Le note di Ettore Bonalberti
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18 Novembre 2019

Venezia una città sospesa tra il mare e il cielo

 

Leo Longanesi  scriveva : “ Italia, Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”. Un aforisma che vale quasi sempre per l’Italia, che si tratti di frane, alluvioni o dissesti idrogeologici. Nel caso di Venezia poi, con riferimento al MOSE (Modello Sperimentale Elettromeccanico), é ancora peggio se, dopo molti anni dal suo avvio, non siamo ancora giunti all’inaugurazione, soprattutto a causa di una delle storie più infami di tangenti della storia della nostra Repubblica.

 

E’ incredibile come uomini pesantemente colpiti da quelle vicende, ancora alcuni giorni fa, si dichiarassero al di fuori di ogni responsabilità, dato che sarebbero ” tutte di competenza statale”. Atteggiamenti miserabili assunti da chi, per i loro comportamenti sono stati condannati dalla magistratura, al tempo della  Serenissima Repubblica di Venezia, sarebbero finiti appesi tra Marco e Todaro, le due statue che si ergono sulle colonne della riva di Piazza San Marco.

 

Quell’antica e gloriosa Repubblica è stata un’illuminata istituzione, che ebbe sempre al centro del suo governo, l’attenzione per la fragilità di un ecosistema unico al mondo; quello di una città sospesa tra il mare e il cielo, frutto dell’intelligenza e della operosa creatività umana, capace di curare insieme il delicato equilibrio tra le acque e la montagna, tra la difesa della laguna e il sistema dei boschi della Serenissima. Proprio a Venezia nacquero e si svilupparono gli studi e le discipline scientifiche dei sistemi idraulici e della selvicoltura, assegnati per la parte scientifica all’università di Padova e per la gestione operativa al Magistrato alle acque, la più alta autorità della Repubblica, dopo quella del Doge.

 

Dopo la disastrosa alluvione del 1966, fu Luigi  Zanda, primo eccellente Presidente del Consorzio Venezia Nuova che, nel 1986 m’invitò, nella mia veste di Presidente dell’ICRAM ( Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) a visitare con una delegazione di tecnici, Leningrado, l’antica San Pietroburgo, una città che frequentemente era anch’essa sottoposta alle incursioni rovinose del fiume Neva, che proprio in quella città sfocia nel Mar Baltico.

 

Viste le imponenti opere in calce struzzo messe in atto dall’allora regime sovietico, si costatò l’improponibilità di un tale sistema per una città come Venezia, e subito dopo si avviarono gli studi scientifici e tecnici che portarono a individuare nel sistema MOSE, una delle possibili soluzioni al tema dell’acqua alta.  E’ stata questa, pur tra tante discussioni e vivaci confronti, la risposta che la politica tentò di dare secondo le indicazioni stabilite dalla legge speciale 798 del 1984, che mirava alla realizzazione dei piani di salvaguardia della Laguna di Venezia, per l’approvazione della quale lavorarono con particolare impegno, l’amico On Gianfranco Rocelli, deputato DC veneziano insieme ai colleghi Piergiovanni Malvestio (DC), Gianni Pellicani (PCI) e Gianni De Michelis (PSI) . Dal 1984 sono trascorsi 35 anni e col MOSE siamo fermi al 93 % della sua realizzazione (audizione alla Camera dello scorso anno, quella del 26 luglio 2018, dove l’ingegner Francesco Ossola, amministratore straordinario del Cnv, aveva dichiarato che “ad oggi, sono completate le opere per una percentuale del 93 per cento ed entro la fine dell’anno saranno depositate tutte le paratoie).

 

Come scrive l’amico prof Giuseppe Pace: “ già nell’ultimo secolo la Laguna e la sua funzionalità sono state profondamente modificate dall’azione umana, che ha contribuito, indirettamente, all’accentuazione del fenomeno. Le altezze di marea sono inoltre soggette a variazioni in rapporto a diversi fattori metereologici. In particolare le maree sono più elevate quando la pressione barometrica subisce un notevole abbassamento e/o in presenza di un forte vento di scirocco o di bora. Le più ampie escursioni di marea si verificano di norma nei periodo di novilunio e plenilunio (sizigie), nei periodi di primo ed ultimo quarto di luna (quadratura) è invece più difficile il verificarsi del fenomeno dell’acqua alta. In ogni caso, per essere informati bene si guardano le previsioni di marea nel sito ufficiale del Comune di Venezia. L’acqua alta è un fenomeno naturale frequente soprattutto nel periodo autunnale-primaverile, quando si combina con il vento di scirocco (vento di sudest, dalla Siria), che, spirando dal canale d’Otranto lungo tutta  la lunghezza del bacino marino, impediscono il regolare deflusso delle acque, o di bora, che ostacolano invece localmente il deflusso delle lagune e dei fiumi del litorale veneto”.

 

Si aggiunga che Venezia come altre città litorali è sottoposta ai due fenomeni dell’eustatismo ( innalzamento del livello del mare) e della subsidenza (progressivo seppur lento  abbassamento  della quota base della città)  che, sommandosi, insieme agli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici, rendono drammaticamente incerta se non sicura la scomparsa a tempi “brevi” della città unica al mondo.

 

Allo stato dell’arte e per le conoscenze acquisite dal Consorzio Venezia Nuova, al netto dell’infame sistema delle tangenti che hanno infangato la sua immagine, conoscenze che costituiscono un patrimonio straordinario e per certi aspetti unico, per le scienze idrauliche, biologico marine  ed ecologiche a livello internazionale, vanno concluse le opere che ci permettano di collaudare e sperimentare in campo l’efficienza ed efficace del MOSE, mentre da parte di noi cattolici in primis, e di tutti gli uomini di buona volontà, una rilettura della “Laudato SI” di Papa Francesco, andrebbe fatta, al fine di assumere atteggiamenti e comportamenti personali e sociali, sino a quelli che attengono alle responsabilità politico istituzionali,  che siano rispettosi degli equilibri che la natura reclama.

Ettore Bonalberti
Già Presidente ICRAM
Venezia, 18 Novembre 2019

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05 Novembre 2019

Al di là delle idiosincrasie democristiane di alcuni ex DC

 

Con il drammatico sviluppo del  caso ILVA la situazione del governo Conti bis, già compromessa dal voto umbro e dalle fibrillazioni interne al M5S, diventa difficilmente sostenibile. Se, come alcuni osservatori ipotizzano, avvenisse la scissione del M5S si andrebbe alla crisi di governo e  a elezioni anticipate al massimo entro Giugno 2020.

 

In tal caso credo che difficilmente si troverà una maggioranza per il cambiamento della legge elettorale, per cui le elezioni si potrebbero/dovrebbero svolgere con le regole vigenti del rosatellum.  Niente proporzionale, dunque, come vorrebbe Matteo Renzi e vorremmo anche noi “ DC non pentiti”, ma  sistema maggioritario con quote limitate proporzionali  e i croupier maggiori PD e Lega a dare le carte.

 

Noi “DC non pentiti” siamo stati e siamo tuttora convinti che il sistema più opportuno per l’Italia sia quello proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 4%, premio di maggioranza alla coalizione vincente e introduzione della “sfiducia costruttiva”, quale antidoto al trasformismo e alle transumanze parlamentari.

 

Sappiamo, però, che non è interesse né della Lega, né del PD, un simile sistema e che, le divisioni all’interno del M5S anche su questo campo, non permetteranno di far passare il proporzionale.

 

Sono partito da questa premessa sulla legge elettorale, dato  che dipenderà proprio da essa se e come evolveranno le forze politiche, specie quelle in corso di scomposizione e ricomposizione, come quelle dell’area politica cattolico popolare.

 

Sono due le formazioni in corso di unione in quest’area: quella che punta all’avvio di una Federazione di Centro, partendo dal superamento della diaspora ex DC e quella che taluno ha voluto definire “ il partito cattolico” che si sta riunendo attorno al manifesto Zamagni.

 

Alla vigilia di una competizione elettorale anticipata sempre più probabile, corriamo dunque il rischio di ritrovare ancora quest’area divisa da una contrapposizione fondata su una sorta di idiosincrasia anti DC, di alcuni dei componenti più radicali interni al movimento che si muove attorno  al manifesto Zamagni.

 

Tutto bene per un manifesto di valori assolutamente condivisibile anche da parte di noi “ DC non pentiti”, mentre costatiamo che, come accadde alla vigilia delle ultime elezioni europee, “amici”, come Ivo Tarolli e Giancarlo Infante, continuano nella loro contrapposizione a tutto ciò che si collega alla storia e alla tradizione politica democratico cristiana che pur di quella tradizione sono stati esponenti non secondari nella prima repubblica.

 

Un atteggiamento miope di amici che, come Tarolli, hanno ricevuto molto dalla DC  e che, da ondivago inquieto ha fatto molte esperienze dopo il trascorso democratico cristiano. Nel caso di Infante, accanto a lunga e brillante carriera giornalistica,pesa, invece, un’ assai poco brillante esperienza di collaboratore di un DC molto discusso come Pino Pizza. Che poi Luciano Dellai, intervenendo su “ Il Domani d’Italia” nel dibattito sulle posizioni del cardinale Ruini e di Zamagni, quest’ultimo elevato  al ruolo di cardinale laico di Santa Romana Chiesa, scriva:” Tutto si può dire di questo Manifesto e soprattutto di come è stato maldestramente interpretato nelle prime uscite mediatiche, con l’idea che esso segni già la costituzione di un Partito, frutto di convergenze vecchio stile di spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente: se così fosse non avrebbe futuro.”, sembra veramente il caso del “bue che dà del cornuto all’asino”. Ma come? Lorenzo Dellai, già esponente storico della DC trentina, ex sindaco DC di Trento, presidente dell’Amministrazione provinciale trentina, insieme a qualche nostro amico veronese, già ministro della Prima Repubblica, oggi sostenitore del manifesto Zamagni, sarebbero “ i virgulti del nuovo che avanza” rispetto a noi “spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente”? Temo piuttosto che siano proprio alcuni di loro  dei “vecchi che avanzano” alla ricerca della perduta verginità politica e, dunque, proprio loro, autentica espressione di “spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente ? Varrebbe, dunque, solo per noi come colpa, quello che per loro sarebbe stata un’ innocente infantile esperienza? Totò esclamerebbe senza indugi col suo gesto irriverente: “ ma mi faccia il piacere!!”.

 

Quel che è grave è  che si tenderebbe a contrabbandare questa falsa contrapposizione come quella tra i cattolici liberali e i cattolici democratici e cristiano sociali. Noi, invece, crediamo nella bontà della scelta della Federazione di centro e non troviamo motivi di contrapposizione rispetto agli obiettivi indicati dal manifesto Zamagni.. La Federazione del nuovo Centro  segna, infatti, il superamento della lunga diaspora democristiana e l’avvio di un’esperienza nuova di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina sociale della Chiesa, inserito a pieno titolo nel PPE ( o Dellai e amici del manifesto Zamagni pensano ad altre collocazioni europee?), alternativo sia alla deriva nazionalista e populista a guida salvinian-meloniana che alla sinistra comunista ( non è la stessa posizione politica del “partito cattolico” ?! ), aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana  dei padri fondatori ( o gli amici del “partito cattolico” pensano ad altro?).

 

Insomma, al di là, delle paturnie e idiosincrasie DC di qualcuno senza titoli per assegnare voti e formulare giudizi, temiamo che, continuando con quest’assurda ed equivoca divisione, non si faciliti il processo di ricomposizione dell’area politica  popolare, né sul versante dei cattolici democratici, né su quello dei cristiano sociali, con il rischio, diversamente misurabile secondo la legge elettorale che prevarrà, di impedire ancora una volta ai cattolici di area popolare, di uscire dall’irrilevanza in cui sono stati sin qui emarginati e, spesso, dalle loro stesse mani condannati. E non basterà la benedizione di qualche cardinale o vescovo, ancorché emerito, per porre freno a questo straordinario errore di prospettiva politica.

 

Se riuscissimo, finalmente, a superare divisioni, egoismi e velleitarismi anacronistici, credo sarebbe meglio per tutti. Da parte nostra, come esponenti  della Federazione di Centro, siamo disponibili per avviare con urgenza un’azione comune per ritrovare uno spazio politico e istituzionale degno della nostra migliore tradizione politico culturale.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Componente esecutivo provvisorio Federazione di Centro
Venezia, 05 Novembre 2019

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31 Ottobre 2019

VIA AL NUOVO POLO DI CENTRO. SIGLATO A ROMA IL PRIMO PATTO FEDERATIVO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA ROTONDI, BINETTI, GARGANI, TASSONE, GRASSI, BONALBERTI, CESA E FIORI ANIMANO IL COMITATO PROVVISORIO CHE LAVORA ALLA PRIMA ASSEMBLEA COSTITUENTE DELLA FEDERAZIONE CHE SI ISPIRA AI VALORI DELL'UMANESIMO CRISTIANO.

 

Si è costituita ieri, mercoledì 30 ottobre a Roma presso il Centro studi Leonardo da Vinci la FEDERAZIONE TRA I PARTITI E I MOVIMENTI CHE SI ISPIRANO ALLA TRADIZIONALE POPOLARE DELLA DC: hanno aderito 25 organizzazioni che si sono dati come programma la preparazione di un nuovo soggetto politico unitario per superare la diaspora e le divisioni che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza culturale e politica nel nostro Paese. 

 

I firmatari del documento come manifesto politico della federazione, sono consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese e della presenza di una destra estrema, eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi che ha attraversato il centro e la sinistra.

Con l’incontro svoltosi si mette la parola fine alla diaspora democratico cristiana durata oltre venticinque anni.

 

Presieduta dall’on Giuseppe GARGANI, l’assemblea ha approvato il documento con cui nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo CESA (UDC), Mario TASSONE (NCDU), Renato GRASSI (DC), Gianfranco ROTONDI (Forza Italia), Publio FIORI (Rinascita popolare), Paola BINETTI (Etica e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione liberi e forti) unitamente a parlamentari, e 25 rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del volontariato e della famiglia.

La nuova formazione si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e populista.

 

Nel deserto delle culture politiche che caratterizzano la politica italiana, prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area politica cattolica popolare, aperta alla partecipazione di movimenti, che si ispirano al popolarismo  per la difesa della Costituzione.

 

I firmatari del documento costituiscono il Comitato provvisorio della Federazione. Nei prossimi giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA COSTITUENTE che approverà il programma, il nome, il simbolo e gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle adesioni nazionali e territoriali.

 

 “Solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide De Gasperi)

La sottoscrizione del documento politico da parte dei rappresentanti dei partiti politici che si rifanno alla storia della DC costituisce un fatto importante per chi come noi, “ DC non pentiti”, hanno perseguito sin dal 1994 l’obiettivo della ricomposizione dell’area  politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Finisce il tempo della diaspora democratico cristiana e comincia quello della costruzione del nuovo centro della politica italiana. Un ringraziamento speciale agli attori protagonisti e, in particolare, all’amico Gargani che, come per il comitato per il NO al referendum del 1916-17, si è assunto l’onere di favorire tale ricomposizione.

Un grazie, infine, speciale, agli amici Antonino Giannone ( professore di etica e vice presidente ALEF)  e Giuseppe Rotunno ( Civiltà dell’amore) i quali, dopo le elezioni del 4 Marzo 2018 hanno avviato presso  i Missionari del Sacro Cuore a Roma, con un Work in Progress  l’esame della  grave situazione dei Cristiani in Politica ridotti alla subalternità e all’insignificanza..  Ora si apre un’altra pagina nella storia politica dei cattolici italiani, grazie alla ricomposizione dell’unità federativa di tutti gli ex DC impegnati nella costruzione del nuovo centro della politica italiana. Un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra comunista. Un centro aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana dei padri fondatori, che resta con i principi della dottrina sociale cristiana, la stella polare del nostro programma politico.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 31 Ottobre 2019

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25 Ottobre 2019

Quella stupida italica regola aurea

 

In attesa di conoscere se e quanto reggerà l’attuale coalizione di governo  giallo rossa, l’unica certezza che abbiamo è il permanere di una suicida divisione delle diverse componenti di area politica cattolico popolare ed ex democratico cristiana, anche tra le quali sembra valere quella stupida italica  regola aurea  secondo cui: “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuol essere coordinato”.

 

Molto dipenderà da come sarà risolta la questione della legge elettorale. Temo che la speranza renziana di una legge proporzionale sia un sogno che difficilmente troverà realizzazione. Anche noi “ DC non pentiti”, sin dal tempo dell’infausto referendum Segni, desidereremmo una legge proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 4%, premio di maggioranza e introduzione della sfiducia costruttiva. Anche questa nostra spirazione, tuttavia, rischia di restare scritta nel libro dei sogni, atteso che, molto più realisticamente, le attuali forze predominanti parlamentari ( M5S, PD e Lega) sono molto più interessate o a conservare il rosatellum modificato, o, in alternativa, a  un maggioritario alla francese a doppio turno.

 

E’ evidente che in quest’ultimo caso, come in quello molto più improbabile di un sistema proporzionale alla tedesca, senza la costruzione di un forte centro di ispirazione popolare, le diverse componenti che a quest’area fanno riferimento sono destinate all’irrilevanza. Quella sin qui sperimentata, tanto da coloro che  decisero a suo tempo l’avventura della margherita prima e del PD poi, sia da coloro che, come gli ex DC senza titolo, hanno tentato la corsa solitaria alle recenti elezioni europee con esiti disastrosi. Vale, oggi come ieri, l’antico insegnamento di Carlo Donat Cattin, secondo cui: “ è sempre il cane che muove la coda” e molti di noi, per troppi anni, siamo stati ridotti al ruolo gregario della coda, sia quando il cane era il sogno liberale del Cavaliere o quello riformista del PD…..

 

Ciò che a me appare insopportabile é il trasformismo che, anche in questa nostra area si sta verificando, se sono vere le notizie che circolano in queste ore, secondo cui, ad esempio,  avversari storici irriducibili per orientamento politico come Lorenzo  Dellai e Ivo Tarolli, trentini ex DC, starebbero per siglare un patto politico sulla base del “manifesto” redatto dal prof Zamagni. Un testo ampio di principi e valori etico  politici del tutto cari anche a tutti noi “ DC non pentiti”. Una premessa, tuttavia,  da cui partire per costruire un organismo politico organizzativo attorno al quale condividere interessi e valori.

 

E’ diffusa una insopportabile idiosincrasia della DC che proprio Ivo Tarolli ebbe modo di manifestare slealmente alla vigilia delle ultime elezioni europee, quando insieme a Mario Mauro, accettò la discriminazione anche di un solo riferimento nella lista alla Democrazia Cristiana, finendo con il  correre in solitaria  con gli esiti da prefisso telefonico di quella sventurata e suicida corsa. Avendo concorso alla nascita del movimento Costruire Insieme ( quell’”Insieme” fu una mia proposta alla fine condivisa dagli amici Tarolli, Marini, Bonanni e soci, con riferimento alla nostra associazione “ Insieme”, nata ancora nel 2008 dei circoli di cui al sito: www.insiemeweb.net), quella discriminazione mi ha fatto particolarmente male.

 

Ancor più triste è costatare come amici della “Rete Bianca”, nati dopo la fallimentare esperienza all’interno del PD renziano prima e zingarettiano attuale, continuino a prefigurare pregiudizialmente una loro collocazione a sinistra, decidendo che in quell’area andrebbero bene gli amici di “Costruire Insieme” e di “Politica Insieme”, mantenendo, invece, una sorta di malcelata idiosincrasia per quegli amici, come noi della DC storica guidata da Renato Grassi e altri di partiti come il CDU, il NCDU, dissidenti di Forza Italia come Rotondi,  che sono impegnati nella costruzione della Federazione di Centro, secondo il documento già sottoscritto da numerosi responsabili di partito, associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica e popolare.

 

All’amico D’Ubaldo, dopo la notizia del permanere anche da parte di  Rete Bianca della discriminante verso “ i DC non pentiti”,  ho avuto modo di evidenziare la nostra posizione con questa lettera: “ Caro Lucio, se hai letto le mie note ( le trovi tutte le nostro sito: www.alefpopolaritaliani.it) la mia posizione è molto chiara: prima ricostruiamo l’unità dell’area cattolico popolare ampia e plurale come ribaditoti nella precedente mail e poi apriamoci alle alleanze con chi condivide con noi il progetto di difesa e attuazione integrale della Costituzione repubblicana. Netta l’alternativa alla destra nazionalista e populista salvinian-meloniana e alla sinistra comunista. E’ evidente che la collaborazione non potrà che avvenire con le forze che insieme alla DC fecero la Costituzione, che resta il programma politico straordinario e ancora attualissimo tutto o in larghissima parte da realizzare.

E’ evidente che il PD rientra in quest’alleanza; assai più critica la posizione di Renzi e del suo nuovo partito (?!) atteso che Renzi è stato l’esecutore materiale degli ordini dei JP Morgan e degli altri hedge funds anglo caucasici/kazari che vollero il referendum della deforma costituzionale Renzi-Boschi. Noi con il comitato dei Popolari per il NO insieme all’ANPI. a molti PSI ed ex PCI e nel Veneto anche con la Lega di questa regione, abbiamo stravinto a sostegno del NO.

Ora Peppino Gargani, che proposi a presiedere il Comitato dei Popolari per il NO, proprio ieri ha annunciato l’avvio del Comitato dei Popolari per la difesa della democrazia rappresentativa e la prossima settimana nascerà la Federazione di Centro in base al documento che ti ho già spedito.

Questa è la situazione e mi pare, se ho capito ciò che Rete bianca ( nata dalla vostra uscita dal PD) intende fare, che sia del tutto compatibile con i vostri propositi. O mi sono sbagliato? Certo le nostre antiche esperienze, tu nella Base e io in Forze Nuove, ci dovrebbero facilitare il confronto e la collaborazione, ma, soprattutto, sono le condizioni storico politiche dell’Italia  che reclamano il ritorno in campo di un partito o di una federazione ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina social cristiana.”

 

Come ha confermato Salvini nei giorni scorsi:“ Il centro destra è superato, nasce la coalizione degli italiani “ anche noi ne siamo ben consapevoli. E’ vero, non esiste più il centro destra a guida del Cavaliere con FI partecipe del PPE, ma una destra estrema egemonizzata da Salvini e dalla Meloni. Contro questa “coalizione degli italiani” serve l’altra Italia del centro democratico popolare e dei riformisti in difesa della Costituzione. Lo abbiamo scritto e proposto in ogni occasione e lo riconfermiamo: tutti coloro che hanno firmato il patto per la Federazione di Centro intendono costruire un centro politico democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista e populista a guida salvinian-meloniana e alla sinistra comunista. Un centro che assuma come suo programma la difesa e attuazione integrale della Costituzione, insieme a quanti condividono tale progetto.

 

Vogliamo prendere atto della realtà di queste posizioni e mettere insieme le nostre sin qui scarse forze o vogliamo continuare con i pregiudizi e le aprioristiche e suicide divisioni? C’è una vasta area sociale e politico culturale che non attende altro che l’unità di un nuovo centro, a misura di quanto indicato nel manifesto Zamagni e nel Patto per la Federazione i cui testi alleghiamo. O, invece, siamo così sciocchi e suicidi dal voler rispettare la stupida italica regola aurea  di cui sopra?  Penso che sarebbe bene incontrarci e decidere INSIEME come meglio procedere, atteso che, se non lo faremo noi autonomamente e quanto prima, saremo forse costretti a farlo poi, secondo ciò che ci imporrà la legge elettorale, ma, forse, a quel punto, sarà troppo tardi.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 25 Ottobre 2019

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14 Ottobre 2019

Il de profundis dei sabotatori seriali

 

Guardando il video dell’assemblea di una dozzina di amici DC, illegittimamente convocata dal prof Luciani, Sabato scorso a Roma, , trova conferma l’infausta previsione secondo cui la storia di questi sette anni ( Novembre 2012, data della celebrazione del XIX Congresso nazionale della DC) da tragica si sarebbe conclusa in una  tragicomica farsa finale.

 

Lasciamo a questi amici, già deferiti ai probiviri del partito guidato da Renato Grassi (unica legittima espressione di ciò che rimane della DC storica) il compito di seppellire le loro ultime frustrazioni, mentre continuiamo a sostenere ogni azione positiva verso la ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

 

Sono stato tra i promotori nel 2011, con gli amici: Publio Fiori, Silvio Lega, Sergio Bindi, Calogero Mannino, Paolo Cirino Pomicino, Ugo Grippo, Clelio Darida, Ombretta Fumagalli Carulli e alcuni altri, dell’autoconvocazione del vecchio ultimo consiglio nazionale della DC, con il quale riaprimmo il tesseramento al partito, sulla base del quale il tribunale di Roma ha riconosciuto la legittima continuità storica del partito, e, successivamente,  celebrammo il XX Congresso nazionale (Novembre 2012) con l’elezione di Gianni Fontana alla segretaria nazionale.

 

Fummo immediatamente stoppati dall’azione dei sabotatori, interessati sopra tutto ai temi del patrimonio immobiliare ex DC e abbiamo dovuto combattere sette anni di sofferenze e di lotte continue che, Sabato scorso, hanno vissuto il momento delle comiche finali, con l’annuncio della prossima imminente elezione di un “anti-papa”, del tutto fuori da ogni legittimità politica e statutaria.

 

Miserie di una povera classe dirigente ispirata più dalla frustrazione, che dalla razionalità  politica.  Con queste miserabili azioni e il triste spettacolo offerto sabato scorso,  i sabotatori seriali segnano il loro tragico de profundis politico culturale. Di fatto si sono posti al di fuori della DC, legittimamente riconosciuta dal  tribunale di Roma, i cui organi sono stati eletti nel congresso del 14 Ottobre 2018.

 

Prioritario adesso é dare avvio alla federazione dei DC e Popolari italiani su cui stanno lavorando seriamente gli amici Gargani, Grassi, Cesa, Tassone, Rotondi, con il sottoscritto e con gli amici Eufemi,  Fiori, Rotunno e Giannone. Questi ultimi due, nei prossimi giorni, verificheranno le adesioni di diversi gruppi, movimenti e associazioni dell’area politica cattolica interessati/bili al progetto.

 

Un’iniziativa particolarmente importante è quella assunta dalla “Fondazione Sullo”, oggi “Fondazione DC”, guidata da Gianfranco Rotondi ( “ il miglior fico del bigoncio”, direbbe il compianto Francesco Cossiga), di dar vita a un comitato tecnico scientifico presieduto dall’amico Prof Antonino Giannone, vice presidente ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti-www.alefpopolaritaliani.it), che si dedicherà alla formazione della nuova classe dirigente. Un comitato che già vede l’adesione di qualificati esponenti del mondo accademico, scientifico e della società civile.

 

Ci sono altri amici, già democratici cristiani, i quali, usciti dal PD e ritrovatisi nell’associazione “Rete bianca”, stanno tentando di organizzarsi con alcuni gruppi, che sembrano, almeno sin qui, più preoccupati di apparire distinti e distanti dalla storia della DC, assertori di una purezza tutta da dimostrare, rispetto alla quale nutriamo sempre quella giusta prudenza mista allo scetticismo, così presente a Pietro Nenni che sui “duri e puri” formulò una lapidaria sentenza :“A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura.

 

Tra questi, ahimè, ci sono amici che ebbero quasi tutto dalla DC, ma che nelle recenti elezioni europee hanno finito con il vergognarsi del loro stesso passato, sino a porre il veto su una lista unitaria che avesse anche solo il riferimento allo scudo crociato.

 

Sono “ i duri e puri” che sostengono l’idea di un “vino nuovo in otri nuovi”. Bellissima proposta, salvo che, esaminando i curricula di alcuni dei protagonisti scopriamo: quanto agli otri, trattarsi di consumati amici ex DC  ora pentiti, in cerca di un salvifico rilancio, insieme a pseudo giovani rancorosi, alcuni dei quali hanno girovagato, nel ventennio della diaspora DC, di orto in orto senza trovare ristoro. Quanto al vino, infine e per la verità, non abbiamo ancora potuto conoscere e  gustare le novità d’annata.

 

Non disperiamo, tuttavia,  che anche questi amici finiranno con il ravvedersi e, di fronte alla situazione reale della politica nazionale, aderiranno al progetto di nuovo centro che la Federazione dei DC e Popolari intende concorrere a promuovere. Molto dipenderà da come  terminerà la difficile partita della legge elettorale, che influirà largamente sull’evolversi della politica italiana.

 

Quello che noi perseguiamo, in ogni caso, è l’idea di un centro ampio, plurale, che da tempo connotiamo come: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista salvin-meloniana e alla sinistra comunista. Un centro aperto alla collaborazione con tutte le forze disponibili all’impegno per la difesa e la realizzazione integrale della Costituzione.

 

Un passo importante in tale direzione è l’annuncio dato dall’amico Peppino Gargani  secondo cui, Mercoledì prossimo, “il Comitato dei popolari per il NO”, da lui presieduto, con cui conducemmo la nostra battaglia contro la deforma costituzionale renziana, tramuterà la sua ragione sociale nel: “Comitato per la difesa della democrazia rappresentativa”. Di lì si ripartirà con la richiesta, mi auguro, di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’attuazione concreta dell’art 49 della Costituzione sulla democrazia dei e nei partiti, premessa indispensabile per una reale democrazia rappresentativa nel nostro Paese.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 14 Ottobre 2019

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07 Ottobre 2019

Si riprenda la realizzazione del bosco di Mestre

 

«A Venezia, una delle città più resilienti del mondo siamo partiti dal presupposto che la sostenibilità ambientale fa sempre il paio con il tema delle risorse economiche. Vogliamo dimostrare che l’attenzione all’ambiente, non deve essere percepita come un costo per la collettività, ma diventa volano per l’economia circolare. Un esempio per l’Italia e l’Europa che nasce nel cuore produttivo ed industriale di Porto Marghera. Con Eni e Toyota implementiamo una partnership pubblico privata che punta alla ricerca e innovazione a ricaduta produttiva», ha commentato così il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro l'accordo raggiunto . Un’ottima iniziativa del comune e della città metropolitana di Venezia alla qual dovrebbe seguire l’immediata realizzazione dell’antico sogno del compianto Gaetano Zorzetto del “bosco di Mestre”, sin qui avviato solo in minima parte.

 

In molte città si è aperto il dibattito sulla costruzione di “green belts”  (“cinture verdi”) immagazzinatrici  di anidride carbonica e produttrici di ossigeno, strumenti essenziali per un futuro low carbon delle aree urbane. A Venezia questa proposta nacque molti anni fa con il progetto de “ il bosco di Mestre”. Ho svolto una minuziosa ricerca d’archivio nella raccolta integrale delle riviste “ Le Foreste”, pubblicazione periodica bimensile/trimestrale edita dall’ARF del Veneto, della quale avevo la responsabilità di direzione, capo redattore il Dr Mimmo Vita attuale dirigente di Veneto agricoltura.

