Le note di Ettore Bonalberti
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28 Dicembre 2014

Perché diciamo SI alle macroregioni

L’Italia vive la realtà istituzionale regionale diversificata tra cinque Regioni a statuto speciale e 15 regioni a statuto ordinario; 20 Regioni che hanno raggiunto un livello  di  costi non più sostenibile dal bilancio nazionale.

Una congerie di competenze  accumulate in maniera confusa e  progressiva:  dai decreti delega che, dal 1977,  hanno affidato alle regioni molte competenze amministrative, alle caotiche funzioni relative al controllo del territorio, ripartite e spesso rimpallate tra regioni, province e comuni, sino al decentramento delle leggi Bassanini e alla modifica del Titolo V della Costituzione con l’invenzione delle competenze concorrenti, fonti del caos permanente dei ricorsi presso la Corte Costituzionale. E’ questa la triste realtà in cui versa il nostro regionalismo permanendo l’ormai incomprensibile, iniqua e anti storica differenziazione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale.

Se a questa gravissimo ircocervo istituzionale si aggiunge una sostanziale irresponsabilità amministrativa delle Regioni che vivono una schizofrenica situazione, tra competenze dirette  in materia di spesa e competenze pressoché nulle in materia di entrate, in larga parte derivate dallo Stato, e, dulcis in fundo, gli immorali comportamenti sperimentati con i casi di corruzione-concussione (MOSE e affini)  e scandalo di rimborsopoli, appare pressoché impossibile difendere l’attuale assetto istituzionale regionale.

Della lezione regionalista sturziana si è data una interpretazione fuorviante che si è accompagnata da un esercizio distorto delle competenze che, in origine, avrebbero dovuto restare quelle di legislazione, programmazione e controllo e che, viceversa, sono diventate sempre più funzioni di gestione diretta e indiretta attraverso una congerie di enti e aziende partecipate che concorrono in larga misura all’enorme deficit strutturale dell’Italia.

Di qui la necessità di ripensare al nostro assetto istituzionale ricollegandoci a una corretta interpretazione del pensiero regionalista sturziano e alla lezione del prof Miglio che, per primo, teorizzò l’idea delle macroregioni come possibile soluzione al complesso e disorganico processo di formazione storico politica dell’unità nazionale.

E’ un tema che è presente anche in Francia, dove Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha proposto di "ridurre della metà il numero delle regioni" entro il 2017 e di sopprimere i consigli dipartimentali (province) "entro il 2021".Le Regioni passerebbero dalle attuali 22 a 12 con un risparmio di spesa  annuo previsto tra i 12 e i 15 miliardi di €: una robustissima riduzione di spesa pubblica.

Sostenitori della tesi del  prof Miglio, da anni proponiamo in Italia  il passaggio dalle attuali 20 regioni a 5- 6 macroregioni.  E’ di questi giorni la presentazione di un progetto di legge da parte di due deputati PD, Roberto Morassut e Raffaele Ranucci, che prevede la riduzione delle attuali 21 regioni a otto regioni così individuate: Regione Alpina (Piemonte-Liguria – Val d’Aosta)-Lombardia- Regione Triveneto- Regione Emilia-Romagna-Regione Appenninica- Regione Adriatica- Regione Roma Capitale- Regione Tirrenica-Regione del Levante-Regione del Ponente- Regione Sicilia-Regione Sardegna. Insomma la proposta comincia a farsi strada.

Nel Veneto viviamo l’ormai insostenibile condizione di terra di confine con due regioni a statuo speciale quali il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige.

E’ stata l’intuizione dei democratici cristiani veneti a sviluppare agli inizi degli anni’80 l’idea di Alpe –Adria, nella concezione berniniana dell’Europa delle Regioni, nella quale un ruolo trainante poteva e doveva essere assunto dall’area del Nord-Est o del Triveneto.

Esaurita la falsa prospettiva dell’indipendenza del Veneto assai più realistica può diventare quella della costruzione della macroregione del Nord-Est o del Triveneto.

Non si tratta di togliere o ridurre l’autonomia che, seppur in maniera diversa, godono oggi il Friuli V. Giulia e  il Trentino Alto Adige, ma,  di spalmare su tutte e tre le regioni la stessa autonomia.

Ci soccorrono due articoli della nostra Costituzione ai quali possiamo ricorrere:

Articolo 116 (vedi ultimo comma)

Il Friuli Venezia Giulia [cfr. X], la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.

La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

E’ la strada che è stata avviata dalla Regione Veneto e che ci auguriamo possa essere accolta positivamente dal Parlamento e dal governo.

Articolo 132

Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse [cfr. XI].

Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.

Questa dell’art.132, é l’ultima possibilità che ci rimarrebbe da sostenere, anche attraverso il referendum consultivo, certamente privo di efficacia giuridica concreta, ma dall’indubbio valore politico, sull’autonomia del Veneto.

Di questo abbiamo discusso a Verona il 20 dicembre scorso, sulla  base di una lectio magistralis sul federalismo regionale del prof Luca Antonini,  con Mario Mauro (Popolari per l’Italia), Flavio Tosi (Lega) e Mario Blocket (CSU) riscontrando una grande condivisione strategica e di prospettiva politica.

E’ tempo di passare dalle parole ai fatti e procedere secondo le strade indicate dalla nostra Carta.

Ettore Bonalberti
Venezia, 28 Dicembre 2014



Una fretta che spinge  al voto

La fretta di Renzi, forte di una maggioranza parlamentare  fasulla e illegittima, gli permette di varare senza eccessiva difficoltà una manovra fasulla che a primavera imporrà le inevitabili sanzioni dell’UE e di   incardinare, come regalo della Befana, una legge elettorale super truffa che un incomprensibile Alfano vorrebbe approvare quanto prima.

In quest’affollata serie di scadenze politiche si inseriscono le  annunciate dimissioni di Napolitano e il passaggio quanto mai emblematico dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

In un totale marasma istituzionale, un parlamento, i cui membri sono stati dichiarati eletti con una legge incostituzionale, mentre continuano a varare a colpi di voti di fiducia da una maggioranza fasulla provvedimenti fondamentali per la vita economica, sociale e finanziaria del Paese, dovrebbe anche eleggere un nuovo Presidente, in condizioni di assoluta illegittimità, quanto meno sul piano della reale rappresentanza politico elettorale.

Meglio sarebbe stato, come andiamo sostenendo da tempo, che Napolitano avesse avuto il coraggio di andare a elezioni anticipate subito dopo la sentenza sul porcellum della Corte Costituzionale, anziché percorrere la strada ambigua e dai forti connotati di illegittimità, lungo la quale si è potuto siglare quello sciagurato patto del Nazareno che ha fatto assurgere a nuovi padri costituenti il duo fiorentino Renzi-Verdini.

Tira aria di elezioni anticipate, per tentare di mantenere con l’Italicum il rigido controllo dei gruppi da parte degli attuali king makers delle principali formazioni politiche presenti in Parlamento.

In fondo a Renzi, Berlusconi e allo stesso Grillo, in questo momento preme soprattutto evitare le fughe sempre più frequenti o annunciate dei dissidenti interni e l’Italicum, più o meno rabberciato, può funzionare benissimo alla bisogna. Servirà solo un presidente disponibile a sciogliere le camere subito dopo la sua avvenuta elezione.

E proprio questa scadenza, con l’approvazione della legge elettorale, sarà il salto mortale doppio che si accinge a compiere “ il Bomba” di Firenze. Conservo la speranza che, tanto nel PD che in Forza Italia, come nelle opposizioni palesi delle due Camere, siano ancora presenti uomini e donne che hanno consapevolezza dei rischi enormi che l’Italia sta correndo sul piano della sua tenuta democratica .

Con la quasi totalità delle regioni governate dal PD, nei prossimi rinnovi regionali, sarà nel Veneto che si gioca la battaglia campale tra le componenti alternative al PD renziano e a quelle che, anche sul fronte delle residue forze del NCD e dell’UDC, sembrano non disdegnare il richiamo delle sirene renziane, pur di sopravvivere.

E’ assai alta la probabilità che a Maggio ci si ritrovi in un election day tra rinnovo del Parlamento, regionali ed elezioni amministrative.

Spiace che in tale ambiguo scenario, a tutt’oggi, non si sia riusciti a ricomporre l’area dei popolari, dando spazio alle frammentate fuorvianti inculture politiche oggi prevalenti.

E’ tempo, anzi non c’è ne è quasi più, che quanti, da Mario Mauro a Flavio Tosi, da Raffaele Fitto a Corrado Passera sono interessati a costruire un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista e trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE come sezione italiana dello stesso, trovino la forza e il coraggio per uno scatto di reni.

Solo così si potrà porre argine a una deriva autoritaria gravissima e offrire una speranza a quell’oltre metà degli elettori che non si ritrovano più negli attuali assetti impazziti della politica italiana.

Ettore Bonalberti
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15 Dicembre 2014

Un passo avanti e due indietro

Il 3 Novembre  scorso avevamo siglato con gli amici dei Popolari per l’Italia, Rinascita Popolare, Popolari per l’Europa e altre numerose associazioni e movimenti di ispirazione popolare e democratico cristiana,  un accordo per la ricomposizione dell’area popolare e l’avvio in tutte le regioni italiane dei comitati costituenti dei Popolari.

Il 13 Novembre a Roma, in contemporanea, si sono svolti due convegni:

il primo organizzato dagli amici  dei Popolari per l’Italia (Mario Mauro), che non hanno raccolto l’invito di dare pratica manifestazione degli intenti concordati qualche settimana prima, riducendo il loro incontro alla tradizionale verifica organizzativa interna, mentre si svolgeva sempre a Roma il secondo incontro degli autoconvocati con l’obiettivo di “ripensare la presenza dei cristiani nella società e in politica”.

E se, da un lato, si cerca di ricomporre quanto si muove dentro e fuori  dei vecchi e nuovi partiti e nell’ambito della società civile, dall’altro, in Parlamento, NCD e UDC hanno deciso  di confluire in un unico gruppo parlamentare alla Camera e al Senato, con l’impegno di sostenere il governo Renzi, ma distinti e distanti dalla Lega di Salvini; occhieggianti, ma non troppo a Forza Italia, referenti del PPE, ben decisi, tuttavia, a escludere da ogni contatto Mario Mauro e i pochi fedelissimi del suo seguito.

Con quanta coerenza Alfano e Cesa possano sostenere questa loro posizione critica con la Lega, nel momento in cui i loro partiti sono ben presenti con gli amici leghisti nella conduzione delle due ultime regioni del centro-destra (Lombardia e Veneto), è materia di competenza psichiatrica. Anche fare riferimento al PPE, escludendo la collaborazione di uno dei  suoi più illustri referenti, quali Mario Mauro e soci, è altrettanto incomprensibile.

Insomma, se restiamo ai giochetti di coloro che sono soprattutto interessati alla mera sopravvivenza , è evidente che si ripropone quanto in altra nota abbiamo rilevato a proposito del dilemma dei cattolici impegnati in politica. Un dilemma che, nel caso degli eletti-nominati citati,  sfocia nel trilemma così rappresentabile:

a)    gli amici di Tabacci e Dellai che sono organicamente a sostegno di Renzi e, prima o dopo, il fiorentino consenziente, sono pronti a entrare nel partito democratico;

b)   NCD e UDC che sono a sostegno di Renzi per tutto il tempo più a lungo possibile, senza confondersi con il PD, di cui si riducono al ruolo di ininfluenti serventi, in polemica aperta e schizoide con la Lega e pronti a ogni avventura pur di sopravvivere.

c)    Infine, gli amici di Mario Mauro, che son tra coloro che: “vorrebbero, ma non possono”. Vorrebbero rappresentare, come ci auguravamo e ancora lo speriamo, un punto di riferimento di quanti all’esterno si battono per concorrere alla ricomposizione dell’area popolare, raccogliendo ciò che in maniera assai più ampia esiste nella realtà associativa, dei movimenti, delle associazioni e dei gruppi di ispirazione popolare, ma non possono o non vogliono correre il rischio di lasciare la loro piccola casamatta che concede loro  ancora un po’ di effimera sicurezza.

Da parte mia e di molti altri amici che da anni ci battiamo per riunire l’area dei popolari e dei democratico cristiani, a questo “ un passo avanti e due indietro” non siamo più disponibili.

Riteniamo, infatti, che si debba fare riferimento a tutti coloro che intendono ritrovarsi uniti nella sezione italiana del PPE, da quanti sono ancora legati a Forza Italia come Fitto, al NCD e all’UDC, ai Popolari per l’Italia di Mauro e sino ai nuovi movimenti di Italia Unica di Passera e ai “leghisti democristiani” alla Tosi. Con questi si possono ritrovare molte delle realtà presenti in sede locale purché da parte di tutti ci si impegni a:

a) Concordare una piattaforma programmatica per l’Italia ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano attraverso una nuova Camaldoli;

b) concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e inserito a pieno titolo nel PPE;

c) favorire il ricambio della classe dirigente dando ampio spazio a una nuova generazione di politici .

Continuare con i giochetti di mera sopravvivenza vorrebbe dire non solo condannarsi all’impotenza, ma anche all’incomprensione di un’opinione pubblica stanca e sfiduciata che chiede solo una proposta credibile e una speranza.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 15 Dicembre 2014



Il dilemma dei cattolici italiani

Sabato 13 Dicembre p.v. sono in programma due incontri a Roma che esprimono due diverse, anche se non contrapposte modalità, con cui esponenti dell’area cattolica e popolare cercano di trovare una soluzione al tema della ripresa di iniziativa politica in un momento difficile dell’Italia.

I Popolari per l’Italia, il movimento guidato da Mario Mauro con  la partecipazione di alcuni associazioni che hanno sottoscritto il 3 novembre il documento per la Costituente dei Popolari italiani, si incontrano per definire un progetto organizzativo attraverso cui far nascere in tutte le realtà regionali le costituenti dei Popolari.

In contemporanea, Carta Intesa che riunisce un gruppo di associazioni, circoli, istituti di ispirazione cristiana  vogliono “mettersi in movimento”, consapevoli della necessità di “ripensare la presenza dei cristiani nella società e nella politica”. Obiettivo: creare strumenti, modalità, idee per superare le divisioni attuali, la crisi di rappresentanza e colmare la distanza tra istituzioni e cittadini.

Nel grande fiume carsico del cattolicesimo politico italiano finalmente s’intravedono segnali tendenti a ricomporre la vasta area della galassia di ispirazione popolare e a superare la diaspora del lungo ventennio della seconda repubblica.

Ispirati dalle ultime encicliche sociali di papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e di Papa Francesco (Evangelii Gaudium), comune è la volontà di impegnarsi a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali da esse  indicati.

Assai confusa, tuttavia,  è ancora la situazione esistente, non solo e non tanto nella diversa distribuzione delle presenze cattoliche nei vecchi partiti ormai esausti, espressione  di una realtà politica in via di convulsa trasformazione, ma anche nello stesso retroterra cattolico, tanto sul versante del variegato e complesso associazionismo cattolico che su quello della gerarchia ecclesiastica.

Non facilita il discernimento, l’ultimo editoriale della Civiltà cattolica di Padre Occhetta impegnato a misurare il grado di cattolicesimo presente nell’azione politica di Matteo Renzi, in quanto, lungi dal formulare un giudizio definitivo, conclude in termini dubitativi così espressi: : “Il baricentro a cui punta Renzi è strettamente intrecciato con la radice cattolica; è dunque una ‘radice che nutre’ e non una presenza organizzata che ispira un’azione del mondo cattolico, nonostante permanga un legame profondo della società con la cultura e la tradizione cattolica. Può bastare?”,

Personalmente considero il governo Renzi, non solo frutto di una situazione di emergenza post elettorale resa ancor più grave da quel patto scellerato concluso al Nazareno con il Cavaliere, il cui combinato disposto della riforma del Senato e del voto elettorale /legge super truffa ci porterebbe a una situazione del tutto incompatibile con la democrazia, ma anche l’espressione di una situazione di assoluta illegittimità, che andava e andrebbe al più presto sanata da un voto anticipato e concomitante elezione di un’assemblea costituente per la riforma del nostro sistema costituzionale.

E’ assai incoraggiante che nel clima di tardo impero in cui è precipitata la situazione del Paese, dove l’ultimo scandalo della mafia nella capitale è il segnale del punto morto inferiore in cui è caduta la Repubblica,  e nel silenzio assordante di quasi tutte le altre culture politiche, si apra nel mondo cattolico una seria riflessione sul che fare. Una riflessione che, partendo dai fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, riconduca la politica ai valori fondanti dell’etica nella società della globalizzazione.

Nel mondo cattolico sembrano confrontarsi due posizioni:

1) c'é chi ritiene che, avvenuta la probabile scissione a sinistra del PD, il partito di Renzi possa assumere la fisionomia di un partito della nazione simile a ciò che fu la DC. E' in fondo l'illusione  di quanti nell'NCD e nell'UDC puntano a trasferire meccanicamente l'alleanza di governo nelle liste delle  prossime elezioni regionali. Tale opzione, tuttavia,  dettata soprattutto da opportunismo e mera necessità di sopravvivenza, non tiene conto della circostanza che Renzi col PD una scelta l'ha già fatta, ossia quella di aderire al PSE.

2) c'é chi ritiene, invece, e personalmente sono tra questi, che serva ricostruire una forte unità dei popolari per procedere con esponenti di altre culture alla formazione del nuovo soggetto politico di cui sopra.

Trattasi di una dicotomia ben presente, ad esempio,  nei comportamenti diversi e alternativi anche solo recentemente sperimentati a livello dei responsabili delle gerarchie nel Veneto. Se Sabato 22 Novembre siamo stati ospitati come costituente civica e dei Popolari veneti nel seminario vescovile di quella città, qualche giorno dopo a Venezia, veniva annunciato dal PD veneziano un convegno di quel partito con la partecipazione ufficiale del vicario episcopale del Patriarcato di Venezia. Una partecipazione venuta meno, dopo che una forte presa di posizione dei Popolari veneziani, ha indotto Don Pistolato alla rinuncia.

Si gioca tra queste due scelte ciò che accadrà tra i cattolici italiani.

Da parte nostra continuiamo  a ritenere che ci siano due estremi opposti da evitare: l’appartenenza obbligata in un solo partito come si trattasse di un dogma di fede, impossibile dopo il Concilio Vaticano II  e la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe/dovrebbe essere quello dell’”unità possibile”. Il che significa che: l’unità è fattibile e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco. Si tratta di adoperare, come altre volte ricordato,  citando Mons Crepaldi, arcivescovo di Trieste, il motto:  “ In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Ossia sulle questioni fondamentali ci vuole unità, in quelle dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità.

Credo che, alla fine, una ricomposizione dell’area popolare aperta alla collaborazione con altre componenti di ispirazione liberale e riformista, alternativa al trasformismo di un renzismo filosocialista europeo si imporrà per garantire al Paese una dialettica democratica coerente con la nostra migliore tradizione.

Ettore Bonalberti - Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
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5 Dicembre 2014

Rivoluzione etica o  l’Italia è perduta

Tangenti del MOSE, tangenti per l’ EXPO, rimborsopoli  regionali e, adesso, la cupola mafiosa di Roma.

Il quarto non Stato, oltre a derubare le risorse prodotte dal terzo, condiziona ed entra a gamba tesa nelle istituzioni.

Nubi nere si addensano su vecchia e nuova amministrazione capitolina e la mano lunga delle cooperative rosse giunge sino a corrompere e a condizionare le faccende interne delle primarie del PD.

Un inquietante intreccio tra vecchi fascisti dei NAR e i riciclati in alcune torbide cooperative sociali rosse ha finito con lo  stendere pesantemente le proprie “mani sulla città”.

E’ un immondezzaio inqualificabile e Roma capitale non merita più alcun sostegno, se prima non fa piazza pulita di un’intera indegna classe dirigente. Altro che stringersi intorno a Marino, come sostiene il neo commissario, Orfini, del PD romano.

Roma, tuttavia, è l’emblema nauseabondo di ciò che accade in molte parti dell’Italia dove, perduto ogni riferimento etico nella politica, sembra trionfare la logica esclusiva dell’interesse privato, di quel “particulare” svincolato da ogni riferimento al bene comune.

E come meravigliarsi allora se il 60% degli elettori non va più a votare. E’ un miracolo che ancora non si sia giunti all’occupazione delle piazze e delle sedi istituzionali del potere.

Comincio a disperare della nostra capacità di rigenerazione morale, senza la quale, una politica, già asservita allo strapotere della finanza, è interpretata da una generazione di “ominicchi” interessati esclusivamente al proprio interesse personale.

E’ tempo di fare appello a tutte le donne e agli uomini di buona volontà e di cacciare una volta per sempre i mercanti dai templi sacri delle istituzioni repubblicane.

O saremo in grado di compiere questa autentica rivoluzione etica o il Paese sarà perduto.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 5 Dicembre 2014



Dall’unità dei popolari al nuovo soggetto politico

Basta con le stucchevoli e inconcludenti pantomime dei galli e galletti romani incapaci di dare seguito ai propositi che da molto, troppo tempo, sono annunciati di unità dei gruppi parlamentari che si rifanno al PPE. Così continuando essi faranno la fine dei “polli di Renzo”.

Ho esordito così ieri ad Assisi all’assemblea dei Popolari umbri, presenti, tra gli altri, i sen. Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Carlo Giovanardi, nella quale sono state presentate ufficialmente, con la candidatura a presidente della Regione Umbria, dell’ing Carlo Ricci, Sindaco di Assisi, la Costituente dei Popolari e delle liste civiche dell’Umbria.

Se Roma si attarda nei piccoli giochi inconcludenti, saranno le periferie a decidere autonomamente. Già nel Veneto, il 26 settembre a Monteberico, è nata la Costituente Civica e Popolare di quella regione; il 28 Novembre è partita analoga iniziativa per l’Emilia e Romagna, il 29 ad Assisi si è consolidata la realtà dei Popolari dell’Umbria e, a seguire, molte altre regioni si organizzeranno sulla stessa lunghezza d’onda.

Si tratta di superare le vecchie sigle e gli attori ormai consumati della scena politica. E' tempo di unità dei popolari aperti alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell'umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE e alternativo alla via socialista renziana.

Si tratta di ridare spazio e speranza al terzo stato, a quei ceti medi produttivi e alle classi popolari che producono il reddito nazionale, su cui vivono, in maniera assai differente e distorta, le altre tre classi: la casta, i diversamente tutelati, il quarto non Stato. O al terzo Stato siamo in grado di offrire una nuova partecipazione e una credibile speranza o si giungerà a  un inevitabile scontro sociale.

E’ evidente che, molto di là dalla sommatoria delle vecchie piccole casematte, si intende mettere insieme le forze migliori dell’area popolare, liberale e riformista che si riconosce nel PPE e  alternative al renzismo socialista .

Purtroppo il trasformismo introdotto nella politica da “ il Bomba” fiorentino sta procurando diversivi incomprensibili nelle alleanze che si sono realizzate e si stanno realizzando, in questi giorni, nella formazione delle liste  per i rinnovi  dei consigli regionali e comunali.

In questo clima di grande confusione e di complessa transizione accade che UDC, NCD, CDU,  finiscano con l’assumere le più opportunistiche alleanze, animati solo dalla volontà di raggiungere e/o conservare piccole o grandi posizioni di governo o di sottogoverno.

Non è con queste miopi scelte di basso profilo che si potranno riportare al voto quel 60% di elettori ormai disgustati dalla politica e frustrati da una situazione economica, finanziaria e sociale disperante.

Anche il ping pong delle ultime ore dei contraenti dello sciagurato patto del Nazareno ( prima l’accordo sul nuovo presidente della Repubblica e poi la legge elettorale, come sostiene Berlusconi, o, viceversa, come replica Renzi) è la dimostrazione della strumentalità di un accordo fatto sulla testa degli italiani e che si intendeva imporre a un Parlamento di nominati illegittimamente sino al punto di ipotizzare una super legge truffa elettorale.

I fatti e le dichiarazioni di questi ultimi giorni fanno segnare il barometro della politica verso i valori di pressione più bassi e si annunciano un possibile forte temporale e elezioni politiche anticipate.

Una ragione in più per finirla con le scaramucce impotenti dei capetti romani e procedere senza indugi a mettere insieme, partendo dalla base, laici e cattolici, popolari, liberali e riformisti.

Si tratta di  “rovesciare la piramide”, come ha giustamente sottolineato l’amico Ricci ad Assisi: candidati nelle liste non più indicate dai capi e capetti senza più consenso, ma scelti dagli elettori e elezione del nuovo Parlamento con il “consultellum” con la concomitante elezione di una legittima assemblea costituente per riformare il nostro assetto istituzionale, al di  fuori dalle pericolose  e improvvisate scorciatoie nelle quali hanno tentato di condurci il duo del Nazareno.

Ettore Bonalberti
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Bravo Salvini, ma meglio Tosi

Se qualcuno crede che Salvini, dopo l’exploit elettorale di Domenica scorsa, possa rappresentare la “salvezza” del centro destra, ritengo che stia prendendo un grosso abbaglio.

Berlusconi con il suo ben noto fiuto calcistico vede il giovane leader leghista come possibile centravanti di sfondamento con  il Cavaliere  nel ruolo di regista.

Passare dalla disillusione dello svanito sogno berlusconiano del ventennio (1994-2014) a una salsa mista di populismo malpancista, anti  europeista e filo russa è un progetto politico di corto respiro.

In realtà, a quell’oltre metà di italiani che ha imparato a disertare le urne, servirebbe una ben diversa offerta politico culturale.

Con il terzo stato produttivo allo stremo, in preda alla disillusione, al disimpegno e alla latente voglia di rivolta sociale, non sarà sufficiente l’offerta di una ricetta riciclata ormai vecchia e stantia.

Serve una lettura critica di ciò che accade nel mondo e in Europa che, dall’avvento della globalizzazione e del finanz-capitalismo, è stata fatta sin qui dalla sola dottrina sociale della Chiesa.

Bisogna ripartire dai fondamentali principi della sussidiarietà e solidarietà che pongono al centro la persona, la famiglia e i corpi intermedi e ridare alla politica il compito di determinare i fini, quelli del bene comune, e, all’economia e alla finanza, quello di offrire gli strumenti atti al loro perseguimento, se si vuole costruire qualcosa di veramente solido.

E’ quanto con lucida analisi ha esposto ieri Papa Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo lanciando il suo messaggio” di speranza e di incoraggiamento” a tutti i cittadini europei.

Tutto questo è nel DNA della migliore tradizione popolare sturziana e degasperiana italiana e in quella europea del Partito Popolare dei padri fondatori.

Nel Veneto stiamo seguendo con attenzione ciò che accade nella Lega.

Nel 2010 abbiamo sostenuto la candidatura vincente di Luca Zaia e crediamo sia opportuna la sua rielezione a condizione che si volti definitivamente pagina dall’indecorosa gestione del duo Galan-Chisso, mentre guardiamo con molto interesse alle posizioni del sindaco di Verona, Flavio Tosi.

Sulla proposta della macroregione del Nord-Est, di cui discuteremo nel prossimo terzo seminario della scuola di politica popolare organizzato proprio a Verona dalla Costituente Civica e Popolare del Veneto, Sabato 20 dicembre p.v., ci confronteremo proprio con Tosi, Mario Mauro e con Reinhold Bloket, vicepresidente vicario del parlamento bavarese (CSU), al fine di acquisire utili elementi per la redazione in corso d’opera del “Manifesto dei Popolari del e per il Veneto”, con cui predisporremo la nostra partecipazione alle prossime elezioni regionali.

Ci solletica l’idea di concorrere a costruire insieme nel Triveneto quella vasta realtà sociale, culturale e politica che, fondata sulla migliore tradizione popolare, sappia concretamente tradurre nella città dell’uomo i principi di cui sopra e offrire finalmente al terzo stato una sicura rappresentanza politica, saldando l’equilibrio indispensabile per la democrazia tra i ceti medi produttivi e le classi popolari del Nord-Est.

Ettore Bonalberti
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Sorridono gli stolti

Presidenza della Repubblica, Presidenza di Camera e Senato, Presidenza del Consiglio, Governatori di quasi tutte le Regioni italiane e della maggior parte delle residue inqualificabili province; praticamente tutta la nomenclatura della casta del Primo stato, con le sole eccezioni di Lombardia, Veneto e Campania,  è nelle mani del PD renziano.

E tutto questo in una situazione nella quale il Parlamento è espressione di una covata di nominati eletti con una legge dichiarata incostituzionale; un presidente del consiglio non eletto è il  frutto di un rovesciamento interno al partito di cui è pure segretario, mentre le nuove ultime istituzioni sono il risultato di elezioni nelle quali ha votato poco più di un terzo dell’elettorato.

E’ vero che la partita si è chiusa 2 a 0 per il partito di Renzi, ma ciò che dovrebbe far riflettere anche “il Bomba” fiorentino è quello scarso 38% di elettori emiliano romagnoli, per cui il neo governatore Stefano Bonaccini rappresenta, di fatto, poco più del 18 % dei cittadini aventi diritto al voto.

Con il centro destra ridotto ai minimi termini e l’insignificanza di quelle residue sigle e siglette che vorrebbero rifarsi alla tradizione democratico cristiana, la situazione che si sta delineando in Italia è a forte rischio di implosione.

Un ministro come quello dell’ambiente, Galletti, intimo di Casini, che nelle precedenti elezioni da candidato governatore aveva ottenuto  il 3,76 %, vede ora il suo partito unito al NCD e a una lista “ Emilia Romagna Popolare” ridursi a una rappresentanza del 2,63 %, senza alcuna possibilità di esprimere un consigliere regionale. In altri Paesi europei un tale disastro imporrebbe immediate dimissioni. E, invece, si spera ancora nel miracolo della Madonna di San Luca e magari nell’improbabile ascesa dell’aspirante  “Pierfurby”  al supremo Colle….

In Calabria Oliverio, esponente della vecchia nomenclatura del PD, dichiara che “adesso si tratta di voltare pagina”  e di ricostruire la Calabria. Glielo auguriamo di cuore, anche se troppe sono state sin qui le prove negative che da tutti i partiti sono venute, anche in quella regione e, non  è un  caso allora, se anche lì gli elettori hanno disertato, con le frattaglie dei vecchi raggruppamenti centristi ridotte all’irrilevanza.

Sul fenomeno della diserzione dal voto abbiamo più volte espresso la nostra opinione: quando la politica è ridotta al ruolo servente e subordinato dell’economia e della finanza, che a livello internazionale detta i fini e usa strumentalmente la politica e i politici a libro paga e con un’Unione europea, che con la sua  incompiuta natura politica e istituzionale, ha annullato ogni residua sovranità nazionale e con essa la stessa democrazia, è evidente come gli elettori abbiano compreso che andare a votare non serva a nulla.

Tanto più per ambiti istituzionali nei quali i rappresentanti eletti hanno dimostrato, dalla Vetta d’Italia a Capo Passero, che non perseguono certamente il bene comune quanto, molto più prosaicamente e, spesso illegalmente, il proprio ed esclusivo tornaconto personale.

In tale situazione non serve il patetico e non più credibile richiamo berlusconiano all’unità dei moderati, nel momento in cui sta per costruirsi in maniera latente un blocco degli “incazzati”, oggi assenteisti al voto, ma, io credo, ormai sulla strada della rivolta sociale a cominciare da quella fiscale e via per li rami.

Senza un cambio di paradigma globale e una nuova offerta politica, da parte di una rinnovata classe dirigente ispirata ai valori di un’etica dell’umanesimo cristiano e integrale, il rischio che corriamo è quello di un esito autoritario che è ormai  presente, nella realtà di una crisi morale, culturale, economica, politica, istituzionale e della rappresentanza che può appagare  solo gli stolti.

Ettore Bonalberti
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A proposito degli “onesti”

Succede nella foga comiziante sparare qualche “cavolata”, come Landini ha correttamente connotato la sua uscita sui “disonesti” che sosterrebbero Renzi.

E’ evidente che, quanto all’onestà e alla disonestà, come anche gli episodi giudiziari della politica stanno dimostrando, non accadono a senso unico.

E ciò che succede nella politica, dove più forte è la tentazione del potere, succede anche nella società civile.

Nei mesi scorsi ho adottato la teoria dei quattro stati che, seppur semplicisticamente, rappresenta in maniera significativa la situazione sociale dell’Italia.

Ne consiglio la lettura a quanti sono impegnati nella politica e nell’amministrazione pubblica poiché ritengo che, seppur euristicamente, ossia anche ai fini del solo ragionamento, essa permette di comprendere ciò che accade nella struttura sociale del Paese.

Riassumendo:

Il primo Stato, quello della casta, è formato da oltre un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.

Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.

Il terzo stato è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura portante dell’intero sistema.

Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del quarto Stato, un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.

Trattasi di un settore il cui valore dell’attività economica è stimato in circa 200 miliardi di euro che, in base alle nuove norme europee, buon per Renzi e Padoan, farebbe calare il rapporto deficit/PIL dello 0,2 %, passando dal 3,7 al 3,5% sui conti del 2011.

Un settore fuori da ogni regola,  che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale.

Solo su quello economico incide per oltre il 14% sul PIL italiano che, nel 2013, è stato calcolato in circa 1393 miliardi di euro, per non parlare delle sue nefaste incidenze anche sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……

Non v’è dubbio che quei lavoratori che la CGIL, come la CISL e la UIL rappresentano, sono a tutti gli effetti parte di quel terzo stato sulla cui soma grava l’intero sistema. E questo terzo stato è oramai al limite della sopportazione che, dopo la regressione e il disimpegno, potrebbe sfociare nella ribellione come già sta accadendo. Spetta ai più responsabili rendersene conto e assumere le decisioni conseguenti.

Ettore Bonalberti
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21 Novembre 2014

Alessandra Moretti meglio l’Italia dei  Bruttini o dei Carini?

Bella la nota di Barbara Palombelli su “Il Foglio” di Mercoledì 19 novembre. Descrive in maniera impeccabile la differenza esistente tra i politici “Bruttini” della Prima Repubblica eletti dalle preferenze a costante rapporto con gli elettori, anche delle periferie diseredate e i “Carini” di adesso, tutto eleganza e cure dall’estetista, salottieri incalliti televisivi, che non conoscono nemmeno i territori formalmente di loro competenza.

Unica preoccupazione: piacere al capo che li ha nominati e al pubblico televisivo.

Prima, l’obiettivo dei bruttini era conquistarsi la fiducia e il consenso degli elettori voto per voto; ora, per i Carini il vero problema è se e quando essere chiamati dalle Televisioni.

Punto d’onore  quegli inguardabili talk show ridotti oramai a incontri di catch verbali  lontani mille miglia dall’educazione delle vecchie tribune elettorali di zatteriniana memoria.

E’ la conseguenza di una politica ridotta al leaderismo dei capi, che decade facilmente nel populismo. Un virus che ha finito con il contagiare tutti i partiti.

E al popolo, privato ormai di qualsiasi diretta rappresentanza, specie a quello che più soffre la condizione di precarietà e di emarginazione sociale, non resta che l’esplosione violenta di piazza, primi segnali di una latente rivolta sociale che nemmeno il forzato ottimismo de “ il Bomba” fiorentino riesce a frenare.

Gli elettori, un tempo fedeli agli orientamenti dei partiti e dei loro politici di riferimento, si recavano fiduciosi a votare, sapendo che, all’indomani presso le segreterie degli eletti, era sempre possibile incontrare il proprio deputato o senatore per esporgli i problemi e i bisogni personali o delle realtà territoriali di competenza.

Oggi, con la politica subordinata ai fini superiori incontrollati e incontrollabili della finanza, hanno compreso che il voto non serve più a niente e, infatti, la metà esatta degli aventi diritto deserta le urne e i nominati eletti che fanno?

Blandiscono il capo e, tenendo famiglia, si dedicano non tanto al bene comune, ma a quello più diretto personale e dei propri congiunti.

E’ il caso di quel deputato PD scortato da poliziotti amici che sembra abbia portato all’UBS oltre 1, 5  milioni di euro ( almeno Greganti diceva che “rubava per sé e non per il partito”) per non parlare di quegli sciagurati forza italioti veneti, dal governatore al suo fedele porta borse assessore patteggianti, a libro paga permanente dei loro imprenditori beneficati.

Certo le preferenze imponevano costi che, a loro volta, richiedevano risorse, non sempre lecite per il loro reperimento, ma, in ogni caso: meglio le preferenze di questo sistema dei capi che scelgono i loro accoliti in totale spregio dei cittadini, la cui sovranità é ridotta praticamente allo zero.

Attenzione, però, perché quando viene meno la  capacità di rappresentanza della politica, al popolo non resta altra strada che quella della protesta e della rivolta.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 21 Novembre 2014 (Madonna della Salute)



L’Italia si sgretola e i governi stanno a guardare

“Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, così Leo Longanesi definiva l’Italia che, dopo diverse decine d’anni si ritrova, come accade annualmente, col problema del suo disastrato assetto idrogeologico.

