenità dopo il voto di Marzo.

Per ora siamo tutti impegnati a far sì che le liste dell’alleanza Pdl-Lega con gli amici dell’Alleanza di Centro, dove questa si è potuta imparentare con i candidati presidenti, abbiano il più grande successo.

P.S.: apprendiamo, a nota politica già trasmessa alla radio,  che anche la lista che si rifà a Formigoni sarebbe stata annullata dalla decisione della corte d’appello di Milano per diverse centinaia di  firme di presentazione invalidate.

Al di là degli errori imputabili a improvvisati gestori di tecniche elettorali un tempo svolte con estremo rigore dai vecchi funzionari dei partiti della Prima Repubblica, nasce il sospetto che, dopo il pasticciaccio de Roma e questo incomprensibile e inaccettabile fatto lombardo, stia per determinarsi una situazione di scontro politico senza pari.

Speriamo che gli organi della magistratura sappiano trovare una soluzione al rebus, tenendo presente che la democrazia con la sua possibilità di espressione deve prevalere sul principio di legalità contenuto in norme burocratiche, a  meno che non si intenda consegnare, senza il confronto elettorale, intere regioni alla sinistra.

Attenti, perché, forse,non si comprende pienamente a cosa si sta andando incontro se prevalesse una lettura errata di quanto è accaduto.





22 Febbraio 2010

Modello lombardo: una proposta x l’Italia

Ancora una volta l’incontro di Rete Italia, quest’anno svoltosi a Riccione, dal 19 al 21 febbraio, ha fatto centro.

Apertosi con la lectio magistralis del segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, il quale, fatto straordinario e unico, ha portato ai convegnisti il beneaugurante saluto del Sommo Pontefice, con gli interventi dei tre governatori, Formigoni, Chiodi e Iorio, nel pomeriggio di Sabato, si è potuto presentare in tutta la sua evidenza il modello di governo lombardo come una proposta di riferimento per  il Paese.

Roberto Formigoni ha tracciato un bilancio puntuale e realistico di un’esperienza di governo, per molti versi, unica nella storia del regionalismo italiano ed europeo, ricordando come nel 1995, al tempo della sua prima elezione alla guida della Regione Lombardia, lo storico Giorgio Rumi, avesse definito il caso lombardo come quello del “grande buco  nero” in cui era caduta questa, per molti versi straordinaria, realtà territoriale.

Di qui l’esigenza di adottare un criterio guida nella lettura della complessità della situazione lombarda, unito ad una gerarchia di valori sulla base dei quali stabilire le priorità.

Formigoni ha evidenziato come, alla base della sua strategia politica, ci fosse l’idea guida per cui la storia la fanno gli uomini. Di qui la decisione di partire con la volontà di offrire un aiuto alle persone, sapendo che “ dei lombardi ci si poteva fidare” e che era possibile rendere visibile l’azione della Regione, solo se ci si metteva al servizio delle persone secondo una gerarchia di valori che derivava da una forte identità politico culturale.

Questa scala di valori era rappresentata dalla dottrina sociale cristiana: dignità della persona, sussidiarietà, responsabilità, certezza che, com’ era indicato nel tema del convegno: “ costruire il bene comune è possibile”.

Insomma l’affermazione di un’identità forte e riconoscibile che, lungi dal rappresentare un fattore di separazione ed esclusione, permetteva, come di fatto ha permesso, di aprirsi all’ascolto degli altri. Un’identità che, dunque, “non divide ma spalanca le porte verso l’altro”.

La scommessa di questi quindici anni è stata giocata tutta sul fronte della sussidiarietà:  verticale tra i diversi livelli politico amministrativi locali e orizzontale con i diversi attori presenti nella complessa  e articolata realtà di una Regione Stato, di quasi 10 milioni  di abitanti, nella quale si è passati, progressivamente, da una gestione politico amministrativa, quale quella ereditata, di un ente locale solo un po’ più grande ad un’effettiva politica di governo.

Tracciando un excursus di quanto è avvenuto nei settori di competenza della regione: dalla sanità in cui si è realizzata un’autentica rivoluzione copernicana ( chi non ricorda le battaglie in campo aperto con l’allora ministra della sanità. Rosy Bindi nel 1995-96) con al centro sempre la persona e la dignità dell’ammalato. Un modello di gestione misto pubblico-privato fondato sulla libertà di scelta delle persone e sul richiamo di tutti gli operatori al dovere della responsabilità.

Una sanità umanizzata con al centro la persona, mentre con la realizzazione delle fondazioni alla guida degli istituti di ricerca, si è voluto impostare un sistema nuovo e diverso di governance, per porre rimedio a quella statalizzazione degli istituiti ospedalieri, autentico scippo alla storia e alla tradizione lombarda, che è storia della migliore tradizione cattolica e laica, per avviare nuove sollecitazioni del mecenatismo popolare e riportare l’ospedale ad essere considerato a pieno titolo patrimonio della comunità del territorio in cui questo si colloca.