 

La prima idea di un recupero ambientale con una proposta di intervento in un’area peri-urbana ad Ovest di Mestre è stata ospitata nel numero 2 Marzo-Aprile della rivista “ Le Foreste” nell’anno 1986.Trattasi di un articolo dell’Arch. Stefano Boato con correlatori l’Arch. Giorgio Sarto e il Perito agrario Lorenzo Simoni, nel quale si assume l’obiettivo di “ rafforzare e migliorare il rapporto tra aree periferiche ed urbane di Mestre attraverso un recupero ambientale inteso come elemento di riqualificazione del tessuto urbano esistente…”

 

Più avanti nel saggio si ipotizza un’area di circa 130 Ha i cui limiti fisici erano individuati: ad Ovest da  Via Comboni a Zelarino, a Nord dalla via Castellana, ad Est dalla ferrovia VE-TS, a Sud dalla via Brentola  Forte Gazzera.E si propone di realizzare “ un parco di tipo paesaggistico le cui caratteristiche fondamentali sono date dall’esistenza di grandi zone prative organizzate per la ricreazione ed il tempo libero egli abitanti di Mestre”; da grandi aree boschive (Bosco in città) costituite essenzialmente da essenze tipiche dei boschi della pianura veneta orientale”.

 

Nel n.2  Marzo-Aprile del 1987, della rivista “ Le Foreste” pubblicammo il progetto dell’ARF per il “recupero e la valorizzazione di un terreno di proprietà dell’IACP di Venezia sito in località San Giuliano” all’intermo del quale prevedevamo, tra l’altro, la”costituzione di un bosco planiziale di pianura a quercetum penducolatae con finalità ricreative”, considerato che “ lungo il litorale, nel passato erano presenti boschi di conifere mentre lungo i margini della laguna vi erano boschi costituiti da latifoglie” .Erano le prime idee di quello che, solo qualche anno più tardi, con totale diversa impostazione, sarà il parco di San Giuliano, su iniziativa dell’assessore arch. Caprioglio.

 

Da direttore generale dell’ARF del Veneto, in quegli anni era presidente ARF, il Dr Renzo Fant,  dopo l’esperienza dell’azienda in alcuni interventi di arredo verde urbano nei giardini della Biennale di Venezia, nel bosco di Mirano, e a Villa Mocenigo di Alvisopoli. avevo espresso l’idea di recuperare il verde nelle isole della laguna veneziana.

 

Gaetano Zorzetto, V. Sindaco di Venezia, era componente del consiglio di amministrazione dell’ARF e fu in occasione di una seduta del Cda nella quale avevo presentato l’idea del PRO.V.I.VE ( Progetto Verde Isole Veneziane) che suggerì l’idea del “ Bosco di Mestre”. Una descrizione analitica della genesi e della realizzazione del primo lotto del bosco di Mestre ad opera dell’ARF del Veneto è quella contenuta nel numero speciale della rivista “ Le Foreste” dedicato al Bosco di Mestre, edito come allegato al n.2 di Marzo-Aprile 1990 .

 

Dopo una mia breve presentazione del perché l’idea di realizzare 1330 Ha di bosco nella realtà urbana di Mestre è proprio Gaetano Zorzetto, quale assessore al verde pubblico di Venezia, che redige un editoriale con il quale descrive esattamente la filosofia da cui trae origine il bosco di Mestre: dare concreta attuazione al piano per la prevenzione e depurazione dell’inquinamento diffuso di origine agricola, relativo ai carichi agricoli e zootecnici, della laguna di Venezia, attraverso la messa a riposo di vaste aree agricole, specie lungo i corsi dei fiumi e dei canali di scolo delle bonifiche, e di procedere alla loro forestazione.

 

Scrive Zorzetto: “ Per dare concreta attuazione al citato piano, il comune di Venezia in cooperazione con l’azienda regionale delle foreste, intende realizzare “ il bosco di Mestre”, un impianto di forestazione di un’area di circa 1330 ettari, collocata lungo il orso dei fiumi Dese e Marzenego Osellino ed estendentesi dal boschetto di Carpenedo-Terraglio fino alle foci lagunari dei due corsi d’acqua.” Nello stesso speciale sono redatti due articoli: il primo dell’arch. Franco Posocco, allora segretario generale per il territorio di regione Veneto, sul “ Significato urbanistico ed ambientale del “bosco di Mestre” e uno della Dr.ssa Silvia Majer sul valore ecologico e sociale del bosco.

 

Sarà con la consegna da parte del comune di Venezia all’ARF del Veneto dei primi 8 Ha dislocati nell’area PEEP Bissuola Mestre, il 17 Marzo 1994, che prenderà il via la realizzazione effettiva del primo nucleo del sogno di Zorzetto e mio, che poté partire grazie alla determinazione assoluta di Zorzetto e all’aiuto che, sin dall’inizio, fu garantito all’ARF dal Presidente della Regione Veneto, Franco Cremonese. E fu così che, il 17 Marzo 1994, in occasione della festa degli alberi, Gaetano Zorzetto con Renzo Fant poterono inaugurare, con l’organizzazione dei “services di Mestre”, il primo stralcio del Bosco di Mestre nel rione Pertini che, dopo , 23 anni é  il rigoglioso bosco di latifoglie autoctone prodotte nel vivaio regionale dell’azienda, piantate piccolissime dall’ARF , piantine che tante polemiche suscitarono, specie da parte di alcuni vivaisti privati. Tutto questo è ben rappresentato nel n.1/1994 della rivista “ Le Foreste”a futura memoria.

 

Nel 1998 cessai dal mio impegno di direttore dell’ARF del Veneto; Gaetano Zorzetto ci ha lasciati nel 1995. Del perché quel nostro straordinario sogno non sia potuto realizzarsi nelle dimensioni e modalità da noi auspicate è compito da lasciare oramai agli storici di Venezia e di Mestre. Chiediamo al sindaco Brugnaro e al consiglio comunale di Venezia di voler riprendere quel progetto che farebbe molto bene alla nostra città.


Ettore Bonalberti
Già direttore dell’ARF ( Azienda regionale delle foreste del Veneto)
Venezia, 07 Ottobre 2019

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19 Settembre 2019

Grande confusione sotto il cielo

 

Grande confusione sotto il cielo del centro della politica italiana. La promessa della legge elettorale proporzionale crea fibrillazione in quasi tutti gli schieramenti politici. Convinto della lezione di Bobbio ( “ Destra e sinistra- Ragioni e significati di una distinzione politica”- Donzelli editore 1994 condivido l’idea che destra e sinistra abbiano ancora un senso e che, nella nostra attuale fase politica, questa idea si declini anche con quella della dicotomia tra sovranisti nazionalisti e europeisti fedeli agli ideali dei padri fondatori.

 

Ho combattuto per oltre vent’anni per la ricomposizione dell’area democratico cristiana e cattolico popolare, dovendo constatare amaramente il fallimento del progetto. Troppe le divisioni e  le dispute suicide di sabotatori seriali esterni e interni a ciò che resta della DC storica, partito “mai giuridicamente sciolto”.

 

Mi auguro che qualcosa di nuovo possa accadere, grazie allo sforzo di amici generosi che continuano quest’ultima battaglia, cui ho dedicato molte energie rivelatesi, almeno sin qui, insufficienti e inefficaci. Il rischio che si corre oggi, è che finisca col prevalere l’illusione renziana di “un centro che guarda a sinistra”, ridotto al partito di un altro solitario conducator, incapace di operare in squadra all’interno di un partito plurale e democratico.

 

Prevale in Matteo Renzi, infatti, l’idea di una leadership carismatica e solitaria sostenuta da seguaci fedelissimi e ossequenti cui impartire ordini.  Alla vigilia del referendum del 4 Dicembre 2016, constatammo che “ il Bomba” ( lo pseudonimo affibbiatogli dai suoi amici adolescenti fiorentini per la sua ben nota capacità a spararle grosse) seguiva la logica dei poteri finanziari forti ( JP Morgan e C. per i quali: “ la Costituzione italiana era troppo socialista”)  e fummo tra coloro che vollero attivare il comitato dei Popolari per il NO, con il quale contribuimmo alla vittoria contro le proposte del “giovin signore fiorentino”.

 

Oggi temiamo di esser passati dall’egemonia-dominio del conducator meneghino, Matteo Salvini, a quella del “ Bomba” fiorentino che, nonostante il merito indubbio per aver contribuito al superamento del dominio salviniano, di fatto, tiene in ostaggio il parlamento e il governo con la compagnia di ventura dei suoi voltagabbana. Un manipolo di parlamentari  espressione della più sciagurata e triste fase del trasformismo politico italiano.

 

Ritengo che un nuovo centro serva alla politica italiana, ma deve essere il risultato di  una vasta e plurale unione di componenti laiche, democratiche, popolari, liberali e riformiste, europeiste, trans nazionali, che condividono i valori dell’umanesimo cristiano e si pongono in alternativa alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e alla sinistra che, in tempi brevi, si ricomporrà nel Partito Democratico. Dubito che il centro renziano “ Italia viva” possa corrispondere a quest’idea. Sono assai più forti, se non prevalenti, le motivazioni di potere che attengono alla prossima spartizione delle centinaia di nomine pubbliche che il governo farà e all’elezione del futuro presidente della Repubblica. Data questa ultima, il 2022, sulla quale Renzi ha annunciato di traguardare la sopravvivenza della   legislatura.

 

Il sistema elettorale proporzionale, che mi auguro possa essere alla tedesca, con uno sbarramento al 3-4 %,  un premio alla lista che ottenga almeno il 41% dei voti, al fine di garantire la governabilità del sistema e con l’introduzione della sfiducia costruttiva ( un governo non decade se in parlamento non si forma una nuova maggioranza), potrà favorire la nascita di questo centro. Un partito che non potrà essere espressione di “ un uomo solo al comando”, ma dovrà essere fortemente partecipato e guidato da regole democratiche, come indicato dall’art. 49 della Costituzione. Un partito aperto alla collaborazione con quanti s’impegnano nella difesa e nell’ integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

 

Penso che con gli amici della DC storica, i popolari sin qui sparsi in varie sedi, quelli  de “la rete bianca”, di “Politica insieme”, di “ Costruire insieme” e della “Confederazione di sovranità popolare (CSP)”, insieme agli ex PD, come gli Onn. Giacchetti e Calenda,  agli amici di Forza Italia disponibili e ad altri riformisti liberali, socialisti e repubblicani, si possa attivare un processo di ricomposizione al centro con le caratteristiche di partecipazione democratica e dagli obiettivi sinteticamente  indicati. Un contributo decisivo, infine, potrebbe venire anche dagli amici del M5S e dal premier Conte che, già oggi, costituiscono oggettivamente il centro del governo giallo-rosso.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 19 Settembre 2019

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16 Settembre 2019

Tempo di ristrutturazione del sistema politico italiano

 

La Lega era ieri a Pontida, dove allo sventolio delle bandiere della secessione padana al tempo della leadership di Bossi, sono subentrate prevalenti quelle tricolori della nuova Lega nazionalista e sovranista salviniana. Cambio di politica e  di strategia, ma replica dei toni aggressivi e delle intemperanze, sino alle minacce violente contro giornalisti e cine operatori additati come “nemici”.

 

Prove di alleanza tra M5S e  PD, alla vigilia di importanti elezioni regionali a partire da quelle prossime dell’Umbria, nella consapevolezza che il governo Conti 2 difficilmente sopravvivrebbe a un eventuale filotto di vittorie del centro-destra in tutte le restanti regioni interessate al voto.

 

Annunciata,  sempre ieri, l’eventuale scissione del PD e la nascita del nuovo partito di Matteo Renzi aperto al centro del sistema politico italiano. Esploratori in avanscoperta Calenda e Richetti. Sono questi i tre avvenimenti più importanti che caratterizzeranno la settimana politica e quelle a seguire.

 

La Lega, dopo la sconfitta nella battaglia del Papeete, punta a ricomporre l’unità del centro destra, proponendo l’utilizzo del referendum abrogativo della quota proporzionale del rosatellum, al fine di avere mano libera col maggioritario, nella formazione delle eventuali liste per le politiche. Giorgia Meloni, alla spasmodica ricerca di un ritorno al governo, dopo la giovanile esperienza con la Casa delle libertà, sembra pronta a sostenere la legge  elettorale maggioritaria, con l’aggiunta di una modifica costituzionale in senso presidenzialista della nostra Repubblica, consegnandosi, così, mani e piedi alla volontà del conducator meneghino. In fondo, confermando  la nascita della nuova destra – destra italiana.

 

Forza Italia, non ancora stanca di subire i tradimenti salviniani come quelli post 4 Marzo 2018 e le successive discriminazioni, tranne qualche intelligente voce di dissenso, sembra accettare il ruolo subalterno al dominio leghista che finirebbe, a mio avviso, coll’assorbire totalmente ciò che rimane del consenso al partito del Cavaliere. Solo Gianfranco Rotondi  con pochi altri, continuano a ricordare a Berlusconi, che i Popolari europei, gruppo cui appartiene Forza Italia nel parlamento europeo, mai hanno fatto alleanze con partiti di destra o sovranisti in Europa, auspicando, semmai, che il partito dovrebbe utilmente concorrere alla costruzione del nuovo centro della politica italiana, in una fase di forte scomposizione e ricomposizione del sistema politico.

 

Molto importante è il tentativo di “alleanze civiche” annunciato da Di Maio con una lettera a Zingaretti e da questi immediatamente colto positivamente, a partire dal caso difficile delle elezioni umbre e, più avanti, sperimentabile in quelli di Emilia e Romagna, Toscana e Calabria.  Sarebbe la naturale logica conseguenza del patto di governo stipulato sul piano programmatico a livello nazionale. Il riferimento del presidente del consiglio Giuseppe Conte, nel suo discorso di investitura, a Giuseppe Saragat, come ben ha evidenziato l’On Cariglia nel suo sito informatico, potrebbe essere il giusto viatico per la costruzione finalmente  di un movimento- partito di cultura  socialdemocratica in Italia.

 

Più complessa la situazione del PD dove, Matteo Renzi, dopo la giravolta sulla proposta di alleanza col M5S, forte della sua rappresentanza parlamentare, maggioritaria all’interno del PD, e timoroso per ciò che potrebbe accadergli in caso di elezioni anticipate, punta a sparigliare, non per creare difficoltà al governo, ma per contare di più con una formazione politica autonoma. Ne sapremo di più fra pochi giorni alla Leopolda, ma, in ogni caso, questa operazione non potrà che portare consensi alla scelta di una nuova legge elettorale proporzionale che, mi auguro, possa essere “alla tedesca” ( sbarramento al 4% e sfiducia costruttiva) e alla quale una parte degli stessi parlamentari di Forza Italia dovrebbero corrispondere, se non vorranno mettersi attorno al collo il cappio della Lega salviniana.

 

Guai, però, inseguire Salvini sulla legge elettorale; il governo affronti, invece, da subito i problemi reali del Paese: diseguaglianza sociale, tasse, lavoro, ambiente, sicurezza e politica dell'immigrazione. Intanto utilizziamo al meglio la nuova affidabilità e i ruoli assunti dall'Italia nell'Unione europea.

 

In questa fase di forte scomposizione e ricomposizione del sistema politico italiano, infine, cosa dovremmo fare noi “ DC non pentiti”? Personalmente temo che il tempo per ricostruire la DC sia terminato. Troppi egoismi e molta stupidità politica sino al suicidio, sono stati sin qui prevalenti tra di noi, con il concorso decisivo di alcuni sabotatori seriali, che hanno contribuito al sabotaggio permanente del progetto. Ora é tempo di concorrere alla costruzione del nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra che si ricompatterà nel PD. Le alleanze, se passerà il sistema proporzionale, si potranno fare con coloro che  intendono difendere e attuare la Costituzione repubblicana, unica garanzia di riforme vere per la salvaguardia del bene comune. La discriminante attuale è quella che divide gli europeisti, che intendono battersi per la nuova governance dell’Unione europea, e i sovranisti nazionalisti, disperatamente isolati in Europa, divisi persino dai loro riferimenti del gruppo di Visigrad. I cattolici democratici e i cristiano sociali italiani, uniti ai Popolari europei,  sanno bene da quale parte stare, nella fedeltà ai principi e ai valori dei padri fondatori democratico cristiani dell’Unione europea.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 16 Settembre 2019

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11 Settembre 2019

Ora avanti con il nuovo centro della politica italiana

 

Con la fiducia del Parlamento al governo Conte 2 attendiamo di vedere all’opera il nuovo esecutivo, che si giocherà tutta la  credibilità sui temi del lavoro,  delle tasse, della sicurezza e della politica sull’immigrazione. Solo così si potrà evitare che la sconfitta di Salvini nella recente  battaglia non si tramuti, più avanti, nella sua vittoria della guerra.

 

Siamo delusi dalle dichiarazioni programmatiche del presidente Conte, atteso che, come dalla  bozza di programma, sono scomparsi i riferimenti al controllo pubblico di Banca d’Italia e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Così come siamo delusi dal balbettio utilizzato dal premier in risposta all’intervento della senatrice Binetti sul tema dell’eutanasia. Guai se il riferimento al “nuovo umanesimo” si collegasse, come qualche amico sostiene, alle teorie relativistiche di Edgar Morin; in tal caso il cattolicesimo di Conte, la sua formazione cattolico romana al Villaggio Nazareth, la devozione a San padre Pio, sarebbero irrilevanti  rispetto a quanto sta accadendo, tenendo presente che il 24 settembre la Corte costituzionale potrebbe sostituirsi tout court al parlamento e legalizzare in Italia il suicidio assistito, in sostanza l’eutanasia.

 

Siamo, peraltro contenti della nascita del governo, dato che, la fiducia acquisita, segna lo stop alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e la riapertura del dialogo con l’Unione europea, dove il ruolo assunto da Paolo Gentiloni, neo commissario agli affari economici, ci auguriamo possa facilitare il superamento delle regole illegittime del fiscal compact e sappia riproporre i temi del controllo pubblico della BCE e della separazione tra banche di prestito e banche di speculazioni finanziaria in tutta l’Unione europea.

 

L’impegno annunciato dal governo della riduzione dei parlamentari e le conseguenti modifiche costituzionali che tale scelta comporta, ci auguriamo che  possa favorire l’accordo su una legge elettorale  proporzionale di tipo tedesco, con sbarramento al 4% e introduzione della sfiducia costruttiva. Una proposta che, noi vecchi “ DC non pentiti” avanzammo, minoranza inascoltata,  sin dallo sciagurato referendum Segni.

 

La presenza di tre schieramenti quali il M5S, il PD e il centro destra a dominanza salviniana, con l’attuale legge elettorale del rosatellum modificato, all’interno del nostro sistema di democrazia parlamentare costituzionalmente garantito, favorisce il trasformismo politico parlamentare da cui sono sorti tanto il governo giallo verde che il Conte 2.

 

Tra la destra-destra del duo Salvini-Meloni, quella delle urla in Parlamento e dell’appello alla piazza infarcita da nostalgici col saluto fascista, e “le tre sinistre”, come sbrigativamente ha denunciato Forza Italia, serve costruire un nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, trans nazionale, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra che si ricomporrà tra il PD e quanto gravita al suo esterno.

 

Serve la ricostruzione di una sinistra espressione della migliore tradizione di quella cultura politica, così come serve dar vita a un nuovo centro in cui possano ritrovarsi le tradizioni dei popolari, dei liberali e riformisti, sin qui inseriti negli schieramenti provvisori usciti dalla seconda repubblica, quella del permanente scontro tra berlusconismo e anti berlusconismo.

 

L’uscita di Richetti dal PD è un primo segnale di un processo in atto che avrà inevitabili sviluppi, e l’apporto di Renzi potrebbe essere decisivo.  Anche a destra, Forza Italia non potrà vivere la contraddizione di un partito inserito in  Europa nel PPE, costretto a  saltabeccare nel centro destra a dominanza salviniana, antieuropeista, per garantirsi, da un lato, il governo a livello locale e, dall’altro,  la pelosa accettazione dei partners in sede nazionale. Proprio in quella sede dove assistiamo ai  repentini tradimenti della Lega, come quello perpetrato dopo il 18 Marzo 2018, o con la reiterata volontà di Salvini e della Meloni di procedere in un duo solitario senza il Cavaliere e i suoi amici .

 

E’ evidente che a questo nuovo schieramento centrista servirà l’apporto di tutte le energie provenienti dalla vasta galassia frammentata dell’area cattolica, popolare e già democratico cristiana dispersa in quasi tutti gli attuali schieramenti ,  per offrire la cultura migliore ispirata dalla dottrina sociale cristiana che, tanto in materia antropologica, che ambientale e sociale, può giovarsi degli insegnamenti straordinari del pontificato di Papa Francesco.

 

In attesa dell’azione operativa del governo Conte 2, della legge elettorale proporzionale inevitabilmente collegata alla scelta di riduzione dei parlamentari, credo  sia indispensabile avviare da subito e con chi è disponibile il progetto di formazione del nuovo centro, di cui il sistema politico italiano ha assoluta necessità.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 11 Settembre 2019

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04 Settembre 2019

Primo commento sul governo Conte bis : delusione.

 

Avevamo visto con favore la nascita del nuovo governo M5S-PD, seriamente preoccupati per il grave isolamento italiano in sede europea e internazionale, che la deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana, aveva determinato.

 

La suicida iniziativa politica di Matteo Salvini di por fine all’esperienza di governo giallo verde, con la prospettiva di trarne diretto beneficio elettorale, magari insieme alla Meloni, costante sollecitatrice di una maggioranza sovranista nazionalista, con l’esclusione della stessa Forza Italia,  ha dovuto fare i conti con la realtà di una repubblica parlamentare e con quanto previsto, in questi casi, dalla nostra Costituzione.

 

A differenza dei sistemi maggioritari il nostro attuale sistema, frutto della legge elettorale di tipo misto, rosatellum modificato, implica che le maggioranze si fanno in Parlamento. Così è stato, dopo il voto del 4 Marzo 2018 e così si sta verificando in queste ore. Arrampicarsi sugli specchi del “poltronismo” e/o sul “trasformismo” o era valido anche allora, o è inutile farlo adesso. Tanto più da parte di un “capitano”, la cui strategia si è dimostrata palesemente fallimentare e che, della poltrona, non si è mai liberato, nemmeno dopo aver “ pugnalato alle spalle” i suoi partners.  Espressione, quella della pugnalata, usata dai Cinque Stelle,  oggetto della durissima “catilinaria” anti Salvini  pronunciata da Giuseppe Conte al Senato.

 

Il timore del prevalere di una deriva populista nazionalista, dagli evidenti caratteri autoritari propri di un governo di estrema destra,  con l’isolamento dell’Italia in preda a una condizione gravissima di anomia sociale, culturale, economica, politica e istituzionale  e in una fase internazionale caratterizzata da pesanti situazioni di conflitto, era ciò che mi portava a sostenere il progetto del nuovo governo giallo rosso.

 

Ieri Di Maio, rafforzato dal voto plebiscitario degli iscritti alla piattaforma Rousseau, ha evidenziato il carattere di “continuità e stabilità” del governo Conte bis. Zingaretti, al contrario,  quello della “discontinuità”, accompagnato dalla volontà di “cambiare l’Italia”.

 

A Conte il compito di mettere insieme propositi e prospettive così diverse, non solo nella sua capacità di interpretare i ventisei capitoli della bozza di programma sin qui editati, ma anche nella formazione della lista dei ministri che, ci auguriamo, siano davvero espressione di quella “discontinuità” reclamata dal PD e della “competenza” annunciata dal capo carismatico del movimento Beppe Grillo.

 

Dai primi nomi annunciati non sembrerebbe emergere né la discontinuità, né la competenza se solo valutassimo quella dello stesso Di Maio, assurto miracolosamente dalla condizione di disoccupato strutturale a quella di vice presidente del Consiglio con il Conte 1, e, adesso,  annunciato di …..ministro degli Esteri. Credo che in tutta la storia nazionale e non solo in quella repubblicana, sia difficile, se non impossibile, trovare un precedente simile a questo che, indubbiamente, rappresenta un fattore di evidente cambiamento, la cui cifra, tuttavia, è ancora tutta da scoprire.

 

Da un primo esame dei titoli della bozza di programma, possiamo dire che le tre questioni di cui oggi l’Italia ha necessità di soluzione: economia e rapporti con l’Europa; recessione e lavoro, immigrazione, sono tutte evidenziate. Manca solo di conoscere come s’intende concretamente affrontarle e con quali risorse finanziarie.

 

Da parte mia, avevo sempre scritto che, preliminare a ogni progetto serio di riforma nel nostro Paese, due erano le scelte non rinviabili: il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Itala e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

 

Al punto 18 della bozza è scritto semplicemente: “È necessario porre in essere politiche per la tutela dei risparmiatori e del risparmio.” Mi sembra troppo poco e troppo generico e, in attesa del discorso che Conte pronuncerà all’atto della richiesta di fiducia alle Camere, concordo con quanto ha scritto ieri l’amico Alessandro Govoni, esperto di vicende interne al M5S, con una nota che trascrivo integralmente:

 

“NELL'ACCORDO PD-MOV 5 STELLE E' STATO TOLTA ALL'ULTIMO MOMENTO LA LEGGE CHE SEPARA LE BANCHE DI PRESTITO DALLE BANCHE SPECULATIVE.

LA LEGGE CHE SEPARA LE BANCHE DI PRESTITO DALLE BANCHE SPECULATIVE E' LA LEGGE PIU' IMPORTANTE DELLO STATO, PERCHE' E' LA LEGGE CHE IMPEDISCE AL SISTEMA BANCARIO DI FAR USCIRE IN NERO LE QUOTE CAPITALI PAGATE DAI MUTUATARI, IN FAVORE DEI GRANDI FONDI SPECULATORI DEI BANCHIERI DELLA GERMANIA DELL'EST ROTHSHILD E JP MORGAN, CHE LO CONTROLLANO.

SENZA QUESTA LEGGE ALTRI 1350 MILIARDI DI EURO USCIRANNO DALL'ITALIA E IN NERO NEI PROSSIMI 20 anni, , QUALE PROGRAMMA PUO' ESSERE REALIZZATO QUANDO E' AUTOMATICO CHE USCIRANNO DALL'ITALIA E IN NERO CENTINAIA DI MILIARDI DI EURO DERIVANTI DAL LAVORO E DALLA FATICA DEI CITTADINI ?

Per realizzare una politica economica ci vogliono solitamente 10 miliardi di euro che sono coperti per esempio dall'intero gettito dell' IMU che è appunto di circa 10 miliardi all'anno, quale qualsiasi politica programmatica potrà mai essere realizzata quando usciranno per certo ancora dall'Italia e in nero nei prossimi anni oltre 1.000 miliardi di euro ?

I cittadini italiani lavoreranno ancora per pagare le rate del mutuo, ma le quote capitali pagate non rimarranno in Istituzione pubbliche che le possono utilizzare per realizzare servizi per i cittadini: ponti, strade, scuole, università, ospedali, impianti fotovoltaici, impianti di macerazione della canapa per ricavare cotone, caucciu per le carrozzerie auto e per ricavare farmaci rigeneranti delle cellule, impianti di macerazione del sorgo dolce etiope per produrre bio benzina, RICERCA per curare il cancro, la leucemia,il parkinson e l''azheimer, servizi per dare sostentamento agli anziani e alla famiglie mono reddito, 
E INCECE NO , SE FOSSE APPROVATO L'ACCORDO PD-MOV CINQUE STELLE, NIENTE A DI TUTTO QUESTO POTRA' MAI ESSERE REALIZZATO PERCHE’ I  MUTUI SOTTOSCRITTI DAL 1993 HANNO IN SE' LO SCHEMA PER FAR USCIRE DALL'ITALIA E IN NERO CIRCA 80 MILIARDI DI EURO ALL'ANNO DI QUOTE CAPITALI PAGATE DAI MUTUATARI,  CHE FINISCONO NELLE CASSE DEI GRANDI FONDI SPECULATORI DEI BANCHIERI DELLA GERMANIA DELL'EST ROTSHSHILD E JP MORGAN CHE DAL 1993 CONTROLLANO BANCA INTESA, UNICREDIT, CARIGE, CARISBO, BNL BNP PARIBAS,  LE CASSE DI RISPARMIO E LE BANCHE POPOLARI . 

Permettere ancora questo significa concorrere  all'evasione fiscale, i politici che firmeranno questo accordo saranno quindi civilmente responsabili con i loro beni personali quanto chi ha emesso  decreti e provvedimenti  che hanno modificato nel 1992/93 la contabilità bancaria in caso di mutui ipotecari/fondiari.. “

Se le cose stanno così, non c’è da stare allegri e personalmente non lo sono, anzi il sentimento che mi pervade è quello della delusione, anche se continuo a credere nella : “spes contra spem” e vediamoli anche questi all’opera, in attesa che, superando le nostre stupidità, finalmente si concorra alla costruzione di un nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, in grado ridare, quello sì, stabilità al nostro sistema politico, traballante tra pericolose velleità sovraniste e pasticciate soluzioni trasformistiche.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 04 Settembre 2019

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23 Agosto 2019

Programma dei Cinque Stelle: occasione per un serio confronto

 

Cercando di superare i sentimenti di forte disapprovazione vissuti ieri durante il triste spettacolo della sfilata dei partiti al Quirinale, in alcuni casi, espressione del peggior trasformismo della politica italiana, tento di approfondire i dieci punti del programma indicato dal Luigi Di Maio per il M5S.Essi riguardano:  Taglio dei parlamentari, Manovra equa, Ambiente, Conflitto di interessi e Rai, Giustizia, Autonomia, Legalità e lotta evasione, Sud, Banche, Beni comuni.

 

Esaminando le brevi sintesi che accompagnano questi titoli di programma, ritengo che, come ha evidenziato il segretario del PD Zingaretti, quale positivo viatico per il confronto, trattasi di dieci punti su cui si possa facilmente trovare l’accordo.  Il punto del taglio dei parlamentari, richiesto come dirimenti dai grillini, può essere condiviso, se accompagnato dalle inevitabili modifiche cha tale cambio di assetto istituzionale comporta: legge elettorale a quel punto inevitabilmente proporzionale, modifica delle competenze delle due Camere e un ritrovato check and balance tra i poteri. Insomma,  un impegno politico parlamentare proprio di un governo almeno di legislatura.

 

Su tutti gli altri titoli anche noi “ DC non pentiti” non potremmo che condividerli, apprezzando la disponibilità espressa in materia di autonomia, così decritta: “ Va completato il processo di autonomia differenziata, richiesto dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Il tutto avviando una riforma degli enti locali e un piano di cancellazione degli enti inutili.”

 

E’, tuttavia, nel punto 9, dove si enuncia: “Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimenti dalle banche commerciali.” che colgo l’autentica forte novità del progetto grillino. Alla dura prova della realtà, finalmente leggo in un documento politico pubblico, quanto da tempo vado denunciando nella completa….. “disattenzione” degli organi di stampa.