I grandi eventi, naturali ed artificiali, quelli che colpirono il Polesine nel 1951, la Valle del Piave nel 1963 con il Vajont; il Veneto e la Toscana nel 1966; la Val di Stava nel 1985 e la Valtellina nel 1987 ed, ancor più recentemente: il Piemonte nel 1994 , la Versilia nel 1996, la Campania nel 1997 e 1998, e quelli che negli ultimi sedici anni hanno continuato a colpire quasi tutte le regioni dell’arco alpino ed, in particolare la Lombardia, sono lì a ricordarci i problemi della sicurezza idraulica del nostro Paese e a riproporre l’attenzione dell’opinione pubblica e dei responsabili delle politiche nazionali, regionali e locali sui sistemi di difesa e su certa loro fragilità, propria delle opere, ma anche delle strutture naturali.

Lo stato di crisi nel sistema idrografico, che numerosi eventi hanno posto in evidenza, deriva, in larga misura da una domanda di spazio e di beni che, superando una (non nota) soglia, ha posto a sua volta in evidenza la misura “finita” di spazio e beni, e le profonde connessioni ed interazioni che all’intorno della soglia stessa, esistono tra le risorse in giuoco.

L’acqua e lo spazio che occupa scorrendo, le elaborazioni e manipolazioni cui essi sono sottoposti e la risposta che il territorio dà agli eventi estremi per le modifiche che le attività che vi si svolgono hanno creato alla sua struttura, costituiscono l’insieme articolato e complesso dei fattori che sono sempre esistiti con connessioni che, tuttavia, una domanda inferiore all’offerta rendeva un tempo meno apprezzabili.

Se da un lato, a partire dagli anni ‘60, dopo oltre un secolo dalla “prima rivoluzione culturale” del Paleocapa e Turazza, si impose una profonda modificazione della legislazione proprio per la necessità di rinnovare strumenti legislativi, modi di intervento ed obiettivi nel campo della difesa, specialmente idraulica, del territorio e dell’uso delle risorse che il territorio stesso offre, sino a determinare una vera e propria “nuova politica del territorio”, dall’altro, le intervenute modificazioni con il D.P.R. 616/76 nei rapporti tra Stato e Regioni porterà a superare (e per certi aspetti si potrebbe dire con esiti assai contraddittori) le conclusioni raggiunte dalla Commissione De Marchi nel 1970.

Le conclusioni raggiunte da quella Commissione aprirono una vera e propria seconda rivoluzione culturale che sfocerà nell’approvazione della legge n. 183 del 18 Maggio 1989:

“Norne per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”.

La Legge 183/89 contiene, tuttavia, in sè le contraddizioni proprie del risultato di compromessi politico-amministrativi inevitabili nel nuovo rapporto Stato-Regioni e nel momento nel quale la nuova “cultura ambientale” finiva con il favorire modalità d’approccio ai problemi del territorio secondo ottiche diverse da quelle tradizionali.

Ecco perché, se i criteri usati in passato per la sistemazione dei corsi d’acqua accordavano un primato pressoché indiscusso agli interventi per la difesa dalle piene degli insediamenti, dei terreni e delle attività che vi si svolgevano, con la nuova modalità di approccio si introduce una visione più articolata che, tuttavia, sconta l’onere di una diffusione di competenze e di una carenza di coordinamento che è oggettivamente verificabile nelle diverse realtà regionali.

Da molto tempo l’ANA.RF che associa le realtà delle Aziende e dei Servizi Forestali Regionali dell’Italia (tra le quali la Regione Lombardia e il Veneto hanno assunto fin dall’inizio la leadership) ha maturato la consapevolezza che è tempo di affrontare la politica degli interventi idraulico-forestali sulla base di una visione strategica polivalente ed integrata partendo dal dato oggettivo secondo cui tutte le regioni dell’arco alpino italiano, così come quelle della dorsale appenninica e delle isole, vivono da molti anni il dramma dello spopolamento delle zone di montagna, con le conseguenze disastrose, non solo sul piano socio-economico, ma della stessa salvaguardia ambientale.

E’ mancata sin qui una seria riflessione comune e, soprattutto, l’avvio di alcune azioni strategico operative, tali da convogliare masse critiche significative di risorse in vista di garantire, con la difesa della montagna, condizioni più sicure per la stessa pianura.

Non che siano mancate le risorse; anzi, se valutassimo l’insieme di quanto hanno speso lo Stato e le regioni, tanto quelle a Statuto speciale che le regioni ordinarie, per interventi idraulico-forestali nell’ultimo decennio, si arriverebbe a cifre rilevanti certamente superiori a qualche migliaio di miliardi di vecchie lire!.

Per anni, infatti, la politica degli interventi idraulico-forestali e di difesa idrogeologica, in quasi tutte le regioni italiane, è andata avanti in maniera separata, e/o quantomeno, disordinata:

la prima, quella forestale, interessata soprattutto a salvaguardare con il rispetto dei piani economici, il bene primario dell’occupazione delle maestranze; la seconda necessitata quasi sempre ad inseguire l’emergenza.

Nacque da questa consapevolezza l’idea di un PROGETTO MONTAGNA SICURA- -PRO.MO.S. - con il quale correlare razionalmente gli interventi di difesa idrogeologica con quelli di pianificazione forestale, secondo criteri basati esclusivamente sulle priorità emergenti da una rigorosa analisi della nostra situazione territoriale valutata nell’unità idrografica dei bacini quale caposaldo essenziale di riferimento.

Si propose, senza riscontro dai responsabili politici e di governo, di dar vita a un grande progetto concertato comune tra tutte le regioni dell’arco alpino italiano, dalla Liguria al Friuli Venezia Giulia per il Nord, della dorsale appenninica centromeridionale (specie fra quelle più frequentemente oggetto dei talora drammatici eventi di dissesti, frane ed alluvioni) e delle due principali isole (Sicilia e Sardegna) tale da promuovere interventi coordinati e pianificati, fondati sulle effettive priorità presenti sul territorio a partire da quelle inerenti la sicurezza idraulica.

Ieri all’incontro del Capo dello Stato con i dirigenti del Corpo Forestale, ne ha parlato Giorgio Napolitano. Purtroppo sono passati più di vent’anni da quando, coordinatore del Comitato Tecnico scientifico di ANARF, presentai al Ministero dell’ambiente PRO.MO.S. senza alcun esito. Si sa: " gli alberi non votano" e l’Italia, come diceva Longanesi e i suoi politici è "un Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni".

Ettore Bonalberti
Già direttore ARF (Azienda Regionale delle Foreste) del Veneto ( 1983-1998) e delle OO.PP. di Regione Lombardia (2001-2005) e di ERSAF (Ente Regionale per i servizi agricoli e forestali) di Regione Lombardia



Prima che il terzo stato si svegli

Lo scontro Renzi-Regioni sui quattro miliardi che il giovane fiorentino ha scaricato sulle spalle dei governatori, in una stucchevole partita dello scaricabarile tra esponenti della Casta, il primo stato della società italiana paragonabile a quell’aristocrazia e il clero dell’ancien régime, contro cui, prima o poi, si scatenerà l’ira del terzo stato (Grandi e PMI con i loro dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani e liberi professionisti, produttori del PIL reale del Paese sul quale vivono tutte le altre classi sociali) ripropone il tema ormai maturo: basta con venti regioni e si riformi la Costituzione per dar vita a uno stato federale con quattro-cinque macroregioni.

Tutto andò per il meglio sino al 1970, anno di nascita delle regioni a statuto ordinario, nate con il compito di legiferare, programmare e controllare e che, invece hanno finito con il gestire a destra e a manca sino a diventare uno degli immondezzai più fetidi dell’amministrazione pubblica italiana.

L’Italia questi quasi mille politici a lauto stipendio fisso con tutte le derivate di enti e sotto enti di diversa natura e funzione, sostanzialmente non se li può più permettere.

L’avevano intuito lucidamente alla fine degli anni ’60 Ugo La Malfa e Giovanni Malagodi, mentre il prof Miglio, nei successivi ‘70 elaborò  le sue teorie alle quali spesso attingiamo. E’ tempo di passare dalla teoria alla prassi.

Nord Ovest e Nord Est, una vasta area centrale e una grande regione del Sud. Basta con l’assurda realtà speciale di una Sicilia ormai fuori controllo e con le altre realtà speciali senza più alcuna giustificazione storico politica.

Non si tratta di ridurre la loro autonomia, ma di ricomporla in termini omogenei per tutte le quattro o cinque macroregioni alle quali assegnare esclusivi compiti di programmazione e controllo, lasciando allo stato federale centrale le già pur ridotte competenze in materia di moneta e fisco, spada e politica estera e assegnando le funzioni gestionali in capo ai Comuni da ricomporre, dagli oltre ottomila attuali in dimensioni di “città nella città” in grado di offrire i servizi ai cittadini.

Una rivoluzione costituzionale che non è compito di un parlamento di nominati illegittimi e di un governo privo di ratifica elettorale.

Solo un’assemblea costituente eletta a suffragio universale con le regole del consultellum può ragionevolmente e correttamente dedicarsi a tale obiettivo non più rinviabile. E lo si faccia prima che sia troppo  tardi e che il terzo stato si svegli, passando dalla rassegnazione alla rivolta.

Ettore Bonalberti
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19 Ottobre 2014

L’entusiasmo giovanile: condizione necessaria, ma non sufficiente

Encomiabile l’entusiasmo e la passione politica che le nuove generazioni raccolte da Lorenzo Castellani hanno dimostrato ieri a Milano.

Più ardua la ricomposizione di un’area dalle multiformi sensibilità e culture politiche, in assenza di una base comune di analisi e di riflessioni su cui tentare di costruire l’unità.

Interventi giudiziosamente cronometrati sui cinque minuti, rispettati da quasi tutti gli intervenuti, non potevano che testimoniare quella pluralità di opzioni tra le quali, a nostro parere, è mancato un forte ed esplicito riferimento alla cultura politica dei cattolici e dei popolari.

Non a caso, diverso tempo fa, avevamo scritto che prima della Leopolda dei moderati serviva quella dei Popolari italiani.

Non siamo riusciti a trovare spazio tra gli interventi per dare pratica testimonianza dell’unico serio tentativo sin qui avviato nel Veneto di ricomposizione dell’area popolare, con l’avvenuta formazione del comitato regionale per la Costituente Popolare e Civica del Veneto di cui, comunque, abbiamo lasciato traccia con un documento distribuito tra i presenti.

La sensazione finale che abbiamo raccolto è quella di una decisa volontà di andare oltre le attuali formazioni politiche, per tentare di costruire un soggetto politico nuovo le cui connotazioni sono, tuttora,  assai  nebulose,  al di là di una generica e alquanto discutibile formula di nuovo centro-destra alternativo al renzismo trionfante.

Da parte nostra continuiamo a ritenere che, alla crisi della globalizzazione del turbo o finanz.- capitalismo, l’unica seria analisi teorico pratica sin qui elaborata è quella proposta dalla dottrina sociale della Chiesa con le sue ultime encicliche: Centesimus Annus, Caritas in veritate e Evangelii Gaudium. Restano, invece, ancora alquanto incerte e contraddittorie altre pur auspicabili risposte culturali di area liberale e riformista.

Ed è proprio dalle indicazioni pastorali citate che intendiamo ripartire, non per nostalgiche rievocazioni, ma per un rinnovato impegno politico dei cattolici in Italia , in Europa e a livello globale.

Non siamo molto d’accordo con quel filosofo che ha tentato di dare giustificazione alla persistente distinzione tra destra e sinistra, tanto più che, almeno in Italia, stiamo vivendo la contraddizione di un trasformismo  renziano che riduce, sino ad annullarla, ogni residua connotazione di sinistra al partito che fu anche quello di Gramsci, Togliatti e Berlinguer.

Così come non ci piace il termine di area moderata, nel tempo in cui non c’è alcuna necessità di moderazione all’interno di un conflitto di carattere globale che, ben al di là dei classici schemi di analisi marxiana, reclama risposte e  un’organizzazione politica di livello trans nazionale, poiché è a quel livello europeo e internazionale che il nuovo conflitto si pone.

Noi continuiamo a perseguire l’idea di concorrere a costruire un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale e riformista, europeista e trans nazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, fortemente inserito a livello europeo nel PPE alternativo al PSE.

Di tutto ciò non c’è stata traccia nei diversi interventi che si sono succedute alla Leopolda Blu.

E siamo, altresì convinti, che premessa indispensabile per la costruzione di quel nuovo soggetto serva, prima di tutto, la ricomposizione dell’area popolare ed ex democratico cristiana, per la quale ultima apprezziamo e sosteniamo i generosi sforzi degli amici che stanno tentando di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione che ha dichiarato: “ non essere mai stata sciolta giuridicamente la DC”.

Abbiamo apprezzato il lucido intervento di Mario Mauro, il quale ha rilevato la necessità di uscire dall’equivoca maggioranza da parte delle componenti centriste e popolari come precondizione di credibilità, così come auspichiamo da subito, possibilmente nel corso della prossima settimana, la formazione dei gruppi parlamentari uniti di NCD. UDC e Popolari per l’Italia.

Siamo, tuttavia, altrettanto convinti che non sarà dai vertici che si farà l’unità e che, senza una forte mobilitazione dal basso, attraverso la formazione di comitati regionali per l’unità dei popolari sul modello veneto, difficilmente si giungerà alla ricomposizione dell’area popolare.

Regioni   chiave, oltre il Veneto, sono la Lombardia, il Lazio, la Puglia e la Sicilia, oltre a quelle di antica tradizione democratico cristiana dalle quali, attraverso elezioni primarie, far emergere la nuova classe dirigente sostitutiva di quelle vecchie e stantie senza più credibilità e consenso.

Ricostruita la componente popolare, con forti collegamenti con le omogenee culture di altri Paesi europei e internazionali, si potrà più facilmente concorrere con le altre sensibilità e culture politiche a far nascere il soggetto politico nuovo, il cui compito principale dovrà essere quello di ricostruire l’equilibrio distrutto degli interessi e dei valori dei ceti medi in corso di rottamazione e quelli delle classi popolari.

All’Italia serve una nuova Camaldoli dei Popolari, per offrire una nuova base programmatica sostenuta da una corretta analisi della situazione europea e internazionale, così come sul piano politico di breve periodo si tratta di giungere quanto prima al superamento dell’attuale insostenibile assetto politico istituzionale basato su un Parlamento di nominati illegittimamente eletti, produttore di atti continuamente passibili di nullità, e di un ‘assemblea costituente incaricata di procedere in tempi certi all’aggiornamento indispensabile della Carta Costituzionale e all’aggiornamento istituzionale dell’Italia su base federale.

Un compito che, anche con l’entusiasmo dei giovani della  Leopolda Blu, necessario ma insufficiente,  intere generazioni dovranno assumersi, se non vogliamo assistere alla disintegrazione del sistema Italia.

Ettore Bonalberti
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Venezia, Domenica 19 Ottobre 2014



Cari amici,

il 29 agosto scorso con Mario Mauro, Publio Fiori e l'annunciata adesione degli amici Baruffi e Grippo, abbiamo lanciato l'appello per la costituente dei Popolari. 

Un progetto teso a superare la drammatica diaspora del ventennio scorso e a ricomporre la vasta galassia di area popolare e democratico cristiana italiana.

I continui rinvii e i colpevoli ritardi accumulati e che ancora persistono, nonostante le annunciate impegnative dichiarazioni a favore della costruzione del gruppo parlamentare unico dei popolari, non sono più accettabili e accettati dagli amici nelle diverse realtà regionali.

Nascono in diverse regioni, anche sulla spinta di ciò che é accaduto nel Veneto, comitati spontanei per l'unità dei Popolari e dei democratici cristiani, non solo con l'obiettivo di raccordare tutti gli spezzoni esistenti sul territorio, ma anche per favorire il processo unitario a livello nazionale. Siamo stanchi di combattere sotto troppe e diverse ormai consunte bandiere!!

Crediamo, infatti, che solo da un'iniziativa congiunta dalla base e dal livello nazionale per l'unità, il progetto dell'unità dei popolari italiani potrà realizzarsi.

Gli ultimi avvenimenti, con la decisione annunciata da Renzi di una diversa interpretazione del famigerato patto del Nazareno in materia elettorale, sembrano spingere ad un'accelerazione del voto politico anticipato.

In tali condizioni restare aggrappati al governo di una finta maggioranza e di una finta opposizione  sembra una decisione suicida.

Chiedo a Mario Mauro che, sino ad ora, è il politico che con più forte determinazione si è battuto, tanto a livello parlamentare che esterno, per l'unità dei Popolari, di promuovere con gli amici che hanno sottoscritto l'appello del 29 agosto la formazione di un comitato provvisorio paritetico di tutti coloro (partiti, gruppi, movimenti, associazioni) che intendono concorrere alla ricomposizione dell'area popolare e democratico cristiana in Italia.

Obiettivo che, da molto tempo abbiamo  perseguito, ahimè senza successo,  con l'amico Gianni Fontana, riproponiamo è quello di:

a) promuovere una nuova Camaldoli, per costruire insieme la piattaforma politico programmatica dei popolari italiani come risposta ai problemi del Paese nel tempo della globalizzazione e del dominio del finanz-capitalismo e della non più rinviabile riforma costituzionale;

b) dar vita al nuovo soggetto politico laico,democratico, popolare, liberale,riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato ai valori dell'umanesimo cristiano inserito a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo in grado di ricostruire l'equilibrio spezzato tra interessi e valori dei ceti medi e delle classi popolari;

c) favorire un forte ricambio di classe dirigente tanto a livello periferico che in sede nazionale

Spero che anche gli amici che ci leggono per conoscenza, sin qui più tiepidi nel corrispondere al disegno unitario, sappiano raccogliere questo invito, avendo consapevolezza che nel deserto della politica italiana dominata dal più deleterio trasformismo e dalla scomparsa di ogni cultura politica, continuare a difendere piccoli recinti a vantaggio di egoistiche posizioni personali è operazione colpevole e suicida.

Il tempo dei rinvii è finito. Ora chi ha ancora coraggio di agire si faccia avanti e concorra con tutti noi a favorire la riuscita del  progetto.

In attesa di un positivo riscontro invio a tutti voi un fraterno abbraccio.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
socio fondatore Associazione Democrazia Cristiana e del comitato per la Costituente Popolare e Civica del Veneto


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7 Novembre 2014

Comunicato stampa del comitato per la Costituente dei Popolari di Venezia

La situazione del Comune di Venezia si presenta fallimentare:   881 milioni di € di debito e 47 milioni di € di passivo di bilancio. Qualsiasi impresa  o società privata in tali condizioni porterebbe i libri contabili in tribunale.

E, d’altronde, chi ha guidato il comune negli ultimi vent’anni? Massimo Cacciari (1993/2000), Paolo Costa ( 2000/2005), ancora Massimo Cacciari ( 2005/2010) ed, infine, Giorgio Orsoni, dal 2010  sino all’arresto (Giugno 2014) e in attesa del processo che tante ambasce sta creando nel PD.

Oltre vent’anni di ininterrotta gestione del potere da parte della sinistra con il sostegno di  qualche accolito e turiferario di complemento.

E, adesso, per salvarsi l’anima cosa sta meditando il PD? Mettersi nelle mani del giudice Casson, lo stesso che qualche anno fa Massimo Cacciari decise di sfidare, prevalendo, contro tutto e contro tutti.

I veneziani, tuttavia, stavolta non si faranno gabbare. Le cifre sono quelle su esposte e le giunte che hanno retto le sorti della città sono quelle indicate con nome e cognome dei leader responsabili.

Non è più tempo di riciclati né di sostituti d’emergenza. E’ tempo di un cambiamento profondo di sistema e di metodi.

E’ tempo di mandarli a casa e di voltare pagina con uomini e programmi autenticamente  nuovi, competenti e ispirati dall’esclusiva passione civile.

E’ tempo di ritrovare una nuova speranza e di politiche fondate sui principi della sussidiarietà e della solidarietà che pongono la persona, la famiglia  e i corpi intermedi al centro e come obiettivi del perseguimento del bene comune di una città sottoposta a uno dei più tremendi sconvolgimenti morali, politici e amministrativi  della sua millenaria storia.

I Popolari veneziani insieme alle altre forze laiche liberali e riformiste si candidano con una nuova classe dirigente a guidare questo rinnovamento, innanzi tutto, con un forte cambiamento di metodo e di uomini.

Il programma, autentico Manifesto dei Popolari con e per Venezia, sarà costruito attraverso l’incontro con i mondi vitali della società civile veneziana per offrire risposte ai bisogni effettivi degli stessi e con l’obiettivo di ricostruire l’equilibrio spezzatosi tra gli interessi e i valori dei ceti medi e delle classi popolari veneziane.

Un primo nucleo di componenti del comitato costituente dei Popolari veneziani è stato realizzato. Esso è un comitato paritetico, aperto e inclusivo di quanti vorranno condividere con noi  questa nuova difficile e appassionante sfida.

Chi fosse interessato può scrivere a: info@insiemeweb.net

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Venezia 7 novembre 2014



4 Novembre 2014

ITALIA E POPOLARI: INSIEME

Lunedì 3 Novembre 2014,  a Roma, è avvenuto un fatto importante nella storia dei Popolari italiani. La lunga  e travagliata stagione della ventennale diaspora sembra volgere al tramonto con l’avvio del comitato nazionale per la Costituente dei Popolari Italiani.

Ad uno dei partiti centristi  presenti in Parlamento, i Popolari per l’Italia guidato dall’On Mario Mauro, si sono collegati numerose associazioni, gruppi e movimenti rappresentativi di persone presenti su tutto il territorio nazionale, con la volontà di perseguire l’obiettivo della nascita di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale e riformista, europeista e trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo integrale e inserito a pieno titolo nel PPE.

Un partito alternativo al renzismo trasformistico rampante e agli estremismi di destra e di sinistra.

Trattasi di un comitato paritetico, aperto e inclusivo nel quale potranno inserirsi tutti coloro che sono interessati al progetto declinabile nello slogan: ITALIA e POPOLARI: Insieme per una nuova speranza democratica.

Sono mancati all’appello le residue e ormai obsolete sigle del NCD e dell’UDC, nonostante le reiterate sollecitazioni avanzate verso i loro leader, bloccati in un incomprensibile e colpevole  permanente surplace.

Espressione anche questa del travaglio interno di partiti politici ridotti al ruolo ancillare di ininfluenti reggitori di un monocolore PD, che guida l’Italia sulla base di una falsa maggioranza e di una finta opposizione del Cavaliere.

Fatti nuovi sembrano emergere a sinistra e anche nel centro dello schieramento, in cui l’unica vera voce di dissenso, almeno sino ad ora, è quella levatasi a più riprese dai Popolari per l’Italia di Mario Mauro.

Non è un caso che proprio  con i Popolari per l’Italia si siano collegati diversi gruppi e movimenti sparsi nelle diverse città e regioni italiane, uniti dalla volontà di dare rappresentanza politica a quei ceti medi, vittime sacrificali delle politiche imposte all’Italia dai reggitori occulti del turbo o finanz-capitalismo e contro le quali il giovin signore fiorentino ha, almeno sin qui, opposto i pannicelli caldi della richiesta di maggiore o minore flessibilità di un fiscal compact illegale, figlio di regolamenti comunitari farlocchi, perché nulli in quanto contrastanti con i Trattati comunitari liberamente sottoscritti dall’Italia.

E’ giunto il tempo di invertire la rotta e di offrire al Paese una nuova speranza. I Popolari italiani sono pronti a promuovere in tutte le realtà territoriali comitati costituenti di base,  nei quali i più anziani consegneranno alle nuove generazioni il testimone della loro migliore tradizione politica.

Incontri regionali si susseguiranno nei prossimi giorni per confluire in un’assemblea generale dei Popolari da tenersi entro fine anno, mentre, in tutte le  realtà locali in cui si svolgeranno le elezioni amministrative per i rinnovi dei consigli comunali e regionali, si presenteranno liste popolari aperte al confronto e alla collaborazione con quanti, espressione di altre culture politiche, intendono sostenere politiche  fondate sui principi di sussidiarietà e solidarietà finalizzate a perseguire un nuovo equilibrio tra interessi e valori dei ceti medi e delle classi popolari.

Ettore Bonalberti
Socio fondatore del comitato nazionale per la Costituente dei Popolari Italiani
Roma, 4 Novembre 2014



8 Novembre 2014


Considerazioni di Ettore Bonalberti

dopo il 1° seminario della scuola di Politica Popolare dei Veneti

(Padova - 7 Novembre 2014)

Dalla relazione di Mons Negri deriverei le seguenti sintetiche conclusioni:

a) viviamo lo scontro tra il laicismo e il cattolicesimo in una fase storica che prefigura l’avvento di una società nuova

b) dobbiamo avere coscienza della nostra storia e dei pesanti condizionamenti intervenuti di matrice ideologica, nel momento in cui, da Hobbes in poi, è invalsa l’idea della prevalenza della società sulla persona e dello Stato sulla società e con la separazione della dimensione religiosa dallo Stato;

c) una concezione ideologica nettamente alternativa alla nostra cattolica che vede al centro e come prioritaria la persona sulla società e della società con le articolazioni intermedie sullo Stato;

d) il soggetto della storia è la persona e la società nasce dal basso. Nostro dovere è impegnarci per mettere in atto politiche che riconoscano la centralità della persona.

e) Priorità della persona sulla società e priorità della società sullo Stato.

f) È la sussidiarietà che fa nascere lo Stato al fine di garantire strutture regolative per il bene della società: il bene comune. Lo Stato al servizio del bene comune e della libertà. La sussidiarietà come stella polare delle istituzioni, come agente del movimento delle stesse istituzioni sia in senso orizzontale che verticale

g) Lo Stato è al servizio dell’esercizio dei diritti dei cittadini e nasce per servire non per dominare. L’autorità è necessaria per garantire l’esercizio dell’ordine all’interno e fra le istituzioni e all’interno e fra gli stessi corpi intermedi.

h) Dobbiamo superare una debole democrazia perché  basata su una debole cultura di popolo guidato da un pensiero unico dominante. Dobbiamo operare per superare criticamente la tendenza ideologica laicista che vede lo Stato al di sopra della società e della persona.

i) Dalla persona derivano i suoi diritti che sono ordinati e non concessi dall’autorità

A questa splendida lectio magistralis di Mons Negri che ci indica nella riaffermazione dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, propri della dottrina sociale della Chiesa, la base del nostro impegno politico nella “città dell’uomo”, dovremo aggiungere, in preparazione del prossimo seminario su welfare ed economia di Treviso (Sabato 22 Novembre 2014) alcune riflessioni su ciò che accaduto nel corso del XX e alle soglie del XXI secolo.

Nel XX secolo e all’inizio del XXI  sono avvenuti quattro fatti eccezionali:

la prima (1915-1918)  e la seconda guerra Mondiale (1940-1945), la caduta del muro di Berlino (1961-1989) con la fine della guerra fredda e la crisi finanziaria internazionale (2007-2008).

Oggi sono a confronto due sistemi politici prevalenti:

quelli di democrazia liberale di stampo occidentale e quelli di democrazia autoritaria e illiberale (Cina, Singapore, Turchia, Russia) che, con l’avvenuta apertura del WTO alla Cina ha sconvolto la situazione in termini di vantaggi comparati secondo le tradizionali teorie liberiste. Molte nazioni, vedi Ungheria, stanno seriamente meditando su quale modello prevalente optare (?!)

Non si potrebbe comprendere ciò che è intervenuto se non teniamo presente quanto, a più riprese, il prof Stefano Zemagni, uno dei più strenui sostenitori dei principi dell’economia civile, da anni va tentando faticosamente di far conoscere.

Sintetizzo il suo ragionamento:

prima del fenomeno della globalizzazione si era affermato e condiviso  il principio della divisione del lavoro sulla base del cosiddetto principio NOMA (Non Overlapping Magisteria): Richard Whately-cattedra di economia a Oxford che nel 1829 teorizzò la netta separazione  e non sovrapposizione tra etica, politica ed economia. Di qui derivò il concetto dominante che assegna alla politica il compito dei fini e all’economia quello dei mezzi per il raggiungimento di quei fini, entrambe comunque separate dall’etica secondo una visione iper machiavellica.

Tutto questo funzionò sino all’avvento della globalizzazione. Fenomeno quest’ultimo che non sorse spontaneamente dal mercato, ma fu determinato più o meno consapevolmente al G6 del 1975 a Rambouillet ( Italia presente come quinta economia mondiale dell’epoca!) nel quale si decise con atto politico di far partire il processo di globalizzazione, da non confondere con quello di internazionalizzazione presente sin dall’epoca antica.

Con l’avvento della globalizzazione il principio del NOMA viene di fatto applicato in termini rovesciati: all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi .

Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (JP Morgan,Morgan Stanly e C.) detentrici del potere finanziario di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali deciso dal congresso americano e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.

Solo qualche mese fa negli USA è stata introdotta la nuova norma Volcker dal nome dell’ex presidente del Federal reserve,  con cui viene reintrodotta la separazione tra attività bancarie e di speculazione finanziaria

I pragmatici americani hanno saputo rimediare ai guasti clintoniani;  in Europa si continua invece nelle attività speculative.

I ^osservazione: non è più possibile andare avanti così’

Dobbiamo batterci perché la politica torni ad essere titolare del regno dei fini e l’economia quello dei mezzi, entrambe non disgiunte dai temi dell’etica ( n.d.r.: ultima mia osservazione integrativa- vedi Evangelii Gaudium)

Non si tratta di eliminare l’economia di mercato (un’assurdità che ci farebbe ricadere nella miseria) ma mettere in chiaro le cose: riequilibrare il NOMA, ristabilendo il primato della politica e superare il Noma, compito quest’ultimo degli intellettuali cattolici disinteressati sulla scia degli insegnamenti di Toniolo, Sturzo e Rosmini.

E’ evidente che se l’economia è la titolare dei fini, il fine e l’obiettivo di essa non potrà che essere l’efficienza ( vale e va perseguito tutto ciò che garantisce e genera efficienza: ottenere con il minor costo delle risorse impegnate il massimo dei risultati).

La mancanza di lavoro nella società del nuovo NOMA con al vertice il primato dell’economia deriva proprio dall’aver deificato l’efficienza .

Si è deciso che almeno il 25% della popolazione attiva deve restare fuori dal mercato del lavoro e rappresenta uno “scarto calcolato”.

Chi non è efficiente è scartato. Insomma il 25 % in mano alle Caritas .

Giovanni Paolo II ( 29.11.2004) due mesi prima di morire nel suo ultimo discorso pubblico denunciò così la situazione: “ la discriminazione in base all’inefficienza non è meno disumana di tante altre forme di discriminazione”

Si è legittimato il darwinismo sociale nella sua forma più spinta.

Paradosso italiano: tutti si strappano le vesti per la disoccupazione, nessuno prende provvedimenti effettivamente efficaci per una serie di motivazioni:

a) popolo tendente a piagnisteio ( 1 milione di bambini italiani vivono nelle condizioni di povertà assoluta)

b) aspettiamo soluzioni dall’alto ( partito dominante del “benaltrismo”… “ci vuole ben altro” e intanto non si decide alcunché)

Eppure noi proveniamo da una tradizione di un fare sociale ben rappresentato da Don Bosco ( esperienza dell’apprendistato dei giovani prima e contro o in assenza di normative) del beato Tovini di BS, di Don Gnocchi e altri.

Con la globalizzazione si accompagna la realtà della terza rivoluzione industriale, dopo la prima,  quella dell’Ottocento industriale con epicentro Inghilterra; la seconda, quella di inizio Novecento con la chimica in Germania e, appunto, quella, la terza, della fine ‘900 con la rivoluzione dell’ITC ( Information Technology Communication) della Sylicon Valley.

Tutto ciò porta a una trasformazione radicale del mondo del lavoro ( ciò che non comprende o non vuol comprendere la CGIL) che da una struttura piramidale normale passa a una struttura a clessidra. La base della manodopera di bassa qualificazione è la stessa, ma nella struttura a clessidra nel punto di convergenze delle due tronco piramidi rovesciate si situa proprio la fascia dei laureati e diplomati. Oggi sono essi la fascia sociale più a rischio, i soggetti che restano a metà strada senza prospettiva. Lavorano nella fascia bassa se ne trovano e così anche per le alte specializzazioni nella piramide superiore.  E’ nel punto di convergenza che si accentra la crisi.

Non è più vero che  all’aumento della crescita e dell’attività produttiva aumenta l’occupazione in quanto con l’ITC si afferma anche il jobless growth ( crescita senza occupazione).

Per tradurre oggi nelle società occidentali e, più in generale, a livello planetario il principio di sussidiarietà, dobbiamo ripartire da tale consapevolezza e ispirarci agli orientamenti pastorali della Caritas in veritate (Benedetto XVI) e Evangelii Gaudium (Papa Francesco) che sono sino ad oggi le letture più approfondite dei fenomeni collegati alla globalizzazione con tutte le sue conseguenze drammatiche di cui sopra.

L’Osservatorio Internazionale Cardinal Van Thuân con la sua recente pubblicazione (introduzione di Mons Crepaldi, arcivescovo di Trieste) (“Un Paese smarrito e la Speranza di un Popolo- Appello Politico agli italiani”) ci offre un concreto esempio di come dovremo operare per tradurre nella politica quegli orientamenti.

Credo che anche per le prossime scadenze politiche il nostro impegno dovrà tener conto di tali fattori per proporre soluzioni compatibili e concretamente traducibili nelle condizioni storico politiche date.

Venezia, 8 Novembre 2014


La vera sfida per il giovane boy scout fiorentino

Abbiamo inviato a molti deputati e senatori italiani e ai deputati italiani in Europa  il Saggio 2 del prof Giuseppe Guarino: “ Saggio di verità sull’Europa e l’euro” ricevendo riscontro da uno sconosciuto deputato del M5S e dall’On Cofferati.

Da tutti  gli altri, anche da quelli che si riempiono la bocca di europeismo, nessuna risposta e, quel che più conta, nessuna notizia di una qualche iniziativa assunta nelle sedi istituzionali competenti .

Avevamo anche prospettato alle diverse associazioni per la difesa dei consumatori l’avvio di una class action contro quei politici responsabili degli errori e delle omissioni conseguenti alle azioni denunciate dal Prof Guarino.  Anche da queste un colpevole silenzio.

Come ben evidenzia il prof Paolo Savona con il suo ultimo articolo sulla rivista www.formiche.net, tra le poche testate giornalistiche che hanno dato spazio al tema,  il prof Guarino a corollario di una disamina rigorosa dei Trattati comunitari e dei regolamenti attuativi propone due ricorsi in sede internazionale: un primo per denunciare la violazione dell’oggetto del contratto stipulato dai Paesi europei con i trattati di Maastricht, Amsterdam e Lisbona (art.3) che prevedevano come obiettivo: crescita, occupazione e benessere per i cittadini europei, e, il secondo per dichiarare l’illegittimità, non sanata da una ratifica nazionale, della modifica dei Trattati disposta con una norma di rango inferiore, la direttiva 1466/97 da cui discende il fiscal compact .

Siamo quasi alla fine del semestre di presidenza italiano e il presidente di turno, Matteo Renzi, avrebbe la grande opportunità di dimostrare il suo grado di autonomia dalla dominanza dei poteri degli Stati del Nord assumendo come governo italiano una decisa azione di contrasto all’andazzo illegittimo della politica europea, giungendo a minacciare l’uscita dell’Italia dall’euro se le istituzioni europee non vengono riformate nella direzione di un’autentica Unione politica democratica.

O ci riprendiamo questa elementare fetta di sovranità popolare o lasceremo libero sfogo all’iniziativa di Grillo e affini con l’appello alla piazza.

Questa è la vera sfida cui è chiamato a misurarsi il giovane boy scout fiorentino.

Ettore Bonalberti
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Dalla Domus Pacis alla Leopolda Blu

Avevo preparato un intervento con  l’augurio che l’incontro della Domus Pacis  di venerdì 10 ottobre, potesse  seguire due linee: la prima tracciata sull’insegnamento di Aldo Moro, secondo cui: “ è meglio sbagliare tutti insieme che avere ragione da soli”, la seconda che noi, verso e o oltre i settanta, ci mettessimo in seconda o terza fila per favorire una nuova classe dirigente.

Entrato in un auditorium che conteneva meno di un quarto dei 1200 anche da “ Formiche” annunciati, anziché constatare l’affermazione del principio secondo cui: “: tutto ciò che va nella direzione dell’unità dei popolari è un bene, tutto ciò che serve a conservare le fratture e le divisioni è un male”, abbiamo sentito interventi orientati più alla divisione che alla condivisione secondo il solito vezzo italico per cui : “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuol farsi coordinare”. E del mio intervento ho pensato che era meglio non se ne facesse nulla, considerato che tutto era stato programmato senza possibilità di voci diverse da quelle predisposte dal copione.