E, così, dalle politiche innovative del welfare society, dell’istruzione e della formazione professionale, di cui aveva ben evidenziato i fattori innovativi, l’assessore Rossoni nella mattinata di sabato, alle politiche dei servizi di pubblica utilità ( acqua, energia, RSU, banda larga e le stesse Ferrovie  Nord Milano) nei quali si è puntato a garantire al pubblico la proprietà delle reti e di affidare al privato le migliori best practices di gestione; sino ai rapporti con gli enti locali, per i quali si è giunti compiere insieme una grande politica di avanzamento sul federalismo con il raggiungimento di un patto  che, in attesa di quanto si dovrà ottenere dallo Stato, definisce esattamente competenze e funzioni dei diversi livelli di potere locali.

E, infine, gli  innovativi rapporti con il sistema delle imprese e con gli enti di governo territoriali e funzionali, sfociati, con l’organizzazione di innumerevoli tavoli di concertazione ( “ abbiamo dato lavoro ai nostri falegnami brianzoli”, ha sottolineato scherzosamente il governatore) in quel Patto per lo  sviluppo, che ha permesso di affrontare con forte solidarietà i momenti di grave crisi scoppiata alla fine del 2008 e, soprattutto, di raggiungere un consenso del 95% per la realizzazione di quell’opera storica rappresentata dalla pedemontana  lombarda.

Tutto ciò in totale sintonia con quel principio di sussidiarietà, stella polare dell’azione di governo  lombardo, nella quale si è sperimentata la più ampia capacità di dialogo con i partiti della coalizione e con i cittadini, avendo consapevolezza che “governare significa concertare, tenere insieme l’alleanza con i partiti alleati “ con i quali talora è stato necessario scambiare “ideali contro potere”, riprendendosi il potere quando alcuni traguardi ideali sono stati raggiunti…. Sempre consapevole che “da soli non si guida un governo e non si fa politica”. Serve un capitano che dà la visione strategica e  capace di  motivare e guidare una squadra, che va mantenuta coesa e forte nelle sua volontà di attuare il patto sottoscritto con gli elettori.

Insomma una rappresentazione completa di un modello di governo fondato sulla dottrina sociale cristiana che, a detta degli stessi due interlocutori delle regioni del Sud, rappresenta oggi un esempio di riferimento per le altre realtà regionali italiane.

Un ottimo viatico verso una riconferma alla guida di una realtà regionale che vede Roberto Formigoni come il campione della politica del regionalismo italiano ed europeo, alla guida di una regione a pieno titolo inserita tra i quattro motori dell’Europa e tra le quindici regioni più progredite del mondo.

Se nel lontano 1943 i cattolici italiani con il codice di Camaldoli e le idee ricostruttive per l’Italia, posero le basi per l’affermazione dei caratteri fondativi della Repubblica, per Regione Lombardia è stata la sussidiarietà il leit motif di questa per molti versi unica esperienza di governo,

Un’esperienza che si intende continuare sulla base di due temi chiave per i prossimi cinque anni: Innovazione e Apertura. Innovazione per offrire ai cittadini l’aiuto per restare sul mercato ai livelli più elevati nella nuova e difficile competizione internazionale; apertura, nella migliore tradizione lombarda del grande Ariberto di Intimiano, nella consapevolezza che ci si difende meglio non arroccandosi in pericolose autarchiche chiusure, ma aprendosi al confronto con gli altri, forti della nostra identità.

E, dopo, il 29 marzo, con la riconferma alla guida della sua Lombardia, si aprirà una nuova stagione politica e di governo nella quale ritroveremo Formigoni come uno dei protagonisti non secondari della vicenda politica italiana.





8 Febbraio 2010

FIAT ingrata

La settimana scorsa, sollecitati dalle crisi occupazionali dell’ALCOA e di Termini Imerese, avevamo evidenziato i caratteri assolutamente nuovi e diversi di una crisi occupazionale di carattere strutturale collegata ai mutamenti  intervenuti nella divisione dei lavoro a livello planetario.

Nuovi attori sono scesi in campo e troppo differenziate sono le condizioni  economiche, sociali, di cultura industriale e ambientale e di protezione sociale tra i Paesi del ricco occidente e dell’Europa custode di un welfare state che non regge più, e troppo pesanti le conseguenze, soprattutto a carico dei lavoratori della fascia di età in cui risulta difficile sia pensare alla pensione, sia ad una riconversione compatibile.

E’ in questo quadro che esplode in tutta la sua gravità la questione FIAT.

Finito il tempo in cui l’Avvocato poteva affermare: “ciò che è bene per la FIAT è bene per l’Italia”, dal 2006, anno in cui le redini dell’azienda sono state assunte da Marchionne con la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, alla soglia di una situazione pre fallimentare, le cose sono profondamente mutate.