 

Dopo il Monte dei Paschi di Siena è toccato alla CARIGE (Cassa di Risparmio di Genova), prime vittime di una crisi bancaria italiana nella quale sono coinvolte diverse altre realtà che stanno scivolando verso il default. Trattasi di una crisi di sistema, più volte denunciata dall’amico Alessandro Govoni anche in sede giudiziaria, dopo che Banca d’Italia è stata sottoposta al  potere degli hedge funds anglo caucasici-kazari detentori delle quote di maggioranza dei tre istituti controllati-controllori della Banca centrale (vedasi la risposta del Ministero del Tesoro all’interrogazione dell’On Villarosa del Febbraio 2017, allora capogruppo del M5S in commissione finanze della Camera, attualmente sottosegretario dello stesso Ministero *) per risolvere la quale non sono assolutamente sufficienti, ancorché necessarie, le politiche di intervento d’urgenza come quelle sin qui adottate tanto dal centro-sinistra che dal governo giallo-verde.

 

Fa, quindi, piacere che il M5S proponga questa che, a mio parere, non al nono, ma al primo posto andrebbe inserita, poiché, come ho avuto modi di esporre agli amici della direzione della Democrazia Cristiana guidata da Renato Grassi, l’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello STATO ITALIANO  e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente:  

1.    Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

 

2.    Controllo Statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

 

3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (=abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

 

4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (=abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

 

5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) =abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

 

7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

 

8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di societa italiane quotate alla borsa di Milano.

 

9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

 

10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza 

 

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

 

12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

 

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

 

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito 

 

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali). 

 

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

 

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB

 

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

 

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

 Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione diattentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

 

21. Obbligo di almeno cinque  Parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

 

Credo, come ho scritto agli amici della DC, che la Democrazia Cristiana, che fu già il partito di Guido Carli che seppe conservare la legge bancaria del 1936 sino al 1992, una delle pre-condizioni fondamentali della crescita dell’Italia, sarebbe quella di assumere queste indicazioni come essenziali per la sua proposta di programma, avendo consapevolezza che, senza questi pre-requisiti, nessun’altra riforma seria sarebbe possibile nel nostro Paese. 

 

Ripropongo queste stesse proposte agli amici interessati alla costruzione del nuovo centro democratico popolare, alternativo alla deriva sovranista e nazionalista che ha portato il Paese alla situazione attuale di isolamento e di crisi.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 23 Agosto 2019

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21 Agosto 2019

La “Quaresima di Salvini” e il M5S nuovo centro della politica italiana

 

Salvini ieri a Conte: 'Pericoloso, autoritario, preoccupante, irresponsabile, opportunista, inefficace, incosciente: bastava il Saviano di turno a raccogliere questa sequela di insulti, non serviva il Presidente del Consiglio”

 

Giuseppe Conte, infatti, nel suo intervento al Senato aveva appellato il ministro degli interni con questa connotazione: autoritario, privo di cultura costituzionale e irrispettoso delle regole, irresponsabile, sleale, sino alla stilettata velenosa della replica finale: “politico senza coraggio”. L’epiteto di codardo è quello che più pesa e peserà sull’immagine del “capitano”. 

 

Un’anamnesi  psicologico  caratteriale degna di una seduta psicanalitica. Mai si era vista, nella storia politica e parlamentare italiana, una crisi di governo con una requisitoria pubblica così feroce del presidente del consiglio contro il suo vice e ministro degli interni. 

Finisce così l’esperienza del governo giallo verde che segna, da un lato, la rinascita di un nuovo leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, e, dall’altra, l’inizio della “Quaresima salviniana”, ricordando una metafora che Fanfani utilizzò per Forlani, in un lontano congresso della DC, quello del patto di Palazzo Giustiniani (6 Giugno 1973).

Alla “Quaresima di Salvini” si aggiunge il declino della guida politica del M5S di Luigi Di Maio, responsabile del crollo elettorale subito dal partito dopo quindici mesi di un governo, nel quale il M5S ha subito costantemente l’egemonia della Lega salviniana parlamentarmente più debole.

Salvini paga gli errori di una strategia ondivaga, tra annunci e contro annunci, tempi errati nella tattica utilizzata, presentazione e ritiro di mozione di sfiducia al governo, senza dimissioni sue e dei ministri leghisti. Insomma una strategia fallimentare, tanto che nella seduta di ieri il ministro degli interni, anche nel suo confuso intervento, sembrava un pugile suonato, “groggy”, alle soglie del KO tecnico.

Ovviamente, come ricordò Fanfani, dopo il patto con Moro per liquidare la segreteria Forlani, “dopo la Quaresima ritorna la Resurrezione”, e così potrà essere anche per Salvini, se saprà correggere gli errori di conduzione politica commessi in questa fase della politica italiana e del suo partito.

Aperta la crisi di governo, spetta al saggio presidente Mattarella il compito di accertare se esistono le condizioni per una nuova maggioranza parlamentare in grado di reggere per l’intera legislatura o se, invece, si debba andare a elezioni anticipate, salvo passare per un governo di garanzia per lo svolgimento delle elezioni stesse.

Per quanto è emerso dalle dichiarazioni di voto al Senato, se il passaggio obbligato sembra essere quello di una possibile maggioranza M5S-PD, con tutte le difficoltà interne ed esterne ai due partiti, ieri abbiamo assistito alla riconfermata e per certi versi incomprensibile  disponibilità della Lega a un nuovo tentativo con i grillini, oltre alla richiesta del voto anticipato; alla reiterata dichiarazione di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per l’immediato ricorso al voto e per dar vita a una maggioranza sovranista e nazionalista Lega-FdI, con l’esclusione di Forza Italia; al timido cinguettio di quest’ultima che, con gli interventi della Bernini e di Gasparri, continuano a reclamare elezioni (?!) e il ritorno al centro destra a trazione salviniana, senza dar peso all’esclusione, quanto meno sottaciuta di Forza Italia da parte sia della Meloni che dello stesso Salvini, almeno sino a quando questi vestiva i panni del Rodomonte tuttofare.

Se veramente si andasse a elezioni anticipate, anche stavolta sarebbe impossibile la partecipazione di un partito di ispirazione cristiana, persistendo una diaspora suicida e assurda, espressione, da un lato, della “maledizione di Moro” e , dall’altra, della stupidità di tutti noi, eredi indegni dei nostri padri fondatori. Le abbiamo tentate tutte nel lungo travaglio politico dei cattolici italiani, dopo la fine della DC ( 1993-94) e sino ai nostri giorni, ma, almeno sin qui, rimangono velleitarie le nostre indicazioni e pressoché nulli i risultati politico organizzativi concreti in grado di ricomporre ciò che resta della tradizione democratico cristiana e popolare italiana.

Ieri Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di parlare come un politico di cultura democratico cristiana, fedele servitore delle istituzioni, della Costituzione repubblicana e dello stato di diritto, autentico leader di un movimento che, grazie anche agli errori di Salvini, sta assumendo oggettivamente il ruolo di asse centrale della politica italiana.

Certo il M5S dalla sua nascita con la cultura dei “vaffa…” e la sua struttura aziendale privatistica non può essere il modello di riferimento in grado di rappresentare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, che sono stati quelli cui ha sempre fatto riferimento la Democrazia Cristiana. Oltre tutto, gli esempi forniti sin qui, tanto a livello locale che di governo nazionale, hanno scontato il livello di improvvisazione e di prevalente scarsa competenza professionale politica e amministrativa dei dirigenti grillini.

Non vi sono dubbi, però, sulla buona fede di una classe dirigente nuova di giovani che hanno inteso rappresentare ansie e bisogni diffusi in larghi strati della società italiana, rispetto ai quali noi “ DC non pentiti” abbiamo il dovere di guardare con estrema attenzione.

Anche la triste formula della “decrescita felice” deve farci meditare tutti noi che, sulla questione ambientale e su quella antropologica, abbiamo il dovere di dare risposte, alla luce degli insegnamenti della dottrina sociale cristiana espressi dalle ultime encicliche sociali: dalla “Centesimus Annus” di Papa San Giovanni Paolo II, alla “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, sino alla “Evangelii Gaudium” e la “Laudato Si” di Papa Francesco. Che si debba puntare a un nuovo tipo di economia, dando prevalenza a quella reale contro il dominio dei poteri finanziari sta scritto in tutti i nostri testi teologico pastorali citati, nella quale porre in essere politiche economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibili, è una delle motivazioni più importanti di possibile intesa con il Movimento 5 Stelle.

Non va sottovalutata, poi, la scelta europea fatta dal M5S a sostegno della neo presidente Ursula von der Leyen, popolare, ossia autorevolissima espressione del PPE cui facciamo anche noi riferimento.

C’è, infine, una ragione più profonda che ci può collegare a questo nuovo centro della politica italiana, nel quale potremmo apportare il contributo della nostra migliore tradizione culturale e politica: il M5S tra i suoi primi obiettivi programmatici, ahimè sin qui solo enunciati, contiene quello che da molto tempo anche noi DC andiamo sostenendo:

a)             il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia;

b)            la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. 

Trattasi di due riforme propedeutiche a ogni altro tipo di riforma  economica e sociale, senza delle quali, ogni progetto riformatore risulterebbe vano.

Incapaci di realizzare, nei tempi brevi che la politica italiana ci impone, l’unità di tutti i DC,  credo andrebbe accelerato il progetto di concorrere alla creazione di un nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo al sovranismo nazionalista che la deriva salviniana e della destra meloniana vorrebbe far prevalere in Italia. Una prospettiva drammatica se vincesse, di sicuro isolamento dell’Italia e di rottura con i nostri tradizionali partner europei e atlantici. E’ tempo che, come faremo noi sin dai prossimi incontri degli organismi  nazionali DC, anche il M5S, con la nuova leadership di Conte conquistata sul campo, cominci a muoversi in questa direzione.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 21 Agosto 2019

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09 Agosto 2019

Le ragioni della nostra alternativa

 

Cari amici, ho letto con interesse e piena condivisione la nota a firma del segretario nazionale della DC, Renato Grassi e di Alberto Alessi, vice segretario DC: “Summus ius, summa iniura”, pubblicata sul sito ufficiale della DC: www.democraziacristiana.cloud . Trattasi di un testo che  fa chiarezza sulla posizione del partito dei cattolici democratici e cristiano sociali. Una posizione che è stata, è e sarà sempre alternativa alla deriva populista e nazionalista a guida salviniana, specie in queste ore nelle quali si è consumata l’esperienza del governo giallo-verde.

 

Da diverso tempo, quale “osservatore  partecipante a mezzo servizio”, sostengo anch’io la necessità di concorrere alla costruzione di un’alternativa al “salvinismo”, che assume ogni giorno di più i caratteri di una politica che mette seriamente in dubbio lo stato di diritto e alcuni dei fondamentali della nostra Costituzione. Un’alternativa da costruire con una coalizione ampia, plurale e democratica di forze disponibili per un unico grande obiettivo: ricomporre l’unità nazionale nella difesa e integrale attuazione della Costituzione.

 

E’ ben nota  la posizione che Matteo Salvini ha espresso dal momento in cui, con Maroni prima, e poi da solo, è riuscito a scalzare Bossi dalla guida della Lega.  Una defenestrazione conseguente all’affaire dei fondi pubblici illegittimamente utilizzati, sino alla progressiva trasformazione di quel partito da espressione della volontà di autonomia e secessione del Nord, a quella di un partito nazionale a tutto tondo, caratterizzato dalla volontà di dare risposta ad alcune pulsioni esistenti in una società nazionale in preda alla condizione di anomia morale, sociale e culturale più volte da me  descritta.

 

Trattasi di una situazione di frustrazione che, da diverso tempo, covava sotto le ceneri, foriera di un’aggressività progressiva che, dal livello individuale ha assunto dimensioni sempre più ampie collettive, amplificate dalla mancata risposta che i governanti non erano riusciti a fornire non solo sui temi economici, ma su quello emergente di un’immigrazione dalle dimensioni eccezionali. Un’immigrazione  proveniente tanto dal fronte meridionale africano che dal medio ed estremo oriente, a causa di guerre, politiche autoritarie e repressive e, soprattutto, dalla volontà di riscatto economico e sociale di centinaia di migliaia di giovani, affamati e prolifici.

 

Salvini, nel contratto di governo contratto dopo il voto del 4 Marzo 2018 con il M5S, ha avuto l’abilità di scegliere per sé, come secondo partito dell’ambigua coalizione (diversa e opposta dagli orientamenti espressi in quel passaggio elettorale), il ministero degli Interni, avviando dal Viminale e nella sua contemporanea veste di vice presidente del consiglio, un’azione politica martellante sul tema immigratorio. Ha assunto toni e atteggiamenti assolutamente nuovi e diversi da quelli  di tutti i ministri degli interni precedenti, dai caratteri sempre più simili a quelli già conosciuti, ahimè, all’avvio di un passato tragico dell’Italia, con ampio e frequente ricorso ai “ me ne frego” e a ben manifestate simpatie verso gli ambienti dell’estrema destra, come quelli di Casa Pound et similia.

 

Nella triplice funzione, anche questa una realtà assolutamente innovativa e pericolosa, di vice presidente del consiglio, ministro degli interni e segretario della Lega, Salvini ha finito con l’assumere progressivamente agli occhi dell’elettorato la figura di un conducator, di un leader risoluto e autoritario di cui, con frequenze alterne, il popolo italiano, prima e durante la lunga storia dell’unità nazionale, ha sentito, purtroppo,  la pericolosa necessità.

 

Non si comprenderebbe, altrimenti, il consenso che in un solo anno Salvini ha saputo conquistare, sino a raddoppiare la cifra della Lega del 4 Marzo 2018 ( dal 17 al 34%) e a doppiare nelle recenti  elezioni europee i contraenti del contratto, quelli del M5S, ridotti ad ascari silenziosi della volontà del leader milanese.

 

La frustrazione della società civile italiana che, lungi dall’esprimersi in un’autentica rivolta sociale com’è accaduto in Francia con il fenomeno dei gilet gialli, si era manifestata, dapprima, con l’astensione dal voto ( praticamente metà dell’elettorato ) e, poi,  alle elezioni europee e secondo i sondaggi degli ultimi mesi, sembra,invece, riversarsi nel consenso a favore della Lega salviniana. Un partito camaleonte capace di una magica trasformazione  da movimento della secessione nordista padana e anti meridionale, in un rifugio anche per  il Sud, dove la Lega si appresta a sostituire il M5S prosciugandone il bacino elettorale.

 

Con  Renzo Gubert, neo Presidente del Consiglio nazionale DC ( amico carissimo dagli anni della comune frequentazione da isolatissimi DC, della facoltà di Sociologia a Trento, dove entrambi ci siamo laureati alla fine degli  anni’60), proprio sul tema della deriva autoritaria salviniana abbiamo avviato un sereno e costruttivo confronto. Ed è proprio anche in base alle sue sollecitazioni che tento di approfondire le ragioni della nostra alternativa.

 

In questi giorni ho molto apprezzato il saggio dell’On Renato Brunetta su  “ Il Foglio” del 2 Agosto: “L’altra Italia c’è- L’alternativa ai populisti passa da partiti desiderosi di non essere più schiavi del placebo populista”, e una nota del prof  Maurizio Bettini, su “ La Repubblica” di Mercoledì 7 Agosto, intitolata: “ L’umanità nella musica di Mozart”. Invito gli amici a consultare questi due documenti, così come da parte mia raccolgo, condividendolo, l’invito formulato da padre Spadaro, direttore de La civiltà Cattolica: “ questo è tempo di resistenza umana, civile e religiosa”.

 

Tralasciando gli  atteggiamenti e i comportamenti “stravaganti “ di un ministro degli Interni uso a utilizzare i locali delle prefetture, come quella di Milano, per incontri politici di partito con gli amici europei dell’area Visigrad, sino all’utilizzo improprio dei mezzi della polizia (una scappatella del padre per il figliolo) o alla stupida esibizione di Milano Marittima a torso nudo e contorno di giovani bellezze al bagno, gaudenti al ritmo dell’Inno nazionale, sono le politiche realizzate, insieme alle colpevoli omissioni messe in atto da questo conducator, che danno sostanza alla nostra tesi politica. Con Matteo Salvini l’Italia corre un rischio serio di  progressiva involuzione autoritaria, che, se non è ancora fascismo, ha già tutti i caratteri di una svolta contraria alle regole dello stato di diritto e ad alcuni valori fondanti della nostra Costituzione. Siamo seriamente preoccupati e consapevoli che: “ quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica o la parola passa alla forza”.

 

Un ministro degli interni che, chiamato in causa dalla magistratura (caso nave Diciottti) se la cava, sottraendosi alle indagini, grazie al voto parlamentare garantitogli scientemente dai grillini; richiesto di esporre in commissione parlamentare notizie e fatti sul caso Siri-Arata, tuttora aperto agli sviluppi più imprevedibili, si rifiuta di presentarsi; idem sul caso Moscopoli ( oggetto di indagine della magistratura milanese) , dove direttamente chiamato in causa per la frequentazione, prima negata e poi palesemente dimostratasi vera, con Savoini, anziché presentarsi in Parlamento per rispondere si fa difendere dal presidente del consiglio Conte, ha mostrato in poco più di un anno in cui ha assunto le sue funzioni ministeriali, elementi tali da considerarlo lontano mille miglia da ciò che tradizionalmente consideriamo il ruolo di un ministro degli interni garante della libertà di tutti i cittadini italiani.

 

Aggiungiamo l’atteggiamento assunto sul grave caso dei 49 milioni di euro illegittimamente spesi dalla Lega e/o dai suoi dirigenti. Salvini con tono spavaldo ai limiti dell’impudenza, ha dichiarato“Sono anni che vanno avanti con questi 49 milioni, a me non cambia niente. Non mi cambia la vita". Questa la replica del ministro e segretario politico della Lega a chi gli  chiedeva spiegazioni, dopo la recente sentenza della Cassazione che ha confermato la confisca di 49 milioni al suo partito . Anche stavolta legibus  solutus, in grado di sottrarsi a ogni dovere di assoluta chiarezza e trasparenza ?

 

Certo non potrà continuare a tacere se, proprio ieri, l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, attacca i suoi successori al vertice del partito, ossia Maroni e lo stesso Salvini, dicendo: “ non bisogna chiedere a me come sono stati spesi quei soldi, io li ho lasciati nelle casse del partito”. “Quello che è  successo dopo? Bisogna chiederlo a Maroni e Salvini. Sto valutando di fare unazione legale”,  aggiunge l’ex tesoriere della Lega.

 

Infine, ed è la cosa più importante, è sulle politiche messe in atto da Salvini e dalla Lega, che dobbiamo valutare se queste corrispondano al bene comune del Paese e agli interessi e ai valori  che come democratici cristiani intendiamo rappresentare .

 

Quanto alla politica estera assistiamo, da un lato, alla più ambigua e ondivaga posizione dell’Italia tra USA e Russia, con malcelate aperture verso la Cina di Xi Jinping,. Dall’altro, un errore dietro l’altro nella politica europea, sino all’isolamento più completo nell’Unione, persino alla rottura nel voto con il partner di governo grillino nell’elezione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, con il rischio di non poter nemmeno ambire a una posizione di riguardo tra i commissari europei, di cui ancor oggi non si conosce il candidato italiano.

 

Infine, il capitolo più controverso, la politica dell’immigrazione, sino all’inquietante approvazione  del decreto sicurezza bis.

 

Se da un lato, coperto da una continua propaganda di cui il conducator è abilissimo interprete, le sue sparate contro le ONG gli hanno permesso di acquisire consenso, dall’altro, sul piano dei risultati concreti, costatiamo che, al di là dei finti respingimenti per qualche giorno delle navi ONG, l’immigrazione alla spicciolata continua al Sud come al Nord, con un flusso continuo e inarrestabile, e la promessa del rimpatrio degli oltre 600.000 irregolari dichiarati come già presenti al momento dell’assunzione del suo ruolo, resta una chimera, in assenza di relazioni positive con i potenziali partner europei e nord africani.

 

Viste le falle del decreto sicurezza  uno, Salvini, con la colpevole complicità e copertura dei grillini, si è allora inventato lo sciagurato decreto sicurezza bis, causa ultima della presa di posizione netta del “La Civiltà cattolica” già citata  di padre Spadaro, autorevole interprete di ciò che Papa Francesco va predicando nei suoi domenicali Angelus a Piazza San Pietro.

 

Condividendo in toto le argomentazioni espresse dai costituzionalisti  Paolo Maddalena e Gaetano Azzariti circa l’incostituzionalità di tale decreto, da parte mia, molto più semplicemente mi limito a osservare che esso appare nettamente al di fuori e contro ciò che è stabilito dall’art.10 della nostra Costituzione. Ieri il presidente Mattarella all’atto della promulgazione della legge ha espresso due “rilevanti criticità”. In una lettera inviata al presidente del consiglio e ai due presidenti delle Camere ha scritto: "Al di là delle valutazioni nel merito delle norme, che non competono al Presidente della Repubblica non posso fare a meno di segnalare due profili che suscitano rilevanti perplessità" e, in ogni caso, anche in presenza di questo decreto rimane intatto l’obbligo dei  naviganti di salvare i naufraghi. Le due criticità rilevate da Mattarella riguardano l’elevato valore dell’ammenda amministrativa che, come già evidenziato da una sentenza della corte costituzionale, finisce con l’assumere il carattere di una sanzione penale e, il secondo, concerne la norma del dl sicurezza che consente di non applicare “ la tenuità del fatto” in caso di reati contro i pubblici ufficiali. Questo, infatti, secondo Mattarella "impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte" e nel caso di oltraggio "solleva dubbi sulla conformità al nostro ordinamento e sulla ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza" che possono riguardare anche casi che non generano "allarme sociale".

 

E’ evidente che non solo tali rilievi rimettono alla “valutazione del Parlamento e del governo l’individuazione dei modi e dei tempo di un intervento normativo sulla disciplina in questione”, ma, inevitabilmente,  prima o  poi, sarà la Corte Costituzionale a essere chiamata a decidere sulla costituzionalità  di tutto o su alcune parti dello stesso decreto.

 

Da parte mia considero grave la deriva che si è aperta a dominanza salviniana e, forte degli insegnamenti che Lugi Sturzo ci ha consegnati con il suo discorso al congresso del PPI di Torino nel 1923, contro la fronda dei popolari disponibili all’alleanza con il fascismo, e con quelli degasperiani, da lui e da tutta la DC sempre difesi, anche contro l’autorità di Papa Pacelli nel drammatico caso delle elezioni capitoline del 1952, mi batterò dentro e fuori il partito affinché ciò che resta della DC storica sappia tenere la schiena dritta in alternativa al populismo e al nazionalismo, che sta portando l’Italia allo sfascio e al totale isolamento internazionale. Tutto ciò in linea con il documento Grassi-Alessi citato. 

 

Certo, decideremo insieme il da farsi nelle prossime riunioni della direzione e del Consiglio nazionale, convinti con l’insegnamento di  Aldo Moro, che, in ogni caso, sia “ meglio sbagliare tutti insieme che avere ragione da soli”, con il limite insuperabile,  almeno per me e mi auguro per tutti, di non esser mai parte attiva di un disegno autoritario, che non appartiene alla storia dei cattolici democratici e dei cristiano sociali.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 09 Agosto 2019

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02 Agosto 2019

Lo sconquasso del Centro

 

Con il mio ultimo editoriale del 30 Luglio scorso: “ Verso un nuovo centro democratico e popolare”(www.alefpopolaritaliani.it) , avevo commentato i risultati dell’incontro demitiano di Nusco e i primi timidi segnali derivanti dall’ ”incontro segreto” di Roma tra gli amici de “ La rete bianca”, Giorgio Merlo, Giuseppe De Mita, Lucio d’Ubaldo con Pierferdinando Casini, Bruno Tabacci, Mara Carfagna e altri. Segnali orientati a dar vita a un nuovo centro democratico e popolare in grado di riunire componenti di culture e tradizioni politiche diverse, accomunate dalla volontà di difendere i valori costituzionali e di opporsi alla deriva autoritaria nazionalista e populista a dominanza salviniana.

 

Ciò che è accaduto ieri in Forza Italia, con l’emarginazione de facto di Giovanni Toti, sempre più sbilanciato nell’abbraccio con Fratelli d’Italia e la Lega salviniana, e il rifiuto della Carfagna di far parte del nuovo “comitato di liquidazione” di Forza Italia, come l’ha definito la brillante deputata campana, è il segnale della scomposizione del centro politico italiano.

 

La fantasia condita dall’indiscutibile fiuto imprenditoriale del Cavaliere ha partorito l’ennesima idea di un nuovo partito: “ L’Altra Italia” che, a detta di Berlusconi, dovrebbe costituire una federazione di tutti  i partiti, movimenti e gruppi espressione soprattutto di quel 50% di elettori sin qui renitente al voto. Un’idea che, credo, risenta molto dell’influenza esercitata dall’amico Gianfranco Rotondi, anche lui  “DC non pentito”, da sempre inserito nel partito di Berlusconi in rappresentanza di una frazione di elettorato ex democratico cristiano.

 

Come fu grazie ai compianti amici, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, che Silvio Berlusconi scelse a suo tempo di aderire al PPE, di cui oggi è nel Parlamento europeo, il più autorevole rappresentante italiano, anche quest’ idea della federazione di tutte le componenti di centro alternative alla sinistra e al governo giallo verde, ha il sapore di un’imbeccata DC rotondiana.

 

La verità è che in questi ormai venticinque anni della sua discesa in campo, il Cavaliere, come Saturno, ha divorato molti dei suoi annunciati figli ed eredi politici, concludendo, però sempre, col riaffermare la sua immutabile leadership collegata non solo alle sue indubbie capacità carismatiche, ma anche e soprattutto all’ineluttabile legge, come diciamo noi veneti, dell’articolo quinto :“ chi che ga i schei, ga senpre vinto”.

 

L’inevitabile sfascio di Forza Italia, annunciato dagli ultimi risultati elettorali e dai sondaggi quotidiani, apre un vuoto enorme al centro dello schieramento politico nazionale, tanto più grave nel momento in cui, al tragicomico conflitto tra Lega e M5S, contraenti di un patto che li ha resi protagonisti entrambi di un ruolo a giorni alterni di partiti di lotta e di governo, in caso di elezioni politiche anticipate, l’unica alternativa al dominio salviniano sarebbe svolta, ahimè, in maniera del tutto insufficiente dal partito Democratico. Un partito anch’esso diviso tra annunciate disponibilità ad accordi con il M5S e il netto rifiuto dell’area ancora parlamentarmente maggioritaria dei renziani.

 

E’ in questo quadro che si pone una seria riflessione sul che fare al centro della politica italiana; al centro, cioè, di un sistema politico retto da una legge elettorale mista maggioritaria-proporzionale che, senza modifiche, richiede necessariamente alleanze, nel quale da molte scadenze elettorali nazionali e locali, quasi il 50% degli elettori è renitente al voto.

 

Più volte ho definito questa situazione come un classico caso di anomia politico sociale, tanto più evidente, dopo il rapporto SVIMEZ di ieri sulla tristissima condizione del nostro Meridione, in cui, non a  caso, il Movimento Cinque Stelle ha vissuto la sua effimera stagione di successo  elettorale, sino a portare ai vertici del governo, un giovane senz’arte né parte, neo Masaniello napoletano, rivelatosi, alla fine, impotente rispetto ai molti ruoli affidatigli e subalterno al conducator meneghino.

 

Senza la ricostruzione di un centro credibile, democratico, popolare, espressione di ciò che resta delle culture politiche che sono state alla base del patto costituzionale, quella cattolico democratica,  liberale, repubblicana, riformista socialista e marxista, non sarà possibile arginare la deriva nazionalista e populista salviniana. Una deriva che ha portato all’isolamento più grave dell’Italia sul piano europeo , alla confusione della nostra linea tradizionale filo atlantica in politica estera, e, dopo più di un anno di governo, all’odierna  condizione di stagnazione economica e sociale.

 

Qualche anima bella di casa nostra DC, sembra storcere il naso all’attenzione che personalmente poniamo a tutto ciò che sta accadendo a  partire dall’incontro di Roma degli amici citati de “ La rete bianca”. Certo condivido l’esigenza di volti nuovi non compromessi e più credibili, ma i tempi imposti dalla politica italiana, temo che non permettano una così drastica selezione di classe dirigente.

 

A questi Torquemada del “nuovo che avanza”, savonaroliani senza esercito, vorrei ricordare cosa scriveva il grande Niccolò nel Capitolo VI de “ Il Principe”: “De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquirunter”

 

“ E debbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono inimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita.”

 

Credo sia giunto il tempo di metter insieme le energie migliori presenti nell’area centrale della politica italiana, per ridare una speranza a quel 50% di elettori che non vanno a votare e rinsaldare, come seppe fare a suo tempo e per lunghi anni la DC, gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari. Noi “ DC non pentiti” siamo pronti a offrire il nostro contributo.


Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 02 Agosto 2019

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30 Luglio 2019

Verso un nuovo centro democratico e popolare

 

Seguo da lontano, dopo un intervento in ospedale, le nostre amarezze interne, dall’ultima lettera del prof Luciani e commento acritico dell’amico Tomei su persone e avvenimenti da me personalmente vissuti in modi alquanto difformi da come rappresentati.

 

Trovo stucchevole che nella grave situazione politica in cui versa l’Italia si continui a inseguire codici e pandette del tutto fuorvianti, espressione di quella “maledizione di Moro” che si accompagna da molti, troppi anni, alle nostre stupidità. Quelle che ci hanno impedito sino ad oggi di perseguire l’obiettivo che alcuni di noi si erano prefissi, sin dal lontano 2011, dopo la sentenza della Cassazione per la quale “ la DC non è mai sta giuridicamente sciolta”.

 

“Sabotatori seriali” hanno sin qui operato per impedire ai nostri sforzi compiuti dal XIX Congresso nazionale del 2012 ad oggi, di tentare la ricostruzione politica e organizzativa della DC.

 

Lascio al caro Giovanni Tomei continuare un’equivoca narrazione di qualche “puro DC” della prima Repubblica, espressione solitaria della migliore tradizione politica dei democratici cristiani, rispetto a quelli che come noi, quarta generazione della DC, si sono sempre considerati, forse indegnamente, ma alla pari, eredi del partito di De Gasperi, Fanfani, Andreotti, Moro, Donat Cattin, Marcora e Bisaglia e sino ad oggi dichiarati senza ripensamenti: “DC non pentiti”.

 

Trattasi di una ricostruzione errata e ingiusta di persone, fatti e avvenimenti che richiederebbero una diversa e ben più completa dotazione di elementi di giudizio; quelli che solo coloro che di quei fatti ebbero diretta esperienza possiedono e che, come tali, potrebbero autorevolmente svolgere senza far torto alle “realtà effettuale”.

 

Difficile stabilire il ruolo di “angeli e demoni” in una travagliata vicenda storico politica, quella del tentativo di ricomposizione dell’area cattolico popolare e democratico cristiana, che personalmente sto tentando di ricostruire, sulla base di documenti e testimonianze nel mio prossimo saggio su: “ Il travaglio politico dei cattolici italiani: 1993-2019”.