E al posto dei “vino nuovo in otri nuovi” ci siamo ritrovati una platea affollata di “ever green”; ex parlamentari in pensione alla ricerca di una nuova assai improbabile ricollocazione, intervallati da sconosciuti docenti di varie discipline e alcune gentili signore incaricate di rappresentare qualche illustre più che giustificato assente.

Il convegno dall’ambizioso titolo: “ Verso il partito della gente riprendiamoci l’Italia”, dopo gli interventi di un accalorato Ivo Tarolli (quello che a Gennaio di quest’anno aveva scientemente fatto fallire la nostra proposta di patto federativo verso l’unità dei popolari e dei democratici cristiani, che era stata la conclusione della tre giorni al convento di Sant’Anselmo degli amici dell’associazione Democrazia Cristiana, con il consenso di Publio Fiori (Rinascita Popolare) e di Mario Mauro ( Popolari x l’Italia),  e  quelli di un onesto figlio dell’Umbria agricola, Sergio Marini, e dell’immarcescibile Mario Tassone, si è lentamente sciolto nel fuggi fuggi generale di una platea sfiduciata e disillusa.

Doveva essere la quermesse del lancio della nuova leadership di Sergio Marini, già presidente della Coldiretti nazionale, ma , nonostante il grande impegno dell’officiante incaricato, l’ex sen Tarolli di Trento, alla prova del nove,  Marini si è rivelato una personalità molto al di sotto delle ambizioni che quel ruolo dovrebbe comportare.

Ivo Tarolli, si è limitato a gridare, letteralmente a gridare, che : “ non siamo irrilevanti, dobbiamo solo essere organizzati”, “ dobbiamo riprendere le nostre responsabilità”, “ uscire dal sottoscala” puntare sulle centralità di tre motori: famiglia, impresa e comunità.

Ha continuato denunciando la dominanza assoluta del partito del premier, sottolineando che:” L’Europa ha fallito, Berlusconi ha fallito e Renzi sta fallendo, mentre l’Italia sprofonda”.

Un po’ poco come analisi politica, cui è seguita la perorazione a costruire: “uno strumento politico nuovo, un partito programmatico e di scopo, che nasca dal territorio e guidato da una nuova classe dirigente”.

Lanciata l’idea di una nuova organizzazione (quale?) con una nuova forte identità di cui non si è data traccia ( sembrava di leggere l’ultimo libro del dante causa Passera, assente seppur annunciato, il quale, almeno al convegno di Matera dei Popolari per l’Italia aveva avuto l’accortezza nel suo video messaggio di fare riferimento ai comuni valori popolari sturziani), Tarolli, convinto che si tratta di costruire non una “piccola parrocchia, ma una grande Chiesa” ha lanciato la nuova leadership di Sergio Marini.

Si sperava in una sua vincente prova del fuoco in una platea affollatissima, ma si sa, lasciata la presidenza della Coldiretti, tira  tutt’altra musica e la Coldiretti di oggi, non è certamente l’antica e fedele bonomiana artefice di larga parte delle fortune democratico cristiane.

Sergio Marini, accompagnato da alcune e  poche fedeli truppe del mondo produttivo  e della cooperazione agricola, ha svolto un debolissimo intervento, molto al di sotto delle aspettative che si richiedono a una nuova generazione che intenda non solo porsi in alternativa al renzismo rampante, ma, soprattutto alla guida di un progetto ambizioso come quello di: “riprendersi l’Italia attraverso il nuovo partito della gente”.

Debole la sua analisi, che si riduce alla constatazione che nel Parlamento non esistono più uomini, partiti e formule politiche  in grado di risolvere i problemi dell’Italia e alla necessità di combattere quello che lui definisce “ il partito unico del Parlamento”, con accenti di un  linguaggio rurale casareccio, più simile al populismo dai tratti qualunquistici che a quelli di un leader carismatico e popolare di estrazione DC.

Sostenere come ricette: il no al fiscal compact, senza nemmeno motivarne le sottili ragioni giuridiche che da molto tempo il prof Guarino ci indica, facendo semplicemente ricorso al nostro “orgoglio nazionale” da recuperare; investire la decina di miliardi così recuperati nel turismo, arte, cultura e agro – alimentare, e concludere con il generico appello alla volontà di cambiare noi stessi rivolto a coloro che “ se la sentono di venire con noi”, onestamente è una proposta assai riduttiva per un nuovo partito che assuma l’ambizione di riprendersi l’Italia.

Dopo Mario Tassone, sempre ammirevole nella sua difesa dei valori costituzionali e nel ricordo della sua antica appartenenza morotea, unica voce che ha ricordato la nostra naturale scelta di campo nel PPE, anche se, ha aggiunto, in Italia i termini tradizionali di destra e di sinistra sono ormai superati, il parterre si è lentamente liquefatto e i commenti di molti che si alternavano tra la disillusione di una giornata perduta e la dolorosa constatazione che, forse, “la maledizione di Moro” dal carcere delle BR continua a pendere sulla testa dei reduci democratico cristiani, il convegno di fatto si è concluso.

Noi che al generico e falso riferimento alla gente, abbiamo riproposto con la teoria dei quattro stati della società italiana, la ragione stessa dell’impegno politico dei cattolici e dei laici e riformisti nella storia della Repubblica, ossia la necessità di dare rappresentanza al terzo stato e di ricomporre gli interessi e i valori tra i ceti medi e le classi popolari, mentre ci auguriamo che anche dalla Domus Pacis possa venire un contributo per l’unità dei popolari, guardiamo con molta attesa a ciò che potrà uscire dal prossimo appuntamento della Leopolda Blu di Milano, alla quale parteciperemo da popolari e per l’unità di tutti i popolari, liberali e riformisti italiani inseriti a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo.

Ettore Bonalberti
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Quel fiume carsico dei Popolari

Abbiamo fatto da apripista il 29 agosto a Roma con Mario Mauro (Popolari x l’Italia), Publio Fiori (Rinascita Popolare) e il sottoscritto ( ALEF-Associazione dei Liberi e Forti) e con l’adesione comunicata a Mauro dall’On Baruffi anche a nome dell’On Ugo Grippo ( Federazione delle DC regionali) sottoscrivendo l’impegno ad avviare il processo di ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana italiana, e con la condivisione di una prima bozza di documento da sottoporre al confronto con altri partiti, gruppi, associazioni, movimenti dell’area popolare cattolica e laica cristianamente ispirata (vedi allegato)

A Firenze il 21 Settembre Franco Banchi con il suo movimento dei Popolari Toscani Europei (PTE) e la partecipazione, tra gli altri, di Cesa (UDC) e Giovanardi (NCD) e con ALEF sempre da me rappresentata, è stato assicurato un altro importante contributo per la buona riuscita del progetto.

Il 26 Settembre a Monteberico i popolari e DC del Veneto hanno rotto ogni indugio e nella terra di Gonella, Rumor, Gui, Bisaglia e di Vincenzo Gagliardi hanno dato vita al comitato per la Costituente Popolare e Civica del Veneto;  primo nucleo regionale di un modello che si intende esportare in tutte le realtà regionali italiane, non solo per favorire la più ampia aggregazione della base popolare e democratico cristiana, ma anche per favorire il processo di ricomposizione nazionale, là dove più forti sono le difficoltà e le resistenze derivate da una lunga stagione di scontri, divisioni che hanno caratterizzato la dolorosa esperienza della diaspora democratico cristiana.

Il 3 e 4  Ottobre a Roma, un po’ in sordina, e con l’intento di evitare i fallimenti delle Todi 1 e 2, Carlo Costalli con il suo MCL e l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân hanno organizzato un seminario di approfondimento dell’”Appello politico agli italiani”, seconda tappa di discussione del saggio omonimo “ Un Paese smarrito e la speranza di un popolo” (Cantagalli, Siena 2014)  dopo la presentazione pubblica a Roma nel maggio 2014 e l’uscita del fascicolo monografico del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” con autorevoli commenti. Sono intervenuti Carlo Costalli, Presidente MCL e il prof Lorenzo Ornaghi, presente Mons Giancarlo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio.

In contemporanea a Matera, su iniziativa di Mario Mauro e del suo movimento “Popolari per l’Italia” si è svolto un affollato convegno sul tema scelto da una profetica frase di Adriano Olivetti: “ Una coscienza inquieta per l’Italia”. In questa due giorni da Mario Mauro e Lorenzo Cesa (UDC), è giunta la conferma dell’impegno a dar vita entro il 16 ottobre all’unità dei gruppi parlamentari dei popolari (UDC-NCD-Popolari per l’Italia) e a indicare le tappe e le modalità democratiche per avviare il processo che condurrà alla nascita del nuovo soggetto politico. L’intervento di Mauro, seguito con corale condivisione, ha assunto autentici toni degasperiani che da tempo non si udivano nei ricorrenti convegni di area popolare. Corrado Passera con un video messaggio ha formulato l’augurio per un confronto che possa portare a una convergenza politico programmatica partendo dalla condivisione dei valori popolari cui ha fatto rifermento, con un preciso richiamo agli insegnamenti di don Luigi Sturzo che insieme alla cultura di “Comunità” di Olivetti sono stati assunti alla base del nuovo movimento “Italia Unica”.

Quanto mai apprezzati gli interventi di Giulio Tremonti, autentica lectio magistralis sulla situazione economica internazionale ed europea e sulle gravi responsabilità imputate a Mario Monti esecutore delle direttive euro tedesche e di quell’autentico attentato che fu “ il golpe blanco del novembre 2011” e di Raffaele Fitto (Forza Italia). A Fitto è stata riservata una standing ovation da tutta la platea affollata di democratici cristiani e di giovani popolari, per esprimere al leader pugliese piena solidarietà, dopo gli incomprensibili attacchi da lui subiti ad opera di  Berlusconi e nel ricordo del padre che fu un autentico galantuomo e grande leader dei democratici cristiani di Puglia. Fitto, pur affermando di volere continuare la sua battaglia a viso aperto in Forza Italia, ha confermato che la barra della sua strategia politica è orientata in senso alternativo al PD socialdemocratico renziano, al vuoto delle concrete soluzioni sin qui proposte dal governo per l’Italia, e guidata dalla  sicura e salda appartenenza alla famiglia dei popolari del PPE. Molto interessante, infine, la posizione espressa da Flavio Tosi ( Lega), Sindaco di Verona, con il quale la Costituente popolare e civica del Veneto, intervenuta con diversi esponenti nel dibattito, ha da tempo avviato un proficuo confronto sulla base di una forte comunanza di valori e uniti nella volontà di perseguire la strada possibile della macro regione del Nord Est, in stretto collegamento con gli amici delle regioni confinanti di Alpe-Adria. Forte è la speranza di una possibile evoluzione della proposta leghista verso le posizioni storicamente proprie della CSU bavarese; un  progetto che fu presente nel dibattito della DC veneta negli ultimi anni della vita del sen Antonio Bisaglia. Tosi può rappresentare un punto di riferimento importante per tutti i popolari veneti e italiani.

Insomma da Matera, in attesa che il NCD di Alfano, dopo la conferma ricevuta a Firenze da Giovanardi, batta definitivamente un colpo positivo, è uscito un messaggio netto per la  ricomposizione e il superamento delle antiche appartenenze, espressioni tutte di una fase storico politica non più riproponibile.

Prossimi appuntamenti: il 10 Ottobre a Roma,  dove, Gianni Fontana con l’ADC ( Associazione Democrazia Cristiana) e Mario Tassone (CDU) hanno convocato alla Domus Pacis “un’assemblea inter associativa propedeutica a un nuovo soggetto politico” da fondare entro l’anno. Anche il comunicato della direzione del CDU esprime la volontà:” di contribuire a costruire una alternativa alla politica di Renzi-Berlusconi, che guardi ai bisogni della gente, che si ponga il problema del debito pubblico in chiave sovranazionale, che ammoderni lo stato sociale, che riduca l’imposizione fiscale tra le più alte del mondo, che difenda un sistema industriale nazionale integrato nella dimensione europea e che proponga che la BCE abbia gli stessi poteri delle banche di emissione”.

Seguirà il 18 Ottobre a Milano la Leopolda Blu, per la quale e nella quale ci batteremo per l’obiettivo che abbiamo da molto tempo definito: concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori del popolarismo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo al renzismo trasformistico di un’anomala socialdemocrazia targata PSE, al berlusconismo avviato verso un equivoco inevitabile triste tramonto, e al grillismo senza speranza.

Premessa perché il progetto riesca: far prevalere il sentimento della generosità e la razionalità di comprendere che è tempo di “vino nuovo in otri nuovi”,  con noi più anziani disponibili a favorire l’emergere di una nuova classe dirigente ispirata ai valori del popolarismo italiano fondatore e protagonista storico del popolarismo europeo e internazionale.

L’augurio che ci facciamo è che tutti questi torrenti e torrentelli, espressione di quel  grande fiume carsico popolare e democratico cristiano presente in Italia, siano in grado finalmente di ricomporsi e di offrire una nuova speranza agli italiani, in un rinnovato equilibrio tra interessi e  valori dei ceti medi e  popolari del Paese.

Ettore Bonalberti
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22 Settembre 2014

Dalla Toscana e dal Veneto le prime tappe verso l’unità dei Popolari

Si è svolto ieri a Firenze, presso la ben augurante Villa Agape sulle collina di Piazzale Michelangelo, il secondo convegno dei Popolari Toscani Europei che l’amico Franco Banchi, dopo l’incontro di Vallombrosa del 2013, testardamente continua a organizzare accomunato come noi dalla volontà di concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale di ispirazione cristiana, alternativo al PD e inserito a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo.

Questa in estrema sintesi la principale conclusione raggiunta, dopo un ampio dibattito nel quale sono intervenuti, tra gli altri, l’On Carlo Giovanardi per il NCD, l’On Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’UDC, l’On Vincenzo Niro, presidente del Consiglio regionale del Molise a nome dei Popolari per l’Italia di Mario Mauro e molti altri rappresentanti di movimenti e associazioni di ispirazione cristiana e liberali delle diverse province toscane.

Particolarmente importanti le testimonianze di Giovanardi e di Cesa, entrambi convinti della necessità di superare le vecchie etichette e gli ambiti delle antiche appartenenze per confluire insieme nel nuovo soggetto che dovrà nascere, non già dalla mera sommatoria degli attuali partiti, ma da un ampio movimento di base a livello territoriale finalizzato a costruire il soggetto politico nuovo, alternativo sia al renzismo rampante e inconcludente, sia al berlusconismo in progressivo declino che al grillismo senza speranza.

Come ho avuto modo di indicare nel mio intervento non si tratta tanto di guardare a coloro che hanno espresso il voto alle ultime elezioni europee, anche se molti di coloro che impauriti da Grillo hanno scelto la speranza di Renzi andranno riconquistati,  quanto piuttosto a quel 50% che non hanno votato. Essi sono largamente espressione di un ceto medio frustrato, avvilito, privato di una rappresentanza politica che, come un tempo fu la DC in grado di garantire, spetta ora a una nuova componente popolare credibile e rinnovata nella sua classe dirigente  saper offrire.

Ricostruire l’equilibrio spezzatosi tra i ceti medi e le classi popolari, sulla base di alcune parole chiave che servano a caratterizzare la nostra proposta politica: difesa della vita e della famiglia secondo i principi di equità, sussidiarietà e solidarietà, questa la nostra sfida.

Unanime il riconoscimento dell’anomalia istituzionale di un Parlamento di “nominati” sulla base di una legge dichiarata illegittima che vorrebbe assegnarsi il compito di riformare la Costituzione;  dei limiti di un governo di fatto monocolore PD, sostenuto dall’esterno da Forza Italia, e garantito dall’asse fiorentino Renzi-Verdini.

Quello stesso asse che ha portato a votare l’iniqua legge elettorale toscana, con la complicità interessata del M5S, il “toscanellum”, archetipo di quell’Italicum che resta il limite insuperabile per il permanere degli amici centristi nella pseudo  maggioranza di governo. Se Renzi e Berlusconi insistono su questo mostriciattolo partorito dal duo al Nazareno, non può che finire, salvo tendenze masochistico  suicide,  la collaborazione centrista.

Unanime la volontà di procedere alla convocazione di una nuova Camaldoli programmatica dei Popolari, alla costituzione di un comitato paritetico per la definizione delle regole attraverso cui procedere all’elezione dei delegati di base a quella che a fine anno dovrebbe costituire l’assemblea nazionale dei popolari italiani.

Essenziale organizzare in tutte le province e regioni italiane assemblee regionali dei popolari come quella già indetta a Vicenza per Venerdì 26 settembre, dove i rappresentanti dei Popolari x l’Italia, UDC, CDU, NCD, ADC, ALEF e di molti altri gruppi e associazioni di ispirazione cristiana e laico liberale e riformista si incontreranno per dar vita alla Costituente Popolare e Civica del Veneto, in preparazione delle prossime scadenze elettorali comunali e regionale e per facilitare il processo di ricomposizione dell’area popolare democratico cristiana in Italia.

Ettore Bonalberti
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Venezia, Lunedì 22 Settembre 2014



Il  quarto Extra o Anti  Stato  ora esiste anche per l’UE

Ho adottato la teoria dei quattro Stati che, seppur semplicisticamente, rappresenta in maniera significativa la situazione sociale dell’Italia.

Il primo Stato, quello della casta, è formato da oltre un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.

Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.

Il terzo stato è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura portante dell’intero sistema.

Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del quarto Stato, un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.

Trattasi di un settore il cui valore dell’attività economica è stimato in circa 200 miliardi di euro che, in base alle nuove norme europee, buon per Renzi e Padoan, farebbe calare il rapporto deficit/PIL dello 0,2 %, passando dal 3,7 al 3,5% sui conti del 2011.

Un settore fuori da ogni regola,  che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale.

Solo su quello economico incide per oltre il 14% sul PIL italiano che, nel 2013, è stato calcolato in circa 1393 miliardi di euro, per non parlare delle sue nefaste incidenze anche sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……

Ettore Bonalberti
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5 Settembre 2014

Settembre nero

Sciopero  annunciato per la prima volta degli statali e di tutte le forze dell’ordine per la minaccia del blocco degli aumenti degli stipendi. Non ho un ricordo di uno sciopero generalizzato di tutti i dipendenti pubblici statali e, soprattutto, di tutte le forze dell’ordine.

Secondo la teoria dei quattro Stati è dunque il secondo, quello dei diversamente  tutelati che si muove, annunciando quello che, non a caso, avevamo indicato come un possibile “Settembre nero”.

Non si scompone il primo stato, quello della casta, di quell’oltre milione di persone che vivono su, tra e per i diversi rami della politica e delle strutture ad essa collegate, mentre non sentono, ovviamente, ancora la morsa quei diversamente tutelati nella sezione più alta della grande burocrazia amministrativa, a partire da quella della magistratura e dell’alta dirigenza pubblica.

Soffrono quelli del secondo stato, anche se a differenza di quelli del terzo, hanno comunque il posto assicurato. Certo i loro contratti, nel caso degli statali, sono fermi da quattro anni e il ministro Madia ha annunciato l’ulteriore blocco, ma vuoi mettere con i dipendenti del settore privato a costante rischio di licenziamento?

Tace ancora il terzo stato, quello dei piccoli e medi produttori e loro dipendenti, degli agricoltori, artigiani, commercianti e liberi professionisti, anche se con l’accumularsi delle scadenze fiscali e contributive del trimestre, dopo il pagamento rateizzato si profila il rischio dello sciopero fiscale per assoluta indisponibilità finanziaria.

E’ la classe che produce la pressoché totale quantità della ricchezza nazionale, il PIL il cui valore decrescente rende sempre più arduo rispettare quel famigerato fiscal compact, frutto di regolamenti comunitari farlocchi, irresponsabilmente redatti e accettati a suo tempo e altrettanto irresponsabilmente non denunciati anche dall’attuale governo.

Manca al terzo stato un riferimento politico di possibile e credibile rappresentanza e, non a caso, è proprio il terzo stato quello che ha ingrossato il vasto schieramento dei non votanti alle ultime elezioni. Sono quelli numericamente più numerosi; quelli  che producono di più e contano meno, a differenza di quelli del primo stato, i signori della casta e dei proficuamente tutelati della seconda, che sono di meno, producono assai poco, anche in termini di efficienza ed efficacia dei servizi, e contano  più di tutti.

Sin qui sono passati dalla fiducia nel “ sogno liberale” di Berlusconi e nel separatismo della Lega, al voto di protesta grillino e nell’astensionismo. Come ha detto, però, Angeletti, ieri al festival dell’Unità di Bologna, riferendosi però agli statali, anche per il terzo stato “si è superata la soglia di accettazione del dolore”. Dopo il disimpegno, la fuga e i drammatici episodi dei suicidi, temo che possa scattare la rivolta. Il mulo è stanco di tirare la carretta e solo che qualcuno ne sappia indicare la via, potrebbe scalciare.

Matteo Renzi il tempo delle slides e delle televendite  sta per finire e qui e ora “si parrà la tua nobilitate”.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 5 Settembre 2014



4 Settembre 2014

Fino a quando potrà durare?

Da quasi sette mesi è in sella un governo votato da un Parlamento di nominati illegittimamente eletti, che si è impegnato con il Presidente della Repubblica a riformare nientemeno che la Costituzione.

Siamo quotidianamente investiti da quel fiume in piena di Matteo Renzi, un nuovo e vincente modello di leadership senza più credibili avversari interni al suo partito e, praticamente, senza una reale alternativa politica esterna.

Confesso che quando assisto alle conferenze stampa di Matteo Renzi non è tanto la difficoltà a seguire la sua loquela fulminante con quell'irresistibile  esse falsata, ma il fatto che non so  mai, veramente, se mi trovo davanti un capo di governo o un abile promotore di tele vendite. 

Questo,  in ogni caso, passa oggi il convento della politica italiana: un gruppo di giovani rampanti impegnati ad affrontare una situazione italiana ed europea economica, culturale, sociale e politica tout court, tra le più complesse e difficili del dopoguerra.

Con il risveglio di D’Alema, dopo la scelta in sua vece della Mogherini a responsabile della politica estera europea (?!), e il permanere di un gruppo parlamentare PD espressione di una diversa e ormai lontana era politica di marca bersaniana, qualche timido segnale di critica sembra nascere nel partito del presidente-segretario. E il tema del doppio incarico, che funestò larga parte della storia democristiana da Fanfani a De Mita, sembra prendere piede anche nel PD.

Siamo curiosi di ascoltare l’intervento di Renzi alla chiusura del festival de l’Unità di Bologna, per misurare il distacco siderale dell’attuale leadership PD dalla tradizione storico culturale del partito che fu anche quello di Togliatti, Longo e Berlinguer.

Sul fronte dell’opposizione, confermate le posizioni nette e intransigenti della Lega di Salvini con non nascoste ambizioni di allargamento meridionale attraverso un’eventuale Lega Sud e quelle del M5S, sottoposto alla doccia fredda di una vecchia foto ricordo del loro leader ospite clandestino  sul Britannia (?!) , sempre più ambiguo risulta il ruolo di Forza Italia, formalmente all’opposizione, di fatto stampella reale del governo Renzi.

Più complessa la situazione dell’area popolare. Siglato l’accordo per il patto federativo tra gli amici dei Popolari per l’Italia di Mario Mauro, quelli di Mario Tassone del CDU, di Publio Fiori di Rinascita Popolare, dell’Associazione “ Democrazia Cristiana” di Gianni Fontana, della Federazione delle DC regionali di Luigi Baruffi e dell’associazione “ Liberi e Forti”, è avviato il processo di ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana italiana. Un processo complesso e difficile per il permanere di antiche rivalità, mai dimenticate battaglie anche fratricide che pesano ancora nei rapporti  tra gli antichi contendenti.

Da un lato, Mario Mauro si è fatto portavoce istituzionale di movimenti, gruppi e associazioni presenti sul territorio senza diretta rappresentanza parlamentare, dall’altro, si sconta l’ambigua posizione del costituendo gruppo parlamentare unitario dei popolari, facente parte della maggioranza di governo e, nello stesso tempo spinto dalla necessità di ritagliarsi uno spazio di credibile autonomia nei confronti del Renzi pigliatutto e di un governo sempre più ridotto al ruolo di un monocolore PD.

Inoltre, il permanere di un’idiosincrasia fraterna tra CDU e UDC, complici le molteplici  capriole del partito di Casini e le stigmate non ancora del tutto cicatrizzate  di recenti e più antiche contese, rende arduo mantenere una responsabile posizione di appartenenti a una maggioranza sempre più equivoca, e l’apertura alle spinte al rinnovamento che sale dalla base.

Con un governo che dovrà tagliare almeno venti miliardi di euro all’anno, salvo complicazioni ulteriori di bilancio; abolire, al di là delle capriole verbali renziane, l’art.18; bloccare gli stipendi degli statali; riscrivere le regole del mercato del lavoro, riformare la giustizia civile e penale, rivoluzionare criteri e metodi di gestione della scuola, in contemporanea con l’assunzione di 180.000 nuovi insegnanti sin qui precari e con quel terzo stato sgobbone, sulle cui spalle vivono da sempre gli esponenti delle altre classi, risulta molto difficile prevedere quanto questa situazione potrà durare.

Molto interessante l’apertura dell’amico Flavio Tosi e di Corrado Passera per un’alleanza tra Popolari e liberali che, anche tutti noi riteniamo sia la strada da percorrere per una seria e credibile alternativa al renzismo rampante.

Rispetto al governo, un limite invalicabile non solo per noi, ma per tutti i popolari dentro e fuori del Parlamento è rappresentato da quello sciagurato patto del Nazareno con le sue conseguenze inaccettabili sul piano istituzionale con il combinato disposto: riforma del senato-legge elettorale dell’Italicum.

Così come inaccettabili sono le sin qui timide e improvvisate proposte di politica economica assolutamente inadeguate rispetto alle necessità del Paese e alla crisi profonda che ha investito il terzo stato: piccoli e medi imprenditori e loro dipendenti, agricoltori, artigiani, commercianti, libero professionisti che, dopo essersi rinchiuso nell’astensione elettorale, già dalle prossime plurime scadenze fiscali d’autunno potrebbe dar segnali di una possibile rivolta.

Serve l’unità dei popolari, premessa per qualsiasi costruzione di un’alternativa seria e credibile al renzismo rampante, al berlusconismo agonizzante e al grillismo senza speranza.

La nostra unità deve partire dall’assunzione da parte di tutti e di ciascuno di una grande dose di umiltà e di carità, avendo consapevolezza che a noi più anziani e in larga parte impresentabili, non possono più competere ruoli di primo piano, ma solo quello maieutico e ancillare di suscitatori convinti della ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana italiana, semplici trasmettitori del testimone della nostra migliore tradizione alle nuove generazioni.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 4 Settembre 2014



23 Agosto 2014

Lettera ai Popolari di Mauro a Rimini

Caro Mario e cari amici Popolari per l’Italia,

avrei voluto essere con voi a Rimini, dove sono sempre stato presente da quasi quindici anni, ma alcuni problemi di salute mi impediscono di partecipare.

Colgo l’occasione per dirvi che sto seguendo con grande interesse e partecipazione l’attività che con Mario Mauro state svolgendo in varie parti d’Italia.

Chi ha avuto la pazienza di seguire quanto anch’io, con alcuni amici “ DC non pentiti”, da molti anni stiamo facendo, saprà del nostro forte interesse a concorrere al processo di ricomposizione dell’area  popolare e democratico  cristiana italiana ed europea, consapevoli come siamo che ai fenomeni complessi e per certi versi drammatici creati dal turbo o finanz-capitalismo l’unica risposta seria, sin qui elaborata, è, ancora una volta, offerta dalla dottrina sociale della Chiesa ( Caritas in veritate e Evangelii Gaudium).

Da diverso tempo con Mario Mauro, Gianni Fontana, Publio Fiori e Mario Tassone, siamo impegnati a superare le antiche divisioni per puntare a organizzare quella che potrebbe configurarsi come la nuova Camaldoli dei cattolici e laici cristianamente ispirati.

Abbiamo concordato, a questo proposito, di incontrarci la settimana prossima dopo il vostro incontro di Rimini.

Certo, non sarà la mia generazione, la prima della storia repubblicana italiana, oggi rappresentata da settantenni, a svolgere un ruolo da protagonista che compete ormai alle nuove generazioni. A noi, semmai, spetta quello di consegnarvi il testimone politico della nostra migliore tradizione culturale e  politica.

Ecco perché, anche a livello territoriale, puntiamo a sostenere giovani “liberi e forti”, come l’amico Mimmo Menorello nel Veneto, con il quale siamo interessati a far partire dalla nostra realtà regionale un processo di ricomposizione dell’area popolare indispensabile per le prossime scadenze politico amministrative. Un’iniziativa che sarebbe auspicabile replicare in tutte le regioni italiane con la partecipazione di associazioni, movimenti, gruppi interessati al progetto.

I diversi incontri e convegni già fissati  nei prossimi mesi autonomamente dai diversi partiti e gruppi, come la vostra interessantissima tre giorni di Matera, così come quelli unitari tra i diversi gruppi, associazioni, movimenti  a livello regionale, ci auguriamo possano essere vissuti come tappe di avvicinamento a quella grande assise popolare unitaria ( la Camaldoli 2) da tenersi entro l’autunno di quest’anno.

Obiettivo finale: la costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans-nazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, quale sezione italiane del PPE da riportare ai valori originari di Adenauer, De Gasperi e Schuman.

Nel formularvi un fervido augurio di buon lavoro a Rimini spero di rivedervi tutti a Matera (3-4 – 5 ottobre). Cordialmente.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. : ( Associazione Liberi e Forti) socio fondatore ass.ne “ Democrazia Cristiana”)
Venezia, 23 Agosto 2014



19 Giugno 2014

Cosa rimane oggi dell’insegnamento degasperiano ?

Avevo nove anni quando, il 19 Agosto 1954, moriva a Borgo Val Sugana, Alcide De Gasperi.

Nella mia casa e in parrocchia, che frequentavo da giovane “aspirante”,  si respirava da tempo aria di DC e il drappo del “comitato civico” era sempre pronto ad essere steso sul balcone del centro sociale parrocchiale ad ogni vigilia di consultazione elettorale politica o amministrativa.

Siamo cresciuti, noi della generazione DC a cavallo tra la terza e la quarta, nel ricordo e nel mito dello statista trentino. I nostri democristiani più anziani erano stati partecipi e testimoni dei suoi comizi nelle piazze gremite delle città del Veneto e quelli della terza generazione che ci accolsero nel partito agli inizi degli anni’60, seppur già divisi, dopo la rottura della corrente di “ Iniziativa Democratica” e l’avvento dei “pallidi  salmodianti” dorotei della Domus Mariae che posero fine all’egemonia fanfaniana sulla DC, ci parlavano di De Gasperi come del padre fondatore nel cui ricordo tutti ci si ritrovava uniti.

Era stato De Gasperi, infatti, a redigere un opuscolo clandestino a firma di Demofilo il 26 luglio del 1943 quelle che passeranno alla storia della DC come “le idee ricostruttive della DC”; di fatto, il primo schema programmatico della futura Democrazia Cristiana, all’indomani della caduta del fascismo e dell’apertura di una nuova stagione di confronto politico in Italia.

Non si potrebbe comprendere il senso autentico del capolavoro storico-politico di De Gasperi se non si tenesse conto, da un lato, delle condizioni internazionali in cui si collocava il caso italiano e, dall'altro, della specificità del tutto particolare di una nazione che, seppur inserita all'interno del mondo occidentale, in virtù delle scelte compiute dai Grandi alla conferenza di Yalta, vantava, altresì, la presenza del più forte partito comunista dell'Occidente: il più grande partito comunista al mondo, dopo quelli dell'URSS e della Cina, per capacità di consenso elettorale liberamente e democraticamente acquisito, e per organizzazione di quadri e di militanti inseriti stabilmente nel partito e nelle organizzazioni sociali di diretta emanazione del partito stesso.

E' all'interno di questa realtà effettuale che si concretano le scelte degasperiane decisive, destinate a garantire alla DC un ruolo fondamentale e centrale per gli equilibri politici dei successivi decenni:

- il coinvolgimento di tutto il mondo cattolico su una politica democratica di moderato riformismo e, dunque, l'azione da lui svolta per garantire l'adesione della Chiesa alla rinascente democrazia italiana. Di qui il tentativo, in larga parte riuscito, di mobilitare l'unità dei cattolici attorno alla DC;

- la scelta atlantica ed europea da una lato, con tutte le implicazioni di ordine economico e sociale che esse comportavano e, dall'altro, quella delle alleanze con i partiti di ispirazione laica, liberale e del socialismo democratico, quale base dell'equilibrio centrista anche dopo e nonostante la maggioranza assoluta conquistata dalla DC nelle elezioni del 18 Aprile 1948.

- Una politica di apertura e di collaborazione con le forze laiche, socialiste democratiche e liberali in un clima di grande tolleranza e di intelligente moderazione aperta alle istanze delle classi popolari da tenere in equilibrio con gli interessi del ceto medio.

Sono queste le fondamentali scelte degasperiane destinate a caratterizzare la realtà di un partito che, proprio in virtù delle stesse, finirà con il rappresentare e rappresenterà oggettivamente, l'alternativa democratica, fondata su un vasto consenso popolare, al polo comunista che egemonizzava specularmente ed in maniera indiscutibile l'area delle forze di opposizione di sinistra del Paese.

Un'opposizione che per molto tempo non mancherà di caratterizzarsi nel senso di una autentica alternativa al "sistema di potere dominante" con continui richiami alla costruzione di una futura società "democratica e socialista".

Divisione del mondo in blocchi; presenza di un fortissimo partito comunista che, per molti anni, conserverà i caratteri di partito rivoluzionario di derivazione terzinternazionalista, legato indissolubilmente alle direttive del Cominform; politica delle alleanze al centro, anche come conseguenza di un sistema elettorale fondato sulla proporzionale rigida: sono questi gli elementi entro i quali si impernia la figura e l'opera politica straordinaria di Alcide De Gasperi che, possiamo a buon diritto, annoverare tra i grandi Padri della Patria e, sicuramente, tra i massimi esponenti politici di tutta la nostra storia unitaria.

Se sul fronte politico De Gasperi lega indissolubilmente il suo nome e la sua epoca a quella del centrismo, su quello del partito, l'età di De Gasperi è il tempo in cui si assiste al passaggio del primato dalla prima alla seconda generazione democratico-cristiana e, dunque, all'avvento alla guida della DC di Amintore Fanfani. Una guida, quest'ultima, destinata a segnare profondamente la natura, la struttura organizzativa e gli stessi caratteri di un partito che, pur tra fasi alterne e successivi adattamenti e modificazioni, giunse pressoché inalterato, praticamente sino alla fine.

Cosa rimane oggi dell’insegnamento degasperiano?

Per quelli come me, che si considerano “ DC non pentiti”, al di là delle cerimonie  celebrative, sentono impellente l’esigenza di un ritorno agli insegnamenti popolari sturziani e degasperiani per superare questa brutta fase di stallo e di mistificante trasformismo  della politica italiana.

Ecco perché sono impegnato in prima persona, con altri autorevoli amici  a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano,  nella quale far confluire in rete tutte le associazioni e gli italiani che si riconoscono nei valori del PPE e intendono declinarli secondo gli insegnamenti delle encicliche “Caritas in veritate” e “ Evangelii Gaudium”.

Si tratta di attualizzare il pensiero sturziano e degasperiano non come operazione nostalgica e rievocativa, ma come recupero della nostra migliore tradizione passata, inverarla nel presente e concorrere con quanti sono interessati a costruire una prospettiva politica futura, in grado di uscire dai limiti di questa lunga stagione di transizione, subentrata dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica: questo l’ambizioso obiettivo che ci si propone.

In sintesi si tratta di:

1) trarre ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa : sussidiarietà e solidarietà stelle polari dell’iniziativa politica dei cattolici insieme alla difesa strenua dei “valori non negoziabili”: difesa vita umana dalla nascita alla morte; valore della famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna; difesa della libertà di educazione;

2) concorrere alla ricostruzione dell’unità culturale e politica dei o di cattolici   essendo consapevoli che:

-  il mondo cattolico ha una potenza superiore a qualsiasi altra presenza culturale, sociale e politica di questo periodo in Italia, anche se non certo a livello massmediatico. Al tempo stesso, tuttavia, essa non è incanalata e compattata in logiche unitarie (De Rita)

- ci sono tre componenti diverse e per ora non convergenti:

a) c’è la componente del popolo di Dio che si ritrova nei momenti rituali e comunitari e che solo da poco tempo assume atteggiamento sociali e culturali di stampo extra ecclesiastico;

b) c’è la componente delle grandi organizzazioni di rappresentanza e di azione sociale che avvertono la necessità di rinnovare (quelli degli  incontri di Todi: ACLI-MCL-CISL-CL-CdO-Sant’Egidio sin qui poco costruttivi);

c) c’è la componente della diaspora della DC con  i diversi rami partitici in cui i cattolici fanno azione politica cercando di collegarsi con la realtà ecclesiale o almeno interpretarne le attese. Ci sono “i cattolici adulti alla Rosy Bindi e Prodi” e i cattolici ubbidienti e non sempre coerenti del centro-destra. Anche all’interno della Chiesa ci sono differenziate sensibilità e competenze non sempre convergenti . Ci sono quelli dei “DC non pentiti” e popolari che lavorano per la ricomposizione dell’area popolare.

d) Ci sono due estremi opposti da evitare: l’appartenenza obbligata in un solo partito come si trattasse di un dogma di fede, impossibile dopo il Concilio Vaticano II  e la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe/dovrebbe essere quello dell’”Unità possibile”. Il che significa che: l’unità è fattibile e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco.