In fondo, lo tsunami finanziario che ha sconvolto il mondo ha rappresentato un’opportunità per Marchionne e soci, potendo contare sulle risorse USA ai fini del salvataggio di Chrysler in forza di un convincente piano industriale che, tuttavia, cambia profondamente la natura e la funzione di quella che è stata per quasi un secolo uno dei campioni del sistema industriale italiano.

Campione sempre sostenuto da tutti i governi italiani succedutesi da Giolitti in poi.  Sia in periodo di pace che di guerra la FIAT ha rappresentato un esempio, non isolato nel panorama europeo, di azienda mista privato-pubblica, in cui era ben declinato l’assioma di un capitalismo nostrano uso a pubblicizzare le perdite e a privatizzare i profitti. Magari con qualche esportazione di capitali di consistente valore, come stanno a dimostrare le triste vicende delle eredità familiari di casa Agnelli, degne di una delle pagine più brutte della saga dei Forsyte o dei Buddenbrooks.

E’ patetico il sig. Luca Cordero di Montezemolo, cui sembra strizzare l’occhietto il  segretario del PD Bersani, quando sostiene che da quando lui e Marchionne hanno assunto le redini del gruppo FIAT, la società non ha preso un soldo dallo Stato.

E gli incentivi per le rottamazioni, stimati in oltre 250 milioni di €,dal 2006 al 2008, che cosa sono? E gli oltre 20 miliardi di euro, che autorevoli esperti economici calcolano approssimativamente, di finanziamenti diretti assicurati al colosso torinese negli anni precedenti, oltre alla garanzia di un sostanziale monopolio al tempo in cui si temeva l’invasione dell’auto giapponese, cos’altro furono? Per non parlare del caso dell’Alfa Romeo e della Lancia regalate alla Fiat contro una  pingue offerta della Ford lasciata miseramente e colpevolmente cadere.

Bene hanno fatto i ministri Scajola e Calderoli a replicare alle incaute e ingrate parole dello scapigliato  sempre giovin signore torinese.

Il primo, ricordando che, se FIAT è uscita dalla crisi qualche merito va ascritto alla politica del governo, mentre, più brutalmente, ma con non meno efficacia, il ministro leghista ha chiesto retoricamente se Luca Cordero, con quelle parole, non stesse raccontando una barzelletta.

Ingrata FIAT e pericolosissima situazione per i lavoratori del gruppo.

Va preso atto che non siamo più di fronte ad una realtà i cui interessi coincidono con quelli del Paese. Spostato il baricentro strategico a Detroit e diffusa la produzione in varie parti del mondo in cui esistono le migliori economie di scala, si deve considerare la Fiat alla stregua di tutti gli altri operatori operanti nel mercato.

Produrre meno di un terzo della sua produzione in Italia, assai al di sotto di quanto fanno gli operatori concorrenti in Francia  (Renault)e in Germania (Wolkswagen), comporta per lo Stato lasciare aperte le porte a possibili investitori  alternativi.

Basta con gli incentivi, palliativi di breve periodo, di fatto elementi di distorsione del mercato, mentre seriamente si deve puntare a una nuova politica economica e industriale a sostegno soprattutto delle industrie medie e piccole che costituiscono il nerbo strutturale della nostra economia.

Certo lo scenario è profondamente mutato e nuove idee e nuovi progetti dovranno scaturire dal nostro genio italico. Essenziale che lo  si accompagni e sostenga con politiche aperte e di forte connotazione solidaristica e sussidiaria.





1 Febbraio 2010

Dallo tsunami finanziario alla crisi dell’occupazione

Lo tsunami finanziario scoppiato alla fine del 2008, com’ era previsto, comincia a produrre tutti i suoi effetti negativi sul piano economico sociale con intensità diverse a livello planetario.

Sono soprattutto le economie dei Paesi occidentali  le più colpite, anche se conseguenze devastanti  si sono determinate in molti Paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo.

Un capitalismo finanziario incontrollato e incontrollabile ha causato alle economie reali dei paesi più industrializzati danni irreparabili, mentre il nuovo quadro delle economie di scala a livello planetario mostra le nuove realtà di Cina,India, Corea del Sud, Brasile e Indonesia, come i nuovi campioni destinati a modificare profondamente la stessa divisione del lavoro e dei profitti a livello internazionale.

All’ ALCOA, Termini Imerese, Pomigliano d’Arco, ma anche a Mirafiori e  in molte altre realtà della fascia pedemontana padana,  si tocca sulla pelle dei lavoratori il dramma di una disoccupazione oltre la soglia dell’8-9 %, uno  o due punti sotto la media della disoccupazione europea, ma, in ogni caso che colpisce già oltre due milioni di lavoratori.