 

Grazie alla collaborazione dell’amico Leo Pellegrino, il quale mi ha inviato la prima sentenza, quella del giudice Manzo, da cui è partita tutta la diaspora post DC, ho potuto raccogliere tutte le sentenze che si sono susseguite sulla vicenda del nostro partito, giungendo alla conclusione che non è più il caso di continuare a inseguirci nelle aule dei tribunali, mentre intorno a noi è cambiato un mondo.  Sono nate almeno due nuove generazioni di italiani che della DC non hanno più alcuna idea, se non in taluni casi, quella deformata dalla “damnatio memoriae” che ci è stata accollata dalla tragica epopea di “mani pulite” e da media compiacenti e di parte.

 

Dal 1994 sono trascorsi venticinque anni nei quali tutto è cambiato; sono scomparse tutte le culture politiche che furono protagoniste nella prima repubblica, persino quella “magicamente sopravvissuta” dell’ex PCI, trasformatasi nel PDS, Margherita, PD, sino all’attuale pallida rappresentazione zingarettiana, divisa tra la nostalgia della storia marxista e l’unità a sinistra e la fuga centrista liberal moderata renziana e calendiana.

 

Ha ragione Ciriaco De Mita, quando a Nusco, alcune settimane fa, ha ricordato che l’unica cultura politica che è rimasta intatta nel suo valore è quella del popolarismo sturziano e degasperiano, facendo seguire alla sua analisi la proposta di una ricostruzione dal basso, dai territori e dagli amministratori locali, un nuovo movimento-partito dell’area popolare.

 

Con un editoriale del  5 Luglio scorso (“Luglio caldo per l’area popolare”) ho condiviso il proposito demitiano; meno quella precisazione da lui fatta in un’intervista successiva, nella quale ipotizzava la nascita di una sorta di corrente di sinistra DC da utilizzare, intanto, in chiave campana, nell’alleanza regionale con il PD del governatore De Luca e possibili sviluppi successivi in chiave nazionale.

 

Analogamente seguiamo, da qualche tempo con l’amico Giorgio Merlo, ciò che sta accadendo nell’area della “Rete Bianca” degli ex popolari impegnati e frustrati dall’esperienza nel PD, i quali con gli amici Casini, Tabacci, D’Ubaldo e altri e con Mara Carfagna, coordinatrice di ciò che resta di Forza Italia, si sono incontrati nei giorni scorsi a Roma. Un incontro importante che si pone l’obiettivo di organizzare un nuovo centro democratico e popolare, ampio e plurale, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana che sta sgovernando il Paese, ridotto al più grave isolamento in ambito europeo, e con una politica estera ondivaga e altalenante tra la Russia di Putin e  gli USA di Trump, con simpatie malcelate verso la Cina di Xi Jinping.

 

Credo che sarebbe ora che la smettessimo con le nostre diatribe di basso conio interne e fossimo più attenti a ciò che sta accadendo in quest’area centrale in movimento, interessata come noi “ DC non pentiti” a costruire una seria e credibile alternativa allo strapotere salviniano, che sta assumendo tutti i caratteri di una politica conflittuale con i valori costituzionali dell’Italia.

 

Certo servirà incontrarci per approfondire le ragioni dello stare insieme in quella che potrà assumere il modello di una federazione di culture politiche che si rifanno alla Costituzione repubblicana, nella quale noi democratici cristiani potremo e dovremo apportare il meglio della nostra tradizione politica e culturale ispirata ai valori della dottrina sociale cristiana.

 

In questi anni nei quali ci siamo persi in vicende poco commendevoli interne, abbiamo anche saputo costruire una serie di proposte politiche e programmatiche ( Sant’Anselmo, Camaldoli) con le quali siamo in grado di concorrere adeguatamente alla costruzione del nuovo centro democratico e popolare, apportandovi un serio contributo di idee. 

 

Una prospettiva sulla quale dovremo tutti noi convenire, se vogliamo dare un senso agli sforzi sin qui compiuti nel tentativo, ahimè fallito, della pur importante, ma non unica e indispensabile,  ricomposizione dell’area democratico cristiana.

 

Da parte mia e degli amici di ALEF, questa è la proposta che crediamo sia più importante  realizzare nell’attuale fase delicata e pericolosa della democrazia italiana.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 30 Luglio 2019

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20 Luglio 2019

Due riflessioni di Luglio

 

Cari amici vi invio queste due riflessioni sul:

a)    50° anniversario dell’avvio delle regioni a statuto ordinario (1970-2020)

b)   dialogo sulla DC con l’amico Cesare Lia su facebook

 

Il prossimo anno, 2020, saranno cinquant’anni dall’avvio delle Regioni a statuto ordinario. Fu il traguardo che la DC inseguì dalla nascita della Repubblica. Un traguardo che raggiungemmo con la guida del ministro veneziano, il compianto sen Eugenio Gatto. Con alcuni amici autorevoli del Veneto abbiamo pensato di organizzare un convegno nel 2020, in una sede importante del collegio senatoriale veneziano nel quale il sen Gatto era eletto, in ricordo di quell’avvenimento. Sarà l’occasione per analizzare rigorosamente quanto è accaduto in questi cinquant’anni di vita regionale, con tutte le luci e ombre che li hanno caratterizzati.

Credo che, anche come DC nazionale, potremmo utilizzare l’avvenimento veneto come un’opportunità speciale di riflessione sul regionalismo nella situazione politica attuale.

 

A un amico, Cesare Lia, che su facebook, a proposito del rilancio della DC, mi scrive: “senza organizzazione, come si fa ad affrontare una campagna elettorale? Non basta dire siamo la DC”, ho risposto così: prima di tutto dobbiamo esistere come iscritti al partito in tutte le province e comuni italiani; celebrare il XX Congresso nazionale  il 1 Dicembre p.v. (tempi della politica nazionale permettendo) per ricostituire, speriamo unitariamente con tutti i DC disponibili, gli organi dirigenti del partito e, in parallelo, impegnarci nella costruzione del centro più ampio democratico e popolare, alternativo alla deriva nazionalista e populista. Lo so, trattasi  di un percorso difficile e siamo come "medici scalzi" senza risorse finanziarie, ma se non partiamo dalle nostra risorse morali e culturali, le nostre virtù etiche, non c'é più speranza, non tanto per noi, ma per l'Italia. Vogliamo tentare quest’ ultimo sforzo tutti INSIEME?

 

Credo che il nostro impegno prioritario sia proprio quello che la direzione nazionale DC ha indicato e che ho evidenziato nella risposta a Cesare  Lia.

Due o tre grandi convegni interregionali, come da me già proposti alla direzione nazionale  del partito, andrebbero organizzati prima del XX Congresso nazionale del 1 Dicembre, mentre l’occasione del 50° esimo anniversario dell’avvio delle regioni a statuto ordinario, dovrebbe essere un occasione da non perdere, per rivendicare il valore originario della proposta politica dell’autonomia, da sempre sostenuta dalla DC, in continuità con la visione sturziana e degasperiana.

Un cordiale saluto a tutti voi.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 20 Luglio 2019

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05 Luglio 2019

Luglio caldo per l’area popolare

 

E’ intensa l’attività dell’area popolare ed ex Democratico cristiana in questo mese di Luglio. Terminato positivamente a Nusco l’incontro dei “Popolari” invitati da Ciriaco e Giuseppe De Mita, si è svolto il 3 Luglio scorso,  presso l’Istituto Sturzo a Roma, il convegno degli amici di “ Politica Insieme”. 

 

La kermesse estiva continuerà con i tre appuntamenti programmati Venerdì 11 Luglio sempre a Roma: la direzione nazionale della DC, il convegno degli amici di “ Civiltà dell’amore” e il seminario degli amici del “ Libero coordinamento intermedio Polis pro Persona” sul tema:” Diritto” o “condanna” a morire per vite “inutili”? All’indomani, Venerdì 12 Luglio, annunciata l’avvio della fondazione DC di Gianfranco Rotondi e Rocco Buttiglione.

 

Sono queste le iniziative sin qui annunciate, espressione di un vasto movimento che dalla scomposizione punta alla ricomposizione dell’area  cattolico-popolare, così come avevo scritto nell’editoriale “ scomporre per ricomporre” ( www.alefpopolaritaliani.it), l’11 Giugno scorso.

 

Se a Nusco, con Ciriaco De Mita è apparsa netta la volontà di partire dal basso, dalle comunità locali e dal ruolo che gli amministratori di area popolare possono e debbono svolgere, col proposito di “pensare globalmente e agire localmente”, secondo la migliore tradizione sturziana e degasperiana, nell’incontro di Mercoledì 3 Luglio all’Istituto Sturzo, dopo la relazione introduttiva del prof Stefano Zamagni e le considerazioni conclusive  di Leonardo Becchetti, sono stati analizzate le ragioni di un ripensamento profondo di carattere “antropologico” delle categorie interpretative della nuova politica che i cattolici intendono costruire. 

 

Un incontro, quello di “ Politica Insieme”, che si è concluso con la volontà di  costruire un “manifesto”, un “appello”  come quello redatto da Sturzo cento anni fa, rivolto non solo ai credenti “, ma a tutti gli uomini di buona volontà che, nei valori del cristianesimo, ravvisano le ragioni di un arricchimento straordinario di tutto ciò che è più autenticamente umano.”. Una conclusione in linea con il tipo di partecipazione ampia e plurale di varie realtà associative e di movimenti di area cattolica e popolare, interessati a compiere finalmente un cammino “Insieme” : la magica parola che, personalmente con alcuni amici, adottammo molti anni or sono per la nostra associazione e con la quale ci confrontiamo puntualmente nel nostro sito www.insiemeweb.net .

 

L’11 Luglio sarà una giornata campale di confronto e riflessione politica. Innanzi tutto la riunione della direzione della DC; di coloro, cioè, che, dalla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”),  tentano con molte difficoltà di concorrere alla ricomposizione politico organizzativa dell’area popolare, nella quale intendono partecipare da democratici cristiani, avendo consapevolezza che tale ricomposizione potrà avvenire sulla base della condivisione della volontà di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione.

 

La DC è consapevole, infatti, che la politica è lo strumento con cui i cattolici italiani possono e debbono tradurre nelle istituzioni l’equilibrio storicamente possibile tra interessi e valori dei certi medi e delle classi popolari, sulla base di un programma politico che sappia affrontare le tre questioni fondamentali nell’età della globalizzazione:

a)                 la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita;

b)                la  questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’um pianeta Terra;

c)                  la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, cl tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui                                           dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al  nostro Paese.

 

Come si può notare non si tratta di proporre nostalgici e non riproponibili ritorni al passato, ma di guardare in avanti, oltre lo stadio meta o pre-politico che caratterizza molte delle trame della fitta rete che si sta intessendo per la ricomposizione dell’area. 

 

La DC vuol fare i conti con il “qui e ora”, tenendo conto delle regole elettorali esistenti e dei tempi e delle scadenze urgenti che la politica italiana impone in questa delicatissima fase di prevalenza di una pericolosa deriva nazionalista e populista, contro cui la DC intende assumere una posizione di netta alternativa.

 

Senza velleità di assumere chissà quale funzione maieutica o di mosca cocchiera, specie dopo le fallimentari esperienze elettorali vissute dai timidi tentativi di esposizione degli amici “ Popolari per l’Italia” e del “ Popolo della Famiglia” nelle recenti elezioni europee,  ma con la consapevolezza di voler partecipare senza presunzioni, con una consolidata esperienza organizzativa e politica nelle vicende politiche italiane. Temi e programma che saranno affrontati nell’annunciato XX Congresso nazionale del partito che si terrà entro la fine dell’anno, a conclusione di una campagna per il tesseramento già avviata e in corso di svolgimento.

 

Tutto incentrato sulla questione antropologica, il seminario degli amici di “Polis Pro Persona”, segnalatoci dall’amico Domenico Menorello, sul tema dell’eutanasia. Gli amici di “Civiltà dell’amore”, Antonino Giannone e Giuseppe Rotunno, infine, invitando tutti gli  esponenti dei partiti e dei movimenti deìl’area cattolica e popolare italiana, intendono anch’essi concludere il loro convegno con un manifesto-appello per l’unità politica dei cattolici. Anche dall’incontro del 12 Luglio annunciato da Rotondi e Buttiglione ci auguriamo giungano fatti e propositi positivi unitari, capaci di superare tutte le divisioni e le opportunistiche utilità usucapite, non sempre legittimamente, sulle spoglie della storica Democrazia Cristiana.

 

E’ tempo di dimenticare il passato doloroso della diaspora e di porci tutti in atteggiamento di ascolto e di sereno confronto, con noi più anziani, ormai impegnati nel tragitto dell’ultimo miglio della vita, generosamente disponibili a offrire preziosi consigli alle nuove generazioni, almeno a quelle che intendono salvaguardare e attuare, con i principi della carta costituzionale, le indicazioni della dottrina sociale cristiana, unica vera e autentica alternativa alle degenerazioni del dominio dei poteri finanziari nell’età della globalizzazione.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 05 Luglio 2019

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18 Giugno 2019

Crisi di sistema

 

Dopo il potere legislativo e quello esecutivo, con quanto sta accadendo al CSM, siamo alla crisi di sistema di cui, da tempo, va enunciando Massimo Cacciari.

 

Il Legislativo vive la condizione malferma di un parlamento espressione di una metà dell’elettorato e risultato di una legge elettorale incapace di garantire una maggioranza stabile di governo.

 

L’esecutivo, come quello sorto dopo il voto del 4 Marzo 2018, figlio  della situazione di cui sopra, sostanzialmente è l’espressione di un “contratto necessitato”, che ha comportato l’avvio di un’alleanza di tipo trasformistico tra due partiti portatori di interessi e di valori diversi e per molti aspetti alternativi. Un’alleanza  resa ancor più precaria dal mutamento nei rapporti di forza e di consenso tra i due soggetti, Lega e M5S, contraenti del contratto di governo, ottenuti reciprocamente tra il voto di Marzo 2018 e quello delle recenti elezioni europee.

 

Lo sfascio che sta vivendo il CSM, infine, è il segnale drammatico di una crisi della giustizia con la quale appare in tutta la sua evidenza, la crisi di sistema dell’Italia. Si aggiunga (risultato delle politiche maldestre del governo giallo verde ) il più forte isolamento internazionale dell’Italia nell’Europa, della cui Unione il nostro Paese è socio fondatore con una politica estera ondivaga tra le rituali ubbidienze alle tradizionali alleanze  occidentali e le pericolose aperture verso la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping.

 

Anche sul fronte degli enti locali, dopo l’infausto riforma del Titolo V° della Costituzione, si vive con forti  e diverse preoccupazioni l’irrisolta questione della  maggiore autonomia delle regioni del Nord; la crisi strutturale dei bilanci di molti comuni italiani ;  la confusa situazione della chiusura-non chiusura delle province con tutti i problemi di attribuzione delle competenze tra le stesse province, i  comuni capoluogo  e le città metropolitane nate, sin qui, solo sulla carta .

 

Se osserviamo anche la condizione della società civile utilizzando la nostra teoria euristica dei quattro stati: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato, ciò che emerge è il prevalere di una condizione di anomia morale, culturale, sociale, economica e finanziaria, caratterizzata dal prevalere di una scarsissima solidarietà di tipo meccanico funzionale, dal venir meno delle comunità, da una diffusa condizione di frustrazione premessa di possibili fenomeni di rivolta sociale, sin qui sotto traccia.

 

Quali sono oggi gli interessi e i valori prevalenti? Interessi “particulari” innanzi tutto e bene comune ridotto a un oggetto misterioso per lo più dimenticato. Sul piano dei valori sono più diffusi quelli di natura egoistica, di esclusione e di chiusura alla comprensione e all’ascolto. Di qui la riduzione della politica a slogans di immediata e facile comprensione, con la comunicazione prevalente e diffusa dei social media e la politica ridotta a tweet e a scambi spesso irripetibili su facebook e instagram.

 

Col venir meno dei riferimenti politico culturali tradizionali, quelli che sono stati alla base della nascita della Repubblica e del patto costituzionale, nell’attuale deserto delle culture politiche, lo strumento essenziale per offrire la soluzione storico politica all’ esigenza dell’equilibrio tra interessi e valori, ossia al ruolo proprio  della politica, risulta inesistente e/o incapace di dare risposte, se non attraverso sporadici e occasionali mezzucci, più in linea con le tecniche di propaganda che con soluzioni e proposte di ampio respiro e di lungo periodo.

 

In questa condizione di crisi di sistema, la maggioranza giallo verde al governo, ahimè, con la crisi della sinistra e l’assenza di un centro democratico, popolare e liberale credibile, sembra non avere alternative; salvo l’alternativa di un’alleanze di estrema destra, come quella indicata da Giorgia Meloni tra Lega e Fratelli d’Italia. Una maggioranza quest’ultima che darebbe, dopo settant’anni di vita della Repubblica, la guida del Paese alla destra estrema 

 

Noi “ DC non pentiti”, “ultimi dei mohicani” del grande partito di De Gasperi e Aldo Moro, le abbiamo tentate tutte dal 2012 in qua, e adesso dobbiamo ragionevolmente gettare la spugna, sconfortati dallo spettacolo indecoroso avviato da alcuni “sabotatori seriali”  con il sostegno di alcuni legulei interni, ai quali spetterà la responsabilità del definitivo affossamento di ogni possibilità di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione secondo cui :“ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”. Difficile ricomporre ciò che si è frantumato sino alla spaccatura dell’atomo negli invisibili quark delle listarelle presentatesi alle ultime elezioni europee. Difficilissimo sarà uscire da quel travaglio politico del cattolicesimo politico italiano avviatosi con la fine della DC nel 1993.

 

Per tale ricostruzione servirebbe un profondo mutamento spirituale e culturale, prima ancora che politico e organizzativo, senza il quale temo sarebbe impossibile affrontare le tre questioni essenziali del caso italiano e  dell’evidente crisi di sistema:

a)      la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita:

b)     la questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’umanità e del pianeta               Terra;

c)       la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, collegato al tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al nostro Paese.

 

Quanto al primo tema si tratta di testimoniare e tradurre sul piano istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana: dall’”Humanae Vitae” di San Papa Paolo VI a quelle di Papa Francesco. Quanto al tema ambientale, si tratta di impegnarci a tradurre sul piano politico istituzionale quanto indicato da Papa Francesco nella sua straordinaria enciclica “ Laudato Si”. Infine, per quanto riguarda il terzo punto, dopo ciò ho reiteratamente descritto sul ruolo dei poteri finanziari internazionali, in accordo con quanto indicato dall’amico Alessandro Govoni, con cui da molto tempo discutiamo di tali temi, mi permetto condividere queste concrete azioni di governo da lui espresse :

 

1) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Banca Intesa, Unicredit, Carisbo, Carige, BPM,  UBI Banca e  MPS a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato, in questo modo Banca d'Italia ritorna ad essere pubblica essendo esse le sue azioniste con maggioranza di voto 

 

2) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Telecom a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato al fine di nazionalizzare i cavi  intranet /internet da cui passano i flussi elettronici tra banche, in quanto per ragione di sicurezza statale non possono rimanere in mano privata.

 

3) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Autostrade Spa a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato in quanto lungo le direttive autostradali passano i cavi  intranet /internet da cui passano i flussi elettronici tra banche. 

 

4)il  governo emetta un decreto con cui obbliga Assicurazioni Generali, Ina, Alleanza e Toro a investire il denaro raccolto solo in titoli di Stato e non piu nell'azionario  

 

5)il  governo emetta un decreto con cui obbliga le banche suddette a raccogliere davvero il denaro tra il pubblico e non più a creare i conti di deposito con un clic , per un importo pari al 200% dei prestiti, tramite veri certificati di deposito, premi assicurativi e obbligazioni emesse, che significa separazione bancaria  .

 

6)il  governo emetta un decreto con cui proibisce le vendite allo scoperto  

 

7)il  governo emetta un decreto con cui proibisce agli enti locali e al Tesoro di contrarre derivati sul tasso e sulla valuta 

 

8)il  governo emetta un decreto con cui conferisce l'obbligo alle Procure di smontare i derivati esistenti facendone statuire la truffa contrattuale su semplice notizia della GDF o del cittadino di esistenza di un derivato in seno all'ente locale o al Tesoro dello Stato 

 

9)il  governo emetta un decreto con cui paga di piu al quintale gli agricoltori che coltivano SORGO DOLCE ETIOPE e CANAPA

 

10) il  governo emetta un decreto con cui crea almeno un milione di metri quadri di impianti di macerazione del SORGO DOLCE ETIOPE e della CANAPA  

 

11) il  governo emetta un decreto con cui ricava dalla macerazione del  SORGO DOLCE ETIOPE  BIO- BENZINA

 

12)il  governo emetta un decreto con cui ricava dalla macerazione della CANAPA farmaci rigeneranti  delle cellule danneggiate dal benzene

 

13)il  governo emetta un decreto con cui impedisce a  compagnie aeree private e ad aerei privati di irrorare nei cieli agenti chimici,  per non far piovere da settembre a marzo. 

 

14)il  governo emetta un decreto con cui impedisce la circolazione delle auto,  salvo siano alimentate da BIO BENZINA e da BIO DIESEL

 

 

15)il  governo emetta un decreto con cui dichiara lo stato di allerta nazionale per evitare attività di destabilizzazione dell'ordine interno ad opera dei banchieri della Germania dell'Est Rotshshild e J.P. Morgan, da parte dei loro fondi speculatori (Vanguard, State Street, Northern Trust, Fidelity, Francklyn Templeton, Black Rock, Black Stone/Mc Graw Hill, Morgan Guaranty Trust Company, Bnp Paribas Trust ) e da parte delle loro banche d'affari (Morgan Stanley, Merryl Linch, Dexia Crediop, UBS, Credit Suisse, Goldman Sachs, Deutsche Bank...)   che oggi controllano le banche suddette, la Telecom, le Autostrade Spa, che seguono le vendite allo scoperto, che hanno piazzato al Tesoro e agli enti locali i derivati sul tasso e sulla valuta,  e  da parte delle loro industrie ( Unilever, Procter&Gamble, Bayer/Basf/Montsanto,..),  

 

I provvedimenti suddetti sono necessari  affinchè lo Stato italiano e non questi banchieri della germania dell'est,  ricominci ad incassare. E sarebbero in linea con la migliore tradizione della DC in materia di politica bancaria e finanziaria difesa sino all’infausto decreto Barucci-Amato del 1992 che determinò il superamento della legge bancaria del 1936 dalla DC sempre difesa.  Il sottosegretario al ministero del Tesoro e finanze, On Villarosa, che ben conosce questi temi, potrebbe/dovrebbe farsi carico urgentemente di queste indicazioni trascinando il M5S dalla fase delle proteste a quello delle proposte di riforma reali per il bene del Paese.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 18 Giugno 2019

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11 Giugno 2019

Scomporre per ricomporre

 

“Scomporre per ricomporre” fu una celebre frase di Aldo Moro, utilizzata in una fase difficile della vita interna della DC, che ben si presta a connotare il momento complesso che stiamo vivendo.

 

Dopo l’ultima verifica elettorale delle elezioni europee  con la conferma dell’irrilevanza elettorale delle “listarelle” di area cattolica presentatesi velleitariamente divise ( la lista dei “ Popolari per l’Italia” di Mauro e Tarolli e la lista de “ Il Popolo della famiglia” di Mario Adinolfi), si stanno adesso organizzando incontri e convegni a cadenza giornaliera, altra dimostrazione di un processo di scomposizione senza soluzione di continuità.

 

In ciascuna di queste iniziative è affermata la volontà di ricomporre, così com’è stato ben indicato nell’incontro promosso ieri a Roma, dagli amici Giuseppe Rotunno e Antonino Giannone ( “Civiltà dell’amore”) con la proposta di un  rinnovato “Appello ai nuovi Liberi e Forti” “ del nostro secolo . E, ritengo,  ci sia la stessa volontà nelle annunciate riunioni degli organi dirigenti convocati dagli amici di “Costruire insieme” e dei “Popolari per l’Italia”.

 

Meno comprensibile, invece, il permanere di una dissennata campagna all’interno di ciò che resta della DC storica guidata dall’amico Renato Grassi, per l’azione condotta da alcuni amici “sabotatori seriali”, i quali, dal 2012 in poi hanno cercato di ostacolare in tutti i modi i tentativi che, con Silvio Lega prima e con Gianni Fontana e Renato Grassi poi, abbiamo svolto per dare pratica esecuzione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta.” Sabotatori ben assecondati da alcuni amici  che sembrano assaliti dalla smania delle pandette e dei codici, convinti che il tema della ricomposizione dell’area democratico cristiana, prima ancora di quella cattolico popolare, sia materia da risolvere nelle aule dei tribunali e non, invece, come essa è di natura esclusivamente politica e culturale.

 

Velleitaria per non dire anacronistica, infine, l’iniziativa assunta dagli amici Gianfranco Rotondi e Rocco Buttiglione, i quali, essendo stati dichiarati privi di qualsiasi titolo a riguardo dell’eredità giuridico - politica della DC, dalla sentenza della Cassazione, fatta proprio a seguito di un loro ricorso avverso ad analoga sentenza della corte d’appello di Roma, tentano di riproporsi come legittimi eredi di quel partito, sino a dichiarare di voler rinunciare a nome e simbolo, non di loro spettanza,  per dar vita a una fondazione ispirata ai valori del popolarismo. A questa iniziativa ha risposto in maniera efficace Renato Grassi, segretario nazionale della DC, eletto dal XIX Congresso nazionale del partito del 14 Ottobre 2018, con una nota pubblicata nel sito ufficiale della DC: www.democraziacristiana.cloud

 

Mi segnalano, infine, un altro tentativo di Gianni Fontana, autosospesosi dalla presidenza della DC, di dare avvio anch’egli a  una fondazione per la formazione di una nuova classe dirigente, quale sviluppo di quell’associazione da lui a suo tempo costituita, dapprima e in parallelo alla stessa vicenda interna della DC.

 

Emerge, dunque, un quadro assai diverso e dispersivo della situazione anche solo osservandola nell’area del tutto angusta di ispirazione democratico cristiana.

 

Allargando la visuale a quella più ampia cattolico popolare, le cose non sono molto diverse e, tanto meno, migliori, dato che anch’essa sta ancora sperimentando il lungo travaglio politico culturale che si trascina dal 1993, anno della scomparsa politica della DC.

 

In questa situazione è comprensibile che il Presidente della CEI, card Gualtiero Bassetti, in un’intervista a Repubblica, abbia dichiarato: “ Se oggi i cattolici votano Lega significa che è profonda la crisi  di altre  proposte”.

 

Dovrebbe essere questo il punto di partenza di ogni nostra riflessione: se non ricostruiamo l’unità politico culturale dell’area cattolica e popolare, la deriva nazionalista e populista che raccoglie la maggioranza dell’elettorato attivo italiano ( poco più del 50%) è destinata a prevalere per molto tempo ancora, al di là delle insufficienze e incompetenze di un governo giallo verde che sta portando l’Italia al più completo isolamento europeo e allo sfascio economico e finanziario.

 

Ecco perché crediamo sia necessario da parte di tutti sotterrare le asce di guerra e ritrovarci attorno a un tavolo ripartendo da ciò che ci unisce e abbandonando ciò che ci divide. Senza quest’azione di ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, il destino del nostro Paese sarà a forte rischio. Serve la disponibilità di ciascuno a rinunciare alle proprie  ambizioni e puntare a un’azione di coordinamento paritetico effettivo, per tentare di dar vita a un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani; ossia a un nuovo centro ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, che si ponga due obiettivi strategici essenziali: l’impegno a tradurre nella città dell’uomo le indicazioni della dottrina sociale cristiana e a difendere e attuare integralmente la Costituzione Italiana.

 

Eventuali velleità di qualcuno di assumere prioritariamente una funzione di guida vanno assolutamente evitate, per sostenere un processo di sviluppo partecipato e democratico attraverso cui favorire l’emergere di una nuova classe dirigente di cattolici e popolari, credibile e pronta a impegnarsi nelle sedi locali e ai diversi livelli istituzionali regionali e nazionali.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 11 Giugno 2019

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02 Giugno 2019

Festa della Repubblica?

 

Oggi è il 2 Giugno, data nella quale celebriamo la scelta repubblicana compiuta dal popolo italiano nel 1946 . E’ la festa di tutti gli italiani, ma, in realtà, oggi abbiamo assai poco da festeggiare.

 

La condizione di anomia  morale, culturale, sociale, politica e istituzionale, si accompagna a una crisi economica e finanziaria che si rivelerà in tutta la sua drammaticità nel prossimo assetto di bilancio dello Stato 2020.

 

E’ in crisi il parlamento, espressione di una realtà sostanzialmente rovesciata dal voto europeo; è in crisi l’esecutivo, sia per i permanenti litigi nell’interpretazione del contratto stipulato dopo il voto del 4 marzo 2018, che in relazione al capovolgimento dei rapporti di forza tra Lega e Movimento Cinque stelle; è in crisi la Magistratura, squassata dalle inchieste sul PM Palomara e su altri componenti dell’organo supremo di governo dell’ordine giudiziario.

 

E’ in crisi l’Italia nelle sue relazioni internazionali che, dopo il voto di domenica scorsa, la relegano in un ruolo di assoluto isolamento nel contesto europeo, al di là delle malcelate ambizioni di Salvini di rappresentare un punto di riferimento per il variegato gruppo sovranista sostanzialmente ininfluente nei giochi effettivi del potere dell’Unione.

 

Mai l’Italia, Paese fondatore dell’Unione, terza potenza industriale europea, si era ridotta a questo stato di miserrimo isolamento, aggravato dalle tragicomiche vicende della lettera di risposta del Ministero dell’Economia e Finanze alla nota della commissione europea sugli scostamenti di bilancio 2018.

 

La condizione di anomia più volte denunciata, si caratterizza dalla stabilizzazione della renitenza al voto di quasi il 50% dell’elettorato italiano, dalle difficoltà permanenti dei ceti medi produttivi e dalla condizione, in molti casi, disperata delle classi popolari, specie nelle regioni meridionali, dalle quali un flusso straordinario di giovani in fuga verso il Nord e verso l’estero, insieme ai dati gravissimi della demografia, sta depauperando le residue risorse di quella parte così importante della nostra amata Italia.

 

Si aggiunga lo scempio di un governo che, per sostenere le sue dissennate politiche economiche e sociali, sta usando gli oltre 16 milioni di pensionati italiani come bancomat da cui prelevare a scadenze prefissate quote parti dei loro sacrosanti diritti

 

Anche il Nord è in sofferenza e vive la contraddizione di una guida dei governi locali con formule di centro destra alternative a quella giallo verde sin qui dominante a livello centrale, incapaci di trovare una soluzione compatibile a quella necessità di maggiore autonomia accertata negli ultimi referendum lombardo veneti.