Si tratta di adoperare, citando Mons Crepaldi, arcivescovo di Trieste, il motto: “ In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Ossia sulle questioni fondamentali ci vuole unità, in quelle dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità

Ettore Bonalberti
Venezia, 19 Giugno 2014



Una risposta alle anime belle

Una mia breve nota di sostegno all'iniziativa che da sempre Giuliano Ferrara conduce a favore di Israele e contro l'estremismo jihadista,  ha sollevato alcune critiche da qualche "anima bella" anche dell'area popolare.

Alcuni sostengono che " o si é cristiani o non si è", un altro che dovremmo rimanere fedeli a La Pira e al suo pensiero pacifista e  di apertura con tutti i popoli del Mediterraneo.

Ho ribattuto sostenendo che é facile citare La Pira, parlando di tempi in cui non era in atto un'attività estremistica come quella attuata oggi dalle ali estreme della jihad islamica e l'avvenuta formazione di ISIS, il nuovo sedicente "califatto" tra Irak e Siria con la volontà di espandersi altrove.

Credo che  molta, troppa gente, non si renda conto di ciò che accade:

1) nel medio oriente con l'espulsione forzata e il genocidio di interi gruppi sociali cristiani e di altre religioni per opera dei jihadisti del califfato;

2) in Sudan e in altre regioni dell'Africa con attacchi alle Chiese e assassini continui di poveri cristiani e, soprattutto, non tenga conto del grado di scristianizzazione dell'Occidente: in Olanda le vecchie chiese cattoliche e protestanti ridotte a supermercati, quando non anche a moschee dei nuovi olandesi mussulmani....

Certo va bene pregare ma se non ci fossero i fratelli ebrei a combattere....

Pensiamo se a Lepanto non ci fossero state le galeazze veneziane a tenere duro come sarebbe cambiata la storia dell'Europa? Ma a Lepanto combattevano le energie migliori di una civiltà che non voleva soccombere all'urto degli ottomani.....

Ora dove si troverebbero "cavalieri antiqui" disponbili alla pugna? Io non propongo certo il ritorno alle Crociate, ma ho scritto di" una rivoluzione morale e culturale" senza la quale non c'é prospettiva.

Se, però, come mi pare intendano queste "anime belle" ci si limita al politically correct di moda nell'Occidente scristianizzato, si ha un bel citare  La Pira e la vecchia politica estera DC morotea e filo araba, temo,invece, che nel silenzio indifferente si dia solo spago al più arrendevole e pericolosissimo relativismo.  Alla fine, stavolta, l'islam dei giovani, affamati e prolifici prevarrà su un Occidente stanco, vecchio e senza più figli.......felice di morire "prendendosela con le stelle"

Quanto alla politica di apertura senza limiti alle frontiere sarebbe opportuno ricordare la riflessione di Platone che  allego.

Mi sembra quanto mai attuale quanto  Platone sosteneva e  da tenere scritto nel nostro cuore, avendo, ovviamente, consapevolezza che al suo tempo i mezzi di comunicazione non erano certo quelli di oggi...anche se ancora adesso, con barconi e gommoni avviene il grande esodo dall'Africa alla sponda nord del mediterraneo.

Con oltre 8000 Km di costa l'Italia si presta senza grandi possibilità di contrasto al primo impatto con il Continente, anche in forza di un progetto "Mare Nostrum" di cui solo ieri Alfano ha denunciato i limiti e l'assoluta insostenibilità logistica e finanziaria dell'Italia.

Certo si dovrà puntare sull'integrazione, cosa che sarà inevitabile, ma da farsi con juicio, e tenendo conto della complessità del fenomeno islamico, diviso tra sciiti e sunniti e con la tragica componente ultra ortodossa wahabita ispiratrice della jihad del califfato ISIS....

Anche il card Scola che, da patriarca di Venezia, lanciò tra i primi il tema del meticciato, dopo quanto sta succedendo in Medio Oriente e nel Sudan, ha avviato una campagna di preghiera, di riflessione e di pubblica dimostrazione di solidarietà dall'archidiocesi ambrosiana da lui ora guidata.

Considero positiva ogni iniziativa  per la formazione e l'integrazione degli immigrati regolari; credo, in ogni caso,  necessaria, anzi indispensabile una forte azione delle minoranze cristiane organizzate in Italia e nel mondo per facilitare la pace tra le religioni che non può, tuttavia, non partire dalla messa in sicurezza dei Paesi vittime delle azioni dei jihadisti assassini ed estremi.

E non mi sembra che questa mia posizione sia  lontana da quell'equilibrio così consono alla nostra migliore tradizione politico culturale, considerati i tempi nuovi e difficili che stiamo attraversando....

A proposito:  Renzi come Capo del Governo e Rappresentante dell'UE in questo semestre sin qui avviatosi senza alcun segnale significativo, insieme alla Mogherini, che e' in apprendistato, cosa pensa di fare? Di proporre? Non di dire con slides per una promozione che qui sarebbe  a dir poco "macabra"? Attendiamo indicazioni.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)



Per non finire “in braghe de tela”

Abbiamo seguito l’ampio dibattito che da anni si sta svolgendo sulla situazione economica e finanziaria dell’Italia stretta nella morsa dell’enorme debito pubblico accumulato, specie negli ultimi vent’anni, e degli assurdi e illegittimi vincoli del fiscal compact.

Quanto a questi ultimi,  a più riprese, ne abbiamo denunciato la nullità ( sostenuti dell’acuta analisi del prof Guarino con il suo magistrale: “Saggio di verità su L’Europa e l’Euro”).

Spiace che il sen. Prof. Monti, forse con la coda di paglia, abbia consigliato il sen Tremonti a non insistere nel voler approfondire nei giorni scorsi al Senato la discussione sul tema del fiscal compact. Un tema certamente scomodo per chi, come il senatore a vita ed ex presidente del consiglio, era al tempo della redazione di quei farlocchi regolamenti tra i commissari europei…..

Quanto al debito pubblico destinato a un progressivo incremento, specie in una fase di recessione come l’attuale con il PIL di segno negativo, se non si abbatte di almeno 200 miliardi  finirà  con il  soffocarci.

Siamo da sempre concordi con il prof Paolo Savona che da diverso tempo ci ammonisce, profeta sin qui inascoltato, sulla necessità di sciogliere quanto prima il trilemma:

1. Vogliamo  restare nell’euro con le conseguenze sotto i nostri occhi o affrontare il costo dell’uscita?

2. Vogliamo  continuare ad aumentare il debito pubblico per stare meglio o tagliare la spesa pubblica accettando le conseguenze?

3. Vogliamo rimborsare il debito pubblico cedendo il patrimonio statale o pagando più tasse per rimborsarlo?

Così come lo siamo con la sua proposta espressa nell’intervista al Corriere della sera di domenica 10 agosto. Va creato un fondo immobiliare pubblico con immobili di valore ( comprensivo sia dei beni statali  che di quelli degli enti locali, una “New Co.” di oltre mille miliardi)  e con rendita e con quote di società pubbliche che danno utili.  Poi si chiede agli 8 mila mld di risparmio privato di investire li.  Il capitale c'è e pure la resa.

Diversamente gli interessi sul debito ci strangolano e non avremo più margini per fare qualcosa. Anche la strategia delle vendite, da molte parti indicate,  ha due limiti:

1) gli immobili, nelle attuali condizioni del mercato, si devono svendere, anche se hanno rendita;  

2) le quote di società pubbliche di valore rischiano di finire in mano a investitori stranieri (molto spesso fondi sovrani di Paesi scarsamente trasparenti) con interessi diversi rispetto ai nostri.  In ogni caso dalle vendite a spizzichi e bocconi di 10 - 15 mld per anno non ce ne facciamo niente, come già si è visto negli anni trascorsi.

Questi nostri giovani e inesperti reggitori rischiano, se non cambiano strategia e come hanno colposamente già fatto alcuni loro predecessori, di svendere il capitale accumulato dalla Repubblica dei nostri nonni e padri per ridurre  in “braghe de tela” i nostri figli e nipoti.

Ettore Bonalberti
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31 Luglio 2014

Che sia la volta buona?

Siamo, almeno lo spero,  alla vigilia di un fatto politico e culturale rilevante per il nostro Paese: l’avvio di una riaggregazione delle forze sin qui sparse della vasta e articolata galassia ex democristiana e popolare.

Gli sforzi congiunti che da anni stiamo conducendo insieme all’amico Gianni Fontana e alla nostra associazione “ Democrazia Cristiana”, dopo i tentativi di affossare quanto avevamo faticosamente tentato di realizzare con lo svolgimento del XIX Congresso nazionale della DC ( Novembre 2012) per dare pratica attuazione politica alla sentenza della Cassazione n. 25999 del  23.12.2010 (“la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”), dopo i recenti pronunciamenti del Consiglio nazionale del CDU di Mario Tassone e il documento unitario dei partiti che si rifanno ai valori del popolarismo, NDC, UDC e Popolari per l’Italia, sembrano trovare finalmente una positiva conclusione.

La nostra associazione con ripetuti interventi ha offerto al confronto diversi contributi politico  programmatici: dai documenti elaborati nella tre giorni all’abbazia primaziale di Sant’Anselmo a Roma (3-4-5 Gennaio 2014) , a quelli per il patto federativo e alla proposta di codice etico, premessa indispensabile per qualsivoglia formazione, specie per quella che intenda ispirarsi ai valori dell’umanesimo cristiano.

Da parte mia, da qualche tempo vado sostenendo l’opportunità di assumere alla base delle nostre riflessioni le undici proposte dell’”Appello politico agli italiani”, contenute nel saggio “ Un Paese smarrito e la speranza di un Popolo” edito da Cantagalli, per conto dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa.

Ottimi i ripetuti interventi dell’amico Publio Fiori per conto del gruppo di Rinascita Popolare con chiare indicazioni programmatiche in linea con il pensiero cristiano sociale.

Documenti interessanti sono pure pervenuti dall’amico Mario Tassone e appassionante quanto da mesi l’amico Mario Mauro, leader dei Popolari per l’Italia, va sostenendo al fine di “ ripensare il campo popolare”.

Anche Cesa, con il suo appello per occupare lo spazio dei moderati, ha offerto un contributo positivo per l’avvio di un dialogo proficuo.

Non si contano, peraltro,  gli inviti, sin qui, ahimè, inascoltati, che Gianni Fontana ha rivolto agli amici dell’area popolare per dar vita ad un patto federativo.  Ultimi, ma assai importanti, i due documenti del Consiglio Nazionale  del CDU ( 29 Luglio 2014)  e quello unitario dei gruppi parlamentari del NCD, dell’UDC e dei Popolari per l’Italia.

Tassone con gli amici del CDU hanno concluso il loro consiglio nazionale del 29 luglio con una chiara indicazione: “ Sul piano politico il Consiglio Nazionale del CDU valuta positivamente le iniziative venute in giugno e di recente da forze politiche e movimenti dell'area di centro, per la creazione di una piattaforma comune a tutte le numerose componenti esistenti o di cantieri per la creazione di un'area riformatrice”.

Permane una certa difficoltà a rinunciare alla vecchia casa quando si afferma:” Il CDU ritiene che la piattaforma invocata potrà realizzarsi solo se si verificheranno le compatibilità tra le componenti, senza pretendere l'estinzione delle stesse; inoltre la piattaforma non potrà includere le forze politiche che non condividono l'impostazione politico-programmatica, che siano contrarie per principio all'Unione Europea o che siano contrarie al sentimento comune di solidarietà espresso dalla stragrande maggioranza dei popoli.” Resta, infine, la volontà di  porsi come catalizzatore del mai abbandonato tentativo di ripresa politica della mai defunta giuridicamente Democrazia Cristiana.

Avendo inseguito tale progetto dal 2007, viste le esperienze vissute sin qui con una magistratura ondivaga nelle sue decisioni, credo che sarebbe molto meglio dedicare le nostre energie nella ricerca del nuovo su cui innestare quanto di meglio possiamo concorrere a consegnare della tradizione democratico cristiana. Seguo, tuttavia , con interesse e partecipazione gli sforzi che vari amici stanno compiendo per tentare di ricomporre ciò che sciaguratamente distruggemmo con Martinazzoli e sulle cui spoglie fecero scempio molti sciacalli, alcuni dei quali ancora  vergognosamente in circolazione.

Condivisibili i paletti indicati dagli amici del CDU, meno opportuno quel richiamo alla sopravvivenza delle antiche componenti.  Meglio, molto meglio, incontrarsi per ricercare gli elementi comuni e condivisi, abbandonare le piccole e confortevoli chiesette, alcune delle quali per lo più di tipo personale e ripartire per un nuovo inizio.

Molto  netta la volontà espressa nel comunicato congiunto dei gruppi parlamentari del NCD, UDC e Popolari x l’Italia.

Impegnati a costruire un gruppo parlamentare unico, anche per aumentare il potere contrattuale, in realtà assai limitato, nel sostegno al governo Renzi, è condivisa la consapevolezza che, superata con difficoltà la soglia del 4% alle europee, restando fermi nelle attuali divisioni, non c’è più prospettiva. Netta è, altresì, la consapevolezza che non è sufficiente la semplice sommatoria del tre partiti, così come la volontà di aprirsi ad altre realtà presenti sul territorio e che, in larga parte, hanno alimentato la grande area dell’astensionismo elettorale.

Si legge,  infatti, nella parte conclusiva del manifesto: “Lasciandoci alle spalle le vecchie appartenenze, iniziamo dalla costituzione del Comitato Promotore di un soggetto politico nuovo e unitario, costruito dal basso. Questo appello è rivolto alle forze politiche, ai movimenti e alle associazioni che si riconoscono in questa iniziativa. Ed è rivolto altresì ai parlamentari, affinché nell’ambito del percorso costituente del nuovo partito diano vita a gruppi che esprimano democraticamente la propria leadership e che traducano in azione parlamentare il movimento e la speranza che avremo saputo mettere in moto nella società“.

Siamo sulla stessa lunghezza d’onda per cui chiediamo ai diversi responsabili dei diversi gruppi di convocare a Roma. subito dopo ferragosto, un incontro per discutere delle coordinate  essenziali attorno alle quali organizzare la nuova Camaldoli dei popolari italiani, cattolici e laici ispirati ai valori dell’umanesimo cristiano. E chissà che questa volta non sia la volta buona.

Ettore Bonalberti
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Venezia, Giovedì 31 luglio 2014



Scherza coi fanti ma lascia stare i santi

La dr.ssa Orlandi, esperta di fisco, dimostra con la sua incauta dichiarazione una completa ignoranza del pensiero cattolico sul valore del denaro e sulle responsabilità morali collegate alla ricchezza e, soprattutto, sul concetto di pentimento e perdono cristiano da Lei con troppa sicumera  sbeffeggiato.

Max Weber teorizzò con il suo celebre: “ Etica protestante e spirito del capitalismo” il suo ideal typus che collegava, appunto, la nascita e lo sviluppo capitalistico all’etica del protestantesimo con la sua teoria della predestinazione, di cui la ricchezza terrena avrebbe dovuto rappresentarne la prefigurazione.

Werner Sombart, il grande storico tedesco, faceva, invece, risalire lo spirito del capitalismo all’etica ebraica con il suo celebre “ Gli ebrei e la vita economica”.

Amintore Fanfani, con il suo  trattato di storia economica, molto più concretamente collegava la nascita del capitalismo con le figure dei primi mercanti imprenditori dell’antica Firenze.

Uno dei suoi allievi più importanti, il prof Gino Barbieri, a Trento ci fece studiare decine di saggi da Sant’Antonino da Firenze, a Santa Caterina da Siena,  a Bernardino da Feltre (nato  Francesco Tomitano, “el trombeta de Dio”, l’inventore dei monti di pietà) con i loro j’accuse contro i fenomeni dell’usura e delle ricchezze derivanti non dalle attività operative dell’economia reale, ma dai frutti malefici e incontrollati delle manovre finanziarie e dei prestiti monetari.

“Chi non lavora non mangi” e “date a Cesare quel che è di Cesare” : sono questi i grandi insegnamenti cristiani ai quali noi cattolici, formati ai principi e all’etica della dottrina sociale della Chiesa, ispiriamo, o almeno ci sforziamo di ispirare la nostra condotta.

Ci furono già alcuni temerari analisti che, al tempo delle Brigate Rosse, cercarono di far risalire l’ideologia della violenza a un’errata lettura della fede cristiana. Si sa come finì quella storia e su quali altri referenti culturali e album di famiglia quegli avvenimenti derivavano.

E’ vero, in uno Stato che, con molta difficoltà si è costituito e, mai come adesso, sta mostrando tutti i suoi limiti e la sua pericolosa fragilità, e con una pressione fiscale che supera largamente il 50% delle entrate familiari e aziendali, è difficile sottrarsi al peccato dell’evasione fiscale.

Siamo, dunque, quasi a una condizione di semi schiavitù se si deve lavorare sei mesi per lo Stato per potersi gestire i risultati del proprio lavoro, quando lo si ha, dei rimanenti sei.

 Jean Baptiste Colbert, il grande ministro delle finanze dell’ancien régime, sosteneva che:

“L’arte della tassazione consiste nello spennare l’oca in modo da ottenere il massimo delle penne con il minimo di proteste”. Era in bella forma ciò che nel ferrarese si traduce nel popolaresco: “ pela la gaza senza farla zigar” ( “togli le penne alla gazza senza farla piangere”).

Come vede gentile signora Orlandi, non si tratta di una correlazione tra un ipotetico ideal typus cattolico (l’idea che dopo il peccato ci sarà l’assoluzione, come Lei con molta disinvoltura sembra tradurre, con somma ignoranza, il concetto del pentimento cristiano), semmai di una condizione oggettiva che, tra la complessità e farraginosità delle norme, permetta a molti grandi evasori di farla franca, e a molti piccoli di condannarsi alla miseria e in alcuni casi drammatici anche al suicidio.

Insomma gentile signora, neo nominata a capo dell’agenzia delle entrate: scherzi coi fanti ma lasci stare i santi e ,intanto, rileggendo  il celebre epitaffio di Pericle ricordiamoci tutti, cattolici o non cattolici, credenti o non credenti italiani quanto il grande ateniese pronunciò, nella testimonianza riportata da Tucidide nella sua “ Guerra del Peloponneso”: “Noi che serenamente trattiamo i nostri affari privati, quando si tratta degli interessi pubblici abbiamo un'incredibile paura di scendere nell'illegalità: siamo obbedienti a quanti si succedono al governo, ossequienti alle leggi e tra esse in modo speciale a quelle che sono a tutela di chi subisce ingiustizia e a quelle che, pur non trovandosi scritte in alcuna tavola, portano per universale consenso il disonore a chi non le rispetta”.

Dovrebbe essere un ammonimento presente nel cuore di ciascuno di noi, singoli cittadini e/o reggitori dello Stato e delle sue istituzioni.

E con questo spirito che Le auguro: buon lavoro al servizio dell’Italia e degli italiani!

Ettore Bonalberti
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27 Luglio 2014

Una minestra riscaldata

E’ ammirevole la pervicacia con cui Silvio Berlusconi intende continuare la sua battaglia politica, anche se la sua ultima lettera appello per l’unità dei moderati ha il sapore acido di una minestra riscaldata. La grande illusione della “rivoluzione liberale” promessa vent’anni fa si è rivelata un sogno e il risultato è la disaffezione al voto del 50% degli elettori italiani e la progressiva scomposizione, sino al dissolvimento, dell’area politica che si era raccolta attorno al Cavaliere.

Berlusconi nella sua lettera, tra l’altro, scrive: “Le ragioni della disaffezione di una parte significativa dell'elettorato di centrodestra sono complesse, ma una delle principali è certamente la nostra divisione, l'esasperazione dei particolarismi, le scelte di convenienza e la sensazione di debolezza e di confusione che ne deriva. “

Sono concause vere, anche se è necessario partire dalla realtà effettuale del Paese per comprendere ciò che sta accadendo e cosa si potrebbe fare per offrire allo stesso non più un’illusione, ma una fondata speranza.

La condizione sociale, economica e finanziaria è rappresentata dagli ultimi dati ISTAT sulla disoccupazione e sulla povertà, dai quali spiccano drammaticamente quelli denunciati ieri da Confindustria per il SUD con 32.000 imprese in meno, oltre 600.000 posti di lavoro perduti rispetto al 2007, 47,7 miliardi di PIL bruciati, 114 mila persone in cassa integrazione e con due  giovani su tre senza lavoro.

Quello che abbiamo definito il terzo stato ( piccole e media imprese con i loro dipendenti, commercianti, artigiani, agricoltori, professionisti) che rappresenta l’unica struttura sociale produttiva reale dell’Italia che produce la quasi totalità della ricchezza e del PIL e sulle cui spalle vivono le altre due classi, quella della “casta dei privilegiati” (politica e derivati vari)  e quella dei “diversamente tutelati” ( quasi tutto il settore pubblico e para pubblico), insieme al quarto stato rappresentato dai totalmente privi di tutela ( disoccupati ed esodati), privato di un referente politico in grado di rappresentarlo, vive una condizione di pericolosa anomia, causa di frustrazione sino ad oggi con esiti di tipo regressivo.

Chiusure delle aziende, tentativi di delocalizzazione, episodi drammatici di suicidi da disperazione, sono le cifre di una condizione psico-sociale che non tarderà a tramutarsi in aggressività individuale e sociale.

Per adesso, sul piano politico, ci si limita all’astensione dal voto e/o dal consenso alle posizioni più estreme, ma non mancano già i primi episodi di forzata fuga dagli impegni fiscali, prodromi di rivolte più generalizzate in grado di mettere in ginocchio il sistema. Non sarà un “cavaliere dimezzato”, reso personalmente impotente nella sua agibilità politica, ad offrire un’ancora di salvezza a un ceto medio sempre più gambizzato da un sistema ormai alla frutta.

L’altro grande illusionista che ha saputo imprimere una profonda virata politico culturale al PD, Matteo Renzi, al limite del più tradizionale trasformismo italico, tanto da non rendere più rintracciabile i caratteri di sinistra al partito degli ex e post comunisti, mentre ha raccolto un grande consenso alle europee (sempre tenendo presente che hanno votato solo il 50% degli aventi diritto),  dopo diversi mesi di governo sembra arrancare senza prospettive tra impegni annunciati e riforme continuamente rinviate.

Il grande mutamento politico partitico causato da una magistratura senza più freni  tra il 1992 e il 1994, con la distruzione dei partiti storici della Repubblica, tranne il PCI, dopo vent’anni vissuti con una lotta senza quartiere tra berlusconismo e antiberlusconismo, è giunto alla situazione attuale dove non si distinguono più, non solo i residui di serie culture politiche, ma nemmeno i caratteri distintivi tra le diverse forze politiche.

Ecco perché quest’ultimo richiamo all’unità dei moderati, suona fuori tempo e fuori luogo, mentre sempre più forte sale l’esigenza di dire con grande franchezza ciò che accade e come si possa porre argine agli effetti disastrosi causati da un turbo capitalismo finanziario, che ha messo sotto scacco l’economia e la politica a livello internazionale e sta causando le condizioni per un conflitto generalizzato su scala mondiale e la fine progressiva degli stessi istituti democratici.

A livello europeo, anziché continuare a cincischiare sul grado maggiore o minore flessibilità delle rigidità imposte dall’UE, in questo semestre di presidenza italiana, si abbia il coraggio di denunciare la nullità dei regolamenti farlocchi, assunti in spregio degli obiettivi fissati dai trattati liberamente sottoscritti, e dai quali sono discesi vincoli, tra gli altri, il fiscal compact, che, lungi dall’assicurare crescita e occupazione, stanno rendendo l’Europa sempre più povera e alla mercé di una progressiva dollarizzazione forzata dagli effetti devastanti. Fatta questa denuncia si avvi finalmente una “class action” contro i responsabili europei e nazionali della redazione e dell’adozione di quei regolamenti, onde evitare che chi fu corresponsabile  di quelle scelte continui  liberamente a proporsi come possibile salvatore della Patria, già in gara per la salita al Quirinale.

Sul piano istituzionale, si prenda atto, dal Presidente della Repubblica, che le pur indispensabili riforme non possono essere assunte da un Parlamento palesemente illegittimo, così come risulta non solo dalla sentenza della Corte costituzionale sul “pocellum”, da cui questo parlamento discende, ma dalla suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 8878/14  del 4 aprile 2014.

Dopo tre forzati tentativi di governi senza legittimità  politico elettorale ( Monti, Letta e Renzi) il Presidente Napolitano prenda finalmente atto che solo da un nuovo parlamento legittimato dal voto popolare espresso con l’unica legge possibile, “ il consultellum”, e da un’assemblea costituente eletta anch’essa con sistema proporzionale, si possono compiere le necessarie riforme costituzionali. Da quel combinato disposto sin qui uscito dallo sciagurato “patto del Nazareno”, riforma del senato e Italicum, si configura una situazione che è doveroso definire esattamente come un autentico “golpe blanco” e se il Cavaliere pensa di rimettere insieme i cocci partendo dalla distruzione dei suoi alleati non farà molto strada.

Alla  base di una profonda rigenerazione morale, culturale, politica e istituzionale del Paese, è necessario, tuttavia, ricostruire le grandi culture politiche dell’Europa. Ecco perché da tempo ci battiamo, forti della consapevolezza che alle tragiche conseguenze del finanz-capitalismo l’unica vera risposta sin qui elaborata è quella espressa dalla dottrina sociale della Chiesa, per ricostruire l’unità dei popolari, ossia dei cattolici e dei laici che intendono dar vita a un nuovo soggetto politico democratico, laico, popolare, riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 27 Luglio 2014



19 Luglio 2014

Elementi di riflessione verso Camaldoli 2

La situazione internazionale sta vivendo una stagione pericolosa di tensioni e di guerre che, in epoche diverse, avrebbero già portato a un terzo, forse irrimediabile e terribilmente tragico, conflitto mondiale.

Il turbo capitalismo o finanz-capitalismo internazionale ha alterato i rapporti tra politica, economia e finanza, portando alla sudditanza finanziaria tanto l’economia reale che la politica, con gravi ripercussioni sulla stessa tenuta democratica dei diversi sistemi nazionali.

Fenomeno tanto più preoccupante nell’Europa dei 28, dove la mancata unificazione politica è stata surrogata da una contraddittoria politica monetaria a due velocità tra Paesi interni all’euro e Paesi esterni con una “ falsa moneta”, l’euro ( imprimatur del prof. Giuseppe Guarino)  priva di una banca di emissione prestatrice di ultima istanza.

Situazione resa ancor più grave da regolamenti comunitari che, nell’acuta analisi del Prof Giuseppe Guarino (“ Saggio 1 e 2 di verità sull’Europa e sull’euro”), sono stati connotati come nulli, in quanto illegittimi, perché nettamente diversi e contrastanti con le indicazioni fissate e condivise nei trattati sottoscritti di Maastricht, Amsterdam e Lisbona.

Materia pesantissima, le cui responsabilità dovranno essere perseguite, poiché da quei regolamenti è disceso, tra gli altri, quel “fiscal compact” che impegna l’Italia per gli anni a venire a manovre finanziarie assolutamente insostenibili, mentre, intanto, sale la disoccupazione in Europa, con punte drammatiche in Italia, specie  a carico delle classi giovanili più esposte. E con essa la disperazione di imprese, di lavoratori  e di famiglie e un impoverimento progressivo della popolazione.

A livello sociale si vive nel nostro Paese la contraddizione e lo scontro tra quelli che, in diverse analisi, ho definito i quattro stati, così connotati per mera semplificazione euristica:

la casta dei privilegiati, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, i diseredati senza tutela.

Il terzo stato produttivo ( piccoli e medie imprese di datori di lavoro e lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, agricoltori, professionisti) conseguentemente agli effetti di politiche internazionali distorte e, soprattutto,  a causa di quelle europee rivelatesi distinte e distanti mille miglia dagli obiettivi fissati nei trattati, non ha ancora assunto piena coscienza della propria condizione sociale, culturale e di frantumata e pressoché nulla rappresentanza politica.

Un tempo era la DC che raccoglieva il consenso di larga parte di quest’area sociale, insieme alle altre forze della democrazia parlamentare. Dopo la crisi della Prima Repubblica, una parte di tale stato, al Nord, si rifugiò nel voto alla Lega, e, più in generale, nella promessa –speranza della “rivoluzione liberale” berlusconiana.

Dopo il “colpo di Stato” dell’11 Novembre 2011 e la successione di tre governi guidati da tre leader senza investitura democratica ( Monti, Letta, Renzi), mentre sul piano sociale prevale, almeno sino ad oggi, una caduta di tipo individuale del ceto medio, dalla frustrazione nella regressione, con diffusi fenomeni di anomia  e di suicidi, sul piano politico, distrutto il centro-destra e esaurita la lunga stagione ventennale del berlusconismo, con il voto europeo si è verificato l’exploit del giovane Renzi, assunto come “ultima speranza” prima del collasso definitivo del sistema.

La veloce marcia alla conquista, prima del PD e poi del governo, con metodi degni del più cinico politico senza scrupoli (“ stai sereno che intanto …”), ha prodotto una mutazione genetica nel PD, dove, con la rottamazione dei vecchi capi e capetti ex PCI, PDS,DS, è subentrato uno strano miscuglio politico culturale difficilmente riconducibile alle categorie politiche che hanno caratterizzato la lunga storia politica dell’Italia.

Fausto Bertinotti nella sua interessante intervista a “ Il Manifesto” del 28 giugno scorso parla di fine della sinistra i cui partiti “ un tempo erano i partiti dell’alternativa di società” mentre  oggi “ diventano i partiti dell’alternanza di governo”.

Il giudizio su Renzi è articolato. Secondo l’ex leader della sinistra rifondata: “ Renzi avvia una nuova fase: l’egemonia di una cultura postmoderna e postdemocratica, una gigantesca costruzione ideologica che copre come una coltre una realtà sfrangiata e devastata”.

E così continua: “Renzi è il portatore naturale della politica funzionale di questo nuovo ciclo, quello della governabilità come elemento totalizzante. La sua Weltanschaung è “vincere e governare”, contro chi e per fare cosa non importa. Siamo alla morte delle famiglie politiche europee. E conclude: “ L’ordine nuovo di Renzi è autoritario e non di sinistra”.

Renzi, tuttavia, oggi segretario del PD e Capo del governo, una scelta l’ha compiuta ed è stata l’adesione a pieno titolo al PSE a livello europeo.

Nasce con Matteo Renzi il fenomeno politico nuovo del “renzismo”,  un misto di populismo liberal –democratico che rompe gli schemi politici tradizionali, nel quale la tattica prevale sulla visione strategica, ardua da definire in un partito ircocervo: un misto di ex, neo e post comunisti e ex popolari e democratico cristiani, surclassati dalla nuova generazione rampante dei trenta-quarantenni, espressione di un giovanilismo attivistico cui, molti, con il recente voto europeo,  hanno dato fiducia.

Del berlusconismo, un fenomeno di grande rilievo nella storia politica italiana ed europea, che sarà oggetto di ben più approfondite valutazioni storiche nei prossimi anni, possiamo solo affermare che trattasi di un tentativo fallito di “rivoluzione liberale”.

 Un fallimento ascrivibile a diversi fattori interni ed esterni alla complessa e articolata combinazione di quell’alleanza di governo, non estranea, come sempre è accaduto nella nostra storia, la concomitante azione di elementi della politica internazionale oggettivamente incidente in una realtà  geo politica come quella italiana, al centro del Mediterraneo e terreno di confronto per lungo tempo non solo tra Est ed Ovest dell’Europa, ma, soprattutto, del conflitto permanente tra il mondo arabo e israeliano.

In questo quadro tra il renzismo rampante e il berlusconismo inesorabilmente sul viale del tramonto ( e non sarà la pur giusta sentenza della corte di appello di Milano a prolungare la sopravvivenza di una leadership ormai definitivamente usurata e non più spendibile) si pone il dramma della sperduta e frantumata galassia degli ex DC, popolari, laici cristianamente ispirati, cui si aggiunge quel quasi 50% di elettorato ormai disaffezionato e non partecipe dei “ludi cartacei” delle ricorrenti scadenze elettorali.

Un Paese smarrito e la speranza di un Popolo”: è questo il titolo dell’Appello politico agli italiani che l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, ha editato con Cantagalli, dal quale, io credo, bisognerà ripartire se, come andiamo inseguendo da molto tempo, vogliamo tentare di ricostruire, attraverso un nuovo incontro di tutti i popolari e democratico cristiani italiani, un nuovo soggetto politico laico, democratico,  popolare, riformista ,europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

Un  soggetto impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa cattolica, efficacemente sintetizzati nelle undici proposte dell’Appello di cui sopra. Un soggetto politico, inoltre, che, libero di scegliere le più opportune alleanze di governo in funzione della situazione politica e sociale del Paese, sarà e dovrà essere alternativo al “renzismo” e al “berlusconismo”, categorie difficilmente riconducibili alla nostra cultura di riferimento nazionale e internazionale.

Anche noi dell’associazione “Democrazia Cristiana”, ennesimo e  forse ultimo tentativo per la ricomposizione dell’area popolare e DC, guai se ci attardassimo a rinchiuderci in noi stessi, o, a ridurci a una pur apprezzabile funzione maieutica di formazione, arrestandoci sulla soglia di un impegno pre-politico, possiamo offrire il risultato di un serio confronto avviato con il contestato XIX Congresso nazionale DC del Novembre 2012 e  quanto abbiamo saputo redigere con i documenti  finali della tre giorni all’abbazia primaziale di Sant’Anselmo nel Gennaio 2014, del codice etico e delle indicazioni per il patto federativo dei popolari.

Ripartiamo da questi fondamentali e concorriamo con tutte le componenti di ispirazione popolare e democratico cristiane a organizzare la nuova Camaldoli, chiamando a raccolta tutti i partiti, gruppi. Associazioni, movimenti, uomini e donne che intendono offrire, con una rinnovata proposta politica popolare, una speranza all’Italia.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 19 Luglio 2014



18 Luglio 2014

Bene l’assoluzione ma basta con il berlusconismo

Silvio Berlusconi, dopo l'assoluzione della corte d'appello di Milano, ha inviato oggi ai suoi sostenitori il seguente messaggio:

"Sono profondamente commosso: solo coloro che mi sono stati vicini in questi anni sanno quello che ho sofferto per un’accusa ingiusta e infamante.

Per questo il mio primo pensiero oggi va ai miei affetti più cari, che hanno sofferto con me anni di aggressione mediatica, di pettegolezzi, di calunnie, e che mi sono stati accanto con serenità e affetto ineguagliabili. Un pensiero di rispetto va poi alla Magistratura, che ha dato oggi una conferma di quello che ho sempre asserito: ovvero che la grande maggioranza dei magistrati italiani fa il proprio lavoro silenziosamente, con equilibrio e rigore ammirevoli. Penso anche ai tanti, tantissimi amici, collaboratori, sostenitori, e soprattutto ai milioni di italiani che hanno continuato a credere nelle nostre battaglie politiche e a starmi vicino nonostante tutti i tentativi di infangare il mio nome e la mia onorabilità. E’ grazie a loro che ho potuto resistere, sul piano umano e sul piano politico.

E infine un caloroso ringraziamento ai miei avvocati, al prof. Coppi, all’avv. Dinacci, all’avv. Ghedini e all’avv. Longo che hanno saputo fare il loro lavoro non soltanto con altissima professionalità e competenza, ma anche con quella passione civile, con quella sensibilità umana, con quella sete di verità che hanno dato ancora più valore al loro eccellente lavoro.  

Da oggi possiamo andare avanti con più serenità. Il percorso politico di Forza Italia non cambia.  Credo che questo sia nell’interesse dell’Italia, della democrazia, della libertà."  

f.to Silvio Berlusconi

Anch'io mi associo a coloro che vedono in questa sentenza il riconoscimento di fatti che, solo una lettura svolta con malevolo pregiudizio, aveva potuto ricondurre ad ipotesi di reato. E con quale dura sentenza in primo grado!

Sono evidenti le fratture irrimediabili presenti nella magistratura milanese. Spiace che da questa vicenda si sia costruita una demonizzazione personale di un leader degna della storia della colonna infame e che tanto male ha causato all'interessato, alla sua famiglia e a tutto il Paese.