Sono sei o sette milioni di italiani colpiti direttamente da questa nuova drammatica situazione, alla quale il governo è riuscito sino ad ora a porre qualche rimedio con gli ammortizzatori sociali e con una politica finanziaria e fiscale di grande accortezza ed equilibrio sotto la regia del ministro Tremonti.

Non basta più la tradizionale protesta sindacale, con organizzazioni peraltro colpite da un grave fenomeno di precaria rappresentanza, come sta indicando ciò che accade all’interno della CGIL alla vigilia del prossimo congresso nazionale.

Cambiata profondamente la composizione della struttura produttiva del nostro Paese, sempre più realtà di piccole e medie aziende, si assiste, viceversa, ad un sistema sindacale espressione ancora della vecchia realtà industriale, con organizzazioni sempre più rappresentative soprattutto di pensionati e dipendenti pubblici, ma sempre meno capaci di rappresentare gli interessi e i valori delle nuove realtà delle piccole e medie imprese, per non parlare delle nuove leve dei lavoratori precari,privi di qualsivoglia concreta forma di tutela e rappresentanza sociale.

Viviamo una condizione di estrema anomia, non solo caratterizzata da una forte discrepanza tra mezzi e obiettivi all’interno di differenziati ceti e categorie sociali. Situazione questa, foriera di frustrazioni e potenziali gravi fratture sociali, ma anche il venir meno di quelle strutture sociali intermedie che un tempo si ponevano come naturali ammortizzatori nelle situazioni di crisi.

Anche la famiglia, sempre più attaccata da logiche e culture figlie del relativismo nichilista, seppure ancora rappresenti l’ultima ancora di salvezza, vive una situazione di forte difficoltà e reclama  scelte politiche non più rinviabili da parte del governo.

Nuove strategie di politica economica e industriale s’ impongono all’interno di un sistema di divisione internazionale del lavoro che non permette più di ragionare secondo vecchi schemi.

Mai come oggi ci sarebbe bisogno di un’Europa capace di realizzare nel concreto quei principi di sussidiarietà e solidarietà di cui si riempiono tutti i documenti dell’Unione, ahimè, ridotta a un simulacro di organismo politico unitario.

E’ tempo che, come ci ha indicato il presidente della CEI, card Bagnasco, nella recente prolusione al consiglio permanente della conferenza dei vescovi italiani, “nuove leve di cattolici impegnati in politica” s’impegnino per offrire proposte e testimonianze coerenti con la dottrina sociale della Chiesa che, ancora una volta, si sta dimostrando come una delle poche proposte in grado di affrontare le nuove sfide che la realtà richiede. Anche per questo, dopo il voto di Marzo, sarà bene ricostruire nel Paese la presenza dei popolari di ispirazione degasperiana per farli uscire dall’irrilevanza in cui si sono perduti nel PD e per offrire allo stesso Pdl una componente forte e rappresentativa di quei valori del PPE cui si ispira il partito stesso.





22 Gennaio 2010

L’ incoerenza UDC

Ogni volta che parlo o scrivo dell’UDC provo una sensazione di forte disagio. Un disagio che proviene dalla mia conoscenza di tutti o quasi tutti i dirigenti di quel partito, già amici di tante battaglie dentro la DC, il PPI, il CDU.

Ho visto nascere e crescere la figura politica di Pierferdinando Casini e di Lorenzo Cesa nel movimento giovanile della DC e, via via, nel partito. Ero in auto con Toni Bisaglia, quando nel 1983, mi annunciò che aveva deciso di candidare e sostenere quel giovane presidente dei giovani DC, chiedendomi che cosa ne pensassi, considerato che era stata la mia generazione, quella con Gilberto Bonalumi, Ezio Cartotto, Marcello Di Tondo, a consegnare il testimone a quelli della nuova leva di Pizza prima, di Follini e Casini, immediatamente dopo.

Non posso credere che persone come Casini, Tassone, Cesa, per non parlare dello stesso Rocco Buttiglione, con il quale condivisi una breve esperienza di direzione nazionale nel CDU, abbiano particolari propensioni verso la sinistra. La loro naturale collocazione è , o dovrebbe essere,  quella da sempre dichiarata al centro e in alternativa alla sinistra. Ossia  proprio quella del Pdl  e del PPE nel quale entrambi i partiti si riconoscono.

E’, altrettanto vero, che conosco perfettamente ambizioni e forti determinazioni di ciascuno di loro che, dal 2004 in poi, con Follini prima e poi con Cesa, sempre orientati strategicamente da Pierferdy, hanno cercato di mettere il bastone tra le ruote al Cavaliere con il chiaro obiettivo di sostituirlo alla guida dei moderati italiani.

Esaminiamo i passaggi più importanti delle scelte fatte dall’UDC negli ultimi anni.