 

Quel che è più grave è la situazione politica di un Paese nel quale non sembra esserci un’alternativa reale e credibile a una maggioranza ormai allo sfascio.  Il disagio sociale che si era espresso nel voto a favore della Lega e del M5S, quest’ultimo specialmente nel Sud d’Italia, col voto europeo ha semplicemente mutato il senso di direzione, assegnando a Salvini un ruolo di dominus verso il quale la giovane Meloni da tempo ha offerto la disponibilità per un cambio di maggioranza nel segno di una destra sempre più estrema, senza nemmeno più la copertura berlusconiana di Forza Italia. Un’area elettorale, quest’ultima, alla quale guardiamo con grande interesse per l’alternativa alla deriva di destra estrema nella politica italiana.

 

Il PD è in ripresa, ma da solo, al 22%, al di là di un possibile recupero di ciò che è rimasto alla sua sinistra, nulla potrà se non nascerà un centro di ispirazione democratica e popolare aperto alla collaborazione con una sinistra  socialdemocratica di stampo europeo, con la quale impegnarsi nell’unica strategia politica oggi indispensabile all’Italia: la difesa e l’attuazione  integrale della Costituzione repubblicana.

 

E’ il tema che, con ben più autorevoli amici ex DC e di area liberal democratica, ci stiamo proponendo, interessati a costruire un vasto “rassemblement populaire”, un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) laica, democratica, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativa alla deriva nazionalista e populista che sta portando l’Italia allo sfascio.

 

Ci impegneremo, confortati della presenza oggi nel Paese, dell’unica straordinaria risorsa politico istituzionale rappresentata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, attorno al quale ci stringiamo, fedeli, ora come allora, alla nostra Costituzione repubblicana.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 02 Giugno 2019

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01 Giugno 2019

Primo scippo ai pensionati italiani

 

Alla  vigilia della festa della Repubblica controllando il mio conto corrente mi sono trovato il primo “regalo” del governo giallo verde: una prima decurtazione del trattamento pensionistico, un vero e proprio scippo del diritto acquisito dopo anni di lavoro e di contributi versati sulla base di un patto con lo Stato che, da Stato di diritto, Salvini e Di Maio hanno trasformato in uno Stato di rovescio.

Partecipo spiritualmente alla manifestazione nazionale dei pensionati, colpevolmente oscurata dai media, che si tiene oggi a Roma, denunciando un’irresponsabile classe dirigente che tratta i pensionati italiani come un bancomat da cui prelevare le risorse per le loro dissennate politiche economiche e sociali.

Prima fermiamo questa deriva reazionaria e ci battiamo per costruire l’alternativa democratica e popolare fedele alla Costituzione è meglio sarà per l’Italia.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 01 Giugno 2019

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27 Maggio 2019

E adesso che succede?

 

La decisione di Paolo Cirino Pomicino a sostegno del PD di Zingaretti ha suscitato molte perplessità, anche tra noi DC. Considero Paolo una delle menti più lucide e coerenti, con il quale abbiamo tentato, dal 1993, di concorrere alla ricomposizione dell’area democratico cristiana e popolare dell’Italia. Pomicino dopo tutti i tentativi svolti, ha preso atto del fallimento compiuto, come anch’io ho scritto nelle mie ultime note editoriali, sino a quella sull’inverno del popolarismo italiano.

Dopo poco più di un anno dalle elezioni del 4 Marzo 2018, il governo giallo verde, frutto della ingovernabilità emersa da quel voto, a seguito di un esecutivo dimostratosi di lotta e di governo, senza una reale opposizione parlamentare, ha colto i frutti del suo operato, con il rovesciamento totale delle posizioni tra Lega e Movimento 5 Stelle. L’anomia sociale e la rabbia dei ceti medi e delle classi popolari che avevano sconvolto gli equilibri politici tradizionali nel 2018, permanendo un’alta astensione dal voto, con poco più del 51% degli elettori votanti, solo in piccola parte è tornata a posizionarsi sul PD, mentre ha sostanzialmente cambiato di direzione all’interno della coalizione giallo verde.

 

Analoghi spostamenti sono intervenuti nel centro destra, dove la Lega, oltre a raccogliere una consistente messe di voti ex grillini, ha risucchiato altri consensi da Forza Italia, da cui ha tratto beneficio anche Fratelli d’Italia della Meloni, che, ora più di prima, grida alla formazione di un nuovo governo di estrema destra Lega-FdI.  Salvini e Di Maio continuano a dichiararsi disponibili a continuare il loro ondivago ménage, ma tutto non potrà più essere come prima.

 

Assistiamo a uno spostamento del consenso elettorale a destra, almeno rispetto ai voti validi espressi, con il PD, unico punto di possibile, seppur assai ardua alternativa in campo, almeno secondo i risultati  della legge elettorale proporzionale con lo sbarramento al 4% . Uno sbarramento che ha impedito l’elezione di candidati delle altre liste, come quelle di  più  Europa, dell’estrema sinistra, dei Verdi e delle  due liste di area cattolico popolare, ridotte, come previsto, a cifre da prefisso telefonico: 0,43 per il Movimento della Vita di Adinolfi; 0,30 ai Popolari  per l’Italia di Mario Mauro e Ivo Taroll, con cifre ridicole delle preferenze ai  leaders e agli accoliti delle due liste.

 

La geografia politica del Paese è profondamente cambiata, con tutto il Nord governato dal centro destra a trazione leghista  e le grandi città saldamente in mano al PD. La Lega ha definitivamente svoltato dal partito della secessione nordista di Bossi, alla nuova Lega nazional-nazionalista, che sta mietendo consensi anche in alcune roccaforti del “voto rosso” emiliano, umbro e toscano e nello stesso meridione, dove la rabbia dei diseredati sembra cambiare rifugio dal M5S al partito di Salvini.

 

Sul piano interno Salvini ora può dettare l’agenda, ma i rapporti di forza parlamentari restano nelle mani del M5S. Quanto potrà durare questa anomala situazione tra consenso reale nel Paese e rappresentanza parlamentare totalmente rovesciata a vantaggio dei grillini?

 

I ceti medi che hanno votato Salvini ora si aspettano il via alle promesse della flat Tax  e della TAV, temi assai indigesti al M5S, e, d’altra parte, il governo Conte dovrà dare risposte concrete e urgenti all’annunciata lettera della commissione UE sulla situazione deficitaria di bilancio dell’Italia.

 

Salvini annuncia baldanzoso che a BXL si batterà per il cambiamento delle regole a partire dal fiscal compact (obbligo di rispetto del 3% nel rapporto Debito/PIL),ma, mal per lui, i sovranisti in Europa non hanno sfondato e sembra debbano prepararsi a una lunga stagione di opposizione/emarginazione dai  rapporti di forza reali del parlamento europeo.

 

Da parte nostra attendiamo tutti i partiti italiani e i parlamentari italiani eletti a Strasburgo in merito all’impegno senza il quale, ogni tentativo di riformare l’Unione europea, sarebbe vano:

1) tornare al controllo pubblico delle banche centrali nazionali e quindi della BCE. Senza sovranità monetaria non si avrà la sovranità popolare 

2) adottare in Europa la Legge Glass-Steagall e in Italia il ritorno alla Legge Bancaria del 1936, con la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Nessuna modifica dei Trattati e dei regolamenti comunitari, a partire dal fiscal compact, sarà possibile se non si affronteranno i due nodi strategici indicati.

 

Credo che entro pochi mesi il quadro politico italiano, dopo il risultato del voto di domenica scorsa, sia destinato a un forte mutamento, mentre la riflessione odierna vorrei incentrarle sulla drammatica scomparsa della nostra cultura cattolico popolare che, la  permanente diaspora vissuta anche in questa campagna elettorale, ha reso evidente nei risultati catastrofici delle due liste di Adinolfi e di  Mario Mauro e Tarolli.

 

Mario Mauro voleva tornare a svolgere un ruolo importante, dopo l’emarginazione subita da Forza Italia, mentre Ivo Tarolli, dopo le negative esperienze con Passera e con Parisi, ambiva al ruolo di leader del cattolicesimo politico degli italiani, finendo entrambi miseramente come avevamo facilmente pronosticato.

 

Dobbiamo renderci conto tutti che divisi non si va da nessuna parte. Ci auguriamo  che ne prendano realisticamente atto anche Mauro e Tarolli che, cedendo alle pretese di presunti “cattolici radicali”, avevano accettato di discriminarci rifiutando un esplicito riferimento nella lista dei Popolari per l’Italia alla Democrazia Cristiana, partito mai giuridicamente sciolto.

 

Ora bisogna ripartire, avendo consapevolezza di costruire un nuovo centro democratico popolare, un’unione dei movimenti popolari e liberal democratici italiani, aperta alla collaborazione con i partiti alternativi alla deriva nazionalista e di destra rafforzata dal voto europeo in Italia. 

 

Qualcuno in casa nostra DC, sembra compiere qualche smorfia a questa proposta, ma, se non vogliamo ridurre la nostra partecipazione a mera testimonianza, con i rischi confermati dal voto europeo, nessuna alternativa al governo eventuale della destra estrema, come ipotizzato dalla Meloni, potrà nascere se non si ricostruisce un centro politico ampio e plurale nel quale ciò che resta dei democristiani (confidando anche sul 49% dei renitenti a diverso titolo al voto) potranno apportare la loro migliore cultura politica, quella dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Nostro dovere e impegno politico fondamentale: tentare di tradurre nelle istituzioni la dottrina sociale cristiana e insieme a chi, condividendo i valori dell’umanesimo cristiano, intende insieme a noi difendere e attuare integralmente la Costituzione.

 

L’amico Massimo Sernesi, all’interno di un interessante dibattito aperto da Luigi Intorcia sul web, ha indicato alcune azioni indispensabili da compiere che, anche da me condivise, sono così riassunte:

 

1.  Guardare alle soluzioni, non alle ideologie

2.  Non urlare, ma ottenere ragione con la dialettica

3.  Presentare candidati di provata capacità e rispettabilità

4.  Imbastire un dialogo continuo coi cittadini, non paracadutare diktat dall'alto

5.   Avere una vera democrazia interna, non plebisciti come  quelli dei 5 stelle

6.   Saper giungere a decisioni e punti programmatici precisi

7.   Agire a tutti i livelli (culturale, economico, ecc.) e non solo  sulla propaganda politica

8.   Costruire una classe dirigente e una cabina di regia capaci di  guidare le scelte importanti

9.   Costruire un radicamento sul territorio utile a sostenere    qualunque campagna

10.                  Usare le tecnologie, social e non solo, per supportare i punti   precedenti

 

Ora però: basta con le liti interne tra ciò che rimane della DC, sarebbe continuare  una rappresentazione tragicomica e senza senso; apriamoci a un confronto sereno e costruttivo con tutti gli amici  ex DC per concorrere  tutti insieme alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio e plurale, come da tempo, vado proponendo, sul modello dell’Unione dei Movimenti Popolari che nacque in Francia, dopo la fine della DC francese ( MRP). Continuare a combattere su simbolo, nome e annessi e connessi vari, sarebbe da stupidi e suicidi. E’ tempo di un serio ripensamento all’interno di tutta la vasta e frammentata area cattolica, anche da parte della gerarchia, divisa persino sulla voce suprema del Papa.  Della cultura politica e della partecipazione  politica attiva dei cattolici e dei Popolari, il Paese e l’Europa hanno assoluta necessità, specie in questa fase cruciale dei rapporti internazionali nell’età  della globalizzazione.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)
Venezia, 27 Maggio 2019

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16 Maggio 2019

La scelta di Pomicino deve farci riflettere

 

La decisione di Paolo Cirino Pomicino a sostegno del PD di Zingaretti ha suscitato molte perplessità, anche tra noi DC. Considero Paolo una delle menti più lucide e coerenti, con il quale abbiamo tentato, dal 1993, di concorrere alla ricomposizione dell’area democratico cristiana e popolare dell’Italia. Pomicino dopo tutti i tentativi svolti, ha preso atto del fallimento compiuto, come anch’io ho scritto nelle mie ultime note editoriali, sino a quella sull’inverno del popolarismo italiano.

Alla maledizione di Moro si è aggiunta, con effetti ancor più devastanti, la stupidità di noi uomini, molti dei quali spinti o dalla personale ambizione, o impegnati più a sostenere suicide battaglie interne che a ricercare le ragioni dell’ unità.

Pomicino condivide la nostra stessa analisi della realtà politica italiana caratterizzata dal prevalere sin qui della deriva populista e nazionalista, rappresentata dal governo giallo verde, che sta portando il Paese allo sfascio. Che serva un’alternativa democratica e popolare di tutte le forze che credono e si impegnano per la difesa e integrale attuazione della Costituzione è sotto gli occhi di tutti e, in special modo, sotto quelli di tutti noi “DC non pentiti”.

Credo, tuttavia, che il problema non sia quello di entrare nel PD per dar vita all’ennesima corrente di ex democristiani, dato che per ricostruire un centro sinistra comporta, innanzi tutto, l’esigenza di ricostruire un centro che, con lo sfascio in atto di Forza Italia, rischia di scomparire il prossimo 26 Maggio. Dobbiamo invece concorrere da “ DC non pentiti” alla costruzione di un nuovo centro democratico e popolare, ampio, plurale che possa mettere insieme ciò che rimane delle vecchie culture DC, liberali e riformiste, e che potrebbe connotarsi, come accadde in Francia dopo la fine del MRP ( la DC francese), in un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI), ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano aperta alla collaborazione con altre componenti interessate alla difesa e attuazione integrale della Costituzione. E’ quanto ha scritto saggiamente l’amico Giorgio Merlo nel suo “Vademecum per il 27 Maggio”.

Altra questione è chi votare alle prossime elezioni europee. Qui nostro dovere di democratici cristiani è quello di seguire l’indicazione della direzione nazionale del 10 Maggio scorso che ha così stabilito: “In merito alle scelte per le elezioni europee, la D.C., che non è presente con una propria lista per motivi tecnico-procedurali in via di definizione, riconferma di non identificarsi con alcuna delle formazioni politiche in corsa nell'attuale competizione ,ma invita iscritti e simpatizzanti a indirizzare il proprio voto su candidati ricompresi nelle liste che si richiamano al popolarismo europeo e che siano ricollegabili, per storia e impegno personale, ai valori politici e culturali della Democrazia Cristiana.”

Personalmente, come ho scritto in diverse occasioni, non voterò per la lista che ci ha deliberatamente tradito, quella di Mauro e Tarolli, con la “sexy prof” e un faccendiere, ahimè inclusi sconsideratamente accanto ad altre persone per bene, proprio perché sarebbe un “voto inutile” ben al di sotto della soglia minima per un’elezione, mentre sceglierò il candidato della mia circoscrizione elettorale più affine al progetto che dopo il 26 Maggio tutti noi come DC, erede legittima di quella storica, dovremmo avviare e, credo, che , a quel punto, anche con Paolo Cirino Pomicino troveremo ampie convergenze.

P.S.: si allega la nota di Giorgio Merlo

Vademecum per il 27 maggio. Si parla molto e da tempo, come tutti sanno, di un partito che decollerà dopo il voto del 26 maggio. E cioè, per essere più esplicito, di un partito riformista, plurale, di governo e profondamente democratico. Ovvero, di un partito che esprime il pensiero, la cultura e la tradizione di centro del nostro paese. Una richiesta sempre più forte e pressante che emerge da molti settori. Anche da coloro che sono stati per lunghi 25 anni - l'intera stagione politica maggioritaria - feroci ed implacabili detrattori di ogni politica e cultura di centro che si stagliava all'orizzonte. Ma adesso il contesto è cambiato. E anche profondamente. E' tornato il sistema proporzionale e, di conseguenza, sono tornate le culture politiche. E' finalmente arrivata una destra che, senza propaganda e senza caricature carnevalesche patrocinate dai circoli salottieri ed alto borghesi dei "progressisti" nostrani, non c'entra nulla - come tutti sanno - con l'avvento del fascismo o baggianate del genere. Sta tornando la tradizionale sinistra post comunista capitanata dal compagno Zingaretti, seppur tra molto contraddizioni perché il nuovo Pd/Pds pensa ancora di essere un partito a "vocazione maggioritaria" seppur in un contesto proporzionale. E' appena sufficiente ascoltare la giaculatoria quotidiana di un partito che ha compilato le liste alle europee da Calenda a Pisapia per rendersene conto. Al contempo, resiste il partito populista e antisistema dei 5 stelle. E, accanto a questi elementi strutturali della nuova geografia politica italiana, non possiamo dimenticare, dopo l'esperienza del governo giallo/verde, la pesante e nociva radicalizzazione della lotta politica. Di fronte ad un quadro del genere, non può non rinascere una forza che ha nel suo dna originario alcuni elementi indispensabili per ridare qualità alla nostra democrazia e fiducia nelle stesse istituzioni democratiche: dalla cultura della mediazione alla cultura di governo, dalla ricetta riformista al senso dello Stato, dalla capacità di battere la radicalizzazione della lotta politica alla intelligenza e saggezza di saper comporre gli interessi contrapposti. Insomma, per dirla con una parola impegnativa ma comprensibile, per tornare alla vera e alta politica. Ma, se si vuol perseguire questo disegno politico - che viene ormai invocato e auspicato dai suoi stessi storici detrattori - occorre mettere in campo quel celebre trittico che i nostri maestri, almeno quelli che hanno contribuito a qualificare la tradizione cattolico democratico e popolare del nostro paese, ci hanno sempre insegnato. Ovvero, declinare un pensiero e una cultura politica; tradurlo con un partito politico e, in ultimo, mettere in campo una organizzazione efficace e capillare. Il tutto per evitare di predicare nel deserto da un lato e limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale dall'altro. Ecco, il 27 maggio si avvicina. A prescindere dai risultati elettorali che, come tutti ben sappiamo, non saranno molto diversi da ciò che quotidianamente sfornano i vari sondaggi. Ma è bene essere, già sin d'ora, consapevoli di quello che noi dovremmo fare dopo il 26 maggio. Per evitare di doverlo ripetere. E per l'ennesima volta.

Giorgio Merlo

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 16 Maggio 2019

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13 Maggio 2019

L’inverno del popolarismo italiano

 

Non ho potuto partecipare per motivi familiari all’ultima riunione della Direzione nazionale della DC, la quale al termine dei lavori ha approvato il seguente comunicato:

“La Direzione nazionale della D.C., riunitasi a Roma il 10 u.s., dopo ampio dibattito sulla situazione politica nazionale, rilevando il progressivo deteriorarsi della compagine di governo ormai divisa e contrapposta all'interno su ogni ipotesi di iniziative legislative ,denuncia il pericolo dell'aggravarsi della situazione economica del Paese e il rischio di una crisi istituzionale preludio ad una deriva verso una destra sovranista e ad una pericolosa involuzione del quadro democratico del Paese.

La D.C. auspica che , superate le polemiche elettorali, possa riprendere serenamente e realisticamente il confronto sui problemi reali del Paese ,e si creino le condizioni per il superamento del governo Giallo-Verde e la ricomposizione di un quadro politico istituzionale che recuperi attraverso una ampia aggregazione la funzione portante di un'area centrale liberal democratica che garantisca e supporti un nuovo equilibrio politico e di governo.

La D.C. Intende contribuire a questo progetto ,con proposte e iniziative politiche ed operative che saranno definite dal Consiglio nazionale previsto subito dopo l'attuale tornata elettorale. In merito alle scelte per le elezioni europee, la D.C. che non è presente con una propria lista, per motivi tecnico-procedurali in via di definizione, riconferma di non identificarsi con alcuna delle formazioni politiche in corsa nell'attuale competizione, ma invita iscritti e simpatizzanti a indirizzare il proprio voto su candidati ,ricompresi nelle liste che si richiamano al popolarismo europeo, che siano ricollegabili ,per storia e impegno personale ,ai valori politici e culturali della Democrazia Cristiana.”

Condivido la scelta operata dai colleghi della Direzione e, in coerenza con quanto scritto nei miei ultimi editoriali, riconfermo che, grazie alla cecità degli amici Mario Mauro e Ivo Tarolli, si è persa una delle occasioni più favorevoli per tentare la ricomposizione dell’area politica dei cattolici democratici e cristiano sociali dell’Italia.

Un obiettivo per il quale ci eravamo fortemente battuti, con il seminario dei Popolari di Verona (23 Giugno 2018) e la stesura del patto programmatico costituente del 5 dicembre 2018, sino a condividere la prefazione di Tarolli al mio ultimo saggio: “ Elezioni europee- la visione dei Liberi e Forti”. Fatiche sprecate dalle quali ricavare, alla fine, un tradimento per la Democrazia Cristiana e personale.

Sono arrivati a sacrificare il riferimento esplicito alla DC, mentre hanno accettato il diktat ( almeno questa é la giustificazione di Tarolli) dei "radicali cattolici" ostili alla presenza ufficiale della DC e ad accettare persino l'appoggio di un signore screditato, oggetto di una denuncia penale della nostra DC e, fatto ancor più grave, a inserire nella lista, la "sexy prof" pordenonese (quella delle: “spiagge libere per gli scambisti d’Italia”, come base del suo programma), ultima perla di una strategia fallimentare che non darà buoni frutti.

Orfani di una lista democratico cristiana, siamo fortemente preoccupati dalla squallida e pericolosa deriva nazionalista e populista della politica italiana, contro la quale serve l’unità delle forze democratiche e popolari. Al voto del 26 Maggio ci comporteremo, quindi, come indicato nel comunicato della direzione nazionale.

Scegliere una lista e un candidato nella mia circoscrizione del Nord Est risulterà molto difficile. Non nascondo che guardo con interesse anche a ciò che accade nel partito democratico con la nuova segreteria Zingaretti. Ho scritto a Carlo Calenda, capolista PD nella nostra circoscrizione, sin qui senza replica, chiedendogli due impegni che, come ho più volte evidenziato, reputo indispensabili per qualsiasi politica di riforma si intenda operare nell’Unione europea e in Italia:

1) controllo pubblico della BCE e della banche nazionali;

2) netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria

Girata la domanda anche agli Onn. Brunetta e a Tajani di Forza Italia : anche da loro, sin qui, nessuna risposta. Anche stavolta gli hedge funds anglo caucasici/kazari potranno stare tranquilli con todos caballeros italici ? Allo stato dell’arte, insomma, sarà molto difficile scegliere, vista anche la triste esibizione dell’On Elisabetta Gardini ieri sera in TV, squallida espressione dell’ennesima transumanza partitica ai fini del “particulare”.

Siamo all’inverno del popolarismo italiano, ma, come disse Sturzo al congresso di Torino dei Popolari del 12 Aprile 1923: “dopo l’inverno tornerà la Primavera”.

Dopo il voto del 26 Maggio, penso che spetterà a noi “ DC non pentiti” concorrere alla costruzione di un nuovo centro popolare sul modello dell’UMP francese; un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) democratica, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirata dai valori dell’umanesimo cristiano e inserita a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 13 Maggio 2019

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05 Maggio 2019

Riflessioni prima del voto del 26 Maggio

 

Sono trascorsi 26 anni da quel consiglio nazionale della DC (18 Gennaio 1993) che, con Martinazzoli, decise la fine politica della Democrazia Cristiana.

Per almeno due generazioni di italiani, del partito che è stato l’architrave della democrazia italiana per oltre mezzo secolo, non c’è più alcuna traccia, né memoria storica, se non quella, in molti casi, deturpata da una narrazione di parte; quella della damnatio memoriae dei partiti della Prima Repubblica, con la sola eccezione dell’ex PCI, con la sua progressiva trasformazione in PDS, DS, PD.

Per oltre otto anni, dal 2011, ci siamo battuti per la ricomposizione dell’area democratico cristiana e per una ripresa politica dell’area cattolico democratica e popolare, dispersa nella frantumazione della diaspora tra la seconda e l’attuale cosiddetta “ terza repubblica”.

Errori nostri di conduzione politica e la frantumazione della base sociale e culturale del nostro tradizionale retroterra, amplificati dall’azione stupida e suicida di alcuni sabotatori seriali impegnati ad annullare ogni tentativo di ricomposizione della struttura associativa prima ancora che politica del partito, ci hanno condotto all’attuale situazione di sostanziale impotenza.

Nonostante l’impegno che anche personalmente ho messo in campo per tentare di riallacciare i diversi esili fili di ciò che rimaneva in campo, con le iniziative di Orvieto (28.11.2015), Camaldoli(17-18 Giugno 2017) , Verona (23 Giugno 2017) e sino al patto programmatico federativo costituente di Roma ( 5 Dicembre 2018), con la sciagurata iniziativa assunta dagli “amici” Mario Mauro e Ivo Tarolli di assecondare l’idiosincrasia democristiana di alcuni gruppi “cattolici radicali”, si é impedito di realizzare un primo significativo tentativo di ricomposizione che pure avevamo condiviso nei diversi appuntamenti citati.

Ci troviamo così orfani, alla vigilia del voto del prossimo 26 Maggio, in una condizione politica dell’Italia caratterizzata da una destra che assume sempre più il carattere di una forza estrema e reazionaria a conduzione del “conducator” Salvini, allineata alle posizione più oltranziste come quelle di Orban, leader d’Ungheria. Sul fronte opposto siamo in presenza di una sinistra che, con Zingaretti, tenta con grande difficoltà di ricomporre un’area socialdemocratica in linea con quelle riformiste europee, dopo la sbandata renziana e la fallimentare strategia della “deforma costituzionale” del 4 Dicembre 2016, causa fondamentale della sconfitta del giovin signore fiorentino.

La deriva nazionalista e populista che ha tenuto sin qui insieme Lega e Movimento Cinque Stelle nel “governo del cambiamento”, frutto di una legge elettorale che non ha prodotto una maggioranza parlamentare coerente e omogenea dopo il voto del 4 Marzo 2018, costituisce una delle espressioni più gravi dell’atavico trasformismo politico italiano. Una condizione di governo che, portando all’isolamento dell’Italia dal resto dell’Europa, in piena crisi economica, sociale e di anomia politico istituzionale, sta esaurendo la sua stessa ragion d’essere, nella quotidiana pantomima tragicomica del duo Salvini-Di Maio, destinata a deflagrare dopo il voto di Maggio.

Lo stesso M5S, un movimento-partito sostanzialmente distinto e distante da quei caratteri di democrazia previsti dall’art 49 della Costituzione, se ha avuto il merito di rappresentare sul piano politico e istituzionale il disagio di larga parte del tessuto sociale, specialmente del Sud d’Italia, alla prova del governo, sia in sede locale che nazionale, sembra aver esaurito la sua funzione.

Siamo dunque in una situazione nella quale la tradizionale alternativa bipolare tra centro- destra e centro-sinistra è saltata, per la ragione che non esiste più il centro, anche per l’avvenuto progressivo esaurimento di ciò che Forza Italia ha rappresentato per oltre venticinque anni, sotto la guida del Cavaliere, sempre meno in grado di tenere unito un partito costruito attorno alla sua persona, senza un reale e consistente blocco sociale e culturale di riferimento e regole interne funzionali al ricambio democratico della classe dirigente.

Il nostro problema oggi, non è più, dunque, quello di tentare di ricostruire la DC, un obiettivo per il fallimento del quale ha concorso, con la “ maledizione di Moro”, la sostanziale stupidità di molti uomini, noi compresi, che ci siamo dimostrati insufficienti e indegni eredi dei nostri padri fondatori. Nostro obiettivo è, invece, quello di concorrere alla costruzione di un nuovo centro democratico, ampio, plurale, popolare, liberale, riformista, europeista, trans- nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori DC: De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman, alternativo alla deriva nazionalista e sovranista che sta portando l’Italia all’isolamento e allo sfascio.

Alle prossime elezioni di Maggio dovremo, allora, puntare e scegliere quella lista e quei candidati vicini ai nostri valori che abbiano concrete possibilità di essere eletti.

No quindi al voto inutile per liste come quelle espressive dell’ultima suicida diaspora cattolica; liste da percentuali da prefisso telefonico, ma, semmai, puntare, con il voto di preferenza, a sostenere candidati credibili, inseriti in liste di area popolare con concrete possibilità di elezione, ossia in grado di superare la soglia del 4%. Personalmente ho espresso le mie idee sul voto europeo nel mio ultimo saggio: “ Elezioni europee- La visione dei “ Liberi e Forti” e, avendo condiviso l’appello degli amici Carlo Costalli, Presidente del MCL e di Giancarlo Cesana, del movimento Esserci, mi orienterò a votare come indicato in quel manifesto, che allego e che trovo assai coerente con quanto da noi stessi condiviso come DC nel documento del 5 Dicembre scorso che pure allego.

Dopo il 26 Maggio sarà nostro dovere smetterla con le diatribe giuridiche interne ed esterne e batterci per concorrere a costruire, sul modello francese, quell’UMPI ( Unione dei Movimenti Popolari Italiani) che da tempo vado auspicando, ossia il nuovo centro democratico e popolare di cui la democrazia italiana ha assoluta necessità. Obietti strategici essenziali da perseguire saranno:

a) la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione con l’impegno a realizzare sul piano politico istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana;

b)il controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, ossia il ritorno alla legge bancaria del 1936, colpevolmente abrogata dalla riforma del 1992 del Testo Unico Bancario. Questa è, infatti, la precondizione necessaria e sufficiente per qualsiasi politica economica che intenda sottrarre la nostra economia dalle norme iugulatorie imposteci in Europa dai poteri finanziari e per attuare una seria strategia a favore del lavoro e degli interessi del terzo stato produttivo e delle classi popolari.

b)il controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, ossia il ritorno alla legge bancaria del 1936, colpevolmente abrogata dalla riforma del 1992 del Testo Unico Bancario. Questa è, infatti, la precondizione necessaria e sufficiente per qualsiasi politica economica che intenda sottrarre la nostra economia dalle norme iugulatorie imposteci in Europa dai poteri finanziari e per attuare una seria strategia a favore del lavoro e degli interessi del terzo stato produttivo e delle classi popolari.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 05 Maggio 2019

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01 Maggio 2019

I cattolici al voto di Maggio

 

Da mesi sto esaminando atti e documenti per redigere un saggio sul travaglio politico dei cattolici italiani, partendo dalla mia esperienza vissuta dal 1993, anno della fine politica della DC; il partito che, per quasi mezzo secolo, aveva rappresentato l’espressione più efficiente ed efficace della cultura politica di ispirazione cattolico democratica in Italia.

L’assassinio di Aldo Moro e la successiva scomparsa di Papa Paolo VI, ultimo papa italiano, al quale erano legati molti esponenti della seconda generazione democratico cristiana, unitamente alle ragioni che ho più volte enunciato quali cause determinanti della fine della DC, sono stati gli elementi che hanno concorso in maniera fondamentale alla consumazione di quella straordinaria esperienza politico culturale. In estrema sintesi le ragioni della fine della DC possono essere così riassunte:

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano. E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

I tentativi compiuti dal 2011, con gli amici Silvio Lega, Luciano Faraguti, Gianni Fontana e Renato Grassi, insieme a tanti altri, dopo che Publio Fiori ci aveva informato della sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo la quale: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, sono stati vanificati, almeno sin qui, da un gruppo di “sabotatori seriali”, che, dal XIX Congresso del 2012, si oppongono contro ogni tentativo di dare pratica attuazione a quella sentenza.