Detto, questo, però, vorremmo sommessamente suggerire al Cavaliere di abbandonare le residue velleità di impegno politico.

E' tempo di ricomposizione su basi nuove e diverse dell'area dei moderati e dei riformisti liberali italiani.

Se il PD si è affidato alla guida di Matteo Renzi, espressione di una confusa e contraddittoria linea politico culturale, anche il centro-destra ha bisogno di un nuovo inizio.

Al renzismo senza omogeneità di cultura politica e al berlusconismo sul viale del tramonto, serve presentare al Paese una nuova proposta politica democratica, laica, popolare, riformista, europeista, transnazionale, ispirata ai valori dell'umanesimo cristiano, suscitatrice di una speranza all'Italia che sta arrancando  verso la disperazione.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 18 Luglio 2014



Fino a quando potrà durare ?

Il Presidente Bertinotti in un’intervista a “Il  Manifesto” rileva la circostanza che con Matteo Renzi cambia lo scenario politico dell’Italia e si assiste alla fine delle culture politiche che hanno caratterizzato larga parte della storia nazionale, a partire da quella della sinistra.

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7 Luglio 2014

Lettera agli amici dell’ADC


Cari amici,

impegni di lavoro non rinviabili  mi impediscono di partecipare all’assemblea dei soci convocata per venerdì 11 Luglio p.v.

Nelle settimane scorse ho sollecitato più volte l’amico Fontana a tentare di promuovere un incontro con tutte le componenti che, a diverso titolo, fanno riferimento al PPE, così come ho offerto la mia disponibilità a concorrere nella predisposizione degli atti che vi accingete ad approvare Venerdì prossimo.

Tranne una telefonata, anche collegata a delicate vicende personali familiari che mi sono accadute, nessun‘altra informazione mi è  pervenuta da Gianni,  tranne la convocazione dell’assemblea con l’originale  e, per certi aspetti,  inusitato  o.d.g. per il quale avevo chiesto delucidazioni a Gianni, senza risposta.

Come voi ben sapete, con pochi altri amici, è dal 2007 che, con la formazione dell’associazione ALEF ( Ass.ne dei Liberi e Forti) prima  e quella successiva FE.DE.LI.F. ( Federazione dei Liberi e Forti) perseguo il tentativo di concorrere alla ricostruzione di una presenza politica dei cattolici italiani, all’altezza della migliore tradizione democratico cristiana e popolare, sturziana, degasperiana e morotea.

Per questo obiettivo  ho sollecitato e concorso con l’amico Silvio Lega e con molti di voi al tentativo, fallito, di ricostruzione della DC, con il CN del Marzo 2012 e successivo XIX congresso nazionale del Novembre 2012.

Fui, con Lega e qualche altro amico, tra coloro che  unanimemente proposero Gianni Fontana alla guida di quel progetto. Una guida, quella di Fontana, cui mi unisce una lunga, leale e consolidata amicizia e che ho cercato di sostenere e assecondare nell’arduo percorso ad ostacoli che abbiamo dovuto percorrere dopo il XIX Congresso nazionale e sino ad oggi.

Come ho avuto modo di esporvi nel mio intervento nell’assemblea del 7 giugno scorso: “ nessuno potrà mai tentare di introdurre elementi di conflitto e/o separazione tra me e Fontana”, anche se, dalle reazioni vissute proprio in quella sede da parte di alcune improvvisate dirigenti dell’ultima ora, qualcosa mi era sembrato e mi sembra sia intervenuto a turbare la tranquillità e operosità di un sodalizio che, dal Veneto al resto dell’Italia, credo, abbia offerto sin qui riscontri positivi.

I silenzi e le mancate risposte di queste ultime settimane di Fontana e gli atti che si stanno per compiere sembrerebbero dare sostanza e ragione alle mie preoccupazioni.

Confermando la mia stima e amicizia nei confronti di Gianni, del quale ben conosco quanti sacrifici e dolori abbia dovuto sopportare in questi quasi tre anni di prolungata Via Crucis politica, sento, tuttavia,  il dovere di esporvi il mio pensiero per iscritto e, come sempre,  in totale libertà, non potendo farlo di persona all’assemblea di Venerdì 11 Luglio.

Dopo quanto avvenuto, con il fallito tentativo di costituire una federazione/confederazione dei Popolari e tenendo presente la successiva, per certi versi straordinaria, modificazione del quadro politico italiano dopo le elezioni europee, sono convinto che continuare con un’associazione che punta a organizzarsi strutturalmente, così come indicato nella bozza di statuto allegato alla lettera di convocazione, non corrisponda positivamente a ciò che la realtà politica italiana ed europea richiedono.

La riflessione da me avviata dopo il voto europeo, suffragata dai due eccezionali saggi giuridici e politico istituzionali sull’Europa e l’euro del Prof Giuseppe Guarino, da me inviati a molti di voi; il procedere del confronto parlamentare in tema di riforme costituzionali e della legge elettorale con tutti i rischi per lo stesso assetto democratico del Paese, da me a più riprese denunciati, con i diversi articoli di cui ad abundatiam ( ve ne chiedo scusa)  ho intasato le vostre mail, mi convincono che sarebbe necessario, anzi indispensabile,  avviare un altro percorso, essendo, a mio parere,  inadeguato se non senza prospettive quello di una mera riorganizzazione strutturale della nostra associazione.

Una maggiore consistenza organizzativa per fare che cosa? A vantaggio di chi? Con quali interlocutori? E, consentitemi, con quali risorse?

A me pare che la strada indicata dall’On. Publio Fiori, proprio l’amico con cui abbiamo avviato il tentativo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12. 2010 ( “ La DC non è mai stata giuridicamente sciolta” ) da cui è discesa tutta la nostra successiva esperienza sino ai nostri giorni;  la decisione, cioè, da lui annunciata di azzerare gli organi dirigenti del suo gruppo di “ Rinascita Popolare” e di chiamare a raccolta tutti coloro che si riconoscono nei valori dell’umanesimo cristiano e della migliore tradizione popolare e democratico cristiana, sia quella che anche noi dovremmo imboccare.

Non ci serve una nuova, per molte e diverse ragioni, comunque debole e inefficace struttura organizzativa centrale e periferica, quanto riconfermare la nostra unitaria volontà di concorrere nella costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

Piaccia o no, ciò che è intervenuto anche tra i Popolari per l’Italia, con il distacco degli amici Olivero e Dellai con altri da Mario Mauro e la formazione del nuovo gruppo di Democrazia solidale, non potrà che determinare anche al nostro interno una scelta di campo ineludibile.

Un soggetto politico come quello che da anni predichiamo come un mantra, non potrà, secondo la mia personale valutazione, che so essere condivisa da molti di voi, che schierarsi dalla parte del PPE in Europa, alternativo, distinto e distante dal PD renziano e dal PSE.

Credo sia finito anche per noi il tempo di dribblare questa opzione. Il PPE, a trazione sin qui markeliana, potrà anche non piacere e sarà sicuramente da riformare, ma resta l’unica formazione politica europea che si rifà ai principi della dottrina sociale della Chiesa e a quelli dell’economia sociale e di mercato, cardini della nostra impostazione ideale e politico culturale.

Nei prossimi giorni, partendo dall’interessante intervista rilasciata da Fausto Bertinotti a “ Il Manifesto” sui destini della sinistra oggi in Italia e in Europa, tenterò di esporre le ragioni della nostra tuttora presente attualità di proposta politica e culturale, ispirata dalle ultime encicliche sociali della Chiesa cattolica,  unica seria alternativa ai principi e ai metodi del turbo capitalismo finanziario dominante a livello internazionale. Una riflessione che non mancherò di farvi pervenire, aperta al contributo critico di ciascuno di voi.

Oggi, cari amici, non è più tempo di divisioni e/o di chiusure solipsistiche in piccoli ghetti senza speranza. E’ tempo di sciogliere le tende  dei nostri fragili e inconsistenti accampamenti, e di tentare di riunire tutte le diverse tribù nell’agorà di “una nuova Camaldoli” dalla quale far emergere, con un’aggiornata proposta politico programmatica,  il nuovo soggetto politico che da tempo andiamo teorizzando.

I nostri pregevoli documenti della tre giorni di Sant’Anselmo, la proposta di codice etico formulata dal gruppo di lavoro a suo tempo costituito, con “ l’Appello politico agli italiani” redatto dall’Osservatorio Internazionale del cardinale Van Thuân, possono rappresentare alcuni degli elementi base da cui ripartire con quanti condividono con noi questa prospettiva.

Sempre fedele alle regole della democrazia, anche stavolta non potrò che accettare quanto voi andrete ad approvare Venerdì in assemblea;  consapevole, tuttavia, che il futuro che ci si presenta reclama, oltre al  nostro totale disinteresse e ambizione personale e generosa apertura a una nuova e più credibile classe dirigente, una capacità di visione strategica e di iniziativa politica non riducibile a un pur comprensibile tentativo di rilancio organizzativo.

Un tentativo che, onestamente temo, potrà solo aggiungere un altro frustrante  tassello al mosaico delle disillusioni e delle sconfitte che abbiamo sin qui potuto sperimentare.

Buon lavoro a tutti voi e che il Signore vi assista nelle scelte che state per compiere, con la speranza di ritrovarci ancora insieme per la giusta battaglia.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Socio fondatore dell’ass.ne “Democrazia Cristiana”
Venezia, 7 Luglio 2014



28 Giugno 2014

Fino a quando potrà durare ?

Il Presidente Bertinotti in un’intervista a “ Il  Manifesto” rileva la circostanza che con Matteo Renzi cambia lo scenario politico dell’Italia e si assiste alla fine delle culture politiche che hanno caratterizzato larga parte della storia nazionale, a partire da quella della sinistra.

L’On Bertinotti giunge a qualificare Matteo Renzi come “ un Giano bifronte, per un lato populista , per l’altro è  neo bonapartista”.  Una descrizione non molto diversa da quella utilizzata dall’On Gianni Fontana, presidente dell’Associazione Democrazia Cristiana, che nell’ultima assemblea dei soci a Roma , il 7 giugno scorso, aveva definito Renzi:  “ un pop-liberal-democratico”.

In assenza di un’alternativa credibile il più giovane primo ministro della storia repubblicana ha saputo conquistare il vasto consenso alle europee e sembra correre sulla cresta dell’onda lunga che potrebbe sfociare in elezioni anticipate. E’ aperta la corsa a chi per primo, tra il PD e Forza Italia, denuncerà, quello che per noi è sempre stato, “ lo sciagurato patto del Nazareno”.

Apertura possibile ai grillini, più ammorbiditi dopo gli ultimi inattesi risultati elettorali, e progressiva riduzione del già fragile ruolo degli esponenti del NCD e dei Popolari per l’Italia (questi ultimi già resi orfani, sin dalla formazione del governo, del loro leader Mario Mauro), sono i passaggi attraverso cui, Napolitano permettendo, Matteo Renzi punta a garantirsi in Parlamento la rappresentanza politica corrispondente a quanto ritiene di poter conservare dopo il voto di Maggio.

In Europa il ping pong con frau Merkel si è chiuso nell’ambiguità di una formula  con cui  la flessibilità  utilizzabile dagli Stati, tra rispetto delle rigidità  di bilancio e crescita, è  lasciata alla furbesca libera interpretazione di ciascuno, concessione della Merkel per avere il consenso italiano alla candidatura del fidato Junker. Contemporaneamente, sulle imminenti nomine europee, al cinico “ stai sereno” rivolto a Enrico Letta prima del suo sgombero da palazzo Chigi, da parte di Renzi  si è aggiunto il non meno pungente:” Consiglio UE? Nessuno ha mai fatto il nome di Enrico Letta”  e poi : “ c’è già Draghi alla BCE”.  Insomma  un ennesimo schiaffo e una riapertura di ferite mai sanate in casa  PD.

I tempi, d’altronde, reclamano scelte rapide, perché l’effetto corroborante degli 80 €  sta per essere facilmente annullato dalla raffica di aumenti fiscali e tariffari e da una prevedibile manovra finanziaria autunnale di non meno di 20 miliardi di euro. I dati drammatici denunciati da Confindustria, non smentiti dalle altalenanti dichiarazioni dell’ondivago Squinzi, così come quelli dell’ISTAT sull’andamento della disoccupazione, confermano il permanere di una situazione pericolosissima di possibile rivolta sociale sempre latente nella realtà italiana.

Fino ad ora il camaleontismo renziano è riuscito a contenere la spinta anti sistema, grazie  a un’offerta ambigua, ma  carica di speranza , che ha saputo raccogliere un vasta consenso. Si tratta di capire fino a quando potrà durare.

Ettore Bonalberti
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28 Giugno 2014



11 Giugno 2014

Una proposta DC e popolare per l’Europa

Quanto è accaduto con la purga staliniana del combinato disposto Renzi-Casini contro l’amico Mario Mauro, defenestrato dalla commissione affari costituzionali, di cui il PD intende avere il controllo ai fini del passaggio dei due obiettivi immediati del governo , Italicum e modifica del senato, rappresenta l’ennesimo segnale del degrado istituzionale che si accompagna a quello morale, culturale, sociale e politico del Paese.

Ciò che si intende perseguire, con il ricatto del sicuro prossimo voto di fiducia, è una trasformazione radicale del sistema, che non può essere realizzata da un Parlamento oggettivamente in condizioni di illegittimità e non rappresentativo delle forze reali presente in Italia.

Da qualche tempo chiediamo inascoltati la convocazione di un’assemblea costituente, con la legge elettorale, quella uscita dalla sentenza  della Corte Costituzionale contro il “porcellum” di cui l’attuale Parlamento è espressione, unica alternativa al permanere di un esecutivo e di due camere che non hanno più alcuna legittimazione giuridica e politico amministrativa;  valide, forse, solo per affrontare i temi più caldi di un’emergenza senza fine.

Se a tutto ciò si aggiungono gli scandali che stanno emergendo in varie parti del Paese, dall’EXPO al MOSE, sino ai massimi vertici della Guardia di Finanza e la partecipazione di esponenti non secondari della stessa magistratura, ,  vuol dire che siamo arrivati al punto inferiore della morta gora in cui è precipitata l’Italia.

Matteo Renzi  ha saputo certamente raccogliere il voto della paura e della speranza nelle elezioni europee, ma non è per nulla chiaro  ciò che succede e potrà accadere in un partito, il PD, ridotto a un ircocervo senza più storia e cultura politica di riferimento;  squassato tra il giovanilismo di “una chimera pop-liberale-democratica”, come Gianni Fontana ha ben definito “ il renzismo”, nella recente assemblea dei soci DC del 7 Giugno a Roma, e la collocazione acritica nel PSE a guida tedesca

Lo sfascio dell’area di centro-destra e dei moderati è sotto gli occhi di tutti. Finito il collante del potere e del carisma del Cavaliere, siamo alla progressiva disintegrazione di un’area elettorale che non ha mai avuto storia e cultura politica.

Dobbiamo ripartire dagli undici punti dell’appello politico agli italiani, proposti dall’Osservatorio Internazionale del Cardinale Van Thuân, con il recente saggio: “ Un Paese smarrito e la speranza di un popolo” e da quanto “i democratici cristiani non pentiti”, con altri gruppi e associazioni, hanno saputo redigere con il documento della tre giorni al convento di Sant’Anselmo (17-18 e 19 Gennaio 2014) .

Va impegnata ogni migliore energia per costruire l’unità dei Popolari, superando le residue  egoistiche aspirazioni di corto respiro di qualche furbastro, foriere solo di ulteriori lacerazioni politiche, a partire dall’organizzazione di una convention con gli Istituti di cultura Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e con la fondazione Konrad Adenauer, al fine di elaborare una rinnovata proposta democratico cristiana per l’Europa.

Restano intatte le tre questioni che, oggi più che mai, anche alla luce del verminaio degli scandali che ammorbano l’aria del sistema Italia, con grande lucidità il prof Paolo Savona ha posto all’opinione pubblica del nostro Paese:

1. Vogliamo restare nell’euro con le conseguenze sotto i nostri occhi o affrontare il costo dell’uscita?

2. Vogliamo  continuare ad aumentare il debito pubblico per stare meglio o tagliare la spesa pubblica accettando le conseguenze?

3. Vogliamo rimborsare il debito pubblico cedendo il patrimonio statale o pagando più tasse per rimborsarlo?

E, infine, siamo pronti per un’azione di responsabilità collettiva contro quei politici e commis d’Etat chiaramente indicati dal Prof Giuseppe Guarino che si sono resi responsabili della stesura e approvazione di regolamenti comunitari attuativi illegittimi, e, dunque, nulli, rispetto alle indicazioni previste dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Lisbona, generatori del fiscal compact e di tutte le assurde decisioni dell’Unione Europea?

Serve una risposta democratico cristiana e popolare , che dobbiamo sviluppare senza indugi per offrirla ai nostri cittadini dell’Europa,  alla valutazione del PPE e dei nuovi Popolari eletti a Strasburgo e su cui aprire un serio e costruttivo confronto con la CDU della Merkel e la CSU tedesca.

Questo è quanto abbiamo chiesto all’amico Fontana a conclusione dei lavori della nostra assemblea il 7 Giugno e che ci impegneremo a portare avanti con quanti sono interessati al progetto di riunificazione dei popolari italiani.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 11 Giugno 2014



9 Giugno 2014

Assemblea ADC: la ripartenza

Con un’ampia e unanimemente condivisa relazione  di Gianni Fontana, si è conclusa a Roma il 7 Giugno, l’assemblea dei soci dell’associazione Democrazia Cristiana, allargata a quanti, dopo la tre giorni di Sant’Anselmo ( 17-18-19 Gennaio 2014) hanno sottoscritto il patto per la confederazione dei popolari.

Confermata la piena fiducia al Presidente Fontana, una mozione presentata da alcuni soci fondatori e dall’On Publio Fiori, è stata acquisita dalla presidenza, con l’impegno :  “di proseguire l’iniziativa di realizzare una grande aggregazione della vasta area di popolari, di democristiani non pentiti, di cattolici senza aggettivi, di laici ispirati ai valori umani naturali finalizzata a rilanciare l’interesse generale, il bene comune con una piattaforma forte di valori guida della politica.

Tale obiettivo sarà ricercato attraverso “ un ampio dibattito sui territori del Paese che coinvolgerà i cittadini, le Associazioni e i Movimenti  impegnati  in diverse attività sociali, culturali, di volontariato, sia d’ispirazione cattolica che laica, interessati a ricercare insieme il massimo di condivisione su una piattaforma culturale, sociale, economica con un programma di priorità per il paese e con i riferimenti di sostenibilità finanziaria. Unitamente alla piattaforma/programma sarà definito e condivisa l’etica politica e il codice etico”.

E’ fortemente sentita la necessità: “ di sostenere ogni azione atta a favorire la sottoscrizione in una Convention Nazionale di una Piattaforma/programma e codice etico di una Confederazione di Popolari democratici Cristiani propedeutica alla costituzione di soggetto politico, laico, democratico, popolare, trasnazionale e ispirato all’umanesimo cristiano, e  di Di operare per una scelta di alleanza con altri soggetti politici, senza pregiudiziali verso le superate collocazioni di Destra e/o di Sinistra, ma basata sulla condivisione dei valori fondanti la Vision e il progetto della Società, del Manifesto/Programma, del Codice Etico”.

Avendo partecipato attivamente ai lavori di questa assemblea ho tratto la convinzione che, dopo la le tre fasi in cui si è sin qui svolta l’azione dei “DC non pentiti”, continuare a combattere con le vecchie sigle e con i vecchi soggetti politici, sia fallimentare. Trattasi di un processo definitivamente concluso e da archiviare.

Nuovi attori e nuove realtà sociali, culturali e politiche dovranno emergere, con l’impegno a ricostruire una nuova e più coesa presenza dei popolari italiani.

Un Movimento Italiano di Rinnovamento Etico e Politico da organizzare attraverso “ gruppi di proposta territoriali”, centri civici di comunità popolare, in grado di far emergere una nuova classe dirigente, non usurata da precedenti incarichi istituzionali, anche operante all’interno o al di fuori dei partiti, al fine di trasformare l’attuale sistema politico, prescindendo dai gruppi e partiti tradizionali, ormai integrati nel sistema attuale, sempre di più disprezzato dalla maggioranza degli elettori.

Siamo consapevoli della gravità della situazione economica, sociale, occupazionale e di degrado morale in cui versa la realtà italiana e  convinti  che ai fenomeni del turbo o finanz- capitalismo una delle risposte più avanzate è ancora fornita dalla dottrina sociale della Chiesa, della cui traduzione nella città dell’uomo è compito dei cattolici e laici cristianamente ispirati.

Tali problemi richiedono nuove risposte a livello europeo e si impone, pertanto, un nuovo e più cogente impegni degli Istituti Sturzo e De Gasperi e della Fondazione Adenauer con i quali vogliamo promuovere una seria riflessione democratico cristiana e popolare sull’Europa.

A questo nuovo impegno, rinvigoriti dai risultati positivi conseguiti nei rinnovi comunali di Padova e Potenza, due antiche roccaforti del voto bianco, ci dovremo tutti noi “DC non pentiti” e popolari seriamente dedicare.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 9 Giugno 2014



1 Giugno 2014

Prima della Leopolda l’unità dei Popolari

Il dibattito che si è aperto dopo la grave sconfitta del centro-destra alle elezioni europee interessa  tutte le formazioni che, a diverso titolo, si ispirano ai valori e rappresentano gli interessi dell’area popolare e liberale. Sono state sin qui avanzate diverse proposte, tanto all’interno di Forza Italia, con il dibattito tra introduzione delle primarie (tesi Fitto) o continuità della leadership berlusconiana, che nel NCD, dove si gioca la leadership tra due diverse sensibilità e, forse, strategie politiche, tra Angelino Alfano e Maurizio Lupi.

Anche nell’UDC continua lo scontro, accesosi al congresso, tra fautori di una presa di distanza da Berlusconi e amici di Casini più interessati a una ripresa di rapporti con Forza Italia, così come tra i Popolari di Mario Mauro, è aperto il confronto tra la tesi di Dellai e Olivero più disponibili a un rapporto di favore a sinistra con il PD di Renzi, e quella di Mario Mauro aperta all’idea di Alfano per la costruzione di una più vasta area di matrice popolare collegata e direttamente collegabile al PPE.

Vi è, poi, in campo la rinnovata proposta di Corrado Passera contraria all’idea di una confederazione di liberali e popolari, alternativa al blocco politico elettorale sin qui egemonizzato da Berlusconi, quanto interessata alla costruzione di un nuovo soggetto politico in grado di riunificare la vasta area moderata degli italiani.

Nelle crepe che sembrano aprirsi in casa berlusconiana si insinua l’azione efficace e costante della rinnovata Lega di Salvini, le cui indicazioni, su diversi temi, sono, tuttavia, difficilmente  compatibili con le culture di ispirazione popolare ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano.

Resta infine la galassia degli ex DC, cui apparteniamo anche noi “DC non pentiti”, che, dopo lo stop giudiziale del tribunale di Roma contro le modalità di convocazione del XVIII Congresso nazionale del partito nel novembre 2012, si sono riuniti nell’associazione Democrazia Cristiana presieduta dall’On Gianni Fontana e che sono convocati Sabato 7 Giugno a Roma per decidere se e cosa fare nella nuova situazione politica determinatasi dopo il voto europeo.

Personalmente ho tentato di offrire un’interpretazione di tipo strutturale a quel risultato elettorale, che sembrerebbe contrastare nettamente con la situazione di forte disagio e di grave crisi economia, sociale, occupazionale, culturale e morale che attraversa tutta l’Italia.

Una crisi che sarebbe potuto sfociare in aperto ribellismo sociale e in un voto di protesta generalizzato, mentre, invece, ha, almeno sin qui, trovato rifugio in un voto per la speranza e per il desiderio di “un progresso e di riforme senza avventure” ben rappresentato da Renzi e dalla sua squadra di giovani rampanti.

Quasi  tutte le indicazioni  di voto espresse dalle forze di ispirazione popolare e liberale, sono sembrate assai carenti sul piano delle proposte politico-programmatiche e congiunte alle loro divisioni e al timore dell’avventura grillina, hanno finito con il favorire il trasferimento di consensi moderati sulle liste del PD.

Per quanto abbiamo potuto registrare dall’esame dei diversi magri documenti, solo dalla tre giorni di studio al convento di Sant’Anselmo di Roma a Gennaio dell’Associazione Democrazia Cristiana, sono emerse alcune proposte organiche tanto sul versante delle riforme istituzionali che su quelle di politica estera,  economica, finanziaria, educativa, scolastica, sociale e del lavoro.

Indicazioni e proposte che erano state condivise dagli amici dei Popolari di Mauro, del CDU di Tassone e di altre numerose associazioni e gruppi di ispirazione popolare e democratico cristiana,  e riassunte nelle proposte di patto federativo pre-elettorale, miseramente fallito per il prevalere di vecchie logiche e di insensati egoismi che non abbiamo mancato di denunciare prima del voto europeo.

Da quelle proposte, credo che si potrebbe ripartire per non disperdere quanto di positivo si è sin qui elaborato, avendo consapevolezza che la nostra prospettiva, al di là delle possibili opzioni sulle alleanze di governo necessarie per superare l’emergenza italiana, non potrà che essere alternativa sul piano dei valori, prima ancora che su quello degli interessi, da ciò che oggi è rappresentato in Italia dal “renzismo” del PD, stabilmente inserito nell’area del PSE in Europa.

Prima di qualsiasi “Leopolda del centro-destra”, così come è stata provocatoriamente e tempestivamente indicata dagli amici di “Formiche “,  serve ricostruire l’unità dei Popolari, da realizzare partendo da quanti condividono la prospettiva della nascita di un nuovo soggetto politico popolare e democratico, laico, riformista, europeista e transnazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

Prima della “Leopolda dei liberali e dei popolari” serve una nuova Camaldoli dalla quale far emergere le proposte migliori che i cattolici e i laici cristianamente ispirati sono in grado di avanzare in alternativa alle logiche del turbo e finanz-capitalismo oggi imperante a livello internazionale ed europeo.

Credo servirà un lavoro di lungo periodo attraverso il quale, al di là e al di sopra delle ambizioni dei vecchi e consumati attori di una diversa e ormai conclusa fase politica, dovranno emergere nuove leadership cui affidare il compito di confrontarsi con il giovanilismo del leader fiorentino.

Unica variabile da tenere presente, il possibile desiderio di Renzi di un anticipo del voto politico, forte anche della recente sentenza della Cassazione n.8878/14 del 4 aprile 2014 secondo cui, a conferma della precedente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il “porcellum”, si deve tornare a votare, considerato che l’attuale Parlamento “non ha alcuna legittimazione democratica per apportare modifiche alla vigente Costituzione, né per modificare la legge elettorale risultante dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale”.

In quel caso e a maggior ragione, l’unità dei popolari, costruita su una seria piattaforma di valori e politico  programmatica, sarà indispensabile per offrire all’Italia una diversa e più coesa prospettiva politica.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 1 Giugno 2014



Dati ISTAT e risultati elettorali

Leggo i dati ISTAT sulla situazione italiana e trovo conferma del grave disagio sociale in cui versa la realtà italiana e osservo la fotografia del declino: nel 2013 nati 515mila bambini, mai così pochi negli ultimi 20 anni. Nel 2012 emigrati in 68mila, +36% sul 2011. Disoccupati a quota 6,3 milioni, 100.000 giovani sono emigrati all’estero in cerca di lavoro.

Crisi: "Deboli segnali positivi". I poveri nel 2013 sono 7,6 milioni, un milione in meno dell'anno precedente.

Da questi numeri appare una condizione molto simile a quell’anomia sociale analizzata da Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia del XIX secolo, derivante da una forte discrepanza tra i fini che una società propone ai suoi componenti e i mezzi materiali di cui ciascuno dispone; un venir meno dei gruppi sociali intermedi, con la progressiva distruzione dell’istituto cardine, la famiglia, e l’assenza di regole e norme in grado di garantire una forte connettività sociale.

Da tale condizione di frustrazione individuale e sociale due sono le possibili vie d’ uscita: il prevalere dell’aggressività individuale e sociale o un ritrarsi nella regressione personale e collettiva. Tutto lasciava presumere che potesse prevalere la prima e Grillo ne stava rappresentando uno dei sintomi più evidenti, mentre, in realtà, montavano i suicidi dei piccoli e medi imprenditori in varie parti del Paese, sino all’ultimo di Mestre dei giorni scorsi.

Leggo l’analisi dei flussi elettorali dell’istituto Cattaneo di Bologna : Il Partito democratico guadagna voti rispetto alle elezioni europee del 2009 e alle politiche del 2013; crescita sostenuta in tutto il territorio nazionale anche in valori assoluti . Il Movimento 5 stelle subisce un tracollo in voti assoluti. Il centro-destra (Forza Italia e Nuovo centro-destra) perde sonoramente rispetto alle precedenti europee e alle politiche 2013.Lega Nord e Tsipras avanzano rispetto al 2013, ma non recuperano sul 2009. Scelta civica di Monti e l’infelice assemblaggio con il Centro democratico di Tabacci e altri scompaiono nell’assoluta irrilevanza.

Sono risultati che danno conferma del giudizio formulato a caldo la notte di domenica 25 maggio: la speranza ha prevalso sulla rabbia sociale. Ha vinto il rifugio nell’idea già democristiana del “ progresso senza  avventure” che era stata formulata dalla SPES agli inizi degli anni’60, che sembra perfettamente rappresentata da Matteo Renzi e dalla sua rinnovata squadra di giovani rampanti.

Se  correliamo questi dati  di provenienza statistica, quelli dell’ISTAT, con quelli dei risultati elettorali, mentre non scompare la realtà di una grave situazione di sofferenza e disagio sociale, non v’è dubbio che, al di là della confermata consistente astensione, comunque inferiore a quella di altri paesi europei, ha prevalso l’idea della continuità nella governabilità su quella di un forte mutamento politico. Insomma, proprio  quell’idea del “progresso senza avventure” affidando a Renzi il compito di provarci.

Richiamando quella che in alcuni articoli scorsi ho definito la teoria dei quattro stati, non v’è dubbio  che il primo ( lo stato della casta) e il secondo stato ( quello dei diversamente tutelati) hanno prevalso sul terzo ( quello realmente produttivo della ricchezza nazionale) e sul quarto ( quello dei non garantiti) e Beppe Grillo non è riuscito a catalizzare tutto il malessere diffuso nei due stati numericamente maggiorenti, ma non ancora in grado di esprimere un sentire comune e una forte unitaria rappresentanza politica e culturale.

Sarebbe, tuttavia, un grave errore leggere i risultati elettorali secondo il metro delle ideologie passate: destra-sinistra-centro.

Matteo Renzi ha mutato profondamente natura e cultura del PD e dobbiamo riconoscergli il merito che, dopo quel voto, non sarà più “ il cane a muovere la coda”come nella lunga storia dal PCI al  PDS e DS, poiché è la natura stessa di quel soggetto che è profondamente cambiata, subendo una trasformazione profonda di tipo genetico e generazionale.

Fuorviante, altresì, sarebbe tentare di rifugiarsi nel permanente ritorno dell’uguale, a quella vecchia formula dell’unità dei moderati ancora una volta indicata da Berlusconi.

La società italiana,infatti, vive  tuttora una condizione di grave disagio sociale, economico, occupazionale e culturale e la rabbia e l’esplosione sociale, dopo quest’ultima prova di fiducia sistemica, potrebbero improvvisamente comparire, solo che qualche soggetto, gruppo o movimento fosse in grado di incanalarle in un progetto politico e a rappresentarne efficacemente  la natura.

Serve una severa e innovativa riflessione politica che, noi democratici cristiani di tutte le diverse chiese e chiesette, compiremo sabato 7 giugno in una riunione convocata a Roma, all’hotel Mantegna, dall’amico Gianni Fontana.

Ettore Bonalberti
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22 Maggio 2014

I segreti del CRIF

Da “Report” di Lunedì 19 Maggio abbiamo appreso del CRIF che nel suo sito web si presenta così: “Specializzata nei sistemi di informazioni creditizie, di business information e di supporto decisionale, CRIF offre a banche, società finanziarie, confidi, assicurazioni, utilities e imprese un supporto qualificato per la gestione del rischio e per il marketing”.

Sorto nel 1988 il CRIF è utilizzato dalla maggior parte delle Banche italiane per la valutazioni dei rischi di credito e, in base alle valutazioni fornite da questa società, esse concedono o rifiutano il credito alle imprese. Condizione indispensabile: la conoscenza più trasparente e completa possibile delle informazioni sulle imprese.

Intervistato il direttore del CRIS sulla domanda di chi appartenesse la proprietà della società, scontate le quote del Presidente e AD, informava che il resto delle quote azionarie risultano blindatissime in una o più società fiduciarie. Lo stesso direttore, alle insistenti domande dell’intervistatore, balbettava sino allo smarrimento più completo,  come uno scolaretto impreparato, tentando, con nullo successo, di minimizzare il valore di quella provocazione. Ma come? Uno, se non il principale, strumento con cui le banche decidono le sorti dei loro clienti, alla fine risulta il meno trasparente e controllabile, sino a non conoscerne quali siano i proprietari?

Sempre sul sito web del CRIF si legge: ”CRIF è una società indipendente, il cui capitale è detenuto per il 90% dai soci fondatori e dal management e per il restante 10% da alcuni istituti di credito. Tra questi ultimi, fin dagli anni ’90 nella compagine azionaria sono presenti anche 3 banche di livello internazionale, quali BNL-BNP Paribas, Deutsche Bank e Banco Popolare (la maggiore banca popolare italiana). Nel 2013 il valore della produzione di CRIF è stato pari a 305 milioni di Euro. Il patrimonio netto ammonta a 128.888.000 Euro. CRIF ha circa 1.600 dipendenti distribuiti tra le sedi delle società controllate in Italia e nel mondo“.

Possibile che non si possa sapere chi sono i reali detentori delle quote CRIF? Teoricamente in una qualsivoglia società fiduciaria blindata potrebbero esserci quote appartenenti a soci assai men che commendevoli.  Sai che bella pacchia, se in una di queste fiduciarie ci fossero  persone legate o collegabili alla malavita, alla camorra, alla mafia o alla  ndrangheta et similia? Totale controllo delle attività delle imprese alla ricerca di credito e potere di vita e di morte sulle stesse…

Non vogliamo nemmeno pensare a un’ipotesi di tale gravissima possibilità. Ci sembra, tuttavia, ci sia materia per la Banca d’Italia, il Ministero del Tesoro e per il Parlamento per fare chiarezza su tale questione.

Il balbettio di quel direttore del CRIF non ci ha rassicurato;  tutt’altro, ha alimentato la nostra curiosità che, a questo punto, reclama urgenti risposte dai responsabili del CRIF e  dalle autorità competenti.

Ettore Bonalberti
Venezia, 22 Maggio 2014



18 Maggio 2014

Una miscela esplosiva

La grave crisi economico finanziaria e politico sociale dell’Italia sta facendo saltare il fragile equilibrio su cui si è retta sin qui la realtà italiana.

Finite le grandi culture del dopoguerra che avevano saputo saldare gli interessi della classe media con quelli delle classi popolari, merito storico più alto della Democrazia Cristiana, del PCI, PSI, e dei partiti di ispirazione laico-liberale e dello stesso MSI almirantiano, ci ritroviamo in  una situazione di totale anomia, forte disorientamento e diffusa frustrazione individuale e collettiva.

Alle tre classi oggetto di precedenti analisi: la prima, quella costituita da una “cupola di privilegiati” (grosso modo, in base ai parametri di calcolo adottati, circa 500 mila - 1.000.000 di persone), che occupano posti elevati in organismi pubblici centrali o territoriali di natura politica, giudiziaria, amministrativa, posti super-retribuiti e per di più sicuri e garantiti. E' quella stessa cupola che nel corso degli ultimi decenni ha realizzato sperperi e folli deficit;

la seconda, quella dei cosiddetti “diversamente garantiti” è costituita dal gran numero dei dipendenti pubblici di livello medio-basso, i quali sono pagati poco, costretti spesso, contro la loro volontà, a non essere produttivi, il cui privilegio (non trascurabile) è quello della sicurezza del posto, unita spesso alla gratificazione di poter esercitare un qualche potere sui cittadini privati. Ad essi vanno pure aggiunti  i pensionati sia del settore pubblico che privato;

la terza è costituita da quei tanti cittadini che producono effettivamente ricchezza (piccoli e medi industriali, artigiani, commercianti, professionisti, chi svolge un'attività autonoma in genere e i milioni di individui che lavorano alle loro dipendenze), bisogna aggiungerne una quarta:

 “il moderno quarto stato”, rappresentato dal vasto settore dei precari (3,3 milioni), disoccupati (3,290 milioni), esodati (260.000), cassaintegrati ( alla fine del 2013 oltre 1.100.000 domande presentate ) .