Durante il governo Berlusconi del quinquennio 2001-2006 hanno provocato crisi di governo e rimpasti con la volontà di modificare la legge elettorale secondo criteri simili a quelli proporzionali alla tedesca. Risultato ottenuto: il porcellum, che consegnò immediatamente la maggioranza, con il premio previsto, a Romano Prodi nel 2006 senza nemmeno raggiungere l’obiettivo giusto e ambizioso della reintroduzione delle preferenze.

Obiettivo quest’ultimo difeso a parole, anche se nella prassi, Casini e Cesa, come tutti gli altri leader di partito, son ben lieti di tenersi stretta la facoltà -arbitrio di designazione dei candidati fedeli nei collegi sicuri e nei posti garantiti delle liste bloccate.

La verifica di tutto questo? Il comportamento di Casini all’atto della crisi del governo Prodi agli inizi del 2008. Si presentò l’occasione di far passare alla guida del governo Franco Marini, presidente designato dal presidente Napolitano, un’occasione irripetibile per svoltare in senso proporzionalistico la legge elettorale e prolungare, almeno di qualche mese la legislatura ( giusto il tempo di far passare la nuova legge elettorale) e invece che fa il Casini? Si mette di traverso, fa fallire il tentativo così rinunciando al cambiamento e consegnando a Berlusconi una vittoria straordinaria facilitata proprio dal porcellum.

E a quel punto anziché raccogliere l’invito a entrare nel Pdl costituendo un sicuro punto di riferimento di prospettiva per la componente di ispirazione popolare e democristiana nel Pdl, Casini che fa?  Si chiama fuori visto che Berlusconi, forte del risultato, non desidera certo aver un alleato in più, capace delle stesse capriole già sperimentate nel quinquennio 2001-2006.

E da allora comincia la solfa del bipolarismo come malattia dell’Italia. Una strategia che porta ora l’UDC a questa incomprensibile e contraddittoria politica dei due forni.

E’ troppo allora parlare d’ incoerenza e di assoluta inaffidabilità dei centristi casiniani? Possibile che Buttiglione,  il quale orgogliosamente dichiara di non accettare lezioni di coerenza da nessuno, non si senta in tremenda difficoltà, lui che pure fu sacrificato con assai scarso successo, al ruolo di candidato anti Chiamparino nelle elezioni comunali di Torino, a sostenere una signora come la Mercedes Bresso, sicuramente allineata con le posizioni di coloro che lo fecero fuori  senza tanti scrupoli dall’esecutivo europeo per le sue idee troppo clericali  e omofobiche in materia di omosessualità? E che dire di Pezzotta con le sue battaglie a favore della vita?

Sarà difficile per gli amici dell’UDC piemontesi seguire le scelte del mutevole Vietti e ci auguriamo che gli elettori, anche questa volta, siano saggi e sappiano indicare nettamente la rotta valida per i governi regionali  con le inevitabili ricadute sul piano nazionale.

Altrettanto difficile per gli amici UDC veneziani se, come si annuncia, l’On de Poli e Ugo Bergamo ( non si capisce se quest’ultimo tratti come componente del CSM o come capo partito;  tra l’altro non dovrebbero essere  due ruoli incompatibili, almeno sul piano deontologico e morale, se non proprio su quello giuridico normativo?) sembrano schierati a Venezia a favore dell’alleanza di sinistra-centro dell’avv Orsoni contro quella di centro-destra di Brunetta per il rinnovo del consiglio comunale del capoluogo regionale del Veneto.

Per l’ambizione di qualcuno, fosse anche quella del capo, non si possono contraddire storie personali e di gruppo, con scelte politiche e di schieramento che fanno a pugni con la coerenza ai valori politici e culturali ai quali siamo tutti legati.  Nonostante tutto, continuo a sperare che prima o poi prevalga la coerenza e  ci si ritrovi a combattere dalla stessa parte.





19 Gennaio 2010

I fatti rilevanti della settimana

Difficile, per non dire impossibile, parlare delle questioni di casa nostra nel momento in cui sono accaduti e stanno accadendo fatti e situazioni, alcune sconvolgenti, a livello internazionale.

Sono passati solo pochi giorni dal devastante  terremoto di Haiti con il suo drammatico elenco di morti. Forse la più grave delle sciagure naturali accadute negli ultimi secoli e di fronte alla quale si stanno rivelando tutti i limiti dell’uomo, anche di quello tecnologico odierno,  nel far fronte a ciò che la natura può determinare quando esprime come ad Haiti tutta la sua potenza distruttiva.

Encomiabile l’immediata risposta di tutta la comunità internazionale, in primis quella degli Stati Uniti d’America, che, su incarico di Obama, hanno impegnato direttamente, gli ultimi due presidenti alla guida della Casa Bianca: Clinton e G.W.Bush.  Straordinario esempio di un Paese che, di fronte a situazioni di assoluta gravità, non disgiunte da oggettive opportunità di ordine geopolitico, sa immediatamente superare fazioni e divisioni e ricompattarsi nel senso del bene comune e, in primis, della loro Patria.