Il duo Cerenza – De Simoni si è ostinato a ricorrere contro ogni atto da noi compiuto, prima con Fontana e poi con Renato Grassi, per dare un definitivo assetto ai vertici all’associazione di fatto (qual’ è giuridicamente la DC), con continui ricorsi e contro ricorsi nei tribunali, col bel risultato che, a tutt’oggi, dopo oltre sette anni, siamo al punto morto inferiore. Unico risultato del duo romano? Aver sin qui impedito ogni soluzione e ostacolato ogni tentativo di ripresa politica della DC. Una combinazione esplosiva tra “ la maledizione di Moro” e la stupidità di noi uomini, indegni eredi della migliore tradizione democratico cristiana.

Grande confusione regna sotto il cielo ex DC, dal momento in cui la grande “ balena bianca” si è andata via via frantumando nei diversi spezzoni della diaspora, spesso costruiti attorno a figure di basso conio, interessate soprattutto alla mera sopravvivenza politica personale e dei piccoli clan di riferimento. E’ il caso di Lorenzo Cesa che, grazie al suo vecchio mentore Pierferdinando Casini, al tempo in cui il bolognese presiedeva la Camera, ebbero in eredità l’uso elettorale del simbolo dello scudo crociato, utilizzato come dono da offrire al Cavaliere a garanzia della rielezione di Cesa al parlamento italiano prima e a Strasburgo poi, insieme al suo amico di cordata Antonio De Poli di Padova.

Emblematico e tragicomico il caso di Pierferdinando Casini, nato doroteo DC bisagliano, poi passato alla scuderia forlaniana, separato dalla DC con l’UDC , dopo la virata a sinistra del PPI di Martinazzoli, per finire nel PD sotto le insegne di Gramsci, Togliatti e Berlinguer in una sezione ex PCI di Bologna.

Tralascio la situazione ridicola delle varie sigle e siglette che si rifanno alla tradizione politica DC, sempre in guerra tra di loro e, in alcuni casi anche al loro interno. E’ quanto stoltamente accade nella DC espressione dell’unico albo dei soci eredi del partito storico, quello approvato dal Tribunale di Roma nel 2016, Qui siamo alla follia suicida di alcuni amici interessati a inseguire le capriole del duo Cerenza- De Simoni, finendo con l’escogitare continue soluzioni giuridiche a un tema che è e rimane tutto ed essenzialmente politico.

Alla vigilia delle prossime elezioni europee il travaglio politico dei cattolici italiani e, in particolare, quello degli ex DC è così rappresentabile:

1) i vecchi dirigenti organizzatori del “Family day” sono divisi tra la parte che fa riferimento a Gandolfini e Pinton, di fatto ormai organici alla Lega di Salvini, e quelli di Mario Adinolti, ancora una volta velleitariamente presenti con una loro lista autonoma, destinata con molta probabilità, a una cifra elettorale da prefisso telefonico;

2) una lista di sedicenti popolari guidata da Mario Mauro e da Ivo Tarolli, i quali, accettando il diktat di alcuni esponenti “cattolici radicali” ( definizione coniata dallo stesso Tarolli), in barba agli impegni assunti con la DC nel seminario di Verona del giugno 2017 e nel documento patto programmatico costituente del 5 dicembre 2018 a Roma, hanno rifiutato di denominare la lista come espressione dell’unità tra Popolari, Democratici Cristiani Insieme, finendo, invece con il presentarsi in compagnia di una “sexy prof” pordenonese, con la quale, sperano di rifare l’esperienza dei radicali veri con Cicciolina al tempo di Pannella. Stavolta, magari, con la benedizione di qualche chierico di alto grado di cui ci si accredita o si millanta la sponsorizzazione. E’ evidente che, senza pari dignità e con questa disinvolta (?!) scelta nella lista di una “liberoscambista” che propone, come suo programma: “spiagge libere per coppie scambiste in Italia” , la DC non poteva certo aderire a tale soluzione indegna e ridicola.

3) Resta la scelta operata da Carlo Costalli, presidente del MCL nella lista di Forza Italia, insieme a quella scontata del duo Cesa-De Poli, sempre a fianco del Cavaliere.

4) Un discorso a parte resta da sviluppare per quei cattolici, ex DC, che hanno scelto da tempo di sostenere partiti distinti e distanti dalla nostra tradizione politica: FI, PD, Lega, M5S,Fratelli d’Italia o che, si rifugiano nell’astensione elettorale, stanchi e sfiduciati dall’attuale offerta partitica italiana.

In questa situazione di evidente sfascio, salvo miracoli, credo che nessun esponente di area cattolica o ex DC sarà eletto nel prossimo parlamento europeo. Tutto sarà da riprendere daccapo dopo il voto di Maggio, partendo dalla grave situazione di anomia etica, culturale, economica, sociale e politico istituzionale dell’Italia, per concorrere a costruire un nuovo centro democratico e popolare, alternativo alla deriva populista e nazionalista che sta portando allo sfascio il Paese.

Un soggetto che, sul modello francese degli anni ’60, possa assumere la funzione di un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) di ispirazione popolare e democratico cristiana, da collegare al PPE, il Partito Popolare Europeo da riportare ai valori dei padri fondatori DC : Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Un movimento-partito che si ponga due obiettivi strategici fondamentali:

1) la difesa e completa attuazione della Costituzione repubblicana e l’impegno a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana;

2) il controllo pubblico di Banca d’Italia e della BCE e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. In sostanza il ritorno alla legge bancaria del 1936, colpevolmente superata dalla riforma del 1992 del Testo Unico Bancario sottoponendo l’Italia, come accade in Europa, al dominio dei poteri finanziari degli hedge funds anglo caucasici/kazari, con sede legale nella city of London e fiscale a tasso zero nel Delaware. Quei poteri che, nell’età della globalizzazione, hanno rovesciato i principi del NOMA (Non Overlapping Magisteria) ponendo il primato alla finanza cui va subordinata l’economia reale e la stessa politica, senza più riferimenti di natura etica, che non siano quelli propri del Dio denaro.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 01 Maggio 2019

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05 Aprile 2019

Le Termopili Democristiane

 

Attorno all’eredità della DC si è svolta una lunga battaglia che iniziò nel 1993, nel momento del distacco dal PPI di Martinazzoli, dell’UDC di Casini e Sandro Fontana, con un lungo seguito di scontri giudiziari fra presunti eredi: da Castagnetti per il PPI a Casini per l’UDC, e via via, Rocco Buttiglione e Mario Tassone con il CDU, la meteora di Pino Pizza e giù per li rami, tra Rotondi e Sandri e la nostra DC rimessa in moto da Gianni Fontana e Renato Grassi. fino ai giorni nostri.

La suprema Corte di Cassazione ha risolto definitivamente ogni querelle con la sentenza inappellabile assunta a sezioni civile riunite, numero 25999, del 23.12.2010, con la quale è stato sancito che “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, dunque, non ci sono eredi dato che il de cuius non è mai giuridicamente defunto.

Già Ombretta Fumagalli Carulli, eletta alla presidenza del consiglio nazionale della DC nel Novembre 2012 dichiarò, il 28 Dicembre di quell’anno: "I sostenitori del principio 'le sentenze si rispettano' se ne facciano una ragione: i magistrati, con sentenza definitiva n.25999 adottata dalla Cassazione il 23 dicembre 2010, hanno determinato che il simbolo della Democrazia Cristiana spetta -come logico- ai democristiani. Il glorioso partito della Dc che fu di De Gasperi, di Aldo Moro e di Donat Cattin, non è mai stato sciolto e, anche se non si è presentato alle elezioni più recenti, non ha rinunciato a nulla di ciò che gli appartiene". E aggiungeva: "questo significa che, fino a ora, coloro che hanno utilizzato il logo dello scudo crociato, lo hanno fatto abusivamente. A cominciare da Pierferdinando Casini che, a quanto pare, vuole troppe cose tutte insieme".

E, Gianni Fontana, eletto dal Congresso nel Novembre 2012, il 4 Gennaio 2013, avviò un’azione legale contro Casini e l’UDC con questo comunicato: “la democrazia cristiana ha avviato oggi un'azione legale "a tutela del proprio diritto di essere l'unica esclusiva proprietaria e, quindi, unica utilizzatrice, del simbolo dello scudo crociato sulla base delle recenti decisioni della magistratura. La corte d'appello di Roma ha accertato, con una decisione confermata dalle sezioni unite della corte di cassazione, che la DC non si è mai estinta e che, pertanto, non vi è stata alcuna ipotesi di successione in favore di nessun partito"."alla democrazia cristiana non rimane pertanto - proseguiva Fontana - che la difesa del simbolo e degli ideali che l'hanno sempre contraddistinta, e in particolar modo di quel simbolo glorioso che purtroppo ha assunto tante e troppe deformazioni e modificazioni. da queste premesse e su queste basi è partita oggi l'unica causa che la DC ha instaurato contro l'UDC per rivendicare il proprio diritto di esistere e di esistere con il proprio nome e il proprio simbolo, nonché nel medesimo stato in cui altri, non si sa quanto responsabilmente, l'hanno messa a riposo nel '94, oltre che per far accertare che l'UDC stessa non ha alcun diritto di utilizzare il simbolo, come chiaramente affermato dalla magistratura, e per richiedere il risarcimento dei danni".

Non abbiamo ottenuto soddisfazioni con l’UDC e Casini ha fatto la fine che tutti conosciamo: da virgulto doroteo forlaniano è finito sotto le insegne di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, fotografato in una sezione dell’ex PCI di Bologna, sopravvissuto a tutti i morti della prima repubblica e, tuttora, in pompa magna col laticlavio di senatore della Repubblica per il PD.

L’uso di quel simbolo è stato ereditato nell’UDC da Lorenzo Cesa, che ne ha fatto un utilizzo a titolo personale e di alcuni suoi amici, sino a questo giro elettorale europeo nel quale: o si imbarca sul residuo vascello del Cavaliere, di cui è stato sempre una scialuppa di salvataggio, o concorre con la residua scarsa credibilità alla ricomposizione dell’area democratico cristiana.

Questo della ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, che comporta inevitabilmente la stessa ricomposizione possibile dei superstiti “DC non pentiti”, è stato l’obiettivo che insieme a Gianni Fontana, Renato Grassi e gli altri “ ultimi dei mohicani DC” ci siamo proposti dal 2012, preso atto della sentenza della Cassazione, attivando tutta una serie di procedure possibili, con le quali abbiamo inteso dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione stessa e rilanciare politicamente la DC.

Dal Novembre 2012 e, prima ancora, dal Consiglio nazionale autoconvocatosi grazie all’iniziativa del sottoscritto e di Silvio Lega, alcuni sabotatori seriali, in primis l’avv. Cerenza e il sig. De Simoni, in rappresentanza di un’associazione degli iscritti 1992-93, hanno attivato una serie di azioni giudiziarie tese ad annullare i risultati raggiunti con la celebrazione del XIX Congresso nazionale DC del Novembre 2012, col solo risultato pratico di rendere impossibile la rinascita giuridica, prima ancora che politica, del partito.

Un fatto nuovo è, però, intervenuto, quando il tribunale di Roma ha accettato come base sociale dell’associazione senza personalità giuridica Democrazia Cristiana ( poiché tale è la natura giuridica del partito), quella dei soci 1992-93 che, nel 2012, decisero di rinnovare l’adesione al partito, il cui tesseramento era stato pubblicamente svolto in quell’anno.

Lo stesso tribunale, in base alle norme del codice civile, le uniche applicabili nel caso in questione, ossia di un’associazione senza personalità giuridica e priva degli organi statutari, ha autorizzato la convocazione dell’assemblea dei soci tenutasi il 13 ottobre 2017 nella quale eleggemmo gli organi sociali del partito: segretario nazionale e Consiglio nazionale. Successivamente il Consiglio nazionale convocò il Congresso attraverso le assemblee provinciali e regionali del partito per l’elezione dei delegati, secondo le norme statutarie tuttora in vigore della DC, e il 13 Ottobre 2018 riconvocammo il XIX Congresso nazionale del partito nel quale abbiamo eletto il segretario nazionale Renato Grassi e il consiglio nazionale. Quest’ultimo il 23 Ottobre 2018 ha eletto alla Presidenza del Consiglio nazionale, Gianni Fontana, la direzione nazionale e il segretario amministrativo, legale rappresentante del partito, nella persona di Nicola Troisi.

I “sabotatori seriali” non si sono arresi e anche contro queste assemblee hanno fatto ricorso, con un procedimento giudiziario tuttora pendente che contribuisce a mantenere in vita quel tentativo suicida che persegue l’unico scopo razionalmente comprensibile: impedire la rinascita politica della DC o, come più volte affermato, riscattare i beni patrimoniali ex DC.

Forti delle decisioni del tribunale di Roma, alla vigilia delle prossime elezioni europee, il 5 Dicembre 2018 abbiamo concorso alla redazione del patto programmatico federativo costituente, sulla base del quale abbiamo inteso dar vita a una lista unitaria delle diverse anime della vasta e articolata galassia cattolico popolare e democratico cristiana.

Avevano detto si a tale progetto con Renato Grassi, Mario Mauro, Mario Tassone, Ivo Tarolli, Nino Gemelli, Maurizio Eufemi, Giuseppe Rotunno, Giorgio Merlo e tanti altri amici esponenti di vari gruppi e associazioni dell’area cattolica.

Mario Mauro garantiva che grazie all’adesione dei “ Popolari per l’Italia” al PPE, si sarebbero potute evitare le forche caudine della raccolta, in brevissimo tempo, delle 150.000 firme necessarie per la presentazione della lista, dando incarico all’avv. Francesco Venturini di seguire l’iter del progetto.

Da parte mia, che con Gemelli ero stato l’estensore del patto federativo, proponevo come nome da assegnare alla lista quello di: “ Popolari e Democratici cristiani Insieme” o, in alternativa quello di UMPI ( Unione dei movimenti Popolari Italiani, sul modello dell’UMP francese) o di Unità Popolare.

L’ufficio politico della DC nella riunione del 28 marzo 2019, considerata l’assenza di ogni residua querelle sul simbolo dello scudo crociato, la cui proprietà è di totale appartenenza tra i beni immateriali della DC, chiedeva che, accanto al simbolo dei Popolari per l’Italia fosse inserito lo scudo crociato, ricordando che tra tutti i partecipanti al patto federativo, la DC era l’unico partito storicamente e legittimamente socio fondatore del PPE.

L’avv. Venturini, aspirante ad assumere il ruolo di capolista per conto degli amici Popolari per l’Italia, nella circoscrizione centrale, si farebbe portavoce di una sorta di idiosincrasia anti DC e della volontà di alcuni di escludere il simbolo dello scudo crociato, avendo, di fatto, già concordato a tavolino nomi e cognomi dei capilista e dei candidati nelle cinque circoscrizioni elettorali.

A questi sedicenti cattolici e popolari vogliamo far notare che avendo combattuto senza soluzione di continuità, la lunga battaglia nella stagione suicida della diaspora democratico cristiana, non avendo velleità di eleggere qualche amico, ma solo quella di piantare la bandiera della rinata Democrazia Cristiana, siamo pronti alla battaglia delle Termopili democratico cristiane, sia sul fronte del simbolo che ci appartiene, sia su quello della lista che rivendicheremo come diritto in tutte le sedi, per la nostra legittima appartenenza di unici soci fondatori del PPE, cui intendiamo collegare la nostra proposta politica e programmatica.

Restiamo con la speranza che Mario Mauro e Ivo Tarolli, che sono stati sin qui i dominus per la formazione della lista, sappiano tenere dritta la barra e impedire, complice l’astuto avvocato romano, l’ultimo naufragio al progetto di ricomposizione dell’area cattolica e popolare che presuppone, volenti o nolenti, anche quella di ciò che rimane dei “democratici cristiani non pentiti”.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 05 Aprile 2019

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10 Marzo 2019

Basta con i rinvii, ora serve l’unità

 

Assistiamo a un ben triste spettacolo messo in scena dal governo giallo-verde. Il premier Conte si è inventato la “clausola di dissolvenza”, con la quale spera di guadagnare tempo e rinviare il caso TAV a dopo il voto di Maggio, per salvare la faccia a Di Maio e al M5S suo sponsor. Matteo Salvini, terrorizzato dal prossimo voto del Senato sul caso Diciotti, da spavaldo Capitan Matamoro rincula al più accondiscendente ruolo del meneghino Tecoppa ( “ fermati che ti infilzo”). Si aggiungano le posizioni antieuropee e filo russe con disponibilità filo cinesi del governo, già denunciate dagli USA, e le nostre storiche alleanze atlantiche e europee sono messe in discussione senza nemmeno un dibattito parlamentare.

Ci prepariamo così al voto del prossimo 26 Maggio per il rinnovo del Parlamento europeo. Guai se i diversi cespugli nei quali ancora si disperde l’antica foresta democratico cristiana e popolare italiana non comprendessero la necessità inderogabile dell’unità.

Il 5 Dicembre scorso abbiamo condiviso il patto programmatico costituente federativo che insieme all’On Gemelli ho avuto l’onore di redigere. Ecco perché sento il dovere di rivolgere a tutti gli amici Renato Grassi, Mario Tassone, Gianfranco Rotondi, Lorenzo Cesa, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Ivo Tarolli e ai tanti amici rappresentanti delle diverse associazioni e movimenti dell’area cattolica, un ultimo appello all’unità .

Serve proporre alle elettrici e agli elettori italiani una proposta di ispirazione democratico cristiana per l’Europa con la quale ci impegniamo a mettere al centro delle politiche europee la persona, le famiglie, i corpi intermedi, le cui relazioni dovranno essere garantite dai principi della sussidiarietà e della solidarietà in un’Europa federata delle nazioni.

Intendiamo sottrarre l’Unione europea al condizionamento dei poteri finanziari che hanno rovesciato i principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) garantendo alla finanza il primato e subordinando ad essa l’economia reale e la politica, molti esponenti della quale sono ridotti al ruolo di accoliti serventi a libro paga degli stessi poteri.

Intendiamo batterci per il controllo pubblico della BCE e delle banche centrali dei Paesi europei e per la separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, a partire dalla Banca d’Italia e al ripristino della Legge bancaria del 1936.

Senza queste due riforme fondamentali non si potranno adottare efficienti ed efficaci politiche economiche per risolvere i grandi problemi della crescita e dello sviluppo sostenibile dell’Unione europea, insieme a quelli della disoccupazione, specie giovanile, e della povertà sempre più ampia e diffusa anche tra i ceti medi europei.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 10 Marzo 2019

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05 Marzo 2019

Il presidente Macron

 

Fa piacere che il presidente Macron abbia annunciato l’iniziativa francese per un Rinascimento europeo”, dopo che politiche dissennate del suo predecessore ci hanno portato al “cul de sac “della guerra Libica, Paese in cui, peraltro, continua il tentativo francese di sostituirci nel ruolo che ENI esercita dai tempi di Mattei in quella realtà nord africana.

Ovviamente “ Rinascimento europeo”, come sostiene Macron, comporta la revisione degli stessi trattati di Maastricht a partire dall’illegittimo fiscal compact, come il prof Giuseppe Guarino ha dimostrato con dovizia di particolari nei suoi libri.

Noi democratici cristiani vogliamo un’Europa federale degli stati, che ponga al centro delle politiche europee gli interessi della persona e dei corpi intermedi, regolati dai principi della sussidiarietà e della solidarietà. Quei principi della dottrina sociale cristiana che furono alla base delle politiche dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

E’ prevalsa la deriva relativistica e laicista, che ha impedito di inserire nella Costituzione europea, bocciata proprio dalla Francia, le radici giudaico cristiane che fanno parte incontestabile della nostra storia.

Vogliamo l’Europa dei cittadini e non dei poteri finanziari dominanti degli hedge fund anglo caucasici/kazari, che hanno rovesciato i principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), ponendo la finanza in posizione dominante, con la subordinazione ad essa, cioè a coloro che la gestiscono in prima persona, l’economia reale e la stessa politica, i cui esponenti sono in molti casi ridotti a burattini mossi dai fili dei pupari finanziari.

Vogliamo il ritorno alla controllo pubblico delle banche centrali, a partire dalla Banca d’Italia, e la separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

Macron, proveniente proprio da quei mondi che vedono nei Rothshild, JP Morgan, Vanguard , State Street , Northern Trust, Fidelity, Francklyn Templeton, Black Rock, Black Stone, Mc Graw Hill, Bnp Paribas, Guarantee Trust, riconducibili alle 7 famiglie sassoni/georgiane/azerbajane dei Morgan, BauER MeyER Rothshild, Baruch JohnSON , WalkER Bush , JefferSON, Clinton, RockfellER ) i principali esponenti, vuole davvero costruire con noi un nuovo rinascimento europeo?

Noi DC e popolari porteremo in Europa queste proposte e se son rose….fioriranno.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 14 Febbraio 2019

 

 
     

 

 

28 Febbraio 2019

Dopo il “pronunciamiento” di Salvini è tutto più chiaro

 

Alle elezioni regionali di Abruzzo il 10 Febbraio scorso, il M5S ottiene il 19,7 %, dopo che alle politiche del 4 marzo 2018 aveva ricevuto il 39,85 %; in consiglio comunale di Taranto scompare la rappresentanza del movimento; alle regionali di domenica scorsa in Sardegna il M5S, che alle politiche del 4 Marzo aveva ottenuto oltre il 40% ,sprofonda a meno del 10%.

Non c’è che dire, con Di Maio leader, i grillini perseguono imperterriti la linea del gambero. E Di Maio come reagisce? Tranquilli, predica la riorganizzazione del movimento verso il partito: due mandati per tutti a cominciare dai consiglieri comunali e poi, via via, si arriverà anche ai parlamentari, dato che tornare a lavorare, per chi un lavoro ce l’aveva, sarebbe molto dura, mentre per gli altri…..c’è sempre il reddito di cittadinanza. E per Di Maio, il leader delle sconfitte? Tutto congelato, il suo ruolo “ si ridiscute tra quattro anni”; insomma Di Maio non si cambia, non è previsto da nessun contratto. Poveri “grullini”, ridotti a sorbirsi il Giggino di Pomigliano d’Arco………. fino alla fine.

Matteo Salvini sull’onda dei successi elettorali considera la sua attuale posizione di dominus del governo giallo verde, come la migliore possibile per lui e per la Lega. Non a caso si spinge a dichiarare: “io mai più con il centro-destra”. Non è la prima volta che Salvini assume il ruolo baldanzoso e sfrontato di un “Capitan Fracassa” (“ mi processino pure”), salvo poi, proprio come nel caso del processo per la Diciotti, ridursi, consigliato dall’esperta ministra avvocata Bongiorno, a quello di un qualunque “Tecoppa meneghino” bisognoso del salvataggio del voto dei pentastellati.

Certo la natura originaria della Lega con Salvini è profondamente mutata; all’idea separatista bossiana della Padania dall’Italia è subentrata quella di un partito nazionale a tutto tondo, che accentua sino a livelli pericolosi il suo nazionalismo, con alcuni esponenti, come il loro mentore economico, Claudio Borghi, che, anziché la separazione della Padania dall’Italia, auspicano la separazione dell’Italia dall’Unione europea.

Sono giurassici i tempi bossiani del “ Dio PO”, con le ampolle delle sue acque raccolte sul Monviso e portate in laica processione sino a Venezia; o quelli delle bandiere tricolori strappate al canto di “ Va pensiero”. Ora trionfa l’immagine di un ministro degli Interni che sfoggia felpe d’ordinanza di tutte le forze armate e dell’ordine pubblico col tricolore e giunge a visitare un signore, condannato in via definitiva dalla Cassazione per tentato omicidio, in spregio evidente della magistratura e con l’utilizzo “improprio” e deformante del suo ruolo istituzionale. Insomma la Lega a trazione salviniana sta assumendo la funzione e il ruolo della vera destra lepenista italiana che, persino la Meloni e Crosetto al suo confronto sono dei liberali moderati.

Non nascondiamo la nostra simpatia e vicinanza politica agli amici della Lega che conosciamo nel Veneto, dal governatore Zaia al presidente del Consiglio regionale, Ciambetti. In molti dei loro seguaci riconosciamo gli interessi e i valori che un tempo sono stati rappresentati dalla Democrazia cristiana veneta, che fu il partito di molti dei genitori degli attuali esponenti della Lega veneta.

Con la stessa franchezza, però, possiamo affermare che delle politiche e degli atteggiamenti assai poco istituzionali di Salvini, non condividiamo pressoché nulla; anzi, riteniamo che siano espressione di un nazionalismo vecchio e stantio, capace solo di suscitare pericolose fratture nel tessuto sociale e morale dell’Italia. Un Paese che è ridotto all’isolamento internazionale più grave della sua storia repubblicana, e/o, peggio, per il quale si ipotizzano nuove alleanze ad oriente, lontane da quelle atlantiche ed europeiste occidentali, che la DC seppe garantire all’Italia per quasi cinquant’anni.

Ecco perché l’affermazione perentoria di Salvini, una sorta di “pronunciamento” nello stile del “comandante”: “ Io mai più col centro-destra”, assume per noi “ DC non pentiti” la conferma di quanto abbiamo deciso nel nostro congresso nazionale dell’Ottobre 2018; ossia la volontà di concorrere alla costruzione di un nuovo centro, non sbilanciato, né a destra né a sinistra, impegnato nella difesa e nell’ integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

Una Costituzione da realizzare pienamente in tutti i suoi principi fondamentali, dall’applicazione dell’art.49, al fine di superare la presente realtà di un partito, come il M5S, etero guidato dall’esterno da una società a responsabilità limitata, con parlamentari dal vincolo di mandato subordinato dai dioscuri pupari di quel movimento, sino a quelli inerenti alla dignità della persona, al ruolo della famiglia naturale e dei corpi intermedi.

Ecco perché siamo impegnati, innanzi tutto, a riunire nella stessa casa tutti i diversi gruppi, partiti e movimenti che, a diverso titolo, si rifanno alla DC e a superare le scaramucce infantili e suicide che qualche irresponsabile continua ad alimentare fra noi. Ecco perché, infine, intendiamo concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico, come fu il MRP francese, che raccolga le migliori culture della storia politica italiana. Un movimento popolare, laico, democratico, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori.

Un Movimento ampio e plurale che si ponga sin dalle prossime elezioni europee il compito di riformare profondamente la struttura dell’Unione europea. Come ho concluso nel mio ultimo saggio: “ Elezioni europee-La visione dei “ Liberi e Forti”, https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/422618/elezioni-europee/ è evidente l’esigenza di una seria riforma della costruzione europea, sia dal punto di vista istituzionale, della governance e, soprattutto, sulle politiche economiche e finanziarie da sottrarre ai condizionamenti giugulatori dei poteri finanziari dominanti.

Trattasi di un compito politico e culturale straordinario, al quale noi popolari italiani ed europei, soci fondatori, prima della CEE e, poi, dell’Unione europea, abbiamo il dovere di offrire il nostro prezioso contributo senza del quale l’attuale costruzione è destinata a sicuro fallimento. E dovremo farlo insieme alle altre culture laiche e liberali, riformiste di ispirazione democratica che condividono i valori dell’umanesimo cristiano.

Questa è la priorità per tutti i popolari italiani che credono nel valore di un’Europa federale riformata sui principi a suo tempo indicati da Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. E questa è la prospettiva per cui ci battiamo.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 28 Febbraio 2019

 

 
     

 

 

16 Febbraio 2019

Si è riaperto il tema dell’autonomia regionale differenziata

 

Si è riaperta la questione, per la verità mai chiusa, dell’autonomia regionale. Quella cosiddetta differenziata é l’ultima delle soluzioni escogitate, dopo il fallimento dei precedenti tentativi svolti sin dalla bicamerale presieduta da D’Alema (1997) e a seguito dell’enorme confusione istituzionale connessa alle modifiche del Titolo V della della Costituzione (legge cost.le 3/2001). L’introduzione delle “materie concorrenti” tra Stato e Regioni, come è noto, ha dato vita, infatti, a una serie infinita di contenziosi, mentre permane la situazione non più sostenibile delle differenze esistenti tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, che, vanamente, almeno sin qui, noi popolari veneti abbiamo tentato di superare.

Se alcune tra le regioni trainanti dello sviluppo italiano: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono giunte a proporre la via d’uscita, prevista in Costituzione, di un’autonomia differenziata, è perché l’attuale assetto istituzionale del nostro Paese non regge più, aggravato dalla condizione complessiva di anomia politico istituzionale ed economico sociale in cui versa l’Italia. Credo si debba partire da quest’oggettiva constatazione di crisi del nostro sistema istituzionale, resa ancor più difficile dalla situazione critica all’interno dell’Unione europea e nei nuovi assetti e rapporti internazionali; questi ultimi in continua modificazione nell’età della globalizzazione.

Ricordo al riguardo che, nel Febbraio 1997, sono usciti per la collana "il nocciolo" di Laterza, due saggi sull'Europa, che meritano la nostra attenzione. Il primo, in ristampa dopo la prima edizione del 1996, di Piero Bassetti ("L'Italia si é rotta? Un federalismo per l'Europa" ) ed il secondo, in prima edizione 1997, di Ralf Dahrendorf ("Perché l'Europa? Riflessioni di un europeista scettico") che affrontavano, da due diverse prospettive, il tema dell'Europa.

Bassetti é, per quelli della mia generazione, il non dimenticato paladino del regionalismo degli anni '70, il primo Presidente della giunta regionale della Lombardia, il sommo teorico italiano del glocalismo (presidente della fondazione Globus et Locus). Ralf Dahrendorf, di origine tedesca, essendo nato ad Amburgo, é stato sino al 1983, il direttore della prestigiosa London School of economics, ed è stato membro della Camera dei Lords inglese e già Commissario inglese dell'Unione europea. E’ morto a Colonia il 17 Giugno 2009. Essi rappresentano, tuttora, due voci autorevoli di una stessa generazione di uomini politici e di cultura, le quali esprimono due diverse concezioni dell'Europa e del federalismo, dopo sessant’anni dalla nascita della CEE .

Il primo, kennedianamente un "ottimista senza illusioni", preoccupato della pericolosissima china cui é giunta l'Italia collassata nella sua struttura statuale ed al limite del rischio della secessione, ritiene che: " se il Paese si rompe sotto la pressione europea, usiamo proprio la colla europea per aggiustarlo e farcelo entrare politicamente unito".