Il terzo stato, l’unico producente effettiva ricchezza, dalla quale deriva il differente sostentamento di tutte le altre classi, sta vivendo una crisi senza speranza; una crisi che sta producendo calo del PIL, chiusure continue di attività produttive, licenziamenti, delocalizzazioni ed episodi sempre più diffusi di drammatici suicidi di piccoli e medi imprenditori.

Quando questo terzo stato non fosse più in condizione di far fronte ai propri e dovuti adempimenti fiscali (IVA.IRPEF, oltre alla miriade di tasse e imposte generali e locali che, complessivamente hanno largamente superato il 50 % dei redditi prodotti), basterebbe un calo delle entrate nelle casse dello Stato in uno dei trimestri di scadenza dell’IVA, per far saltare il sistema.

Si corre, infine, il rischio di una saldatura oggettiva di interessi tra il terzo e il quarto stato con la formazione di una miscela esplosiva  alla quale c’è solo un modo per evitare la rivolta sociale:

a) cambiare la rotta della politica economica, che è stata sottratta all’autonoma competenza dello Stato da illegittimi e nulli regolamenti comunitari, con la riduzione della pressione fiscale e il taglio drastico della spesa pubblica e la messa in vendita del patrimonio pubblico disponibile;

b) ricostruire la politica complessiva economica, finanziaria e monetaria dell’Europa a partire dall’attribuzione alla BCE del compito di prestatore di ultima istanza e stampatore di moneta, lo voglia oppure no frau Merkel, pena la fine assai più traumatica della stessa Unione Europea.

Sul piano istituzionale italiano, invece, e subito dopo le elezioni europee di Maggio servirebbe senza indugio convocare gli stati generali che, nell’attuale ordinamento repubblicano, significa indire  una nuova assemblea costituente, o eleggere un nuovo parlamento con funzione costituente.

Svanite le speranze che componenti rilevanti dei ceti produttivi, specie nel Nord, avevano riposto nella Lega agli inizi degli anni’80, e delusi dal fallimento del “ miracolo berlusconiano” dell’ultimo ventennio, terzo e quarto stato, con porzioni significative dei “ diversamente garantiti” si sono sin qui rifugiati nell’astensionismo elettorale e nel voto di protesta grillino.

Tentare di esorcizzare il Movimento Cinque Stelle con gli assurdi e improvvidi riferimenti al nazi fascismo (vedi Berlusconi e Vendola) assomiglia molto a quell’anticomunismo alla “Candido”, secondo cui  i comunisti “mangiavano i bambini”.

Il 25 Maggio assisteremo allo tsunami della politica italiana e ciò che si determinerà al posto dell’unità dei moderati, ancora una volta incapaci di sintesi, sarà la saldatura degli arrabbiati dalle cui attese e bisogni si dovrà necessariamente ripartire con il rilancio di una rinnovata speranza di matrice popolare.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 18 Maggio 2014



6 maggio 2014

La nostalgia del divo Giulio

A un “DC non pentito” come me,  di Andreotti vorrei evidenziare  una delle caratteristiche più attrattive della sua personalità: la straordinaria disponibilità all’ascolto e a insegnare a noi più giovani esponenti della quarta generazione democristiana, i passaggi più difficili della vicenda politica, così come la discutevamo con grande passione e assoluta libertà nei Consigli nazionali della DC a Piazzale Sturzo all’EUR.

Erano incontri nei quali Andreotti sempre in prima fila, prendeva i suoi immancabili appunti sul quaderno con la copertina nera, e dopo lunghe ore di dibattito, mentre risaliva i gradini della sala del consiglio nazionale, quella in cui spiccava al centro del palco il quadro di De Gasperi rappresentato da Annigoni ( a proposito mi sono sempre chiesto  che fine abbia fatto quel cimelio storico, dopo che, scomparsa la DC, ebbi la sventura di rivisitare Palazzo Sturzo nel completo abbandono, in uno dei primi consigli nazionale del CDU di Buttiglione) si fermava con grande generosità a dialogare con noi più giovani che gli ponevamo tante domande, ricevendo le sue come sempre argute e illuminanti risposte.

Da componente del CN della DC nella lista di Forze Nuove, fu assai travagliato il nostro rapporto con il capo di una corrente veramente mai gestita in prima persona dal divo Giulio, semmai sempre affidata ai luogotenenti fidati, Evangelisti, Sbardella, Lima prima e poi Cirino Pomicino e Nino Cristofori, con il seguito sempre garantito dei ciellini osannanti alle performance politiche del loro presidente di riferimento.

Un giudizio complessivo sulla sua lunga storia sarà fornito dagli storici futuri e, credo, non potrà che essere alla fine largamente positivo. Confrontando gli uomini di quella generazione, Andreotti, Fanfani, Moro, la seconda del partito, dopo quella dei popolari come De Gasperi, Gonella, Scelba, con questi “mezzomini e ominicchi” contemporanei, ogni paragone sarebbe fuorviante.

Resta, ovviamente, tuttora valido e difficilmente controvertibile quanto un leader storico della DC come Carlo Donat-Cattin amava, in ogni occasione, ammonirci; ossia che bisognava rispettare, ed anche temere, l’intelligenza politica di Giulio Andreotti, ma che bisognava sempre diffidare dell’andreottismo.

Per riuscire a capire a fondo cosa ha rappresentato l’andreottismo nella storia della DC e della Prima Repubblica al di là delle facili giustificazioni degli amici  o delle sommarie liquidazioni degli avversari di parte serve una ben più rigorosa analisi dei documenti lasciatici in eredità con il distacco proprio di chi non è più parte attiva della contesa politica contingente.

Con lo scomparso e compianto  amico Sandro Fontana condividiamo quanto da lui scritto in occasione del 90° compleanno di Andreotti: “col passare degli anni e di fronte allo spettacolo deprimente della lotta politica odierna, il cosiddetto andreottismo ha finito col rappresentare ai miei occhi soprattutto una grande lezione di metodo. La quale non consisteva tanto nel banalizzare ogni vicenda politica, quanto nel riuscire ad isolare ogni problema concreto dalle inevitabili sovrastrutture ideologiche e passionali e nel cercare, con pazienza e determinazione, di sciogliere i numerosi nodi che l’insipienza e la malafede degli uomini avevano reso inestricabili”.

Da parte mia a una domanda rivoltami dal giornalista Giuliano Ramazzina in un libro intervista (“ALEF un futuro da Liberi e Forti”- ME Publisher) così formulata: “State sempre in maggioranza, diceva Toni Bisaglia durante le sue famose cene con gli amici. Il potere logora chi non ce l'ha, diceva Giulio Andreotti. E' più emblematica, nel disprezzo delle minoranze, la frase di Toni Bisaglia  o quella di Giulio Andreotti ?” risposi così:

“Quella di Toni è l’espressione di un doroteismo che, già con lui e, soprattutto dopo di lui, diventerà degenerazione culturale e morale. Ricordo uno degli ultimi interventi pubblici di Bisaglia in cui, con grande capacità di autocritica, denunciò l’esistenza di una questione morale tra le file dei suoi e di altri amici della DC che sarebbe stata all’origine della scomparsa di quel partito. Eravamo agli inizi degli anni ’80, dopo una tornata elettorale in cui era scoppiato il fenomeno da noi non compreso della Liga Veneta. Interi paesi e quartieri in cui eravamo abituati a conoscere pressoché la totalità degli elettori della DC, vedevano crescere il consenso al movimento dei Tramarin prima e dei Rocchetta dopo, senza che si potessero riconoscere i loro riferimenti territoriali. Fu allora che organizzammo un gruppo di lavoro multidisciplinare per cercare di comprendere le ragioni di quanto stava accadendo. E proprio discutendo dei risultati di quell’indagine, nella sala delle Conchiglie a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, Bisaglia con toni accorati pronunciò quella sua profetica sentenza. Era oramai troppo tardi. Molti dei suoi amici ed anche altri si erano da tempo incamminati sulla strada della separazione degli interessi, specie di quelli personali, dai valori. E fu così che il doroteo polesano che si fregiava del fatto che, a differenza di Mariano Rumor, il leader storico dei dorotei veneti, non aveva avuto parte alla congiura dei “salmodianti della Domus Mariae” e che a noi giovani in diversi incontri alla DC di Rovigo, teorizzava il valore della conquista del potere quale strumento indispensabile per orientare la politica verso quella mediazione corretta tra interessi e valori, dopo quasi trent’anni di vita parlamentare,dovette accorgersi che qualcosa di grave era intervenuto. Qualcosa che avrebbe travolto di lì a pochi anni con la DC veneta un’intera classe dirigente. Andreotti non è mai stato doroteo, avendo sempre curato una sua piccola, almeno all’inizio, corrente, chiamata con il nome rassicurante di “Primavera”. Circoscritta dapprima a Roma e nel Lazio, dopo la crisi dei dorotei che si consumò nella rottura intervenuta tra Rumor e Bisaglia in un drammatico consiglio nazionale, al quale partecipai, dopo la sconfitta sul referendum sul divorzio, la corrente andò progressivamente allargandosi. Franco Evangelisti ne era il Tigellino fedele ed efficientissimo. Evangelisti era quello del: “a Fra' che te serve”, rivolgendosi a Francesco Caltagirone, allora disistimato palazzinaro romano, a capo di una dinastia oggi tra le più rispettabili dell’Italia, a destra, come al centro e a sinistra. Ma sarà con l’adesione degli Sbardella, dei Pomicino, Scotti e dei siciliani con Salvo Lima, che la corrente del divo Giulio diventerà uno dei capisaldi della DC post dorotea nella quale prevalse il dominio dei basisti demitiani, grazie proprio all’appoggio determinante degli andreottiani. Se prima i dorotei, specie quelli veneti, avevano dimostrato senso della misura e della loro innata capacità di stare a tavola, con Andreotti, si ebbe la dimostrazione dell’immutabilità della condizione del potere. Sino alla sciagurata decisione di opporsi all’ultimo voto all’elezione di Arnaldo Forlani alla presidenza della Repubblica, ultimo atto di una tragedia che, con Scalfaro presidente, assumerà i toni della tragicommedia.”

Luci ed ombre nella vita politica di un uomo che, in ogni caso, concorse in maniera determinante a garantire all’Italia quasi cinquant’anni di pace ininterrotta nella difesa della libertà e in una fase di ricostruzione dell’unità europea che, non a caso, Andreotti ebbe da subito, incompreso anche fra molti di noi più giovani,  la consapevolezza dei rischi che correvamo con la riunificazione tedesca. Non a caso egli osava affermare con la consueta ironia : “ amo talmente la Germania da desiderarne due”.

Purtroppo l’idea di europeizzare la Germania attraverso l’Atto Unico (1987)  che fu il capolavoro politico di Andreotti da ministro degli esteri del governo Craxi durante il semestre di presidenza italiana di quell’anno , non si è attuata e ci troviamo oggi, invece, a fare i conti  con una germanizzazione dell’Europa che rappresenta il grande tema affidato, ahimé,  a questi  nuovi politici senz’arte né parte. Non a caso sale da molti la nostalgia del divo Giulio……

Ettore Bonalberti
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Venezia, 6 Maggio 2014



Primi passi verso l'unità

A due settimane dal voto  europeo sta finendo a sportellate tra NCD e Forza Italia.

Alfano e Toti se le danno di santa ragione accreditandosi l’un l’altro di “ voto inutile”.

L’UDC è silente, preoccupata soltanto di garantire un posto a Strasburgo al loro leader Cesa.

Con queste miserie in campo non bastano le solite chiamate al voto anti sinistra “del Cavaliere dimezzato” .

Meno male che qualcosa si muove sul fronte degli ex DC e popolari, com’ è avvenuto ieri a Roma,  con il consiglio nazionale allargato di Rinascita Popolare, il movimento guidato dall’On Publio Fiori.

Hanno partecipato, tra gli altri, l’On Saltamartini del NCD, Rocco Buttiglione per l’UDC, Mario Tassone per il CDU, il sottoscritto per l’associazione Democrazia Cristiana (ADC) e il prof Antonino Giannone per l’associazione dei Liberi e Forti ( ALEF).

Unanime l’impegno a ritrovarsi dopo il voto di Maggio in una grande assemblea nazionale per tentare di dar vita a una confederazione dei popolari con la confluenza di tutti i vari gruppi e movimenti che fanno riferimento ai valori del popolarismo e della Democrazia Cristiana, con pari dignità.

Una confederazione che sappia far lievitare dal basso i fermenti presenti nel mondo cattolico e laico cristianamente ispirati, per aiutare a far emergere una nuova classe dirigente e a  costituire un nuovo soggetto politico laico, popolare, democratico, riformista, europeista, transnazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

Unanime anche la consapevolezza che ai problemi del turbo o finanz-capitalismo, l’unica risposta concreta è quella indicata dalle ultime encicliche sociali della Chiesa ( “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI e “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco).

Da lì si intende ripartire per una nuova Camaldoli programmatica dei popolari italiani.

E, intanto, No al patto scellerato del Nazareno, Si a una nuova assemblea costituente, rappresentativa di tutte le culture politiche presenti nel Paese per riformare il patto costituzionale;  No al fiscal compact prodotto da regolamenti comunitari illegittimi e impegno per una nuova Europa liberata dal predominio tedesco.

Consapevoli tutti che, alla drammatica e anomala  situazione politico istituzionale ed economico sociale del Paese, o si è in grado di dare una risposta pacifica in senso democratico o finirà con il prevalere con la protesta la ribellione degli italiani.

Il terzo stato, quello dei lavoratori autonomi e delle PMI,  che produce e crea la ricchezza su cui vivono protetti e per una netta minoranza stra-garantiti ( la cupola dei privilegiati) i componenti degli altri due stati, non ne può più e il risultato si sconterà con il voto di Maggio.

Ora è tempo dell’unità dei popolari.

Ettore Bonalberti
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Inoperosi disimpegni

«Ti diciamo tutto ciò con franchezza - si legge nella missiva ad Alfano - anziché continuare con mormorii e incazzature che alimentano frustrazioni e insoddisfazioni che potrebbero sfociare in inoperosi disimpegni» alle prossime elezioni.

Inoperosi disimpegni:  è la minaccia rivolta da sedici senatori del NCD ad Angelino Alfano per il modo in cui si sono costruite le liste per le europee e il tipo di conduzione del partito.

Casus belli: l’inserimento nelle liste del Sud di Cesa e Scopelliti.

In realtà Alfano aveva compiuto un grave errore già prima,  quando non diede alcun ascolto alle sollecitazioni provenienti dalla nostra associazione Democrazia Cristiana, dal partito dei Popolari per l’Italia di Mario Mauro, dal CDU di Mario Tassone e di Rinascita Popolare di Publio Fiori.

Intestardirsi sul simbolo del NCD con il pesante riferimento personale ad Alfano, mentre si poteva cogliere l’occasione unico per lanciare la Confederazione o Unione dei Popolari italiani, è stata la dimostrazione di un’incauta sopravvalutazione narcisistica destinata al fallimento.

Alle europee, a chi come noi considera scellerato il patto del  Nazareno con le clausole dell’Italicum e la trasformazione del Senato con l’utilizzo dell’art.138 da parte di una maggioranza parlamentare fraudolenta, espressione largamente minoritaria della volontà dell’elettorato italiano, resta un unico obiettivo: far saltare l’accordo Renzi-Berlusconi per andare alle elezioni politiche con il sistema elettorale proporzionale derivato dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il porcellum.

Se Forza Italia e Alfano continuano a sostenere Renzi è affar loro. Ai popolari italiani compete un’altra strada, tutta da costruire in salita con uomini nuovi e una diversa idea dell’Europa e dell’Italia.

Una nuova Camaldoli, dopo le elezioni europee, andrà convocata, come gli stati generali dei popolari italiani, per definire la proposta politica popolare quale nuova speranza offerta all’Italia per il prossimo Parlamento costituente.

Ettore Bonalberti
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Pasqua di Resurrezione 2014



Il bene del Paese

Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si sono rincontrati ieri sera a Palazzo Chigi “ per il bene del Paese” e avrebbero concordato : voto sul ddl di riforma del Senato entro il 25 maggio e poi via libera all’Italicum.

E’ questo il bene del Paese o solo le ultime performances preelettorali di due partiti in fibrillazione che tentano disperatamente la loro sopravvivenza? Restiamo ai fatti.

Un PD, che alle ultime elezioni politiche ha raccolto meno del 30 %, grazie ai meccanismi dichiarati illegittimi del porcellum, ha il controllo di tutte le istituzioni del Paese: presidenza della Repubblica, presidenza delle due Camere e un presidente del consiglio, il terzo degli ultimi non eletti, segretario del suo partito, non scelto  dai soli sui legittimi iscritti e che ieri sera ha potuto procedere alla nomina dei massimi vertici delle principali aziende pubbliche italiane. A tutto ciò si aggiunga il dominio prevalente della cultura di sinistra nei massimi organi giurisdizionali e siamo a una situazione di governo dell’Italia  che nemmeno il vecchio Togliatti si sarebbe mai sognato per il suo partito.

Un’occupazione dell’Italia in perfetto stile bolscevico. Fosse avvenuto al tempo della DC o del berlusconismo trionfante avremmo le barricate nelle piazze.

Un partito di Forza Italia alla rotta di Caporetto, con un leader in attesa di conoscere se e quali margini di agibilità politica gli riserverà la magistratura, costretto a mendicare udienza dal Giamburrasca fiorentino e a garantire allo stesso la continuità di un patto scellerato attraverso il quale i due del Nazareno mirano a conservare un bipolarismo anomalo e a realizzare  una trasformazione istituzionale dell’Italia per vie improprie e illegittime.

Noi ci auguriamo che con il voto alle europee gli elettori italiani sapranno far saltare questa inquietante situazione di evidente patologia del sistema, per creare le condizioni favorevoli a un ritorno di normalità democratica.

Serve un nuovo parlamento eletto con il sistema configurato dalla decisione della Corte costituzionale con funzione costituente, indispensabile per procedere alle non rinviabili riforme costituzionali, espressioni non degli interessi esclusivi dei due partiti declinanti, ma dell’autentica realtà del Paese.

E servirebbe tanto più coraggio per ricostruire al centro quell’unità dei popolari della cui cultura politica  l’Italia ha una tremenda necessità.

Ettore Bonalberti
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Un timido passo avanti

L’accordo siglato da Alfano (NCD) e Cesa ( UDC) al quale si è associato l’amico Mario Mauro (Popolari per l’Italia) costituisce un seppur timido passo avanti verso la ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana italiana.

Avremmo voluto molto di più, consapevoli che non si poteva e non si può ridurre il processo alla mera sommatoria delle componenti attualmente presenti nel parlamento nazionale.

Esistono decine e decine di gruppi, movimenti, associazioni che si ispirano ai valori dell’umanesimo cristiano con i quali l’amico Gianni Fontana, presidente dell’associazione Democrazia Cristiana, ha saputo tessere ottimi rapporti.

Con loro e con il contributo degli amici di Rinascita Popolare (Publio Fiori) e del CDU (Mario Tassone) abbiamo elaborato un’interessante piattaforma politico programmatica ( tre giorni di Sant’Anselmo-3,4,5 Gennaio 2014) che potrà contribuire in maniera significativa alla prossima Camaldoli da convocare subito dopo le elezioni europee.

Un contributo importante è stato pure offerto dagli amici “Popolari per l’Italia” di Mario Mauro, Lorenzo Dellai e Andrea Olivero.

Ecco perché salutiamo con favore l’adesione che Mario Mauro ha assicurato, con la sua candidatura, nelle liste NCD-UDC .

Avremmo preferito una maggiore apertura e disponibilità da parte di Alfano e Cesa: non c’è stata e ne prendiamo atto con rammarico.

Mario Mauro ha compiuto una decisione intelligente e generosa che dovrà accompagnarsi all’annuncio pubblico del patto federativo che abbiamo condiviso con gli amici Fontana, Fiori e Tassone.

Chi avrà più filo tesserà più tela, ricordando a chi aspira alla leadership del nuovo futuro soggetto politico popolare, democratico, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, che la leadership non si conquista per grazia ricevuta, né, tantomeno, con chiusure pregiudiziali e egoistiche presunzioni.

Al III° congresso nazionale di Venezia della DC (2-5 Giugno 1949) , Alcide De Gasperi, di fronte alle istanze profondamente innovatrici dei dossettiani emergenti, non si rinchiuse nella fortezza della sua solida maggioranza, ma chiese a tutti di “ mettersi alla stanga” per condurre insieme il partito.

Un insegnamento e un monito per coloro che aspirano all’eredità di quella grande storia politica.

Intanto, però, lavoriamo per sostenere questa prima tappa di un più vasto e partecipato percorso politico.

Ettore Bonalberti
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16 Aprile 2014

Stati generali prima della presa della Bastiglia

La situazione politica, economica, sociale e culturale del Paese non può essere risolta attraverso il patto scellerato del Nazareno e non saranno Renzi e Berlusconi a sciogliere i nodi strutturali che stanno soffocando l’Italia.

Stracciato il precario equilibrio dei tre poteri con il superamento dell’art.68 della Costituzione, assistiamo da troppo tempo allo strapotere della magistratura che, in taluni casi, ha assunto una funzione oggettivamente supplente del vuoto lasciato dalla politica e, in altri, un ruolo esorbitante in grado di esercitare interventi distorsivi del costituzionale potere  primigenio che la costituzione  attribuisce alla sovranità popolare.

Un Paese lacerato che si ritrova, infine, a dover fare i conti con quell’ircocervo dell’Unione Europea, formalmente rappresentato dal Parlamento ubiquitario tra Bruxelles e Strasburgo, e sostanzialmente esercitato dalla Commissione europea e dalle diverse magistrature sovranazionali e, giù per li rami, dalle complesse e articolate tecnostrutture comunitarie.

Se facciamo un confronto tra l’Italia del 1948, quella che poté esprimersi elettoralmente a Costituzione repubblicana approvata, e quella odierna, dovremo riconoscere lo stato di grave degenerazione sistemica cui siamo giunti.

Nel 1948, DC e PCI, i partiti che esprimevano le culture politiche prevalenti del Paese, erano espressione di quasi l’80% dell’intero corpo elettorale, con straordinaria capacità di rappresentanza degli interessi e dei valori delle classi, gruppi sociali e movimenti presenti nella società italiana. Oggi, PD e ciò che resta del Pdl, rappresentano meno di un terzo dell’intero corpo elettorale, considerata l’astensione dal voto di quasi il 50% degli elettori.

Anomalia delle anomalie: un terzo presidente del consiglio non eletto, è il segretario di un partito che rappresenta meno di un terzo dei voti espressi, ossia meno del 15% dell’intero corpo elettorale,  e controlla, di fatto,  l’intero potere di tutte le istituzioni pubbliche italiane.

Pensare che con il patto del Nazareno, da molti considerato scellerato, si possa procedere alle modifiche del sistema costituzionale, attraverso ripetuti colpi d’ariete con l’art.138, da un Parlamento delegittimato e da una maggioranza che è sostanziale minoranza nel  Paese, è semplicemente delirante, frutto della semplificazione di quei due giganti  fiorentini del pensiero politico: Matteo Renzi e Denis Verdini.

Da tempo sosteniamo che serve un cambiamento radicale di sistema che può essere fatto, tuttavia, o democraticamente, con un Parlamento costituente eletto a suffragio universale rappresentativo di tutte le componenti politiche, sociali e culturali del Paese; oppure ci si arriverà, ahimè,  per strade violente e non compatibili con le regole di una democrazia funzionante.

Non saper leggere ciò che accade a livello sociale, economico e culturale nel Paese è il risultato di una pochezza politica delle attuali componenti in campo, ognuna delle quali sta vivendo un travaglio dolorosissimo, solo in parte reso esplicito, ma che, sin dalle prossime elezioni europee è destinato ad esplodere in forme ancora difficilmente prevedibili.

Facciamo nostra l’analisi di Aldo Canovari sulle tre Italie in cui oggi si ritrova l’assetto sociale del Paese:

- “La prima è quella costituita da una cupola di privilegiati (grosso modo, in base ai parametri di calcolo adottati, circa 500 mila - 1.000.000 di persone), che occupano posti elevati in organismi pubblici centrali o territoriali di natura politica, giudiziaria, amministrativa, posti super-retribuiti e per di più sicuri e garantiti. E' quella stessa cupola che nel corso degli ultimi decenni ha realizzato sperperi e folli deficit.

- La seconda è costituita dal gran numero dei dipendenti pubblici di livello medio-basso, i quali sono pagati poco, costretti spesso, contro la loro volontà, a non essere produttivi, il cui privilegio (non trascurabile) è quello della sicurezza del posto, unita spesso alla gratificazione di poter esercitare un qualche potere sui cittadini privati.

- La terza è costituita da quei tanti cittadini che producono effettivamente ricchezza (piccoli e medi industriali, artigiani, commercianti, professionisti, chi svolge un'attività autonoma in genere e i milioni di individui che lavorano alle loro dipendenze).

Tutti costoro operano nelle condizioni di rischio tipiche di ogni attività privata medio-piccola: fallimento se imprenditori; perdita del lavoro-licenziamento se dipendenti. Li potremmo chiamare, ricorrendo a un'analogia non troppo forzata con la situazione dell'Ancien régime intorno agli anni 1760-1786, membri servili della società, soggetti alla cosiddetta taglia reale, in quanto sudditi di rango inferiore.”

Una teoria dei tre stati che trova il suo corrispettivo nello sgretolamento della rappresentanza sociale, culturale e politica degli interessi e dei valori di riferimento di quegli stessi attori sociali. Prima, i grandi partiti esprimevano le culture prevalenti esistenti in Italia e rappresentavano gli interessi di blocchi sociali omogenei e consistenti; oggi, rischiano di rappresentare solo la parte prevalente della prima classe, quelli della casta, una parte minoritaria della seconda, quella dei diversamente tutelati, mentre” il terzo stato” è ridotto ad astenersi o a farsi rappresentare, un tempo dalla Lega, e adesso dal Movimento Cinque Stelle.

Servirebbero i Voltaire, Diderot e D’Alambert dell’89, in grado di dare voce e autorevolezza a questo moderno “terzo stato”; si tenta, invece, di far passare  la vulgata del Nazareno, e la prova del nove si avrà con le elezioni europee del 25 Maggio.

Credo che gli italiani non si faranno gabbare, avendo consapevolezza che, allo stato in cui siamo giunti, servirà, prima  gli stati generali ( elezioni politiche senza i trucchi dell’Italicum) e poi, la riforma della Costituzione e dell’intero assetto dello Stato in una nuova Europa. Passaggi indispensabili se vogliamo evitare che, dopo gli stati generali, arrivi la Pallacorda e poi, la presa cruenta della Bastiglia…….

Ettore Bonalberti
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Venezia, 16 Aprile 2014



31 Marzo 2014

Dell’iniquità fiscale

Ho iniziato a interessarmi della politica quando ero ancora adolescente, agli inizi degli anni’60, sul tema: come pagano le tasse gli italiani.

Trovavo anacronistico che in quegli anni si continuasse un sistema di prelievo fiscale non molto diverso da quello in uso nel Regno dei Borboni. Al posto degli antichi gabellieri del Re si erano sostituiti i datori di lavoro, le ricevitorie dei monopoli di stato e, soprattutto, progressivamente sempre più incidenti, i gestori delle pompe di benzina. Erano e lo sono tuttora i nuovi gabellieri permanenti dello Stato sovrano.

Nel Dicembre 1991, in un articolo per la rivista della sinistra sociale DC di Forze Nuove, Terza Fase- n.12/91, scrivevo: “ l’introduzione del welfare state alla fine degli anni’60, che è stata una delle grandi conquiste della DC e del centro-sinistra, si è accompagnata alla riforma fiscale del 1974, voluta dall’allora ministro del PRI, Bruno Visentini, che determinò la scissione tra il momento dell’autonomia ed il momento della responsabilità, ossia il venir meno di uno dei capisaldi fondamentali di tutto l’insegnamento sturziano, con l’instaurarsi di una pericolosissima prassi fondata su un unico sportello centralizzato delle entrate e oltre 30.000 sportelli incontrollati e incontrollabili della spesa, con le conseguenze ben note sul piano del deficit pubblico.

Da un punto di vista strutturale, con la trattenuta fiscale alla fonte dei redditi di lavoro dipendente ( con i datori di lavoro pubblici e privati in funzione di esattori fiscali per conto dello Stato), si realizzava una condizione assurda e iniqua per cui il peso prevalente del welfare state veniva pressoché totalmente sostenuto dalle categorie a reddito di lavoro accertabile, mentre largo spazio all’accumulazione veniva lasciato ai detentori di capitali finanziari destinati a sostenere con l’acquisto dei titolo il debito pubblico. Di qui  un sistema vizioso in cui si drenano i capitali dai redditi di lavoro e di impresa e si pompano gli interessi del debito pubblico sino al punto attuale in cui tutte le entrate ( siamo nel 1991!!) dell’IRPEF sono appena sufficienti a pagare gli interessi complessivi di BOT e CCT”.

Erano i tempi in cui il deficit della finanza pubblica superava la cifra di 1.300.000 miliardi di Lire che era già enorme anche se, nemmeno lontanamente paragonabile a quella attuale  di oltre 2100 miliardi di € , quasi quattro volte il deficit di 23 anni fa.

La stretta fiscale sempre più incisiva che, alla fine degli anni ’70 e agli inizi degli ’80, fu avviata, costituì una delle cause delle fortune del fenomeno leghista nell’area pedemontana padana. Fenomeno che, con andamento sinusoidale irregolare, si è conservato sino a far occupare alla Lega le posizioni di vertice delle regioni  Veneto, Lombardia e Piemonte.

Qualcosa rispetto allora è cambiato? In realtà assai poco, dato che ai maggiori controlli e alle autentiche vessazioni fiscali della costituita Agenzia delle entrate, non si è mai accompagnata la riduzione della spesa pubblica e con il calo della crescita, siamo giunto all’attuale valore del debito pubblico  di oltre il 134% del PIL, secondo soltanto, in Europa,  a quello della Grecia.

Non solo l’avvento dell’euro e le mancate riforme che esso avrebbe dovuto comportare hanno  contribuito  ad aggravare la situazione economica e finanziaria del Paese, ma è la stessa struttura sociologica che si è venuta trasformando come si è tentato di rappresentare con la teoria dei nuovi tre stati in un precedente articolo.

Un testo del 2007 di Charles Adams, For Good and evil, forse la più affascinante e ampia rassegna storica che analizza quale sia stata l'influenza della tassazione sull'economia, sulla politica e sulla civiltà, ripercorre le vicende più rilevanti della politica tributaria dei governi, a partire dalle grandi civiltà del mondo antico, come Egitto, Grecia classica e Roma, fino ai nostri giorni.

Gli insegnamenti che si traggono dalle esperienze del passato attraverso questo "giro del mondo della tassazione" sono molti e illuminanti. E ve n'è uno particolarmente appropriato e utile alla situazione del nostro Paese. L'eccesso di tassazione è sempre la conseguenza dell'eccesso di spesa, cioè dello sperpero di "denaro pubblico" (meglio, di denaro dei privati-sudditi) da parte dei governanti, a vantaggio loro o delle loro clientele: questa rapina legalizzata conduce inevitabilmente all'evasione fiscale e spesso alla rivolta.

Aldo Canevari commentando questo libro sintetizza così cinquemila anni di storia fiscale:

  • La gran parte degli eventi traumatici della storia furono causati da rivolte fiscali.
  • Il cittadino ha il sacrosanto diritto ad opporsi alle rapine tributarie (diritto di appello al cielo di Locke).
  • I cittadini di una nazione si dividono in due categorie fondamentali: 1) I Consumatori di tasse (tax consumers); 2) I Pagatori di tasse (tax payers).
  • I primi rappresentano una minoranza composta dai parlamentari, consiglieri regionali e loro clientele, alti burocrati, vertici degli organi istituzionali, amministratori di aziende e agenzie pubbliche e para-pubbliche, di società partecipate. Il loro numero può essere stimato in un ordine di grandezza di 500.000 individui (circa l’1% dei contribuenti).
  • I secondi rappresentano circa il 99% dei contribuenti.
  • L’evasione è perlopiù effetto dell’abuso del potere impositivo.
  • La propensione media all’evasione è direttamente proporzionale alla pressione tributaria.
  • La vera causa del deficit non è l’evasione, ma l’eccesso di spesa.
  • La formula No Taxation without Representation è ormai inadeguata (perché i rappresentanti al Parlamento rappresentano in realtà solo i propri interessi e quelli delle proprie clientele).
  • È necessario quindi separare il potere di spendere da quello di tassare.
  • La proporzionalità è un principio. La progressività è un arbitrio.
  • I governanti dovrebbero conoscere, capire, e avere sempre davanti agli occhi la Curva di Laffer e tendere alla Flat Tax.
Credo si possano condividere le sue conclusioni che sono così espresse:

In Italia, la pressione tributaria è ai massimi livelli tra le nazioni civili. Le angherie tributarie, l’incomprensibilità delle norme, l’incertezza giuridica, le arbitrarie presunzioni a favore del fisco, l’inversione generalizzata dell’onere della prova a carico del contribuente pongono i cittadini alla mercé del fisco degradandoli al rango di servi della gleba.

In Italia, a fronte di una tassazione spogliatrice, lo Stato non rende i servizi in nome dei quali sottrae al cittadino molto più della metà del suo reddito e confisca risparmi già tassati, per destinarli agli sperperi delle oligarchie parlamentari, burocratiche, giudiziarie, clientelari.

In Italia, attraverso una norma di recente introduzione (art. 29, D.L. n. 78/2010, e D.L. n.138/2011), gli atti di accertamento (che per più del 60% in sede contenziosa risultano infondati) daranno luogo a riscossione immediata di un terzo della maggiore imposta pretesa, pur in pendenza di ricorso, e quindi pur nella consapevolezza che nel 60% dei casi la pretesa tributaria è illegittima e il pagamento da parte del contribuente non dovuto

In Italia, quindi, è stato reintrodotto il principio del solve et repete: un principio incivile, dispotico, contrario al diritto e alla dignità del cittadino, un principio inaccettabile, micidiale sul piano etico e giuridico, che provocherà danni incalcolabili all’economia e alla sopravvivenza delle imprese e dei privati contribuenti.

Con l’entrata in vigore di questa folle legge la situazione economica del nostro Paese, già seriamente pregiudicata, verrà ulteriormente aggravata e spinta al collasso.

A tutto questo si è aggiunta l’ultima follia degli ultimi governi i quali in luogo di tagliare drasticamente le spese ha saputo solo imporre ulteriori pesanti inasprimenti fiscali che hanno esasperato ancor più il cittadino.

Questo avvilente quadro sintetizza solo alcuni aspetti della dissennatezza-cecità del legislatore. Pretendere, in tale assetto di rapina legalizzata, che i cittadini assolvano correttamente all’obbligo tributario, e scandalizzarsi se non lo fanno, è ipocrisia o idiozia. E, poiché è stata valicata ogni ragionevole soglia di sopportazione, potrà innescarsi in tempi brevi una vera e propria rivolta.

Quello che abbiamo connotato come “ il secondo e il terzo stato” del XXI secolo non ne può veramente più e se non si trovano rimedi urgenti è pronto alla rivolta.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 31 Marzo 2014


26 Marzo 2014

Veneto, Lombardia e la rivolta annunciata del terzo Stato

L’esito plebiscitario del referendum virtuale del Veneto per la secessione e quello annunciato di Regione Lombardia per il suo riconoscimento di regione a statuto speciale, sono i segnali di un’ inquietudine sociale foriera di sviluppi imprevedibili.

Aldo Canovari, con una lettera al Foglio del 28 Febbraio scorso, ha descritto in maniera esemplare  la nuova stratificazione sociale e di classe della società italiana, partendo dalla constatazione che: “non esiste in realtà un soggetto socio-economico che possa chiamarsi “Italia”. Esistono almeno tre Italie, e ben diverse tra loro:

- La prima è quella costituita da una cupola di privilegiati (grosso modo, in base ai parametri di calcolo adottati, circa 500 mila – 1.000.000 di persone), che occupano posti elevati in organismi pubblici centrali o territoriali di natura politica, giudiziaria, amministrativa, posti super-retribuiti e per di più sicuri e garantiti. E’ quella stessa cupola che nel corso degli ultimi decenni ha realizzato sperperi e folli deficit.

- La seconda è costituita dal gran numero dei dipendenti pubblici di livello medio-basso, i quali sono pagati poco, costretti spesso, contro la loro volontà, a non essere produttivi, il cui privilegio (non trascurabile) è quello della sicurezza del posto, unita spesso alla gratificazione di poter esercitare un qualche potere sui cittadini privati.

- La terza è costituita da quei tanti cittadini che producono effettivamente ricchezza (piccoli e medi industriali, artigiani, commercianti, professionisti, chi svolge un’attività autonoma in genere e i milioni di individui che lavorano alle loro dipendenze).