Da parte nostra, dopo l’encomiabile e riconosciuto positivo esempio dimostrato, dal nostro governo e dalla protezione civile, dopo il terremoto dell’Aquila, si è vista ancora una volta la risposta immediata e solidale degli italiani. Assai interessante la proposta venuta proprio nella giornata di domenica dall’Associazione dei circoli del Veneto, di ispirazione popolare degasperiana, “Insieme”. 

Le immagini dei bambini che vagano tra le macerie di Haiti, terrorizzati e senza famiglia, le abbiamo viste tutti. Dolore, lacrime e sangue. Quella del devastante terremoto di Haiti, è stata la tragedia dei bambini. Di fronte a tanto strazio, la popolazione mondiale non può restare indifferente: gli aiuti umanitari sono in corso, la movimentazione è massiccia.  Occorre, tuttavia,  anche pensare a quei bambini rimasti orfani, reagire di fronte al loro smarrimento causato da un'autentica apocalisse.

Per questo l'Associazione culturale e politica “INSIEME” propone che  il Governo italiano e  i presidenti delle Regioni si attivino affinché diecimila bambini haitiani vengano trasferiti in Italia per essere assistiti e che ogni regione italiana,nell'ambito di questo disegno di solidarietà,  renda disponibile una struttura da adibire ad orfanotrofio con la disponibilità di 250 bambini ciascuna. Si auspica poi che progressivamente i bambini ospitati in queste strutture vengano adottati da famiglie italiane, attraverso una catena di solidarietà coordinata.

Altro avvenimento che, pur avvenuto a Roma, assume un valore di rilievo ecumenico: la visita di papa Benedetto XVI alla sinagoga di Roma,ventiquattro anni dopo quella storica prima visita, dopo San Pietro, di Papa Giovanni Paolo II nel 1986. Fu in quell’occasione che papa Wojtyla, in sintonia con il concilio Vaticano II, appellò gli ebrei come “ nostri fratelli maggiori”. Anche la visita di Papa Ratzinger, pur tra non poche difficoltà, è stata salutata positivamente dalla comunità ebraica, a dimostrazione che indietro non si può più tornare, mentre vanno ricercate con determinazione costante tutte le strade che possano condurre a unità tutti i figli delle religioni del Libro. Obiettivo straordinario e di enorme difficoltà  teologica e dottrinale che, tuttavia, papa Benedetto XVI è assai determinato a voler proseguire.

Elezioni in Chile per le presidenziali con la sconfitta, dopo molti anni, della coalizione di centro-sinistra tra democristiani e socialisti e la vittoria del candidato del centro-destra , il miliardario, Sebastian Pinera su Eduardo Frei, dopo il governo dell’ancora popolarissima Michelle Bachelet, presidente uscente.

In Ucraina si andrà al ballottaggio come da pronostici, tra l'ex premier Viktor Yanukovich, leader dell'opposizione filorussa e  il premier uscente  Iulia Timoshenko, dopo l’esaurimento della cosiddetta “ Rivoluzione arancione” e  la drammatica crisi economica, sociale e finanziaria di questo importante Stato dell’ex Unione sovietica.

Intanto Obama spera di conservare il 60° decisivo  seggio al Senato americano ( con in ballo la strategica riforma sanitaria)  nelle elezioni odierne di colui o colei che subentrerà al defunto sen Ted Kennedy, il quale aveva saputo assicurare al partito Democratico, per oltre quarant’anni, la roccaforte, oggi a rischio, del Massachussetts.

Sono questi alcuni dei fatti rimarchevoli a livello internazionale di questi giorni, mentre, da noi, nei prossimi si dovrebbero sciogliere gli ultimi nodi delle candidature e delle alleanze prima delle regionali.

Il Pdl è alle prese con la decisione sulla scelta da adottare nei confronti di una UDC irrimediabilmente orientata strategicamente a sinistra, e un Pd, che dopo l’uscita di Carra e Lusetti e quell’annunciata della Binetti, si troverà a fare i conti con il duo Bindi-Bonino ( quello che, con spietata analisi critica, Giuliano Ferrara definisce: “ il giusto esito di una catastrofe spirituale e culturale”), irrimediabilmente scoperto sul fronte cattolico e in attesa della disfida pugliese tra Boccia a Vendola su cui si giocherà il governo di quell’importante regione meridionale.

Ma di tutto questo ci occuperemo la prossima volta.





11 Gennaio 2010

Regionali 2010: tra PDL e Lega, duello “virtuoso”?