Per Bassetti, insomma, la difesa dell'Unità nazionale ed il superamento del rischio secessione può solo avvenire attraverso la Costituzione europea. Ma andare in Europa uniti per Bassetti "non vuol necessariamente dire volere cavare dall'Europa una sola cosa da fare, noi, tutti insieme secondo il classico approccio da governo centrale. Andare nell'Europa pluralista con un'Italia pluralista vuol dire poter chiedere cose diverse alle diverse realtà del Paese facendolo però insieme e con una visione di insieme".

a) E' netta in Bassetti l'idea del superamento della concezione dello Stato nazionale così come ereditata dal Risorgimento e, dunque, la consapevolezza che "una nuova politica di Unità nazionale dovrà essere costruita non attorno a una rivendicazione di indipendenza e separazione dagli altri Stati europei come all'epoca del Risorgimento, ma, al contrario, deve essere tesa a inserire in Europa gli interessi globali del nostro Paese, partendo dalle sue differenze e articolazioni, nel tentativo di far giocare tali differenze come un surplus geopolitico che l'Europa ha in passato sempre mostrato di apprezzare." Sfiducia totale nella tradizionale concezione dello Stato nazionale così come concretamente si é realizzato in Italia, e totale adesione all'idea di un'Europa delle Regioni in cui il collante fondamentale dovrebbe essere costituito dal "sistema delle imprese". Superamento della vecchia idea del Principe-Stato e centralità dell'impresa "la quale non rappresenta più solo l'unità elementare di produzione, ma é anche il principale motore dell'innovazione". Non più, dunque, un sistema fondato sull'alleanza tra Stati e superamento del centro come momento unificante dei particolarismi, quanto la realizzazione di un sistema a rete tra realtà regionali dell'Europa, istituzionali e d'impresa, che realizzano un nuovo patto federativo per il prossimo secolo, quale unico vero antidoto possibile contro i rischi non effimeri di disintegrazione socio politica del nostro Paese. Questo tema è stato ripreso con la stessa determinazione e nuovi accenti da Piero Bassetti, grazie a un articolo pubblicato su “ Il Foglio”, Mercoledì 13 Febbraio a firma di Maurizio Crippa, intitolato: “Il Risorgimento. Parte due”.

b) Da esso emerge come il voto del 4 marzo 2018 abbia rivelato l’esistenza di due Italie difficilmente riconducibili e interpretabili da una cultura unitaria e condivisa e da una gestione dello stato di tipo centralizzato. La mancata unità nazionale su basi federaliste secondo la concezione di Carlo Cattaneo con l’alleanza tra borghesia del Nord , monarchia sabauda ed esercito, ha fatto nascere uno Stato, ma non ha risolto il problema lucidamente posto da Massimo D’Azeglio: “fatta l’Italia, facciamo gli italiani”. Di qui l’espressione di Bassetti della fine del primo risorgimento, proponendo una seria riflessione sulle riforme istituzionali possibili e compatibili e la riproposizione di una lettura del caso Italia secondo la stessa idea del prof Miglio : macroregioni e selezione di una nuova classe dirigente dal basso, partendo dalle realtà locali, considerando insufficiente e inadeguata la stessa soluzione dell’autonomia differenziata richiesta dalle tre regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna) che è alla firma del governo.

Totalmente diversa la posizione espressa da Ralf Dahrendorf, che in quel saggio si autodefinì "un europeista scettico" e che nello stesso espose, sostanzialmente assai bene, la posizione prevalente degli inglesi, già allora, in materia di costruzione europea. Teorico inflessibile dello Stato nazionale da lui ampiamente difeso contro le ricorrenti utopie dei federalismi regionali (v. il suo bel saggio su Micromega ,n.5/94,pagg.61-73) per Lord Dahrendorf: "la peggiore delle prospettive é la cosiddetta Europa delle regioni, in cui unità sub nazionali omogenee, e quindi intolleranti, si uniscono con una formazione sovrannazionale retorica e debole. Contro una prospettiva del genere , lo Stato nazionale eterogeneo é l'unico bastione".

Ne risulta una concezione totalmente opposta a quella di Bassetti, che si basa su un'idea pessimistica delle realtà territoriali regionali portatrici, nella visione di Dahrendorf, di intrinseci rischi di frantumazione degli Stati, unici garanti delle regole di libertà per i cittadini. Insomma per Dahrendorf il binomio"società e democrazia" è più importante di "Europa e democrazia", mentre non manca il timore, così diffuso in molta parte della cultura anglosassone ed europea, espresso dal seguente interrogativo: "non può essere forse che in bocca tedesca "Europa" sia in realtà la parola in codice per il nuovo nazionalismo tedesco?".

Tutto il suo saggio é permeato da approfondite riflessioni in ordine ai rischi, se non addirittura all'inutilità, di considerare l'Unione monetaria che, come dibattito sull’euro, é oggi al centro del dibattito politico, economico e finanziario in molti Paesi europei, Italia in testa, come il tema essenziale per la costruzione europea. Per Dahrendorf non solo tale questione non serve a risolvere i grandi problemi storico-politici presenti all'attualità dell'Europa di oggi, ma, probabilmente potrebbe contribuire a ritardarne addirittura la soluzione, riducendosi alla costruzione di un mero "francomarco"a netta egemonia tedesca. Una profezia che si è in larga parte auto adempiuta. Insomma per Dahrendorf non vale la pena di morire per Maastricht, mentre più saggio sarebbe puntare alla costruzione di una più stretta unione delle nazioni europee, "partendo dall'Unione europea così come esiste realmente nella sua attuale articolazione di Stati nazionali."

Ridotte così al "nocciolo" le tesi dei due autori alla fine del secolo scorso, credo siano tuttora di grande interesse nell'attuale dibattito apertosi in Italia e nell'Unione europea.

Qualche anno dopo la pubblicazione di quel saggio (1997), nel 2014, l’allora primo ministro francese, Manuel Valls, propose di "ridurre della metà il numero delle regioni" entro il 2017 e di sopprimere i consigli dipartimentali (province) "entro il 2021".Le Regioni francesi sarebbero passate dalle attuali 22 a 12, con un risparmio di spesa annuo previsto tra i 12 e i 15 miliardi di €: una robustissima riduzione di spesa pubblica. Quello stesso anno Beppe Grillo, il leader del M5S, il 7 Marzo sul suo blog definiva l’Italia: "un’arlecchinata di popoli, di lingue, di tradizioni che non ha più alcuna ragione di stare insieme" e per questo insisteva sull’urgenza di dividere il territorio nazionale in macroregioni.

Quella iniziata nel 1861, scriveva Grillo, è “una storia brutale, la cui memoria non ci porta a gonfiare il petto, ma ad abbassare la testa. Percorsa da atti terroristici inauditi per una democrazia assistiti premurosamente dai servizi deviati (?) dello Stato. Quale Stato? La parola ‘Stato’ di fronte alla quale ci si alzava in piedi e si salutava la bandiera è diventata un ignobile raccoglitore di interessi privati gestito dalle maitresse dei partiti”. E se domani, proseguiva il post, “i Veneti, i Friulani, i Triestini, i Siciliani, i Sardi, i Lombardi non sentissero più alcuna necessità di rimanere all’interno di un incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant’anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore di pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all’estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche”. Secondo Grillo per fare funzionare l’Italia, che “non può essere gestita da Roma da partiti autoreferenziali e inconcludenti”, “è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie. E se domani fosse troppo tardi? Se ci fosse un referendum per l’annessione della Lombardia alla Svizzera, dell’autonomia della Sardegna o del congiungimento della Valle d’Aosta e dell’Alto Adige alla Francia e all’Austria? Ci sarebbe un plebiscito per andarsene”.

Considerazioni a cui replicò Matteo Salvini così: “Non vorrei che essendo in difficoltà, Grillo inseguisse la Lega”. Ma se da lui non ci saranno “solo parole” fra M5S e Carroccio “sarà una battaglia comune”. “Se è coerente – disse Salvini – Grillo sosterrà subito il referendum per l’indipendenza del Veneto e quando in Lombardia chiederemo lo statuto speciale ci sosterrà”. Per questo Salvini si aspettava che “non rimanessero solo parole, perché a parole i grillini erano contro l’immigrazione clandestina e poi hanno votato contro il reato, a parole erano contro l’euro poi è rimasta solo la Lega: se non saranno solo parole sarà una battaglia comune – concludeva – perché è certo che se mettiamo insieme le forze da questo punto di vista non ce n’è per nessuno”.

Parole profetiche pronunciate dai due leader quattro anni prima del “contratto di governo” giallo verde, anche se, oggi, giunti alla vigilia della firma degli accordi sottoscritti dalla ministra Stefani con i tre governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, i grillini si stanno tirando indietro, preoccupati di offrire all’alleato-competitor di governo, Salvini, un vantaggio sicuro rispetto alla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento europeo.

Ho citato queste idee di Grillo e di Salvini datate 2014, per evidenziare come i temi dell’autonomia regionale possano assumere nel tempo forme e declinazioni diverse, così come l’abbiamo sperimentato anche noi popolari veneti che, dalla fine del 2015, abbiamo avviato una grande campagna per la nascita della macroregione del Nord Est o del Triveneto, secondo le vie previste dalla Costituzione. Sostenitori della tesi del prof Miglio, da anni, infatti, proponiamo in Italia il passaggio dalle attuali 20 regioni a 5- 6 macroregioni.

Proprio alla fine del 2015 e per tutto il 2016 e 2017, con molti autorevoli amici veneti, abbiamo condiviso l’idea della macroregione del Nord-Est, convinti che: “esiste, ed è costituzionalmente previsto, un meccanismo, mai esplorato, per arrivare alla macroregione “speciale” triveneta, con Trentino e Friuli Venezia Giulia, omogenee per cultura, storia, caratteristiche economiche e tessuto sociale, a costo “zero” per lo Stato. Attraverso, cioè, l’applicazione dell’art. 132, comma 1, della Costituzione, ovvero promuovendo la richiesta di fusione delle tre regioni venete da parte di tanti consigli comunali quanti rappresentino 1/3 della popolazione complessiva (circa metà del Veneto), si determinerebbe la convocazione di un referendum, che, se avesse esito positivo obbligherebbe le camere a discutere una legge costituzionale di accorpamento del Triveneto.

Fondere due regioni speciali e una ordinaria comporterà necessariamente la creazione di una macroregione speciale, in cui vi sarà una diversa modulazione, anche mantenendole invariate, delle attuali risorse dello Stato per il medesimo territorio, altresì potendo l’itero triveneto beneficiare della autonomia fiscale ora riconosciuta solo a TTAA e FVA.

Inoltre, sul piano strategico una macroregione del nordest, cuore e crocevia degli assi nord/sud ed est/ovest dell’Europa, appare uno straordinario strumento di attrazione di investimenti, nonché di interlocuzione autorevole con le istituzioni italiane ed europee a immediato beneficio della crescita dell’intero territorio. La proposta potrebbe nascere da alcuni Sindaci di importanti città venete, sotto l’egida di autorevoli riferimenti veneti nel mondo del diritto, delle professioni, dell’economia, della cultura, dell’editoria.

Quella nostra indicazione, ahimè, non fu raccolta dalle forze politiche presenti nel Consiglio regionale del Veneto e cadde tra i “ wishful thinkings” (pensieri vaghi) impotenti e insoddisfatti. Peccato, perché sarebbero bastati i pronunciamenti dei consigli comunali dei sette comuni capoluoghi del Veneto per far scattare quel referendum. La Lega e il Presidente Zaia, con la maggioranza del consiglio regionale veneto, hanno deciso diversamente, proponendo la strada di un referendum consultivo che ha ottenuto il via libera dalla Corte Costituzionale.

La forte partecipazione al referendum svoltosi il 22 Ottobre 2017 e un voto pressoché plebiscitario a sostegno di una maggiore autonomia della nostra Regione, sono state le precondizioni politiche, nel Veneto e in Lombardia, per aprire un confronto con il governo centrale non più rinviabile. 50 miliardi di fondi versati da Lombardia e Veneto al governo centrale, sottratti dall’imposizione fiscale dei lombardo-veneti sono una cifra enorme non più sostenibile. L’Emilia e Romagna senza referendum optò da subito per l’apertura di una trattativa diretta col governo, sulla base di una proposta di accordo votata all’unanimità dal consiglio regionale emiliano.

Va assicurato che non intendiamo sottrarci ai doveri della solidarietà a favore delle regioni italiane meno fortunate, ma onestamente non si possono più accettare gli sprechi e il malgoverno di realtà istituzionali come quelle che reggono la sanità campana o laziale e lo sfregio a ogni logica elementare di buona amministrazione cui è stata condotta la Regione Sicilia.

Da molto tempo sosteniamo, con l’insegnamento del compianto prof. Miglio, l’idea di un’Italia federale organizzata sulla base di cinque o sei macroregioni, ma, ahimè, sin qui le nostre sono state inutili “grida nel deserto”, in un Paese centralista che non si rende conto, così com’è attualmente organizzato, di essere destinato al fallimento.

La nostra proposta non intendeva e non chiede di ridurre il grado di autonomia conquistato dalle consorelle realtà regionali friulane e trentino-altoatesine, ma, semmai, di aumentare quello ora garantito al Veneto come regione a statuto ordinario. E lo facciamo indicando in Venezia e nella migliore tradizione storico politica della Repubblica Serenissima, il punto di riferimento centrale della nostra proposta. Nessuna velleità scissionistica, ma il riconoscimento di una specifica autonomia nel quadro di ciò che prevede la nostra Costituzione repubblicana.

Che esista una questione settentrionale, lo ha ben descritto l’amico Achille Colombo Clerici in un suo recente saggio, che ripropone quanto da lui esposto in una conferenza tenuta a Zurigo all’Istituto svizzero per i rapporti culturali ed economici con l’Italia nel giugno 2008.In estrema sintesi Colombo Clerici fa presente quanto segue:

Se la questione meridionale italiana da quasi un secolo è al centro del dibattito storiografico e politico nel nostro Paese, scarsa attenzione viene data alla questione lombarda che si inserisce, più in generale, nella questione settentrionale, il cui confine è tracciato dal perimetro delle cosiddette regioni a residuo fiscale negativo: cioè di quelle regioni che allo Stato danno in tasse più di quanto ricevono in servizi.

Si delinea un'area geografica comprendente le regioni del Nord, un'area entro la quale si riscontra una certa omogeneità storico cultural-sociale ed economica. Anche se dobbiamo dire che, grazie a Milano, la Lombardia è la Regione che più assomiglia ad uno stato autonomo, nel quale esiste in modo inequivocabile un vero riconoscibile polo di potere socio-economico-amministrativo a reggerne la vita. La questione settentrionale potrebbe oggi, per grandi linee, affacciarsi nei termini problematici del compito e della responsabilità, maturati sul piano storico, delle Regioni del Nord di tenere agganciato il Paese al mondo internazionale, mentre le risorse per consentire questo compito non sono per niente definite. Anzi, non se ne parla nemmeno. L’assistenzialismo centralistico verso le regioni del Sud ha dato luogo a ingenti trasferimenti finanziari alle famiglie senza la contestuale creazione di nuovi posti di lavoro. Si è in tal modo sviluppato un modello di società dei consumi senza una corrispondente produzione. Lo Stato Italiano ha sottratto ingenti risorse finanziarie agli investimenti in infrastrutture di servizio, tanto al Nord, quanto al Sud; dove peraltro gli investimenti realizzati non hanno dato i risultati ipotizzati.

La soluzione? Alcuni sostengono un’idea più avanzata sul piano del “federalismo”, soprattutto in campo fiscale; altri più sfumatamente parlano di “regionalismo”, in aderenza sostanzialmente all’idea di una maggiore autonomia dell’ente locale. Ma poi inevitabilmente nelle risposte degli uni e degli altri emergono tutte le tematiche del dibattito generale: dai principi di interdipendenza, di sussidiarietà, di solidarietà, al policentrismo ed al cosmopolitismo. Il tutto inquadrato in un sistema che sia in grado di conciliare le esigenze di autogoverno–partecipazione locale, con la salvaguardia del principio di unità-solidarietà nazionale.

Ci auguriamo che il governo non sia sordo e ondivago come lo è stato il PD a suo tempo, in questa vicenda per l’autonomia differenziata. Se, com’è assai prevedibile, gli accordi annunciati dalla ministra Stefani non potranno essere sottoscritti in questa fase pre elettorale, non sarà con il rinvio che si potranno sciogliere i nodi aperti dalla locomotiva italiana lombardo-veneta-emiliana. Alla fine, si dovrà prendere atto dell’opportunità di un nuovo assetto finalmente federale del Paese, con cinque o sei macroregioni e una guida autorevole e forte centrale, come il compianto prof Miglio, profeta inascoltato, autorevolmente auspicava.

Ricordo ciò che ha scritto Stefano Bruno Galli, in una nota su “ La Confederazione Italiana” il 23 Giugno 2016 sul tema: “ Il federalismo di domani”:

“Sarebbe questo il progetto di un federalismo a geometria variabile concreto, realizzabile e praticabile. Un federalismo dal quale ci guadagnerebbero tutti. Le autonomie storiche sarebbero affiancate da queste nuove autonomie speciali, e quindi nessuno si permetterebbe più di metterne in discussione la sopravvivenza. Le regioni del fronte del residuo fiscale conquisterebbero maggiori – e strameritati – margini di autonomia politica e amministrativa. Infine, nel rapporto con le nuove specialità, si potrebbe lavorare sulla riduzione del residuo in cambio dell’attribuzione in via esclusiva di tutte le competenze concorrenti e dell’assolvimento di servizi oggi garantiti dallo Stato centrale: minore spesa in uscita e più qualità nei servizi erogati, a beneficio della collettività. Perché le regioni con un consistente residuo fiscale sono assai più virtuose dello Stato di Roma. Lo dimostra proprio l’entità del residuo. Mentre le altre regioni, quelle che – come un’idrovora – sono mantenute e succhiano risorse allo Stato centrale, rimarrebbero nell’attuale condizione di dipendenza e di subordinazione rispetto a Roma. Condizione rafforzata – ma solo per loro – dalla riforma costituzionale. Se intendono guadagnare una maggiore autonomia politica e amministrativa saranno costrette a diventare virtuose. È ora che in questo Paese si adottino dei criteri premiali, basati sulla competizione – che è l’essenza del federalismo – fra la virtuosità dei territori. Competizione che questo Paese non ha mai conosciuto.”

L’immediata reazione del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, il quale intende anche lui chiedere per la sua realtà territoriale una maggiore autonomia, non può che essere salutata favorevolmente, al di là dei toni vanagloriosi di sfida, tenendo presente che si tratterà di rimodellare l’intero assetto istituzionale del Paese con cinque o sei macroregioni e un forte potere centrale di tipo presidenziale, come nei migliori modelli federali esistenti in Europa e nel mondo. Credo che su questa proposta si possa e si debba aprire un serio confronto anche al nostro interno, trattandosi di un’idea coerente con quanto appartiene alla nostra migliore cultura e tradizione politica delle autonomie locali, da quella popolare sturziana a quella democratico cristiana e degasperiana iscritte nella Carta costituzionale.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 16 Febbraio 2019

 

 
     

 

 

14 Febbraio 2019

Dopo l’Ufficio politico della DC

 

Il garrulo Di Maio è convinto che “governerà cinque anni”. Quella che per lui è una speranza, per gli italiani potrebbe diventare un incubo. Basta considerare ciò che sta accadendo nel nostro Paese: la rivolta dei pastori e allevatori sardi produttori di latte i cui costi di produzione non sono più compensati dai prezzi di vendita jugulatori imposti dalle major del settore e da una politica agricola europea tutta da rivedere; la rivolta dei gilet arancioni degli olivicoltori pugliesi in crisi per la xylella, la concorrenza e le frodi alimentari contro il nostro straordinario olio d’oliva; la rivolta ai limiti della guerriglia urbana degli anarchici e dei black blocs a Torino, che sembra innescare ciò che i gilet gialli stanno perseguendo da alcuni mesi in Francia, un autentico “progrom” della Francia, partendo dal tessuto urbano di molte città e puntando alla crisi del governo e della presidenza Macron.

E’ in atto quella che da diverso tempo ho indicato come la reazione del terzo stato produttivo e di una parte dei diversamente tutelati, quella, ovviamente, meno tutelata, contro la casta, con il “quarto non stato” che continua a esercitare il suo potere di rendita, sottratta a ogni capacità di regolazione e controllo da parte dello Stato. Una reazione che potrebbe sfociare in una rivolta fiscale e/o in una più generale rivolta sociale e politico istituzionale.

Quest’ultima annunciata dall’alta astensione al voto (poco più del 17 % alle recenti elezioni per il rinnovo di un seggio al consiglio regionale sardo e poco più del 50% nelle elezioni regionale abruzzesi di domenica 10 Febbraio) se il 4 Marzo si era tradotta sul piano elettorale con l’affermazione su liste contrapposte del M5S, da un lato, e della Lega, dall’altro, dopo otto mesi di esperienza del governo del contratto giallo verde, nel voto di Abruzzo ha registrato:

a) una netta affermazione già annunciata dai sondaggi della Lega

b) l’ affermazione del centro destra unito che, sfiorando la maggioranza assoluta (48% dei voti) ha portato nel bigoncio della coalizione un’altra presidenza di regione dopo quelle di Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli V.Giulia. Va sottolineato che nessuna regione italiana è governata dal M5S o dalla coalizione giallo verde;

c) la tenuta della coalizione unita della sinistra che si riproporrà come unità delle forze europeiste nelle prossime elezioni di maggio;

d) il disastro elettorale del M5S che riduce di quasi il 50% la percentuale dei voti ( 20 %) rispetto a quelli conseguiti il 4 Marzo alle politiche del 2018 ( 38 %). Dopo il voto in Abruzzo,Matteo Salvini si affanna a dichiarare: niente cambi al governo nazionale. Il problema, però, non è cosa vorrà fare la Lega divenuta, secondo i sondaggi e la verifica del voto abruzzese, il partito di maggioranza relativa in Italia, ma ciò che faranno i grillini che dalla Lega stanno per essere cannibalizzati. Si apre una settimana politica interessante tra voto sul processo a Salvini, decisione sulla TAV, sulla legittima difesa, sui vertici di Banca d’Italia, sull’autonomia delle regioni del Nord : Veneto, Lombardia ed Emilia. Può darsi che prevalga il fregolismo del duo giallo verde Salvini-Di Maio, ma fino a quando potrà durare?

C’è qualcosa che si sta lacerando nel tessuto economico, finanziario, sociale e politico istituzionale italiano:

a) la crisi del sistema bancario e l’attacco all’autonomia della Banca d’Italia, già dominata dal potere degli hedge funds anglo caucasici_kazari , che richiede di tornare alla legge bancaria del 1936, per riprendere il controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria;

b) la crisi nei rapporti con la Francia e l’isolamento sempre più forte dell’Italia a livello europeo e internazionale, con una politica estera che sta intaccando i pilastri fondamentali costruiti dalla DC nei 45 anni del governo del Paese: alleanza atlantica e Unione europea;

c) una crisi economica e sociale espressa dai dati della decrescita infelice dell’Italia , della disoccupazione totale e giovanile in particolare, dai dati emigratori, e della povertà assoluta ( 5 milioni) e relativa ( quasi 9 milioni di italiani).

Alla riunione dell’ufficio politico della Democrazia Cristiana tenutasi ieri a Roma, ho evidenziato come sia attorno a questi nodi che, un partito ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e alla storia della DC, dovrebbe impegnare la propria azione e indicare le soluzioni politiche possibili, assumendo a livello programmatico molte delle proposte che dal seminario di Sant’Anselmo (3-4-5 gennaio 2013) all’incontro di Camaldoli (17-18 Giugno 2017) la DC ha saputo sin qui elaborare . Purtroppo continua una suicida campagna di delegittimazione svolta non solo tra le tradizionali ormai indigeste e assurde parrocchiette delle diverse sigle ex DC, ma anche e soprattutto, con toni fuori di ogni decenza, al nostro interno.

E’ tempo di girare definitivamente pagina: Il Presidente del Consiglio nazionale, Gianni Fontana, che avevamo eletto all’unanimità, proprio quale soluzione tesa a evitare una spaccatura congressuale il 14 ottobre scorso; una spaccatura che sarebbe suonata come quella dell’atomo, con cifre numeriche ridicole, deve scegliere: o sta con la DC o, se vuole impegnarsi su un’altra prospettiva politica altrettanto legittima, ma incompatibile con l’esercizio del suo ruolo interno ed esterno del nostro partito, scelga una volta per tutte, uscendo da una situazione di ambiguità che non fa bene a nessuno.

La DC intende promuovere l’unità di tutte le componenti che il 5 dicembre scorso hanno sottoscritto il patto federativo programmatico costituente, per tentare di costruire una lista alle prossime elezioni europee di tutti i popolari italiani che credono nell’Unione europea e intendono riportarla, insieme al PPE, ai valori originari dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

Se per l’indisponibilità di qualcuno ciò non fosse possibile, facciamo appello a qualche deputato europeo affinché assumesse insieme a noi la bandiera del popolarismo, per una battaglia elettorale in cui chiameremo a raccolta tutti i cattolici democratici e cristiano sociali italiani. Sarebbe la premessa utile e opportuna per la ricostruzione di un centro politico credibile, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana, alternativo alla deriva nazionalista e populista che sta portando l’Italia allo sfascio.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 14 Febbraio 2019

 

 
     

 

 

11 Febbraio 2019

A proposito di “autonomia” di Banca d’Italia

 

L’attacco di Lega e M5S all’autonomia di Banca d’Italia per “culpa in vigilando” nei casi di default bancari intervenuti come a Veneto Banca et similia, dovrebbe far riflettere sulla reale situazione nell’assetto proprietario di Banca d’Italia.

Lì si capirà se davvero Banca d’Italia è autonoma come si sostiene da parte dei partiti e la Costituzione prevede.

Basterebbe che il M5S con i suoi rappresentanti al governo chiedesse lumi all’On Alessio Villarosa, oggi sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ricevette una riposta dello stesso Ministero nel Febbraio 2017 ad una sua interrogazione parlamentare.

Il ministero confermò che maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529 (da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv.Cardarelli,) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano) risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Millano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001). Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson,

Vogliamo allora veramente garantire l’autonomia di Banca d’Italia? Va bene scegliere la dirigenza rispettando le norme di legge, ma, soprattutto, si torni al controllo pubblico della sua proprietà e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, così come prevedeva la legge bancaria del 1936, sempre salvaguardata dalla Democrazia Cristiana, superata, ahimè, dal Decreto Leg.vo n.481 del 14.12.1992 di Amato-Barucci citato.

Vogliamo discuterne seriamente? Organizziamo quanto prima un seminario sul tema: sovranità monetaria e sovranità nazionale con esperti economisti e studiosi del sistema bancario e finanziario italiano e internazionale.

Ettore Bonalberti
Vice segretario nazionale DC-resp.le Ufficio esteri
Venezia, 11 Febbraio 2019

 

 
     

 

 

31 Gennaio 2019

Con i piedi per terra

 

Siamo alla vigilia delle elezioni europee che si terranno il 23 Maggio prossimo e, ancora una volta, siamo alle prese con il “che fare?” di noi “ DC non pentiti” e, più in generale, come partecipanti della più vasta area sociale e culturale di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale.

La lunga stagione della diaspora DC ( 1993-2019) non si è ancora conclusa e anche all’interno di ciò che è rimasto della DC storica, permangono tentativi suicidi di divisione che più che alla “maledizione di Moro” pensiamo siano ascrivibili alla stupidità di noi uomini. A qualcuno, in particolare, presente in misura più rilevante che mai.

Prima riflessione da fare è la seguente: ci interessa oppure no la scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento europeo? Io ritengo di sì, considerato che in quella sede si discutono i grandi temi dello sviluppo economico, finanziario e sociale dell’Unione europea, e si decidono scelte rilevanti sul piano dei valori per noi cattolici non negoziabili.

In secondo luogo perché queste elezioni si faranno con il sistema proporzionale puro, quello che volle introdurre non a caso Luigi Sturzo agli inizi del ‘900 e che la DC seppe conservare sino all’infausta decisione di scelta del maggioritario indicata da Mariotto Segni e sostenuta da De Mita, causa non irrilevante della fine politica della DC.

Certo bisogna fare i conti, innanzi tutto, con la legge elettorale, rispetto alla quale sul tappeto sono presenti tre ipotesi di lavoro percorribili: quella che vorrebbe ci si presentasse con una lista autonoma di democratici cristiani con il simbolo dello scudo crociato, il che richiederebbe di raccogliere entro poco più di un mese, 150.000 firme ( 30.000 in ciascuno dei cinque collegi in cui è suddivisa l’Italia per questa scadenza elettorale, con almeno 3000 firme in ciascuna delle regioni facenti parte del collegio di riferimento).

La seconda che prevederebbe che uno o più parlamentari nazionali e/o europei depositassero una lista di area DC e popolare senza necessità di raccolta delle firme. La terza, infine, ed è quella che personalmente ritengo più valida, di costruire il “ patto programmatico federativo costituente” condiviso il 5 Dicembre scorso e, quindi, concorrere alla formazione di una lista insieme a quanti si riconoscono nel programma politico del PPE.

Escludo la prima ipotesi, considerato che non siamo assolutamente nelle condizioni di poter raccogliere le firme nei tempi strettissimi di cui, ahimè, disponiamo e considerato che già alcuni partiti e/o associazioni, come quello del Popolo della famiglia di Adinolfi ( 0,66 % alle elezioni del 4 Marzo 2018) e di Pietro Pirovano con gli amici di Solidarietà, sono impegnati in questa raccolta su liste già formate o in via di formazione. Non bastasse la difficoltà nella raccolta, dubitiamo che una tale scelta sia in grado di ottenere un risultato al di sopra del 4%, che è il limite minimo di consenso raggiungibile per avere l’elezione di qualche deputato al parlamento europeo.

Anche la seconda, per quanto utile ed efficace sul piano tattico, su quello della concreta efficacia sul piano del risultato avrebbe le stesse difficoltà di cui sopra. Resta la terza opzione che si presta alla solita replica: ma allora volete andare con Berlusconi.

A questo rilievo critico che risente dello scontro ideologico che ha caratterizzato tutta la vicenda della seconda repubblica ( berlusconismo e anti berlusconismo, dicotomia replicante del vecchio della prima repubblica: preambolo e anti preambolo) vorrei rispondere con questi argomenti:

a) Berlusconi e Forza Italia decisero di far parte del PPE su indicazione e sollecitazione degli amici compianti, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo. Scelta la strada del PPE, Berlusconi e il suo partito sono diventati parti essenziali del PPE, sino a raggiungere con Antonio Tajani la presidenza del consiglio del parlamento europeo proprio in rappresentanza del PPE.

b) Continuare a porre pregiudiziali all’ipotesi di concorrere con gli amici di Forza Italia e di altri partiti, associazioni, gruppi e movimenti a una lista ispirata ai valori del popolarismo europeo, mi sembra una logica fuorviante, atteso che il PPE è la nostra casa ed è la casa dei nostri padri che la fondarono: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Una casa certamente da restaurare per farla ritornare ai principi di quei padri politici europei.

c) Chi continuasse a sostenere tale pregiudiziale, dovrebbe chiarirci con chi intenderebbe allearsi per favorire l’obiettivo di una rappresentanza della nostra area nel parlamento europeo. Con Carlo Calenda e la sua ipotesi di più ampia aggregazione delle forze europeiste? Un’ipotesi già bocciata dal PD che, con Zingaretti, probabile vincitore del congresso di quel partito, punta all’unità con LEU. In sostanza un ritorno al vecchio PDS, e il possibile accordo a sinistra con il M5S. O, peggio da soli, ricadendo così nell’ipotesi 1, che considero oggettivamente impercorribile. Un’ipotesi quella di Calenda che, d’altronde, ci vedrebbe insieme alla Bonino, espressione della visione più laicista e radicalmente alternativa ai nostri valori non negoziabili, in materia di difesa della vita e dell’unità della famiglia naturale.