Tutti costoro operano nelle condizioni di rischio tipiche di ogni attività privata mediopiccola: fallimento se imprenditori; perdita del lavoro-licenziamento se dipendenti. Li potremmo chiamare, ricorrendo a un’analogia non troppo forzata con la situazione dell’Ancien régime intorno agli anni 1760-1786, membri servili della società, soggetti alla cosiddetta taglia reale, in quanto sudditi di rango inferiore.”

Quanto ai primi, grosso modo la nuova casta dei privilegiati, sono quelli che con più forza si oppongono al mutamento dello status quo, da cui ricavano sicurezza e privilegi di ogni sorta.

La recente sortita di Moretti, AD di Trenitalia, è la dimostrazione di come cambi la mentalità degli uomini quando, grazie alla politica e/o al sindacato, oltre alle loro personali doti, salgono nella scala della mobilità sociale, dal rango di operatori sindacal-politici a quello di manager di aziende di stato dai compensi n- volte superiori a quello del Presidente della Repubblica o del Capo del governo.

E’ la prima grande struttura socio-politico e amministrativa su cui usare il bisturi di una chirurgica operazione di disboscamento e allineamento delle competenze, funzioni e retribuzioni a quello che Adriano Olivetti, nella sua utopia di “Comunità” indicava come il massimo da riconoscere ai manager: non più di dieci volte lo stipendio dell’ultimo dei suoi impiegati.

Ovviamente nel caso dei parlamentari si tratterà di rivedere anche  gli emolumenti attuali di uscieri e commessi che hanno raggiunto livelli che gridano vendetta agli altri soggetti del secondo e terzo stato.

Operare sul primo livello, quello della casta, significa una rivoluzione dell’assetto  istituzionale dello Stato, che solo un’assemblea costituente da convocare a tamburo battente potrà realizzare, se si vogliono evitare soluzioni violente, i cui segnali sono presenti nel corpo sociale dell’Italia

La situazione dei componenti del secondo livello andrebbe affrontata con due provvedimenti strettamente connessi, al fine di garantire l’accesso ai diversi ruoli delle persone effettivamente capaci e meritevoli, in grado di mantenersi tali lungo il loro lavoro, e per garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge:

a) eliminazione del ruolo con posto fisso nella PA, espressione di un’esigenza di stabilità della burocrazia propria di una società rurale a misura di Policarpo De Tappeti, del tutto anacronistica nella nuova realtà tecnotronica a frenetica evoluzione e mutamento;

b) estensione ai dipendenti pubblici della stessa tutela garantita ai lavoratori del settore privato con lo statuto dei lavoratori.

Chi non può più tollerare gli abusi e i privilegi del primo stato e le garanzie in molti casi incomprensibili del secondo, sono proprio coloro che appartengono al terzo stato di cui scrive Canovari. Il loro grado di intolleranza è giunto al limite della sopportazione e quanto è accaduto nel Veneto e accadrà in Lombardia, sono solo i segnali anticipatori di  un moto sociale popolare che finirà con il coinvolgere ampi strati della società italiana. In definitiva la parte che contribuisce in materia decisiva a mantenere i privilegi della casta e l’inamovibilità del secondo stato.

Qui, condividendo la tesi di Canovari, non si tratta di ghigliottinare delle teste, anche se i garruli e imprudenti Moretti faranno bene a levarsi dalle sedie che occupano se si sentono sottopagati, quanto piuttosto ghigliottinare i privilegi e i diritti acquisiti che non sono più compatibili con la situazione sociale, economica, finanziaria e  politica dell’Italia.

O lo facciamo pacificamente per via istituzionale e amministrativa con una nuova assemblea costituente o saranno soluzioni radicali violente quelle cui ci dovremo preparare ad affrontare.

Resta grande come una montagna il tema dell’imposizione fiscale e della sua evasione, alla vigilia di una rivolta ormai prossima al suo manifestarsi. Di questo scriveremo in un prossimo articolo.

Ettore Bonalberti
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“L’indipendenza veneta”: una provocazione da non sottovalutare

Si è svolta in Piazza dei Signori a Treviso la cerimonia di chiusura del referendum promosso dal sito: www.Plebiscito.eu di Gianluca Busato.

Sono stati 2 milioni 360mila 235 voti, pari al 73% del corpo elettorale regionale i voti espressi. I sì sono stati 2 milioni 102mila 969, pari all'89%, i no 257.276 (10,9%).

Almeno questi sono i dati comunicati dagli organizzatori.

Come promesso, Gianluca Busatto ha proceduto a  proclamare di fronte a qualche migliaio di persone “l’indipendenza del Veneto”., con queste parole:

quando la testimonianza della storia viene convocata dal tribunale del presente come retaggio e forte voce di libertà e modello di serenità e giustizia. Quando un popolo invoca il diritto di autodeterminazione come diritto naturale e fondamentale dell'individuo e che da questi si estende alla famiglia, alla comunità e alla nazione....

La consultazione referendaria e la proclamazione di stasera, Costituzione alla mano, non hanno, ovviamente, alcun valore formale, men che meno istituzionale. L'art. 5 della Carta sancisce che “ la Repubblica italiana è una e indivisibile”.

Una proposta di referendum per il Veneto indipendente esiste, tuttavia, anche in Consiglio regionale Veneto, ferma in prima commissione, dopo che già un comitato di giuristi aveva spiegato che la "via legale" alla separazione dall'Italia non esiste. I leghisti in consiglio stanno sollecitandone la più rapida approvazione che, la consultazione on line appena conclusa, ovviamente, concorre a velocizzare.

Sebbene ci si trovi di fronte a un’ evidente provocazione, abilmente sfruttata dagli improvvisati nuovi leader secessionisti,  sarebbe assai grave non coglierne tutta la portata politica. Al di là della veridicità reale delle cifre annunciate,  trattasi di una dimostrazione di malessere  che sembra riprendere, in maniera assai più ampia e  generalizzata, la vecchia partita avviata agli inizi degli anni’80 da Franco Rocchetta, presente in Piazza dei Signori a Treviso e Achille Tramarin, fondatori della primigenia Liga Veneta.

Come “libera manifestazione del pensiero” nulla da eccepire, guai se, però, ne  sottovalutassimo il suo significato e le conseguenze politiche di tale pronunciamento.

Ogni anno, come ha ricordato il governatore Zaia, il Veneto consegna a Roma 21 miliardi di tasse che non rientrano e basta leggere il bell’articolo del prof. Ulderico Bernardi, espressione autorevole dell’idea autonomistica sturziana e popolare dei veneti, sul Gazzettino di ieri, per comprendere che il più grave errore sarebbe quello di mettere la testa sotto la sabbia e non dare risposte politiche e istituzionali alla rabbia dei veneti.

Alla vigilia delle elezioni europee solo una ripresa delle grandi culture politiche, tra cui quella popolare resta la più genuinamente legata all’idea di un’Europa diversa dall’attuale, ispirata ai valori comunitari propri dei padri fondatori: Adenauer,De Gasperi e Schuman, può offrire qualche risposta positiva alle attese che anche questo referendum virtuale esprime.

Ettore Bonalberti
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Assemblea costituente o default dell'Italia

Non se l’aspettava nemmeno Gianluca Busato, l’ideatore del referendum per l’autonomia del Veneto, il risultato che, secondo i dati comunicati ieri sera, confermerebbe il SI all’autonomia di oltre un milione e mezzo di veneti.

Da anni scriviamo dell’opportunità di superare l’assurda residua distinzione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Il Veneto confinante con il Friuli V.Giulia e il Trentino AA.AA. da molto tempo conduce la sua battaglia, non tanto per ridurre l’autonomia dei cugini altoatesini e friulani, quanto per acquisirne altrettanta per i veneti.

Da tempo sosteniamo l’idea che va rivisto l’intero assetto istituzionale dell’Italia, che non può più permettersi 20 regioni, 20 consigli regionali e loro società e agenzie derivate per puntare a realizzare l’idea di Miglio di un Paese confederato di quattro cinque macroregioni dotate di forti autonomie e collegate con un governo centrale al quale, dopo la mal riuscita sin qui costruzione dell’Europa, resterebbe solo il potere militare e della politica economica e finanziaria nazionale, atteso che si è colpevolmente perduto quello della sovranità monetaria, confinata a  una Banca centrale europea che non funziona come prestatore di ultima istanza, e lo stesso potere giudiziario è di fatto ancillare rispetto a quello comunitario.

Insomma un caos istituzionale al quale difficilmente può dare risposta il movimentismo improvvisato renziano o la facile scorciatoia del referendum veneto.

Al dr Busato e all’amico Zaia, oltre a ricordar loro che l'art. 5 della Costituzione

sancisce “che l'Italia é una ed indivisibile “ e che il codice penale, all'art. 241, punisce gli atti violenti e idonei a menomare la indipendenza ed unità dello Stato. Così come  l'art. 283 punisce il compimento di atti violenti idonei a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo, vorremmo evidenziare che  risulta alquanto bizzarro e improprio  il loro richiamo all'art. 10, comma primo, della Costituzione in cui si dice che la Repubblica riconosce le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, fra le quali il diritto all'autodeterminazione dei popoli previsto all'art. 1 della legge n. 881/1977  che ratifica la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.

Più seria può diventare la minaccia di rivolta fiscale che, dopo un solo mancato versamento dell’IVA da parte dei contribuenti all’agenzia delle entrate e contestuale versamento alla tesoreria della Regione, metterebbe in crisi inesorabilmente la tenuta finanziaria dello Stato.

Pensare, tuttavia, che nel tempo del turbo capitalismo finanziario che ha messo in ginocchio l’economia reale e resa subalterna la politica a poteri forti incontrollati e incontrollabili, si possa dare risposta con improbabili ribellismi localistici, mi sembra inseguire progetti di giovanilismo politico.

O si procede sulla strada maestra della convocazione di una nuova assemblea costituente, con metodo proporzionale e sbarramento al 4-5 %, con il compito di riscrivere compiutamente il nuovo assetto dello Stato su base federale o assisteremo all’inesorabile default dell’Italia.

Ettore Bonalberti
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8 Marzo 2014

Cinque proposte concrete per il governo del Paese

Alla proposta di Renzi e Padoan di utilizzare i residui fondi strutturali per ridurre tasse e cuneo fiscale, la Commissione europea ha detto di NO: quei fondi non si toccano e potranno essere utilizzati solo per gli obiettivi per i quali sono stati istituiti e sui quali le diverse realtà regionali, soprattutto meridionali, hanno già presentato (fondi 2006-2013)  e si accingono a presentare (fondi 2013-2020) le loro proposte.

Un bel rompicapo quello che dovranno risolvere Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro, tanto più complesso considerando la politica degli impegni mensilmente scanditi da Renzi con la sua politica dei velocissimi annunci.

In realtà, se non si affrontano i nodi essenziali del nostro rapporto con l’Europa, dalla situazione iugulatoria dell’Italia, resa ancor più drammatica dagli impegni assunti , per il fiscal compact, addirittura in sede costituzionale, il default del Paese è assicurato.

Consigliamo a Matteo Renzi la lettura di due interessanti contributi al dibattito su Europa ed Euro provenienti da due autorevoli esponenti del pensiero politico di ispirazione popolare.

Per prima cosa il presidente del Consiglio dovrebbe assumere nell’agenda politica italiana ed europea la conclusione dell’ultimo saggio del prof Guarino ( “ Un saggio di verità sull’Europa e sull’euro-1.1.1999 il colpo di Stato”)  secondo cui, con l’euro, siamo in presenza di una “moneta falsa” poiché risultante di regolamenti attuativi del trattato di Maastricht illegittimi, in quanto distinti e distanti, addirittura contrapposti,  dagli e agli obiettivi indicati da quel trattato, unico legittimamente vincolante per gli Stati che l’hanno sottoscritto.

In secondo luogo dovrebbe considerare quanto l’amico Prof Nino Galloni, esperto economico finanziario dell’associazione “ Democrazia Cristiana”, ha analizzato e descritto nel suo ultimo saggio:” Eurocidio”: o si recupera la nostra sovranità monetaria a livello europeo e/o nazionale, oppure si muore.

Ecco, in estrema  sintesi,  “un programma in pochi punti per cominciare”, così come proposto da Galloni nelle ultime pagine del suo saggio; un programma che anche noi, come democratici cristiani, abbiamo assunto alla base della nostra proposta politica:

1. NETTA SEPARAZIONE TRA I SOGGETTI CHE OPERANO SUI MERCATI FINANZIARI SPECULATIVI E LE BANCHE CHE DEVONO ASSICURARE IL CREDITO ORDINARIO ALLE IMPRESE ED ALLE FAMIGLIE (questo è il primo punto che comporta tassi di interesse il più possibile bassi – le banche non guadagnano solo sulla differenza tra interessi attivi e passivi, ma soprattutto sull’acquisizione di somme dai mutuatari e dai prenditori – in quanto la principale garanzia per le banche stesse è la solidità e non la catastrofe del debitore)

2.RIPRISTINO DELLA SOVRANITA’ MONETARIA DEGLI STATI CHE LA POSSON
ANCHE DELEGARE, MA NON CANCELLARE (quindi, o l’euro completa il suo percorso attuale – che si è differenziato dopo il 2011 dal progetto originario – per favorire lo sviluppo, i grandi investimenti infrastrutturali e gli ammortizzatori sociali oppure è meno peggio ritornare alle valute nazionali)

3. POLITICA DEL DEBITO PUBBLICO FINALIZZATA A RIDURRE IL PESO DEGLI INTERESSI SULLA SPESA: OFFERTA DI TITOLI A BREVE TERMINE CON TASSI ENTRO IL 2% E ACQUISTABILI ANCHE CON TITOLI A PIU’ LUNGO TERMINE;  SPOSTAMENTO DEL DEBITO FUORI DAL PERIMETRO DELLO STATO CON LA FORMAZIONE DI UN FONDO DI GARANZIA ALIMENTATO CONFERENDO IL PATRIMONIO IN USO ALLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI; VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO PUBBLICO MEDIANTE AFFITTI DA UTILIZZARE PER RIDURRE IL DEBITO (a regime si libereranno oltre 80 miliardi di euro all’anno che sono la differenza tra il gettito fiscale e quanto lo Stato e gli enti locali restituiscono all’economia)

4. RIPOSIZIONAMENTO DELLO STATO TRA L’ILLEGALITA’ CHE DEVE VENIR      COLPITA COL MASSIMO DELLA FORZA E L’IRREGOLARITA’ CHE DEV’ESSERE   AFFRONTATA E RISOLTA ATTRAVERSO LA COOPERAZIONE TRA CITTADINI E FUNZIONARI IN UN’OTTICA DI AMICIZIA CON LE ISTITUZIONI CHE, NEI POSSIBILI CONFLITTI TRA LETTERA DELLA LEGGE E SPIRITO DEL DIRITTO, VENGANO MESSE SEMPRE IN CONDIZIONIE DI POTER SCEGLIERE QUEST’ULTIMO (si tratta di un passaggio fondamentale per la democrazia anche ai fini della rapidità nelle autorizzazioni e nelle procedure in genere)

5. PROMOZIONE DI TUTTE QUELLE TECNOLOGIE PER L’ENERGIA, L’ALIMENTAZIONE DEI MEZZI DI TRASPORTO E LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI CHE GARANTISCONO EMISSIONI NOCIVE NEI LIMITI DELLE NORMATIVE IN VIGORE, EMISSIONI GENOTOSSICHE (CANCEROGENE) ZERO, MINIMIZZAZIONE DEI COSTI (questo è l’aspetto più importante e difficile del programma perché, oltre ad avvicinare la piena occupazione, implicherebbe il rivoluzionamento degli attuali assetti geopolitici a livello internazionale e la negazione dell’intesa tra delinquenza e classe politica a livello locale/nazionale).

Attendiamo il governo alla prova dei fatti, sulla base di proposte concrete che non potranno prescindere, se vorranno essere efficaci ed efficienti, dagli orientamenti su indicati.

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Venezia, 8 Marzo 2014



7 Marzo 2014

Gli ukase dell’UE e la propaganda renziana

Come ci ricordava alcuni giorni or sono un caro amico esperto di questioni europee, il rapporto del 5 Marzo  della Commissione UE ha ribadito per l’Italia i seguenti punti:

1) nessuno sforamento del rapporto deficit/ pil del 3% sarà tollerato dalla UE senza prima avere fatto riforme pesanti, rapidissime ed ineludibili;

2) l'Italia ha un’economia troppo grande per farla fallire. Ciò produrrebbe scompensi anche alla Germania, Olanda, Benelux, Austria ecc.

In sintesi le riforme che ci chiedono insistentemente di fare sono:

1) riduzione della pubblica amministrazione centrale e locale ed adozione della già prevista mobilità a livello regionale e nazionale del personale. Pensiamo al troppo personale a sud nella Sanità ed al poco presente a nord nel segmento infermieristico (del resto, nel settore privato questa é la regola da sempre, vedi caso Fiat);

2) riforma dei procedimenti giudiziari civili per velocizzarli e potenziamento dei giudici onorari con ampliamento della loro funzione in supporto ai giudici ordinari;

3) ritorno ai salari differenziati fra nord e sud, aboliti con la contrattazione collettiva, in base al diverso costo della vita;

4) contratti di lavoro a tempo indeterminato che consentano di non applicare il divieto di licenziare con la tutela reale del posto e la reintegrazione (abrogazione parziale dell'art. 18 della legge 300/1970);

5) privatizzazione delle banche, eliminando le fondazioni in cui i partiti mettono loro uomini (la cosa consentirebbe ai gruppi esteri di acquistare le banche italiane);

6) diminuzione significativa , in considerazione dei risparmi di spesa di cui sopra, della tassazione sul reddito.

Questa era la ricetta della BCE sin dal 2011, così come indicato nella lettera dell'agosto di quell'anno, avviso di sfratto al governo Berlusconi che collasserà nel Novembre, come ben analizzato nel recente pamphlet di Alan Friedman ( “ Ammazziamo il Gattopardo”)

Se analizziamo la linea tenuta da UE, BCE e FMI, é sempre stata questa ed ancora adesso, non se ne discostano. Anche l’On Tajani, commissario italiano della UE, ribadisce l’esigenza di fare subito queste cose e, pare, che anche il presidente del consiglio Renzi sia d'accordo, per bocca del ministro Padoan (vedi intervista sua su “Il sole 24 ore” del 6 Marzo scorso).

Chi si attendeva chissà quali rivoluzioni avrebbe introdotto  Renzi nella politica italiana verso l’Europa, dopo la sua recente sbiadita apparizione a Bruxelles non può che essere rimasto profondamente deluso.

Ciò che sin qui emerge è il solito tentativo di addebitare al predecessore, in questo caso il collega amico da lui silurato, Enrico Letta e al suo ministro del Tesoro Saccomanni, la responsabilità di aver esposto dati di bilancio alterati, quanto alle proiezioni sul tasso di crescita del PIL per il 2014. Denuncia seccamente smentita dall’ex ministro Saccomanni che ha definito questi commenti “incomprensibili e immotivati”.

I prossimi giorni ci diranno se e come Matteo Renzi intende corrispondere ai sei punti dell’ukase comunitario e dal tipo di risposta avremo modo di valutare le concrete volontà di un esecutivo sin qui assai prodigo negli annunci e avarissimo nelle risposte politico istituzionali conseguenti.

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Venezia, 7 Marzo 2014



18 Febbraio 2014

Limiti del turbocapitalismo e necessità dell’idea popolare

La notizia dei danni causati dagli eventi climatici che hanno interessato il sud della Gran Bretagna stimati sui tre miliardi di sterline, conseguenza, secondo molti osservatori inglesi, dei mancati interventi di ordinaria manutenzione del sistema idraulico forestale, a causa della spending review del governo Cameron, fa ricordare quell’azzeccata denuncia di Leo Longanesi riferita all’Italia: “ Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”.

Più in generale, però, apre un dibattito sui limiti di quel conservatorismo compassionevole che sta alla base di molte politiche del welfare nord europeo e americano e delle politiche di protezione civile, espressioni anch’esse dei limiti di un capitalismo occidentale che ha assunto caratteri imprevedibili  e al di fuori delle classiche teorie critiche marxiste, nell’attuale forma del turbo capitalismo finanziario.

Non a caso la denuncia di questi limiti attuali del capitalismo è stata puntualmente espressa nelle ultime encicliche sociali della Chiesa, con particolare accentuazione nella “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco, che ha suscitato non poche reazioni soprattutto negli Stati Uniti.

Ed è proprio partendo da questa denuncia e dalla consapevolezza di una fase storica assolutamente nuova e diversa che caratterizza questa seconda decade del XXI secolo, che possiamo riconoscere i limiti delle vecchie culture politiche, scomparse sul piano interno e in via di rapido esaurimento su quello internazionale.

Come nella fase della prima rivoluzione industriale, nella seconda metà dell’800, toccò alla “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII indicare la terza via ai cattolici di tutto il mondo tra capitalismo liberistico e marxismo, così agli inizi del XXI secolo, con la rivoluzione informatica e della globalizzazione, sono la “Centesimus Annus” di Papa Giovanni Paolo II, la “Caritas in veritate “di Papa Benedetto XVI e “l’Evangelii  Gaudium” di Papa Francesco, a denunciare i limiti del turbo capitalismo, non solo sul piano economico sociale, ma nell’accertata capacità di corrompere le fondamenta stesse della democrazia, così come l’abbiamo concepita dalla Rivoluzione francese in poi.

Non è più la politica a determinare gli obiettivi, secondo criteri e metodi di partecipazione e legittimazione democratica, ma è la finanza a decidere e la politica ridotta a una funzione ancillare e strumentale al servizio dei fini che quella finanza impone a livello internazionale, con le inevitabili ricadute sulle diverse società nazionali sempre più connesse.

Ed è così che l’economia,  che dall’ambito domestico ( oikonomia) divenne nel ‘700 con Adam Smith e Verri economia politica, si trasforma in un meccanismo infernale che, con derivati e edge funds, è riuscita a produrre titoli spazzatura per quasi 50 volte il valore del PIL mondiale, con tutte le conseguenze sul sistema bancario che di quelle funzioni finanziarie è stato il distorto strumento operativo, e, soprattutto, sull’economia reale sempre meno supportata e ridotta a condizioni di assoluta insostenibilità.

Ecco perché sentiamo la necessità di ricollegarci ai principi alternativi di quell’economia civile introdotti al tempo del trionfante utilitarismo da Antonio Genovesi ed altri, nel troncone dei quali va ascritta l’economia sociale di mercato della scuola  dell’Ordoliberalismo di Friburgo di Walter Eucken, ispiratrice della CDU e CSU di Konrad Adenauer, Ludwig Erhard e Franz Josef Strauß.

Ed ecco perché pensiamo che ,nell’età della globalizzazione e del turbo capitalismo finanziario, sia necessario per i cattolici e i laici cristianamente ispirati che intendono la politica come la più alta forma di carità e lo strumento per il perseguimento del bene comune, tornare all’impegno più largamente condiviso, attraverso la formazione di un soggetto politico nuovo popolare, laico, democratico, riformista, europeista, transnazionale, cristianamente ispirato.

Ciò è tanto più indispensabile nel tempo del deserto della politica italiana nella quale si confrontano con alti tassi di trasformismo, le guasconate renziane, con le illusioni berlusconiane e le intemerate infruttuose del grillismo.

Tre pseudo culture politiche incapaci di offrire una prospettiva seria e credibile all’Italia che, mai come in questo momento, ha bisogno di un più forte collegamento con le culture politiche ispirate dai principi dell’economia sociale di mercato e orientate a creare un più vasto mercato euro atlantico ed euroasiatico. E in questo deserto delle culture politiche saranno il popolarismo europeo e i partiti che ad esso si ispirano, i portatori della cultura vincente in Europa e in Italia.

Di qui l’esigenza che, quanti si ritrovano su tale prospettiva, superando inutili e colpevoli divisioni,  mettano insieme le loro forze per avviare nella nuova fase politica la rifondazione della Repubblica.

Ettore Bonalberti
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Venezia, 18 Febbraio 2014



7 Febbraio 2014

Appunti per  il cantiere dei  popolari

Un sogno che era iniziato nel dicembre 2008 con la formazione dei circoli veneti di Insieme (www.insiemeweb.net), sviluppatosi nel 2009 con la nascita di ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti-convegno di Lonato del Garda) da un’idea scaturita in un colloquio in treno con l’amico Mario Guadalupi portata avanti con gli amici Giorgio Zabeo e Antonino Giannone, concretizzatasi nell’ufficio di Fiorella De Septis  a Roma (2011)  con la nascita di Fe.de.li.f. ( Federazione dei Liberi e Forti) con gli amici Publio Fiori, Lillo Mannino e altri, sembrò attuarsi con la convocazione del consiglio nazionale della storica DC nel marzo 2012, dopo la sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 che aveva sancito non essere mai stata sciolta giuridicamente la Democrazia Cristiana.

Quella convocazione fu il risultato di uno sforzo congiunto con l’amico Silvio Lega ( oltre 15 mesi) di noi antesignani del ritorno di un partito di cattolici nella politica italiana, che permise di celebrare il XIX Congresso nazionale della DC nel Novembre 2012; un congresso, ahimè, le cui conclusioni sono state sospese dalla magistratura a seguito di improvvidi ricorsi dei soliti democristiani pentiti  più o meno in malafede.

Da quella condizione di sospensione degli atti congressuali, contro la quale è aperto un contenzioso, siamo ripartiti con Gianni Fontana che, dal Marzo 2012, si è preso sulle spalle il pesante fardello di capo traghettatore di un processo assai arduo e complesso, con il quale avevamo inteso e intendiamo consegnare il testimone di una tradizione politica, quella della migliore Democrazia Cristiana e dei Popolari,  a una nuova generazione di politici, di cui l’Italia ha assoluta necessità. E’ nata così nel giugno 2013 l’associazione Democrazia Cristiana di cui Gianni Fontana è stato eletto alla Presidenza, dopo le due avvenute conferme alla segreteria della ricostituita DC.

Abbiamo fatto  quella scelta e continuiamo a sostenerla da “medici scalzi”, privi di potere e di risorse se non quelle di una grande volontà e ferma fedeltà alla nostra migliore storia e ai nostri valori.

Durante il percorso accidentato e nelle temperie di una situazione politica interna e internazionale sempre più difficile, abbiamo conosciuto contrasti, divisioni, rinunce, abbandoni, a dimostrazione di tutto il malessere di una diaspora durata vent’anni e che intendiamo definitivamente superare.

Se, da un lato, abbiamo assistito al venir meno delle culture politiche che hanno fatto la storia di questa Repubblica, sino al deserto attuale, in cui si tenta artificiosamente e con un progetto di legge elettorale iniquo di ridurre la rappresentanza dell’Italia al trio Berlusconi-Renzi-Grillo, dall’altro, al centro di un confronto drammatico tra un turbo capitalismo finanziario che ha ridotto la politica a fattore residuale degli interessi finanziari prevalenti incontrollati e incontrollabili, sino ad annullare la stessa concezione della democrazia e il ruolo degli istituiti politici rappresentativi, ancora una volta, una risposta e una speranza sono giunte dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Ed è proprio partendo dalla necessità, che sentiamo forte come un dovere morale, di tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI e dell’”Evangelii Gaudium “di Papa Francesco, che abbiamo deciso di mantenere senza soluzione di continuità il nostro impegno.

Con l’assemblea di domani, 8 febbraio a Roma, convocata dagli amici “Popolari per l’Italia” di Mario Mauro, Lorenzo Dellai e Andrea Olivero, si compie un ulteriore significativo passaggio con l’avvio di un cantiere al quale intendiamo partecipare per concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico popolare, democratico, riformista,europeista, transnazionale di ispirazione cristiana.

E vi parteciperemo insieme agli amici di Rinascita Popolare ( Publio Fiori), del CDU ( Mario Tassone), rispettosi nei confronti di questi ultimi delle decisioni che assumeranno con il loro congresso convocato il 14 e 15 Marzo p.v., e con quanti altri ( gruppi, movimenti, associazioni, cooperative, università , centri di formazione) hanno contribuito con noi alla stesura della piattaforma programmatica della tre giorni svoltasi alla badia primaziale di Sant’Anselmo a Roma il 3-4-5 Gennaio e sottoscritto sempre con noi il patto federativo nell’assemblea del 18 e 19 Gennaio a Roma. Anche la condivisione di una proposta di codice etico che una commissione della nostra associazione ha doverosamente redatto andrà assicurata dalla costituenda confederazione.

Sappiamo che, dopo l’assemblea di domani al Tempio di Adriano, un comitato costituente sarà definito con la partecipazione paritetica delle diverse parti interessate. Sarà necessario indire una nuova Camaldoli dei Popolari italiani  riuniti in confederazione  per il programma e, soprattutto, attivare dal basso in tutte le regioni, province e comuni dell’Italia, dei comitati di comunità popolare attraverso i quali mobilitare i cittadini su alcuni grandi temi:

1) l’opposizione alla legge elettorale  liberticida scaturita dall’accordo Renzi-Berlusconi e il sostegno ad un rinnovo del parlamento con la legge indicata dalla corte costituzionale, al fine di assegnare al prossimo parlamento una funzione costituente espressiva delle principali culture politiche rappresentative della società italiana;

2) l’idea di una nuova Europa sostenitrice di un grande progetto euro-mediterraneo, euro-atlantico ed euro-asiatico, l’unico in grado di far uscire il nostro continente dalla gravissima situazione economica, finanziaria, sociale, culturale e morale in cui l’ha ridotta un  capitalismo finanziario deviato e alternativo a quei principi di economia civile e sociale di mercato cui intendiamo ispirare la nostra azione politica. Un’idea per la quale la migliore tradizione democratico cristiana e popolare ispirata agli orientamenti della dottrina sociale cristiana costituisce elemento fondamentale sul quale intendiamo costruire il nuovo soggetto politico popolare, democratico, riformista, europeista e transnazionale nel quale possano confluire le tradizioni migliori dell’Europa che si ricollegano ai principi e ai valori dei suoi padri fondatori Adenauer, De Gasperi e Schuman.

Solo così si potrà dare pratica risposta alle attese di un Paese che sta vivendo la più grave crisi economica, sociale, politica  e istituzionale della storia repubblicana.

Ettore Bonalberti
Roma, 7 Febbraio 2014



28 Gennaio 2014

Economia civile: è l’ora del popolarismo


Gli  ultimi dati di Bankitalia denunciano un aumento della povertà e la ricchezza in mano al 10% della popolazione;  con oltre il 40% della disoccupazione giovanile e una disuguaglianza sociale sempre più forte, il quadro politico è rappresentato da un’astensione dal voto di oltre il 50% degli elettori e la vita politica nelle mani degli ultimi esponenti di una Repubblica in grave crisi.

Con una situazione economica, sociale, culturale e morale tra le più gravi di tutta la storia repubblicana, la politica si trova a dover fare i conti con le ultime resistenze di un vecchio Cavaliere mai domo, un giovane rampante dalla incerta cultura e collocazione strategica, e un comico alla guida della protesta che cova sotto le ceneri. Tutti e tre, per motivazioni diverse, fuori del Parlamento ridotto a un ectoplasma senza potere.

Ci avviciniamo così a un voto europeo in cui finiranno con il prevalere i partiti  più avversi al disegno mal riuscito di un’Europa lontana mille miglia dal sentir medio dei suoi cittadini.

E’ evidente che il classico conflitto destra-sinistra derivato dalle vecchie ideologie ottocentesche non ha più senso, nel momento in cui il nuovo scontro a carattere globale è quello in atto dagli inizi del ‘2000 tra un turbo capitalismo finanziario sempre più potente e la politica ridotta ad assecondare interessi e bisogni di “lor signori” a scapito di masse di cittadini sempre più poveri e  con una progressiva riduzione al nulla della stessa democrazia formale e sostanziale.

Tale situazione è nata il 12 novembre 1999, allorché il presidente USA Bill  Clinton promulgò, sulla base di  una decisione  voluta da una camera a maggioranza repubblicana sotto la spinta dei grandi gruppi bancari e finanziari,  una nuova legge bancaria promossa dal rappresentante Jim Leach e dal Senatore Phil Gramm, nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act che superava e annullava la vecchia Glass Steagall, dando libero campo alla possibilità  delle banche di operare speculazioni finanziarie che hanno portato alla circolazione di derivati tossici che hanno raggiunto il valore astronomico pari a 50 volte l’intero PIL del pianeta.

Analogamente in Italia, nove anni prima, la vecchia legge bancaria era superata da quella Amato ( legge 30 luglio 1990, n. 218 ) che, stabilendo una ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico,  avviò un processo di cambiamento del sistema bancario italiano che ha permesso anche alle banche italiane di esercitarsi nella rischiosissima arte speculativa, abbandonando la funzione specifica per cui esse  erano nate di raccoglitrici dei risparmi da erogare alle attività produttive dell’economia reale.

Unica lettura seria e approfondita di questa nuova realtà è venuta dalla dottrina sociale della Chiesa, con l’enciclica di Papa Benedetto XVI “ Caritas in veritate” e di Papa Francesco, “ Evangelli Gaudium”, il cui capitolo IV è interamente dedicato alla nuova situazione sociale.

Ecco perché riteniamo sia giunto il momento di mettersi ancora una volta in gioco come movimento di cattolici e laici cristianamente ispirati, per tentare di concorrere a superare questa nuova e per molti versi drammatica situazione nazionale, europea e mondiale; consapevoli che il confronto-scontro non è più quello tradizione tra capitale e lavoro che ha caratterizzato larga parte della vicenda politica del XIX e XX secolo, ma quello tra turbo capitalismo finanziario nelle mani di pochi operatori e una nuova politica economica che, in Italia come in Europa e nel mondo, dovrà ispirarsi ai principi e ai valori dell’economia civile e sociale di mercato.

Non ci pare che nessuna delle proposte portate avanti da questi esangui ultimi esponenti della politica italiana, espressioni delle sub culture che hanno sostituito quelle a base ideologica di una fase politica ormai superata, siano portatrici di questa consapevolezza e sostenitrici di conseguenti scelte politiche, economiche, finanziarie e istituzionali.

Ecco perché, da cattolici democratici, ci sentiamo impegnati a concorrere alla costruzione di un vasto movimento politico e culturale, interno e transnazionale, atteso che i problemi si dovranno necessariamente affrontare a quel livello; un movimento aperto, popolare, democratico, riformatore, europeista, cristianamente ispirato.

Ecco perché puntiamo alla costruzione di una comunità a solidarietà organica, con quanti, cattolici e laici cristianamente ispirati, intendono perseguire l’obiettivo di una comunità solidale in grado di sostenere e gestire una democrazia autenticamente partecipata con una rinnovata classe dirigente che possa sostituire, finalmente, quella che ha dimostrato sin qui enormi deficit di credibilità morale, politica, asservita al proprio “particulare” e/o agli interessi delle lobbies più forti interne e internazionali.

E’ questa la grande novità emersa nella conferenza stampa organizzata presso la sala stampa della Camera dei deputati, dall’associazione Democrazia Cristiana,  martedì 28 gennaio, dall’On Gianni Fontana, presidente dell’associazione, il quale ha annunciato per la prossima settimana un incontro con numerose associazioni e movimenti presenti nella vasta galassia del mondo cattolico che hanno espresso la loro adesione al progetto di patto popolare.

Significative le adesioni al progetto per la costruzione del nuovo soggetto politico: quella    confermata dall’associazione che proprio nella stessa giornata della conferenza stampa hanno costituito il gruppo dei popolari per l’Italia guidato dall’On Mario Mauro, Lorenzo Dellai e Andrea Olivero; dal gruppo di di Rinascita Popolare presieduta dall’On Publio Fiori e dal CDU dell’On Mario Tassone, presente alla conferenza stampa con il sen Eufemi.

Hanno partecipato alla conferenza stampa anche gli amici On Alessandro Forlani, Angelo Sanza del Centro democratico, e Gianfranco Rotondi di Forza Italia.
Ora si attendono le decisioni di altri gruppi politici di cultura popolare appartenenti ai diversi schieramenti in  campo, che sentono forte il richiamo a una testimonianza politica coerente con le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa in una fase di straordinaria trasformazione dello scontro sociale, economico e politico in questo avvio del XXI secolo.

Ettore Bonalberti
Componente ufficio di Presidenza
Associazione Democrazia Cristiana
Roma, 28 Gennaio 2014



22 Gennaio 2014

Quei due del Nazareno

Dobbiamo prendere atto che qualcosa di nuovo è avvenuto e non di poco conto.

Spiace che nel PD  si sia dovuto attendere l’arrivo alla sua guida di un pischello fiorentino dall’aria fonziana per riconoscere ciò che era costume consolidato nel vecchio PCI di togliattiana e berlingueriana memoria:  il lucido realismo nel riconoscere ruolo e funzione dell’avversario politico, specie, se, come nel caso del Cavaliere, sino a poco tempo fa, era alla guida del primo partito d’Italia.