Bersani, stretto tra Di Pietro e la Bonino, con tanti problemi in casa propria, persegue una tortuosa strategia di avvicinamento all’UDC che, con Casini, è impegnata in uno slalom pericoloso : sostegno alla Polverini del Pdl contro la leader radicale nel Lazio, e con la stessa disinvoltura pieno appoggio alla radicale di complemento,  Mercedes Bresso del PD,  in Piemonte.

Se il PD piange, anche nel Pdl non si ride. Acquisite le prime quattro regioni (Molise, Abruzzi, Friuli V.Giulia, Sardegna) in precedenti turni elettorali, e con la Sicilia in preda alle convulsioni del MPA di Lombardo e degli amici di Miccichè, dagli esiti incerti, il Cavaliere ha sacrificato alle componenti interne al Pdl, gli ex AN di Fini e alla Lega, il maggior numero di candidati governatori nelle regioni a statuto ordinario oggetto della contesa di Marzo.

Due sono le partite che si giocheranno in maniera apertissima e senza esclusione di colpi da qui al 21 marzo p.v.: quella che ruota attorno allo scontro diretto tra i due schieramenti in tre regioni chiave, quali la Puglia, il Lazio e la Campania, oggi tutte e tre nelle mani di giunte di sinistra e quella più interna allo schieramento di maggioranza, che attiene alla sfida nelle regioni padane di Piemonte, Lombardia e Veneto, tra le due componenti essenziali del governo nazionale: Pdl e Lega.

Certo il PD è il partito che rischia di più, non solo perché difficilmente riuscirà a mantenere la sua attuale netta prevalenza nella gestione dei governi regionali (11 PD contro 6 Pdl - 7 con la Sicilia ora in fibrillazione- restanti 2 a Union Valdotaine e Volkspartei)- totale: 20 Regioni),  ma anche il tema del controllo della maggioranza nei governi del Nord, con il possibile sorpasso della Lega sul Pdl, sta creando non poche inquietudini tra le fila del centro-destra.

Consegnate alla Lega le candidature di Cota in Piemonte e di Zaia  della Lega nel Veneto,  con quelle di AN della Polverini nel Lazio e di Scopelliti  in Calabria , non sono pochi i “malpancisti” in casa del Pdl.

Si aggiunga che un partito ancora in corso di costruzione, come quello dei moderati, presente sul territorio  con strutture nominate dall’alto e per niente o poco espressive della realtà di base e, comunque, frutto di nessuna selezione democratica, abituato a contare soprattutto sul ruolo determinante del fattore carismatico del Cavaliere, non v’è dubbio sia quello che con più fatica riesce a contrastare quel rullo compressore rappresentato dai fantaccini leghisti, impegnati giorno e notte in una sistematica azione porta a porta in cerca di trasferimento dei consensi. Una mano potrà venire dalla preferenza unica che, tranne in Toscana, dominata da una legge elettorale di tipo bolscevico, farà correre i candidati presenti nelle liste del Pdl delle diverse regioni.

Particolarmente dura sarà la battaglia nel Veneto dove, scontata la vittoria di Luca Zaia, gli orfani di Giancarlo Galan fanno ancora fatica a digerire la sconfitta subita con la mancata riconferma del loro leader. Molti segnali danno per assai probabile il sorpasso della Lega sul Pdl. Sarà ancora una volta la Lombardia, la Regione in cui, forte del buon governo di Roberto Formigoni e di un partito assai ben rappresentato nelle diverse istituzioni locali, a dover garantire la supremazia elettorale del Pdl.

Il Cavaliere, ,sarà chiamato a un impegno straordinario, consapevole che dal risultato elettorale regionale, molto dipenderà dei futuri sviluppi dell’azione di governo nazionale. Da più parti ci si attende qualche significativa invenzione del Presidente destinata a rappresentare una possibile chiave di svolta nel confronto elettorale. Forse, Tremonti e debito pubblico permettendo, non mancheranno novità anche sul piano fiscale e delle politiche familiari. Folle sarebbe accettare l’assurda pretesa di Casini di allearsi con i singoli candidati e non con la coalizione, intendendo conservare una glolden share sui possibili eletti, assolutamente inaccettabile e foriera di sicure fibrillazioni nei futuri governi regionali. Dunque l’UDC scelga: di qua o di là, senza ulteriori tatticismi deteriori.

Perdurando, seppur con toni che vanno riducendosi di volume, l’incessante dialettica politico giornalistica tra Fini e i suoi  fedelissimi  e “il giornale” di Feltri, da mesi scatenato in una guerra di logoramento senza soluzione di continuità, constatiamo un altro elemento di difficoltà in una coalizione che, tuttavia, alla  fine dovrebbe ancora una volta prevalere.