No, per vent’anni se ne è voluto disconoscere ruolo e funzione, costruendo sulla sua demonizzazione larga parte della strategia e della tattica operativa del vecchio (PDS-DS) e del nuovo partito (PD).

Ecco perché assistiamo alle convulse agitazioni di un PD che, prima, corre spedito al voto per spingere Berlusconi alla dannazione del reo, e, subito dopo, stabilisce con lui un patto per le riforme, un patto per vent’anni ostinatamente  negato.

Nel merito di quel patto siglato nella sede di Via del Nazareno, alla prima lettura non ho potuto che gridare allo scandalo di un sistema elettorale che sembrava voler far indossare all’Italia una casacca spagnola lontana dalle mode e dai costumi nazionali.

Il recupero del secondo turno di ballottaggio tra le coalizioni maggiori che non raggiungano il 35 % del voto al primo turno, toglie la rigidità di quel sistema, aspirando a delineare un bipolarismo inevitabilmente forzato, sin qui infausto per il governo dell’Italia.

Si propone, alla fine, un ircocervo italico nel quale si ritrovano elementi diversi dei sistemi elettorali spagnolo, tedesco e francese; insomma un menù alla carte, appetibile ad ogni palato.

Da vecchio “DC non pentito” mi limito a osservare che nel 1953, i nonni degli attuali eredi postcomunisti senza più cultura, definirono “legge truffa” la proposta di De Gasperi di un premio di maggioranza alla coalizione che avesse raggiunto il 50% più uno dei consensi elettorali. La criminalizzarono e per quarant’anni abbiamo dovuto subire continue crisi di governo pur nella continuità della DC, favorita dal fattore K. Una DC che, in ogni caso, veleggiava sempre oltre la soglia del 35%.

Oggi, nel deserto della politica e nella frantumazione delle forze politiche, si tenta di far passare un sistema premiale riservato ai due partiti più forti, in grado di raggiungere  una soglia del 35%, più vicino alla famigerata legge Acerbo d(18 novembre 1923)  voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare, che alla “legge truffa” del 1953.

Questo della bassa soglia richiesta per far scattare il premio è il primo nodo da sciogliere, cui si aggiunge quello di  un valore troppo elevato del premio stesso (18%) destinato a falsare significativamente l’orientamento del consenso elettorale.

Quanto al tema delle liste corte e bloccate, esso rappresenta il punto concreto della mediazione gestita da Verdini per il duo del Nazareno:  un sistema per continuare a garantire a Berlusconi la scelta dei suoi fedelissimi nani e ballerine di corte, e a Renzi quello di un gruppo parlamentare a sua immagine e somiglianza.

Non sono mai stato un appassionato cultore delle preferenze,  considerato che, nella cosiddetta “Prima Repubblica”, furono spesso alla base dei fenomeni di corruttela e del giro disinvolto non tanto di valori, ma di molta filigrana di ambigua provenienza e sconcia distribuzione.

Diffido pertanto di coloro che ne esaltano il ruolo taumaturgico di garanzia democratica e libertà degli elettori, anche se la proposta del “renzuscone” così come formulata risulta del tutto inaccettabile.

Credo che si potrebbe anche competere con liste corte e bloccate, ma, in quel caso, la scelta dei candidati nei partiti  andrebbe fatta attraverso elezioni primarie, con regole obbligatorie, democratiche e di ampio controllo pubblico.

Resta la vicenda giocata un po’ troppo alla buona del mutamento del ruolo e funzione del Senato e del modificato titolo V della Costituzione; temi di natura e competenza costituzionale che reclameranno doppia lettura e voto qualificato dei due terzi, pena il ricorso alla verifica referendaria, stavolta con un PD su posizioni esattamente alternative a quelle con cui fecero cadere la frettolosa riforma del 1986.

Agli amici del NCD, dei Popolari per l’Italia e di Scelta civica, il compito di giudicare se tale accordo intervenuto al di fuori e, di fatto, contro l’attuale maggioranza di governo, possa essere accolto ed eventualmente emendato, o se, invece, non convenga far saltare il banco e andare alle elezioni con la legge elettorale proporzionale uscita dalla Corte costituzionale (sbarramento alla camera del 4 % e al senato dell’8%) attribuendo valore costituente alla prossima legislatura in cui si dovrà procedere necessariamente alle modifiche costituzionali coerenti con il sistema elettorale che si vorrà alla fine adottare in funzione del modello istituzionale prescelto: parlamentare, cancellierato, presidenziale o semi presidenziale .

Una decisione che spetterà anche alla minoranza del PD, possibile maggioranza nel Parlamento, la quale oggi sconta le dimissioni del presidente del Partito, Gianni Cuperlo, e domani chissà……

Auguriamoci che i consigli del saggio Macaluso siano raccolti dai più giovani rampolli di una grande cultura politica che sembra non esserci più.

Ciò che proponiamo è un processo di riforma che parta dalla Costituzione, con un parlamento costituente eletto dal popolo  e non da una raffazzonata legge elettorale scritta frettolosamente e a vantaggio esclusivo dei due contraenti espressioni di ambigue e superficiali culture politiche.

Ettore Bonalberti
Venezia, 22 Gennaio 2014



21 Gennaio 2014

Risposta a Bartolo Ciccardini

Caro Bartolo,

ho letto con attenzione il tuo augurio ai partecipanti all’assemblea dei democratici cristiani riuniti a Roma il 18 e 19 Gennaio per il patto federativo.

Come sempre ho apprezzato la tua capacità di analisi e di ricostruzione storica degli avvenimenti che hanno caratterizzato la lunga stagione democristiana alla guida del Paese e la drammatica fase della diaspora, tuttora aperta, e solo timidamente avviata, ce lo auguriamo, a un suo, seppur difficile, superamento.

Certo, come tu dici:  “molte delle difficoltà del mondo politico  e dello stesso mondo cattolico si riflettono sul travaglio e sull’esito di ogni inziativa” e, oggi, ancor di più, dopo l’accordo intervenuto tra Renzi e Berlusconi su alcune riforme costituzionali e sulla legge elettorale.

Il tempo che ci è dato di vivere ha assegnato a noi esponenti della quarta generazione democristiana, quella, per molti aspetti, che ha forse subito le più gravi conseguenze per la fine politica della DC, il compito di tentare di superare la lunga stagione della frantumazione e di concorrere alla ricostruzione di un nuovo soggetto politico popolare, democratico, riformista, europeista,transnazionale, di ispirazione cristiana.

Nel Paese di Machiavelli in cui alla fine prevale sempre il “particulare” guicciardiniano, alle grandi intuizioni e progettazioni generali si sovrappongono gli ostacoli derivanti dagli ottusi egoismi, la difesa delle conventicole e delle comode corporazioni anche partitiche, ma, guai se perdiamo la speranza.

La partecipazione di molti giovani all’incontro di Roma entusiasti di raccogliere il testimone della migliore tradizione democratico cristiana, è un segnale positivo e l’indicazione che, forse, stiamo andando nella direzione giusta.

L’obiettivo che ci proponiamo è straordinariamente complesso e difficile, considerata l’enormità di una situazione internazionale nella quale il turbo capitalismo finanziario, come ha lucidamente evidenziato l’amico Nino Galloni nella sua relazione, ha sostituito la politica nel delineare i fini della società;  con il bel risultato che ci troviamo con un volume di derivati pari a 50 volte il valore del PIL mondiale e la politica ridotta a serva sciocca del potere finanziario senza regole e controlli, e  con il concetto di democrazia ridotto ad artificiosa rappresentanza di una sovranità popolare sostanzialmente negata.

Proporre in tali condizioni l’idea di una comunità fondata su quella che Ferdinand Tönnies definiva la solidarietà organica, in alternativa alla realtà di una società internazionale anomica a solidarietà meccanica  e con pesanti conseguenze sulle diverse realtà nazionali ridotte a ectoplasmi senza potere, sembrerebbe una missione impossibile.

Eppure, come ci ammmoniva Aldo Moro: “ questo è il tempo che ci è dato di vivere” ed è qui ed ora che dobbiamo giocare i residui talenti che il Signore ha donato a ciascuno di noi.

Oggi lo scenario della politica italiana sembra offrire tre proposte politiche prevalenti: quella del giovane Renzi e del  vecchio Berlusconi e la terza via del comico genovese. Oltre il 50 % degli elettori disertano il voto e, salvo la sterzata dell’ultima ora del “renzusconi”, tutto attorno sembra dominare il deserto politico, culturale e morale.

Unica speranza e la più seria lettura di ciò che sta avvenendo, ancora una volta, come al tempo della prima rivoluzione industriale con la “Rerum Novarum”, e del trionfante nazi-fascismo, con la “Quadragesimo Anno” e i messaggi di Pio XII, è la dottrina sociale cristiana a fornirci la bussola con la quale ricercare la giusta via.

Sono la “Caritas in  veritate “ di Papa Benedetto XVI e la “ Evangelii Gaudium”  di Papa Francesco, le stelle polari che ci indicano la strada per superare l’attuale assurda ed iniqua situazione internazionale e per ridare alla politica la funzione di responsabile della prospettazione dei fini e all’economia e alla finanza quello di agenti strumentali per il perseguimento di quei fini.

Come fu per Don Luigi Sturzo con il PPI nel 1919-1921 e per De Gasperi, assieme ai popolari sturziani e ai professorini, nel 1942 con la DC, così è dovrà essere per noi: l’assunzione del dovere di tentare di tradurre nella città dell’uomo le indicazioni pastorali espresse dalle encicliche suddette.

Per questo e non tanto per nostalgiche rievocazioni impotenti ci sentiamo impegnati a far appello a quanti, cattolici e  laici cristianamente ispirati, sentono forte l’urgenza di organizzarsi per ridare alla politica il ruolo del primato sull’economia, ponendo al centro la persona e le comunità intermedie, a partire dalla famiglia costituzionalmente intesa.

Una politica che sappia indicare politiche economiche ispirate dai principi dell’economia civile e sociale di mercato in grado di realizzare il sogno della comunità olivettiana nelle imprese e rapporti internazionali fondati sul valore della giustizia e della libertà.

Noi dovremo batterci per un di più di Europa, ma per un’Europa diversa da quella che si è sin qui costruita, impegnandoci a riportare il PPE alle intuizioni dei padri fondatori da reinterpretare nella nuova e per certi versi assai più complessa realtà attuale.

E dovremo farlo partendo da quanti avranno il coraggio di dotarsi di una grande generosità e umiltà, convinti come siamo che serve una forte discontinuità nella classe dirigente, per la quale dovremo favorire l’avvento di una nuova generazione di politici cristianamente ispirati ai quali consegnare il testimone della migliore tradizione democratico cristiana.

E lo potremo fare, come anche tu da molto tempo ci solleciti, solo se sapremo rimettere in moto la grande risorsa del popolo cattolico, delle sue più significative espressioni sociali e culturali, ricomponendo un blocco sociale, culturale e politico che sappia ridare speranza a vasti ceti popolari oggi squassati nella loro condizione materiale di vita e spinti al disamoramento quanto non anche al rischio di una latente rivolta.

Non so se e quanto del contenuto del  recente accordo Renzi-Berlusconi si tradurrà in realtà istituzionale. So, tuttavia, che anche da  quelle proposte emerge ancor più forte la necessitò di mettere in campo un nuovo e robusto soggetto politico popolare, democratico, riformista, europeista, transnazionale, cristianamente ispirato.

Non è più tempo di calcoli meschini e di piccole ambizioni personalistiche, ma ancora una volta, ieri come oggi, è tempo di Liberi e Forti capaci di offrire al Paese una nuova speranza.

Ettore Bonalberti
Dell’ufficio di presidenza dell’associazione Democrazia Cristiana
Venezia, 21 Gennaio 2014



Da Bartolo Ciccardini

Oggi rivolgiamo il nostro augurio all’Assemblea dei democratici cristiani ed di tutte le federazioni convocate il 18 e 19 gennaio da Gianni Fontana, per la quale accenniamo ad alcune  modeste considerazioni  politiche.

Partiamo da un giudizio preoccupato.  C’è una debolezza di fondo in queste iniziative dovuta alla influenza ed ai condizionamenti esterni. Molte delle difficoltà del mondo politico e dello stesso mondo cattolico si riflettono sul travaglio e sull'esito di ogni iniziativa.

E non potrebbe essere altrimenti.

Perché Todi è fallito? Il tentativo di rifondazione di una qualche unità ha il suo massimo esperimento nel Convegno di Todi, dove i protagonisti non erano le formazioni politiche, ma le formazioni sociali che erano la forza popolare (e la massa elettorale) della DC. Senza nasconderci dietro ad un dito, dobbiamo dirci che la dirigenza del mondo cattolico era troppo orientata a destra per permettere alle forze sociali  e caritative di guidare l’operazione.

Nell’impossibilità di trovare un chiarimento all’interno della gerarchia cattolica fra i vescovi presenti a Todi ed i Vescovi presenti a Norcia, questo tentativo di federazione cattolica pre-politica, che somigliava più all’opera dei Congressi od ai Comitati civici, che non alla DC , si è spento nella culla.

Anche le vicende delle formazioni politiche condizionano il nostro giudizio. La crisi berlusconiana influenza una buona parte dei nostri propositi. Berlusconi ha fondato un partito dichiaratamente di destra: il suo miracolo è stato quello di essere riuscito a mettere assieme i separatisti leghisti con i nazionalisti fascisti, utilizzando come collante i cattolici “moderati”  ed il Movimento ecclesiale di “Comunione e Liberazione”.Si può capire che si cerchi di recuperare i voti prestati a Berlusconi  e di occupare quello spazio. Questa tendenza ora è divisa. Alcuni  pensano di dare una direzione cattolica a Forza Italia e quindi operano all’interno del berlusconismo, utilizzando provvisoriamente lo stesso Berlusconi. Altri hanno fatto una scissione da Berlusconi con l’idea di costituire un gruppo autonomo che potrebbe allearsi con Berlusconi. Ed infine un terzo gruppo pensa ad una proiezione italiana del PPE senza Berlusconi. Queste soluzioni sono ingombranti in un processo federativo perché mirano a ricostituire una DC più affine al modello tedesco che al modello italiano.

A questo punto si apre un problema: cosa è il Partito Popolare Europeo senza la componente democratico-cristiana italiana? Tutte queste soluzioni tendono ad escludere, non solo i cattolici democratici, ma anche  tutti i nuovi fermenti sociali del cattolicesimo italiano.

Ma anche il gruppo dei movimenti che si muovono con diverse sfumature nell’area del Partito Democratico viene condizionato da quelle scelte politiche. Ci sono i cattolici adulti che sono militanti del PD. Alcuni (come Renzi) ritengono addirittura non corretto usare l’aggettivo cattolico per qualificarsi in politica e preferiscono vantare origini scoutistiche. Ci sono cattolici che si sentono di appartenere alla tradizione democratico-cristiana da cui provengono e che non hanno mai rinnegato e che la vedono rispecchiarsi  in un partito che ha una cultura plurale. Ci sono infine quelli  che pur votando, per necessità, Partito Democratico, non si sentono a loro agio per un pregiudizio laicista tuttora molto vivo nelle formazioni di sinistra. Questo pregiudizio laicista non è simile a quello della prima parte del secolo scorso che era anticlericale, antipapale, anticristiano. È piuttosto una forma di autoreferenzialità in nome dei nuovi diritti civili che tende a trattare i cattolici come una specie minoritaria protetta da coltivare e rieducare nelle riserve indiane.

L’unica soluzione immaginabile è che i cattolici orientati a sinistra possano trovarsi solo in una formula organizzativa propria orientata ad una alleanza con il PD, ma con la possibilità di esercitare politicamente l’obiezione di coscienza.

Le differenze che oggi ci sono fra i cattolici sensibili al richiamo della destra ed i cattolici disposti a votare a sinistra, rendono difficile ogni discorso politico. Anzi le polemiche politiche fra i due blocchi riescono a tradursi in incompatibilità e veti reciproci fra associazioni e movimenti cattolici al punto da dare ragione a quelli che credono impossibile un progetto unitario.

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Eppure quelle differenze e quei dibattiti convivevano all’interno della DC.

Tutti questi tentativi, sia quelli che restano entro i confini  di una zona che è stata chiamata moderata, sia quelli che si muovono all’interno di una zona di centro-sinistra devono porsi una domanda: che cosa era  l’unità politica che caratterizzava l’essenza profonda della Democrazia Cristiana?

Cosa vi si oppone oggi? Per prima cosa il bipolarismo: accettando il concetto di bipolarismo i cattolici che volessero far politica con un loro organismo autonomo dovrebbero per forza collocarsi o nel polo di destra o nel polo di sinistra. Ne consegue che la nascita di un organismo politico rappresentativo dei cattolici debba per forza muoversi o all’interno del blocco berlusconiano o all’interno del blocco di sinistra nato dall’Ulivo di Prodi.

Bisogna liberarsi da questi schemi. Non è scritto da nessuna parte che il bipolarismo debba funzionare come se si trattasse di due blocchi intoccabili ed eterni. E dall’altra parte non bisogna sentirsi obbligati a ripetere l’esperienza del lungo conflitto tra berlusconiani ed antiberlusconiani. Anzi, tutta l’esperienza storica della Dc ci porta a pensare che in Italia abbia un particolare valore una formazione politica di grande spessore sociale e con un programma avanzato di pace e di giustizia nella politica estera e nella politica sociale, che abbia anche valori tradizionali da difendere e comportamenti capaci di mediazione (quelli che con un vocabolo sbagliato vengono chiamati valori ”moderati”).

In fondo il riferimento all’esperienza storica della DC dovrebbe consistere non soltanto nella memoria dei risultati conseguiti, ma soprattutto nella scelta di quel metodo politico, che permetteva a quel partito di sviluppare un programma di sinistra  con il contributo dei voti che altrimenti avrebbero avuto una collocazione di destra.

E tutto questo si fondava su due pilastri: la capacita di unità tra diversi e la temperanza, vale a dire la desueta virtù cristiana di tenere insieme valori opposti. Non dico moderazione, dico temperanza.

***

Credo che sia intellettualmente importante verificare il giudizio storiografico sulla DC. L’attuale crisi politica italiana è tutta fondata su un giudizio storiografico non veritiero fondato sulla obliterazione, persino violenta, del merito storico del grande miracolo italiano. Una obliterazione in cui confluiscono  sia il rifiuto del 18 Aprile  come conseguenza logica e determinante della Resistenza e della Costituente, sia la rabbia conservatrice  di aver dovuto sopportare e sostenere un partito progressista come male minore per evitare il comunismo.

Ma per correggere il giudizio storiografico corrente dobbiamo essere estremamente coscienziosi e precisi nel ricordare cosa fosse  veramente la DC.

Partiamo da una constatazione che è difficile esprimere. I voti razzisti e dei separatisti che sono finiti nella Lega c’erano già nelle nostre valli alpine. Ma la DC con la sua presenza severamente educativa e con un controllo sociale accurato riusciva a trasformare quei voti in cioccolato.

Anche allora esistevano nella mentalità popolare e familiare del nostro Meridione i voti che non chiamerò mafiosi, ma nei quali prevaleva lo spirito di clan o di campanile. Ma la DC con una capacità di giudizio colta ed appassionata riusciva a trasformarli in partecipazione democratica ed in speranza di riscatto del Mezzogiorno d’Italia. La riforma agraria e l’abbattimento della oltraggiosa borghesia agraria assenteista  non è stata cosa da poco, anche se oggi è volutamente dimenticata. I voti fascistoidi, di un fascismo retrivo e persecutorio, che si cibava di barzellette della Domenica del Corriere, sul contadino stupido con la evidentissima pezza accuratamente cucita sul fondo dei pantaloni, memoria della mentalità squadristica, esistevano anche allora. Ma la Dc riusciva a trasformarli in un doveroso omaggio all’ordine democratico.

È così che va reinterpretata e capita la funzione politica dell’unità dei cattolici, in questa capacità di tradurre gli antichi difetti italiani in virtù civili.

Ed in questa DC c’era anche una sinistra democratico cristiana che svolgeva un compito di apertura e di mediazione. Non si capisce il contributo della DC all’Italia se non si ricorda quello che De Gasperi definiva “il partito di centro che guarda a sinistra”, se non si ricorda che il capolavoro di Fanfani e di Rumor fu “l’apertura a sinistra” ed il “Governo di centro-sinistra”: in pratica il recupero del socialismo italiano alla democrazia; se non si ricorda il tentativo di Moro di spostare l’attenzione ancora più a sinistra, nel periodo più scuro della nostra vita democratica, negli anni di piombo.

Allora, in quei tempi, Antonio Segni poteva espropriare la terra non solo ai suoi elettori, ma persino ai suoi parenti stretti, senza permettere che questo desse spazio, non dico ad una rivolta armata, come nel 1921, ma neppure ad una agitata protesta familiare. Allora Nicola Pistelli poteva parlare con una certa supponenza delle “fanterie parrocchiali cattoliche”, che dovevano votare senza troppe proteste il programma di sinistra della DC. Ma erano quelle stesse fanterie cattoliche da cui mai si sarebbe distaccato e da cui mai avrebbe preso le distanze. Senza questo “miracolo politico” la DC non avrebbe portato a termine il miracolo economico e sociale.

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Queste considerazioni non sono reliquie storiche, sono un necessario esame di coscienza  nei confronti di quelli che pensano al PPE ed alla sua edizione conservativa come ad una ricetta valida per l’Italia. Il Partito Popolare Europeo sarebbe ben altra cosa se ci fosse in campo la Democrazia Cristiana di De Gasperi, di Fanfani, di Rumor e di Moro. Non un punto di riferimento, (punto di riferimento lo è piuttosto l’internazionale democratico-cristiana) ma  un impegno a far tornare il Ppe al suo compito di  realizzare il programma federalista democratico cristiano.

Detto questo dobbiamo anche ricordare che le obiezioni alte e qualificate della destra democratico- cristiana non erano, nel partito, voci inconsistenti e secondarie. Non era solo un accigliato Ottaviani che inaugurava i “comunistelli di sacrestia”. Erano anche i discorsi di altissima finezza politica di Mario Scelba, le analisi di Guido Gonella, neppure lontanamente comparabili alla volgarità della nostra destra attuale. Erano la richiesta di coerenza morale democratica di uno Scalfaro giovane. Essi rappresentavano con dignità ed onore il pensiero “moderato” che in Italia aveva avuto una storia e che la Democrazia Cristiana sapeva accogliere come esigenza fondamentale della nostra società civile.

Ripensare al valore dell’unità dei cattolici non significa dimenticare che questa unità era una virtù civile dolorosamente conquistata. Durante il periodo formativo della DC non c’erano  soltanto i democratici-cristiani e diverse ipotesi si avanzavano perfino nelle stanze pontificie. C’erano anche i cristiano-sociali di Gerardo Bruni che coabitavano con De Gasperi nella Biblioteca Vaticana. C’erano anche i comunisti cattolici, a cui Monsignor De Luca dettò un nome diverso, battezzandoli “cattolici comunisti”, perché cattolico doveva essere il sostantivo e comunista doveva essere l’aggettivo.

E fu Giulio Andreotti, facente funzione di Presidente della Fuci, in assenza del Presidente Aldo Moro, trattenuto dal sud perché non poteva superare la linea Gustav, a portare la notizia a Monsignor De Luca che non sarebbero stati essi i prescelti nella costruzione del grande partito nazionale e democratico. Sì, l’unità dei democratici cristiani aveva coscienza dell’esistenza di fratelli separati sulla sinistra. Ma che questo non fosse una incapacità di comunicare ce lo ricorda Augusto Del Noce quando racconta l’importanza che ebbero i comunisti cattolici, usciti dal Partito Comunista nel 1950, nella formazione della Terza Generazione della DC, e nella stessa gioventù di Azione Cattolica di quel periodo.

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Questa panorama della vitalità politica della Democrazia Cristiana non è un reperto archeologico e non è soltanto una memoria da coltivare. È un giudizio storiografico preciso da rivendicare e da coltivare  perché   necessario in questo momento, hic et nunc,  per risolvere il problema della democrazia in Italia. C’è bisogno di sapienza aperta perché nasca una forza politica ispirata al cristianesimo illuminato degli ultimi Papi e legata alla volontà di pace e di crescita della grande maggioranza del popolo italiano. Non possiamo più andare avanti in maniera schizofrenica, sentendo prediche di sinistra in chiesa e proclami di destra in piazza.

Certo! Vicino al giudizio storiografico è necessaria la coscienza dei grandi cambiamenti che ci sono stati nella società italiana e che bisogna affrontare e risolvere in maniera positiva. Ce lo ricorda con la forza straordinaria del racconto cinematografico, Pupi Avati nel suo ultimo film “Il matrimonio” in cui racconta la famiglia italiana dei suoi tempi, a confronto con la famiglia italiana di suo padre e di sua madre. Ed è una lezione profonda sul cambiamento dell’Italia. Anche nel nostro campo politico dobbiamo ricordare che in questo cambiamento va recuperato quel che c’è di positivo e va curato, se si può, quel che c’è di negativo.

Tre generazioni (quella di Fogazzaro, quella di Murri e Sturzo, quella di Alcide De Gasperi) erano state formate in un’Associazione che aveva iscritto nel suo distintivo un motto stranissimo: “Preghiera, azione, sacrificio”.

L’ultimo a portare in Italia, tutti i giorni, a tutte le ore, per ogni minuto, questo motto iscritto sul bavero della giacca fu il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il notaio che registrò la crisi del sistema democratico italiano.

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Chi dirà oggi agli italiani che per pagare un debito sproporzionato che tuttavia bisognerà pagare, sarà necessario il sacrificio? Non il clamore osceno, non la rivolta irrazionale, non l’inseguimento di miti criminali, non il vittimismo di chi si sente perseguitato dall’Europa, niente di tutto questo! Ma il sacrificio, pensoso, responsabile ed accettato, sarà la medicina. E non solo l’immancabile sacrificio dei poveri che non fa mai scandalo.

Chi ricorda il discorso di Giustino Fortunato sul sacrificio degli italiani, quando fu finalmente pagato il debito che avevamo contratto per portare a termine il Risorgimento? Chi si ricorda quante lacrime e quanto sudore costò la tassa sul macinato? Chi si ricorda cosa significa la parola sacrificio, vale a dire rendere sacro qualche cosa? Chi si ricorda che la libertà fu riconquistata con il sacrificio dei migliori? Ci ricordiamo i tempi in cui la stessa politica era sacrificio? Chi di noi porterebbe oggi la parola sacrificio all’occhiello della giacca? È forse questa la risposta al nostro vero interrogativo? Confesso che in questo momento io non lo so.

Bartolo Ciccardini



7 Gennaio 2014

Prende il via la  terza fase dell’impegno politico dei cattolici italiani

Si è conclusa la tre giorni di studio organizzata dall’associazione “Democrazia Cristiana” con diversi esponenti di associazioni, gruppi e movimenti dell’area cattolica, tenutasi il 3, 4 e 5 Gennaio a Roma presso la badia primaziale benedettina di Sant’Anselmo all’Aventino.

E’ stata approvata  “una piattaforma culturale sociale economica e politica” che sarà presentata alle prossime assemblee regionali programmate in varie parti dell’Italia (10-13 gennaio)  alla vasta e articolata realtà cattolica e laica di ispirazione cristiana.

E’ stato annunciato, oltre all’adozione di una proposta di codice etico per un partito di ispirazione cristiana, l’invio di una lettera del presidente On Gianni  Fontana a tutti i principali esponenti delle formazioni politiche e sociali che si ispirano ai valori cristiani e popolari con la quale, nell’offrire come base di discussione il documento programmatico redatto, si invitano a una riunione informale congiunta per assumere l’impegno a costituire un patto federativo nell’annunciata assemblea generale del 18 e 19 Gennaio a Roma.

Nel 95° anniversario dell’appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo, tale incontro costituirà la premessa indispensabile per dar vita ad un nuovo soggetto politico popolare, laico, riformatore che trova nell’ispirazione cristiana la ragione della sua unità.

L’obiettivo, con la riaggregazione delle diverse forze disperse della diaspora, è quello di attivare una nuova forte ripresa di impegno politico dei cattolici italiani. La ricostruzione di un blocco culturale, sociale, economico e politico in grado di offrire una speranza contro il disimpegno e le derive ribelliste incombenti.

Nella piattaforma messa a punto sul testo base dalle quattro sessioni di studio in cui è stata organizzata la tre giorni romana, emergono alcune linee programmatiche precise:

1) L’ assoluta centralità  e priorità dei temi della famiglia e del lavoro rispetto alle  recenti improvvisazioni  divisive sui diritti civili .  Il tema dei diritti della persona e della famiglia, “società naturale fondata sul matrimonio”, si ribadisce nel documento,  deve essere assunto alla base dell’intera costruzione sociale, così come indicato dalla Costituzione per dare effettiva realizzazione ai principi di sussidiarietà verticale e orizzontale e di solidarietà;

2) l’urgente necessità di assumere politiche ispirate ai principi dell’economia civile in grado di affrontare l’urgenza della crisi occupazionale giovanile e di quanti sono stati espulsi dal ciclo produttivo indicando alcune scelte indifferibili quali:

a) abbassare le tasse sul lavoro;

b) favorire l’avvio di imprese civili e cooperative sociali;

c) dare pratica attuazione alla legge sul servizio civile;

d) redistribuzione equa del reddito:

Alla tre giorni nella badia di Sant’Anselmo hanno partecipato numerosi esponenti politici e di associazioni e movimenti di ispirazione cristiana, docenti e ricercatori di diverse università italiane. Particolarmente apprezzata la lectio magistralis dell’abate generale di Sant’Anselmo, padre Notker Wolf .

Ora la parola passa al popolo dei cattolici e dei laici cristianamente ispirati.  Alla vigilia delle prossime elezioni europee si tratta di ricostituire una forte presenza unitaria di cattolici e laici cristianamente ispirati, impegnati a costruire un di più di Europa che si intende far ritornare allo spirito dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi e Schuman.

Un’Europa in cui la politica ritorni a svolgere il ruolo di indicatrice degli obiettivi della società e l’economia faccia un passo indietro, per riassumere il suo ruolo di strumento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi definiti dalla politica in funzione del bene comune.

Dopo la prima fase dell’impegno politico dei cattolici (1919 con il  PPI di don Luigi Sturzo) e la lunga stagione democratico cristiana avviata da Alcide De Gasperi ( nascita della DC nel 1943) siamo  in presenza dell’avvio, finalmente, di una terza fase da tanto tempo auspicata e perseguita, nella quale si intendono inverare nella città dell’uomo gli orientamenti della dottrina sociale cristiana, sollecitati dagli inviti pressanti e reiterati di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco ad “immischiarsi” da buoni cristiani nella politica.

Ettore Bonalberti
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www.don-chisciotte.net
Venezia, 7 Gennaio 2014



4 Gennaio 2014

DC e Popolari italiani in convento

Si è svolto il 3 gennaio il primo dei tre giorni di seminario organizzati dall’associazione “Democrazia Cristiana” presso il convento di Sant’Anselmo dei monaci benedettini a Roma.
Il presidente dell’associazione, On Gianni Fontana, dando il saluto a qualificati esponenti di gruppi, associazioni e movimenti espressione dei mondi vitali dell’area cattolica e laica cristianamente ispirati, ha evidenziato come “da troppo tempo manchi in Italia un protagonista, un soggetto che possa illuminare la scena di fronte alle macerie della politica; manchi, soprattutto, la presenza di una cultura di matrice cristiana, ispirata al popolarismo e a una visione personalista che è stata la bussola di riferimento della costituzione italiana”.

Sembra sia venuta meno, ha aggiunto Fontana “la piattaforma sociale e culturale di riferimento, in un mondo che sembrava destinato a una laicizzazione totalmente compiuta; da alcuni anni, tuttavia, questa previsione di un temporalismo montante che avrebbe dovuto produrre l’estinzione del desiderio, del senso della tensione verso l’assoluto è stata smentita. Riemerge il bisogno dell’assoluto per dare senso alla vita e alla comunità nel suo complesso.”
Gianni Fontana ha continuato il suo intervento sottolineando che “non ci sono forze e personalità che diano il senso di comprendere la difficoltà del momento. Ne parlano e fanno anche qualche proposta, ma non sentiamo la capacità di caricarsi sulle spalle le attese del Paese e la drammaticità che coinvolge strati sempre più vasti di cittadini, ceto medio compreso. Di fronte alle insufficienze del presente quadro politico, va tentata la ricerca di una via per uscire dalla crisi. Noi la ritroviamo nella cultura e nelle radici di ispirazione cristiana; essa nasce da quelle idee e da quelli esempi che dalla fine dell’800 e fino a venticinque anni fa hanno rappresentato la storia del movimento cattolico nel sociale e nella politica italiana”.

Il percorso delineato da Fontana é iniziato il 26 giugno scorso con l’avvenuta costituzione dell’associazione ed é destinato a facilitare un confronto, un dialogo e un tentativo di coinvolgimento di realtà sociali, di mondi della cultura e di parti della politica per tentare di mettere insieme una visione del Paese e un progetto politico innovativo innestato nella dottrina sociale della Chiesa, in grado di porsi in alternativa al turbo capitalismo finanziario. La dottrina sociale e gli orientamenti pastorali di Papa Francesco sono le voci autorevoli in grado di opporsi in termini alternativi credibili-

Con questa tre giorni gli ultimi esponenti della quarta generazione democratico cristiana, aperta al confronto e al dialogo dei mondi vitali della società civile, tenta di capire come questi orientamenti possano trovare concreta attuazione nella realtà di oggi.

Si é partiti da un documento redatto da un gruppo di lavoro presieduto dal prof Alberto De Maio, un serio contributo di riflessione aperto al confronto e alle integrazioni di tutti i partecipanti. Alla fine ciò che uscirà sarà affidato a una piccola commissione per far uscire una proposta compiuta da portare all’assemblea del patto federativo del 18 e 19 gennaio- In quella data, infatti, presso l’università Lateranense di Roma, nel 95° anniversario dell’appello ai Liberi e Forti, si siglerà il patto federativo di quanti, partiti, movimenti, associazioni e gruppi sono interessati alla costruzione di un nuovo soggetto politico popolare, laico, riformatore che trova nell’ispirazione cristiana la ragione della sua unità. Di lì inizierà la fase della missione di portare al Paese questa novità da presentare con pazienza e competenza in tutte le città e i paesi dell’Italia.

Al dibattito sono intervenuti tra gli altri:
l’ On. Mario Tassone, il quale ha confermato la sua adesione al progetto che è lo stesso che impegna gli amici del CDU; il presidente del Partito “società e famiglia, prof Covino, il presidente dell’associazione “Pace per l’Italia”, Massimo Ripepi, il Presidente del forum dei mediatori, dr Gianmario Battaglia; il dr Giampaolo Infante; il dr Robotti presidente del comitato SALE, il prof Vincenzo Bova dell’Università della Calabria e il prof Giannone, docente di etica, coordinatore del gruppo di lavoro che ha elaborato una proposta di codice etico per un partito di ispirazione cristiana; Ettore Bonalberti dell’ufficio di presidenza dell’associazione e l’On Gemelli,deputato europeo.
Particolarmente atteso l’intervento pomeridiano dell’On Bartolo Ciccardini, direttore della rivista on line “ Camaldoli” il quale ha auspicato che anche da questo importante incontro si riesca a far nascere un nuovo soggetto politico che abbia la solidità del pensiero dei cattolici, ai quali, oggi come nel 1947, spetta il compito di offrire una speranza all’Italia.

Ciò presuppone tuttavia:
1) La coscienza della crisi che stiamo vivendo
2) La consapevolezza di dover andare in Europa per fare più Europa x riequilibrare il ruolo della CDU ( offrendo la nostra proposta di economia civile rispetto alla stessa economia sociale di mercato della scuola di Friburgo)
3) La conoscenza approfondita della notevole produzione culturale del mondo cattolico italiano: dai libri dei cardinali Ruini e Scola, ai documenti delle settimane sociali di Reggio Calabria e Torino; da quelli degli incontri di Todi e di Norcia
4) La consapevolezza di dover rimettere in moto il popolo cattolico per riportarlo a votare x l’Europa . Ciò richiederà nuove forme di comunicazione e di organizzazione alle quali far partecipare tutti gli attori della multiforme e fin qui sparsa e conflittuale galassia cattolica e laica cristianamente ispirata.
I lavori proseguono nella giornata di Sabato con quattro sessioni di studio in mattinata, così suddivise:
1. Economia e lavoro: presiede Gianni Liazza-
2. Identità e valori : presiede Publio Fiori
3. Architettura istituzionale dello Stato e dell’Europa: presiede Leonardo Bianchi-
4. Giovani e futuro : presiedono Irene Gioffrido e Giovanni Battaglia
Nel pomeriggio sessione plenaria con la partecipazione di diversi esponenti di gruppi e partiti di ispirazione cristiana.

Ettore Bonalberti
www.lademocraziacristiana.it
www.insiemeweb.net
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Roma, 4 Gennaio 2014