Noi cattolici dentro e fuori del Pdl, ispirati ai valori del popolarismo sturziano e degasperiano, declinati secondo gli orientamenti pastorali della “ Caritas in veritate”, e che si riconoscono nel PPE, guardiamo con grande interesse e forte partecipazione ai risultati dei campioni espressione dei nostri valori presenti nelle diverse liste regionali.

Soprattutto lo facciamo nei confronti del nostro campione per eccellenza,  Roberto Formigoni, il leader di quel governo regionale lombardo, attorno al quale, ancora una volta, si deciderà la partita più importante, nella realtà che da sola vale l’intera cifra di un governo di dimensioni statuali.





7 Gennaio 2010

Tra ambiguità e debolezza di leadership

Nei giorni scorsi avevo evidenziato l’ambiguità di Pierferdinando Casini in questa fase di scelta delle candidature regionali.

Accordo  con Rutelli e la sua Alleanza per L’Italia, prefigurazione dell’appoggio a Mercedes Bresso del PD in Piemonte; disponibilità ad appoggiare il candidato traballante Boccia in Puglia, dopo aver definito “squadristica” l’azione dei supporters di Nichi Vendola all’assemblea del PD convocata per lanciare la candidatura del sindaco di Bari, Michele Emiliano, nel momento stesso in cui l’UDC è pronta ad appoggiare quasi tutti i candidati di fede finiana del Pdl, a cominciare dalla Polverini nel Lazio

Così come nulla sembra potere Casini contro la reiterata disponibilità degli UDC lombardi a proseguire la stagionata esperienza nella giunta di Roberto Formigoni.

Una babele di posizioni che non manca di suscitare perplessità e distinguo tra molti consiglieri regionali uscenti dell’UDC in varie parti d’Italia e, soprattutto, enorme disorientamento tra gli elettori.

Sorprende il silenzio di Rocco Buttiglione contro il trio Lescano Casini, Cesa, Tassone che, senza e contro decisioni assunte in organi democratici deputati, stravolgono deliberatamente scelte congressuali, per inseguire una prospettiva politica personale del “fasulein bolognese”, assai chimerica e di corto respiro.

Tutto ciò mentre nel PD, a detta di uno dei più lucidi e coerenti esponenti dell’UDC, l’On Maurizio Ronconi, responsabile degli enti locali del partito: “ è in corso un inaudito scontro di potere che ha ben poco della ricerca dei migliori candidati, ma è una guerra per bande di chi sta perdendo ogni capacità di confronto con i cittadini”.

Le scelte dell’UDC dovrebbero essere conseguenti, se lo stesso Ronconi conclude che ciò che accade nel PD “ inizia a essere imbarazzante per chi ha immaginato la possibilità di aprire un sereno ma costruttivo confronto programmatico”.

Avevo scritto  nei giorni scorsi, a proposito del PD, di un partito vittima di una specie di “ sindrome di Stoccolma” visto l’incapacità di rompere il cordone ombelicale con quell’aggressore di Di Pietro che sta succhiando sangue elettorale dalle giugulari giustizialiste dell’elettorato PD.

A questa sindrome si aggiunge ora la concorrenza dei radicali che, con la candidatura della Bonino, pongono una seria ipoteca sulla possibilità di scelte autonome da parte di Bersani.

Quest’ultimo appare come imbrigliato in una camicia di forza, stretto tra le logiche di apparato tradizionali imposte da D’Alema con l’obiettivo di perseguire ad ogni costo l’alleanza strategica con l’UDC, la volontà dei veltroniani di mantenere vivo il sistema delle primarie nella scelta delle candidature, i distinguo quotidiani di Rosy Bindi, Franceschini, Fioroni  e, dopo il ventilato appoggio alla candidatura della Bonino nel Lazio, nell’incapacità di proporre un’autonoma scelta di partito, la minaccia  dell’immediata uscita dal PD della senatrice Binetti.

Insomma la situazione non è affatto tranquilla, al di là delle tre regioni da sempre feudo incontrastato della sinistra: Emilia, Toscana e Umbria.

La partita che si giocherà nelle regionali non potrà non avere conseguenze sul piano politico più generale.

Ci auguriamo che, né le velleitarie fughe in avanti di alcuni fedelissimi finiani da una parte (le  questioni poste dai quali andranno risolte solo dopo il tesseramento concluso nel Pdl e la celebrazione finalmente di un vero congresso) né la debolezza di leadership nel PD, possano impedire e/o quanto meno frenare quella positiva spinta riformatrice che dal Presidente Napolitano, allo stesso Berlusconi e ,seppur ancora timidamente dallo stesso PD, sono venute in queste ultime settimane.

L’intervista odierna del ministro Tremonti al Messaggero e le annunciate priorità programmatiche per il 2010 del presidente Berlusconi costituiscono un efficace stimolo a quel confronto parlamentare che si potrà compiutamente svolgere solo dopo aver acquisito i risultati  delle prossime elezioni regionali.