Ecco perché considero indispensabile una politica dei piccoli passi o da percorrere con i piedi ben piantati per terra. In un incontro tenutosi ieri a Brescia con alcuni amici di “Costruire Insieme”, presenti il presidente, sen Ivo Tarolli e l’amico Raffaele Bonanni, proprio di queste ipotesi abbiamo discusso, trovando una sostanziale unità di intenti anche con Piero Pirovano che ha presentato il suo progetto di raccolta firme.

Certo non si tratterà di entrare in una lista di Forza Italia, ma di dar vita a una lista di tutti i partiti, le associazioni e i movimenti che, riconoscendosi nel programma del PPE, intendono porsi in alternativa alla deriva populista e nazionalista sin qui dominante e alla guida bislacca del governo italiano. Una lista come “ L’altra Italia con il PPE”, con il simbolo del PPE, sarebbe il contenitore ideale per una tale formazione, che potrebbe puntare ad almeno il 10 % e oltre del consenso.

Una lista che potrebbe essere la premessa per dar vita, subito dopo le elezioni europee, a un “ nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, europeista e trans nazionale, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori”, Così scrivemmo e condividemmo nel seminario dei popolari organizzato da “Costruire Insieme”, il 23 Giugno scorso a Verona e confermato nel documento “patto programmatico federativo costituente”, sottoscritto il 5 Dicembre tra la DC e gli altri partiti e movimenti di area.

Agli amici Renato Grassi, Gianni Fontana, Ivo Tarolli, Gianfranco Rotondi, Mario Tassone, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Lorenzo Cesa e ai tanti rappresentanti delle diverse associazioni, movimenti e gruppi di area cattolica e popolare, il compito di attivarsi in un immediato “forum civico popolare”, come indicato dal card Bassetti, per impegnarsi in una strategia dei piccoli passi, a partire dalla condivisione di un progetto di formazione educativa e di informazione/controinformazione a quella oggi dominante su temi quali: reddito di cittadinanza, politica dell’immigrazione e integrazione, puntando a sostituire alla propaganda diffusa a piene mani ogni giorno dai giallo verdi, un processo di autentica formazione di una rinnovata classe dirigente.

La scuola di formazione politica annunciata da “Costruire Insieme” e il prossimo lancio del libro dell’associazione, contenente il codice etico e il programma per l’Italia, potrebbero costituire proprio quella “zattera” sulla quale cercare di far ripartire senza velleità e tutti INSIEME, l’impegno politico dei cattolici e dei popolari in Italia e in Europa.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 31 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

22 Gennaio 2019

Le ragioni della deriva nazionalista e il ruolo dei “DC non pentiti”

 

All’inizio si parlava di una deriva sovranista e populista, ma dopo le esternazioni bislacche di Di Maio contro la Francia e di Salvini contro il FMI, siamo alla riproposizione del più stupido nazionalismo che non si conosceva in Italia dal tempo del ventennio. Allora era “la perfida Albione” oggetto degli strali del Duce, ora la volubile “Marianna d’Oltralpe” che, proprio oggi, ad Aquisgrana, si appresta a siglare il rinnovo del patto con la Germania, che ripropone quello precedente tra il gen. De Gaulle e Adenauer che segnò la fine delle storiche ostilità tra i due Paesi. Altri tempi e altri giganti della politica europea. Ora è il tempo degli gnomi senz’arte né parte, quello per dirla con Mauro Mellini, “dei quattro amici al Bar Sport”.

Ora, però, è giunto il tempo di chiederci come mai siamo arrivati a tanto in Italia? Come e perché si è avuto un cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti, in una parola, di una cultura o sub cultura politica, contrassegnato dal voto del 4 Marzo 2018 e dalla successiva formazione della maggioranza trasformista giallo verde, motivata dalla “condizione di necessità”, a sostegno del “governo del contratto e del cambiamento”? Prima di porci il tema del se e quando questa maggioranza potrà collassare, credo si debbano approfondire le ragioni di questa affermatasi realtà effettuale.

Ci aiuta in quest’analisi quanto hanno scritto sul tema, due “osservatori partecipanti” della politica nazionale, come Michele Boldrin, del gruppo “Noise from Amerika” e il più noto Enzo Scotti, già ministro di vari governi ed esponente di spicco della DC storica.

Il gruppo “ Noise from Amerika” si auto definisce così nel sito: www.noisefromamerika.org. : “Siamo un gruppo di italiani che vivono e lavorano (o l'hanno fatto in passato) negli Stati Uniti d'America. Oltre a questo abbiamo, con l'eccezione della solita pecora nera, un certo numero d'altri attributi comuni: i) un Ph.D. in economia preso negli USA, ii) attività di ricerca nello stesso campo ed in istituzioni USA”.

Il Dr Bordin in un interessante articolo del 1 Agosto 2018 ( “ Il governo rosso-brunato”) spiega così le ragioni che stanno alla base della nascita del governo giallo verde: “Questo governo nasce sotto il triplice segno del Nazionalismo ideologico ("prima gli italiani", "fermare l'invasione", "basta diktat da Bruxelles" ...), del Socialismo economico ("contro il mercato globale", "contro il neoliberismo", "più stato e più spesa" ...) e del Populismo politico ("uno vale uno", "noi siamo i difensori del popolo", "basta tecnici, decide il popolo" ....). Dopo due mesi di martellante propaganda non possono esserci, a questo riguardo, dubbi residuali. Meno evidente il "Moralismo cattolico", che è invece sia ben presente che essenziale. Qui uso la parola "cattolico" in senso molto ristretto, con riferimento alla corrente dominante del cattolicesimo politico italiano, in particolare alla sua versione "Vaticano-CEI". Mi rendo conto che questo susciterà controversie ma per giustificarlo in dettaglio dovrei scrivere pagine e non ne ho voglia. Quindi mi prendo il lusso di procedere in modo apodittico e di affermare semplicemente che nel cattolicesimo politico italiano, nonostante le chiacchiere, il punto di vista dominante non è mai stato quello di Sturzo, bensì quello di Gedda. In ogni caso, il ruolo del moralismo cattolico lo si trova negli slogan sulla "onestà" personale dei nuovi eletti a fronte della corruzione dei loro predecessori, nei rosari e vangeli di Salvini, nel continuo appello ad una "difesa" dell'Italia cattolica dall'assalto nero o musulmano e, più generalmente, nel continuo apparire di migliaia di "cattolici veri" a teorizzare che le affermazioni di Bergoglio o di Famiglia Cristiana o di chiunque nella chiesa italiana si opponga alla loro ri-definizione di "cattolicesimo" ... costituisce un tradimento del medesimo.

Culturalmente più importanti, nella creazione di un nuovo regime guidato da un partito della nazione, sono due narrative fondamentali del cattolicesimo politico italiano. La prima, che ha le sue radici nella Controriforma, vaneggia il ritorno ad una condizione "rifondativa" in cui un popolo (omogeneo e privo di stratificazioni socio-culturali, mare di anime pure ed uguali) si affida alla guida, direzione e protezione dei suoi leader politici (che all'origine erano i preti ed i vescovi). La seconda narrativa, figlia della cosiddetta "dottrina sociale della chiesa" vaneggia anch'essa di formule economiche nazionali specificamente italiane, capaci di rigettare sia il mercato che il collettivismo dei soviet a favore di una terza via in cui lo "stato buono" e le varie associazioni del "terzo settore" programmano e gestiscono il sistema economico nazionale. Da Leone XIII a Fanfani e Dossetti passando per l'IRI prima e CL dopo, questa costellazione di confuse "teorie economiche" costituisce, di fatto, la comune cultura economica sia del "popolo leghista" che di quello "pentastellato". I quali non sono apparsi ieri in Italia: vi risiedono da decenni e, prima, votavano DC , PCI, PSI ed MSI i quali, forse, poco avevano in comune ma la visione di una "economia sociale nazionale", quella ce l'avevano di certo. “

Drastiche le sue conclusioni: “Questa cultura è la "cultura politica degli italiani", quella che si è venuta formando da quando le élites italiane, seguendo l'invito di D'Azeglio, si misero all'opera per inventarsi il popolo italiano, che allora non esisteva proprio. Non è arrivata dal cielo questa visione del mondo condivisa dall'80-90% dei cittadini italiani. Essa è il frutto, certamente, della situazione esistente attorno al 1860-70, ma anche e soprattutto delle scelte politiche, economiche e culturali che le élites italiane, da allora sino all'altro giorno, hanno compiuto. Nazionalismo ideologico + Socialismo economico + Populismo politico + Moralismo cattolico sono le sue quattro colonne portanti, collegate tra loro dal mito che gli italiani siano il "popolo erede", al contempo, del mondo Classico e del Rinascimento.”

Ora, a parte i giudizi sommari sul cosiddetto “ moralismo cattolico”, che non tiene assolutamente conto di quella che è stata e ancora potrà essere la straordinaria esperienza politica dei cattolici democratici e cristiano sociali da Sturzo a De Gasperi , compresa la più che quarantennale posizione dominante della DC nel governo dell’Italia, non v’è dubbio che nella maggioranza dei voti espressi da poco più del 50% degli elettori che il 4 Marzo hanno partecipato al voto, quelle quattro culture, o se meglio vogliamo connotarle sociologicamente in termini weberiani, quei quattro “ideal typus”, sono senz’altro presenti. Nulla in politica, come in molte altre espressioni dell’attività umana, nasce per caso o per improvvisi e drastici salti, ma finisce col rappresentare quasi sempre nel nuovo che emerge, qualcosa che già esisteva nelle radici profonde di un popolo in continuo mutamento tra conservazione e innovazione, tanto sul piano strutturale che su quello sovrastrutturale.

Si tratta di comprendere, tuttavia, se l’attuale politica, che è sempre espressione dell’equilibrio tra gli interessi e i valori prevalenti in termini di consenso in una determinata situazione storica, sia in grado di conservare quell’equilibrio che, analizzando la composizione geo territoriale, economico sociale e culturale dell’elettorato della Lega e del M5S, appare largamente difficile da sostenere; come dimostrano le quotidiane difficoltà nelle scelte politiche del governo e l’arrembante strategia e tattica politica dei due partiti, ormai uniti in un becero nazionalismo d’altri tempi, con cui si preparano all’attacco delle istituzioni europee.

Più politica la lettura che Enzo Scotti fornisce, in un articolo pubblicato sulla rivista on line: www.formiche.net, il 15 Gennaio 2019 dal titolo: “ Obiettivi e strategia per vincere la sfida del Governo Conte”. La premessa di Scotti è che: “Le prossime elezioni europee rappresenteranno, inevitabilmente, uno spartiacque per tutti i governi nazionali dei Paesi che fanno parte dell’Europa. Sono evidenti i contrasti all’interno dei Paesi che fanno parte dell’Unione europea: questi vanno dal confronto sul trasferimento all’Unione di maggiori poteri sovranazionali a questioni che toccano l’esistenza stessa dell’Unione, sino al contenuto e alla gestione delle politiche per fronteggiare la crisi economica esplosa negli Usa nel 2008 e, infine, al contrasto sulle politiche, e relativa gestione, dei flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Mediterraneo.”

Se questa è la situazione aggravata dalla guerra dei dazi Cina-USA e dalla vicenda Brexit, Scotti conclude così: “Se è vero che siamo in una fase di profonda transizione di un cambio d’epoca, l’unico dato certo è che nei Paesi euro-atlantici tira – tra mille spifferi – un vento con una chiara direzione. Una quota crescente di popolo non punta a una rivoluzione, come l’abbiamo conosciuta negli ultimi secoli, ma partecipa a movimenti che hanno come unico obiettivo la distruzione delle tradizionali élite conservatrici e riformatrici che non sono più capaci di assicurare sicurezza, crescita e benessere. E aggiunge: A essere politicamente messa in discussione nella pratica di governo è stata innanzitutto la democrazia rappresentativa di stampo liberale. E poi, in successione, la mediazione, l’accordo e le forme di new deal perché ritenute tutte incompatibili con la necessità di un’economia e di una società moderne. Questa forte turbolenza non poteva non mettere in crisi l’Unione europea, la costruzione politica frutto della scelta di mettere insieme le risorse economiche, sociali e soprattutto quel patrimonio culturale dell’umanesimo liberale. E la mette in difficoltà di fronte alla prima grande crisi economica del 2008, neppure prevista dal Trattato europeo del 1992.

Solo approfondendo le ragioni di quel vento contro le élites si può capire, prima di giudicare con supponente onniscienza, la nascita di movimenti, certamente non omogenei né con una forte radice culturale perché non derivanti da ideologie tipiche degli ultimi decenni, ma che cercano una legittimità a partire da temi specifici (l’ultima esperienza è quella dei gilet gialli in Francia). Conseguentemente, solo alla luce di questo contesto si può capire il governo di due forze tra loro così diverse per sensibilità e obiettivi, ma ambedue alla ricerca di una risposta alle sfide del cambiamento.”

Credo che proprio da queste conclusioni noi “DC non pentiti”, eredi della migliore tradizione politica dei cattolici democratici, cristiano sociali e popolari, si debba ripartire, tenendo presente che un vento nuovo sta soffiando oltre Tevere. Un vento che ci impegna tutti, appartenenti alle diverse casematte diventate inutili obsolete sopravvissute della diaspora democratico cristiana, a metterci in discussione, per ritrovare, al centro, come a destra e a sinistra, le ragioni essenziali per ricomporre la nostra unità che, in questo tempo di sub cultura politica, è indispensabile per l’Italia e per l’Europa.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 22 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

19 Gennaio 2019

Centenario dell’appello sturziano: prime prove per l’unità dei DC

 

Si è celebrato ieri nell’auletta dei gruppi parlamentari della Camera in forma solenne il centenario dell’appello sturziano “ Ai Liberi e Forti”. Presenti alcune centinaia di militanti democratici cristiani, l’evento organizzato dalla Fondazione Fiorentino Sullo, è stato caratterizzato dagli interventi di Gianfranco Rotondi, Presidente della fondazione Sullo, Renato Grassi, segretario nazionale della DC e di Mario Tassone, segretario nazionale Nuovo CDU. Le relazioni sono state tenute dagli Onn. Calogero Mannino, Rocco Buttiglione e Roberto Lagalla con quella introduttiva del dr Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2.

L’On Vitaliano Gemelli ha illustrato il documento che, il 5 Dicembre 2018, era stato da me redatto e condiviso da Grassi, Rotondi, Tassone, Giorgio Merlo, Mario Mauro, Ivo Tarolli, Giuseppe Rotunno e da molti altri esponenti di diversi gruppi, associazioni e movimenti dell’area cattolica e popolare italiana. Il documento, che abbiamo connotato come il “ patto programmatico federativo costituente”, si propone, tra l’altro: “l’impegno a ricomporre l’unità di tutti i democratici cristiani italiani aperti alla collaborazione con altre componenti politico culturali che condividono i principi dell’umanesimo cristiano, alternativi alle chiusure di quanti, guidati da logiche sovraniste e nazionaliste, intendono distruggere quanto di positivo ha rappresentato e ancora potrà rappresentare l’Unione europea riformata sui valori dei padri fondatori. Insieme condividiamo il documento politico approvato dal PPE nel recente congresso di Helsinki : per un’Europa sicura che coopera con l’Africa con un forte “Piano Marshall”, un’Europa per tutti: prospera e giusta; un’Europa sostenibile; un’Europa che difenda i nostri valori e i nostri interessi nel mondo. Consapevoli dei gravi rischi che l’umanità e il pianeta stanno correndo sul piano ambientale e della stessa sopravvivenza delle specie viventi, siamo impegnati a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Chiesa indicati da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”. Sulla base di tale condivisione siamo disponibili a concorrere insieme con quanti si riconoscono nello stesso documento alle prossime elezioni europee del 23-26 Maggio 2019. Facciamo appello a tutte le associazioni, movimenti, gruppi dell’area cattolica e popolare, alle donne e agli uomini amanti della libertà e ispirati dai valori dei “ Liberi e Forti” affinché contribuiscano a sostenere una nuova classe dirigente sotto le insegne del Partito Popolare Europeo.”

L’incontro di ieri non è stato, dunque, una semplice ricorrenza liturgica di una data che ha segnato la storia della politica italiana e il ruolo che da allora assunsero i cattolici nella politica del nostro Paese, ma, come ha ben evidenziato Renato Grassi, nel suo intervento: “A distanza di cento anni dalla divulgazione dell'Appello sturziano, torna alla luce lo stesso senso di responsabilità: guardare avanti per la ricomposizione politica dell'area cattolica e popolare cercando, tutti insieme, le più ampie aperture al confronto e al dialogo. È nostro convincimento preciso che si debbano trovare convergenze unitarie e promuovere scelte aggregative che superino il tradizionale recinto della diaspora democristiana, al fine di ricercare e ritrovare la più ampia convergenza di partiti, movimenti e aggregazioni anche ecclesiali che abbiano, quale obiettivo specifico, la costruzione di un nuovo umanesimo cristiano capace di interpretare i fermenti evolutivi della Dottrina Sociale cattolica e di tradurre in politica i caratteri sociali ed etici dello stesso Magistero della Chiesa. Siamo di fronte, ha continuato il segretario nazionale della DC, a un’ evoluzione epocale di cui non se ne intravede agevolmente l'esito, e proprio per questo la Democrazia Cristiana intende dare un contributo convinto alla rinascita del Paese. A tal fine infatti abbiamo promosso e sottoscritto un Patto Federativo Programmatico con partiti movimenti e associazioni che si richiamano all'area del popolarismo europeo. La DC guarda infatti, con attenzione e in piena autonomia, alle prossime scadenze elettorali per il Parlamento Europeo”.

Ieri a Roma si è compiuto, dunque, un passo importante per la ricomposizione dell’area democratico cristiana, premessa funzionale a quella più ampia dell’area cattolico popolare, finalizzata alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla deriva sovranista e populista che attualmente guida l’Italia.

Ora si tratta di avere piena consapevolezza che da soli, con ciò che rimane della propria realtà associativa e politico culturale, non andremo da nessuna parte, specie se consideriamo le scadenze dei prossimi impegni elettorali, a partire dalle elezioni europee del 23 Maggio p.v.

Ricordare Don Luigi Sturzo per noi vuol dire, dunque, impegnarci oggi, come lui fece cent’anni fa, a inverare nella città dell’uomo, gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione. Dovremo tutti fare lo sforzo di superare le nostre attuali casematte per ritrovarci INSIEME nel nuovo soggetto politico.

Guai se qualcuno pensasse di egemonizzare il pezzettino di residuo democristiano da portare in dote a Berlusconi o a sinistra. Siamo fieri e orgogliosamente difensori della nostra autonomia, pronti a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, riproponendo un nuovo appello ai Liberi e Forti dell’Italia del XXI secolo e a consegnare il testimone di questa straordinaria esperienza e cultura politica a una nuova generazione di democratici cristiani e di popolari.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 19 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

15 Gennaio 2019

La dura prova della realtà

 

Dopo il Monte dei Paschi di Siena è la volta della CARIGE (Cassa di Risparmio di Genova), prime vittime di una crisi bancaria italiana nella quale sono coinvolte diverse altre realtà che stanno scivolando verso il default.

Trattasi di una crisi di sistema più volte denunciato dall’amico Alessandro Govoni anche in sede giudiziaria, dopo che Banca d’Italia è stata sottoposta al potere degli hedge funds anglo caucasici-kazari detentori delle quote di maggioranza dei tre istituti controllati-controllori della Banca centrale (vedasi la risposta del Ministero del Tesoro all’interrogazione dell’On Villarosa del Febbraio 2017, allora capogruppo del M5S in commissione finanze della Camera, attualmente sottosegretario dello stesso Ministero *) per risolvere la quale non sono assolutamente sufficienti, ancorché necessarie, le politiche di intervento d’urgenza come quelle sin qui adottate tanto dal centro-sinistra che dal governo giallo-verde.

Alla dura prova della realtà anche il M5S , paladino della battaglia contro il salvataggio renziano delle banche , si è dovuto piegare a ciò che il ministro Tria e il premier Conte alla fine hanno dovuto decidere in un consiglio dei ministri serale convocato d’urgenza.

L’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello STATO ITALIANO e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente:

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (=abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (=abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) =abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di societa italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992 firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione diattentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

Credo che la Democrazia Cristiana, che fu già il partito di Guido Carli che seppe conservare la legge bancaria del 1936 sino al 1992, una delle pre-condizioni fondamentali della crescita dell’Italia, sarebbe quella di assumere queste indicazioni come essenziali per la sua proposta di programma, avendo consapevolezza che, senza questi pre-requisiti, nessun’altra riforma seria sarebbe possibile nel nostro Paese.

* Da documenti desecretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017) maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv.Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Millano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999. Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001). Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson, convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400 dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 15 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

14 Gennaio 2019

Centenario della nascita di Giulio Andreotti

 

Il 14 Gennaio 1919 nasceva a Roma Giulio Andreotti, una figura straordinaria della storia democratico cristiana. Di Andreotti, che ebbi la fortuna di conoscere e frequentare negli anni della partecipazione ai lavori del Consiglio nazionale della DC, vorrei evidenziare una delle caratteristiche più attrattive della sua personalità: la straordinaria disponibilità all’ascolto e a insegnare a noi più giovani esponenti della quarta generazione democristiana, i passaggi più difficili della vicenda politica, così come la discutevamo con grande passione e assoluta libertà nei Consigli nazionali della DC a Piazzale Sturzo all’EUR.

Erano incontri nei quali Andreotti sempre in prima fila, prendeva i suoi immancabili appunti sul quaderno con la copertina nera, e dopo lunghe ore di dibattito, mentre risaliva i gradini della sala del consiglio nazionale, quella in cui spiccava al centro del palco il quadro di De Gasperi rappresentato da Annigoni (a proposito mi sono sempre chiesto che fine abbia fatto quel cimelio storico, dopo che, scomparsa la DC, ebbi la sventura di rivisitare Palazzo Sturzo nel completo abbandono, in uno dei primi consigli nazionale del CDU di Buttiglione) si fermava con grande generosità a dialogare con noi più giovani che gli ponevamo tante domande, ricevendo le sue come sempre argute e illuminanti risposte.

Da componente del CN della DC nella lista di Forze Nuove, fu assai travagliato il nostro rapporto con il capo di una corrente veramente mai gestita in prima persona dal divo Giulio, semmai sempre affidata ai luogotenenti fidati, Evangelisti, Sbardella, Lima prima e poi Cirino Pomicino e Nino Cristofori, con il seguito sempre garantito dei ciellini osannanti alle performance politiche del loro presidente di riferimento.

Un giudizio complessivo sulla sua lunga storia sarà fornito dagli storici futuri e, credo, non potrà che essere alla fine largamente positivo. Confrontando gli uomini di quella generazione, Andreotti, Fanfani, Moro, la seconda del partito, dopo quella dei popolari come De Gasperi, Gonella, Scelba, con questi “mezzomini e ominicchi” contemporanei, ogni paragone sarebbe fuorviante.

Resta, ovviamente, tuttora valido e difficilmente controvertibile quanto un leader storico della DC come Carlo Donat-Cattin amava, in ogni occasione, ammonirci; ossia che bisognava rispettare, ed anche temere, l’intelligenza politica di Giulio Andreotti, ma che bisognava sempre diffidare dell’andreottismo.

Per riuscire a capire a fondo cosa ha rappresentato l’andreottismo nella storia della DC e della Prima Repubblica, al di là delle facili giustificazioni degli amici o delle sommarie liquidazioni degli avversari di parte, serve una ben più rigorosa analisi dei documenti lasciatici in eredità con il distacco proprio di chi non è più parte attiva della contesa politica contingente.

Con lo scomparso e compianto amico Sandro Fontana condividiamo quanto da lui scritto in occasione del 90° compleanno di Andreotti: “Col passare degli anni e di fronte allo spettacolo deprimente della lotta politica odierna, il cosiddetto andreottismo ha finito col rappresentare ai miei occhi soprattutto una grande lezione di metodo. La quale non consisteva tanto nel banalizzare ogni vicenda politica, quanto nel riuscire ad isolare ogni problema concreto dalle inevitabili sovrastrutture ideologiche e passionali e nel cercare, con pazienza e determinazione, di sciogliere i numerosi nodi che l’insipienza e la malafede degli uomini avevano reso inestricabili”.

Da parte mia a una domanda rivoltami dal giornalista Giuliano Ramazzina in un libro intervista (“ALEF un futuro da Liberi e Forti”- ME Publisher-2010) così formulata: “State sempre in maggioranza, diceva Toni Bisaglia durante le sue famose cene con gli amici. Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Giulio Andreotti. E’ più emblematica, nel disprezzo delle minoranze, la frase di Toni Bisaglia o quella di Giulio Andreotti ?” risposi così:

“Quella di Toni è l’espressione di un doroteismo che, già con lui e, soprattutto dopo di lui, diventerà degenerazione culturale e morale. Ricordo uno degli ultimi interventi pubblici di Bisaglia in cui, con grande capacità di autocritica, denunciò l’esistenza di una questione morale tra le file dei suoi e di altri amici della DC che sarebbe stata all’origine della scomparsa di quel partito. Eravamo agli inizi degli anni ’80, dopo una tornata elettorale in cui era scoppiato il fenomeno da noi non compreso della Liga Veneta. Interi paesi e quartieri in cui eravamo abituati a conoscere pressoché la totalità degli elettori della DC, vedevano crescere il consenso al movimento dei Tramarin prima e dei Rocchetta dopo, senza che si potessero riconoscere i loro riferimenti territoriali. Fu allora che organizzammo un gruppo di lavoro multidisciplinare per cercare di comprendere le ragioni di quanto stava accadendo. E proprio discutendo dei risultati di quell’indagine, nella sala delle Conchiglie a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, Bisaglia con toni accorati pronunciò quella sua profetica sentenza. Era oramai troppo tardi. Molti dei suoi amici ed anche altri si erano da tempo incamminati sulla strada della separazione degli interessi, specie di quelli personali, dai valori. E fu così che il doroteo polesano che si fregiava del fatto che, a differenza di Mariano Rumor, il leader storico dei dorotei veneti, non aveva avuto parte alla congiura dei “salmodianti della Domus Mariae” e che a noi giovani in diversi incontri alla DC di Rovigo, teorizzava il valore della conquista del potere quale strumento indispensabile per orientare la politica verso quella mediazione corretta tra interessi e valori, dopo quasi trent’anni di vita parlamentare, dovette accorgersi che qualcosa di grave era intervenuto. Qualcosa che avrebbe travolto di lì a pochi anni con la DC veneta un’intera classe dirigente.

Andreotti non è mai stato doroteo, avendo sempre curato una sua piccola, almeno all’inizio, corrente, chiamata con il nome rassicurante di “Primavera”. Circoscritta dapprima a Roma e nel Lazio, dopo la crisi dei dorotei che si consumò nella rottura intervenuta tra Rumor e Bisaglia in un drammatico consiglio nazionale, al quale partecipai, dopo la sconfitta sul referendum sul divorzio, la corrente andò progressivamente allargandosi. Franco Evangelisti ne era il Tigellino fedele ed efficientissimo. Evangelisti era quello del: “a Fra’ che te serve”, rivolgendosi a Francesco Caltagirone, allora disistimato palazzinaro romano, a capo di una dinastia oggi tra le più rispettabili dell’Italia, a destra, come al centro e a sinistra. Ma sarà con l’adesione degli Sbardella, dei Pomicino, Scotti e dei siciliani con Salvo Lima, che la corrente del divo Giulio diventerà uno dei capisaldi della DC post dorotea nella quale prevalse il dominio dei basisti demitiani, grazie proprio all’appoggio determinante degli andreottiani.

Se prima i dorotei, specie quelli veneti, avevano dimostrato senso della misura e della loro innata capacità di stare a tavola, con Andreotti, si ebbe la dimostrazione dell’immutabilità della condizione del potere. Sino alla sciagurata decisione di opporsi all’ultimo voto all’elezione di Arnaldo Forlani alla presidenza della Repubblica, ultimo atto di una tragedia che, con Scalfaro presidente, assumerà i toni della tragicommedia”.

Luci ed ombre nella vita politica di un uomo che, in ogni caso, concorse in maniera determinante a garantire all’Italia quasi cinquant’anni di pace ininterrotta, nella difesa della libertà e in una fase di ricostruzione dell’unità europea che, non a caso, Andreotti ebbe da subito, incompreso anche fra molti di noi più giovani, la consapevolezza dei rischi che correvamo con la riunificazione tedesca. Non a caso egli osava affermare con la consueta ironia : “ amo talmente la Germania da desiderarne due”.

Purtroppo l’idea di europeizzare la Germania attraverso l’Atto Unico (1987), che fu il capolavoro politico di Andreotti da ministro degli Esteri del governo Craxi durante il semestre di presidenza italiana di quell’anno, non si è attuata e ci troviamo oggi, invece, a fare i conti con una germanizzazione dell’Europa che rappresenta il grande tema affidato, ahimè, a questi nuovi politici senz’arte né parte. Non a caso sale da molti la nostalgia del divo Giulio…

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 14 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

10 Gennaio 2019

Più che la “maledizione di Moro”, la stupidità degli eredi

 

Sono stato tra i consiglieri nazionali della DC che il 18 Gennaio 1993, su iniziativa del segretario Martinazzoli, da diversi mesi sollecitato dalla “pasionaria di Sinalunga”, Rosi Bindi, approvarono il cambiamento del nome del partito da DC a PPI.

Di fatto quella scelta coincise, di lì a poco, con la fine politica del partito e l’avvio della lunga marcia nel deserto, caratterizzata dalla diaspora esplosa, prima, tra i diversi spezzoni in cui si frantumò a poco a poco il partito, e, in seguito, nell’intera vasta area politica, sociale e culturale che alla DC ha fatto riferimento per oltre quarant’anni.

Personalmente, in quegli anni che vanno dal 1994 al 2011, mi concentrai sulla mia intensa attività professionale, limitandomi a scrivere di politica con lo pseudonimo di don Chisciotte, l’errante cavaliere indomito, uscito dalla mente di quel grande della letteratura spagnola a me caro, Miguel De Cervantes.

Fu nel 2011 che l’amico On Publio Fiori mi informò della sentenza n.25999 della Cassazione, pronunciata a sezioni civile riunite il 23.12.2010, che stabilì un fatto giuridico importantissimo: la DC non è mai stata giuridicamente sciolta, in quanto per poterla sciogliere e trasformarla in altro partito, il segretario nazionale, con il consiglio nazionale della DC, a norma dello statuto, avrebbe dovuto convocare il Congresso, ossia la platea di tutti i soci iscritti al partito che, nel 1992 erano oltre un milione.

Iniziò in quel momento un impegno che con gli amici Silvio Lega, Ugo Grippo, Luciano Faraguti, Renato Grassi e Sergio Bindi, portammo avanti, indicando in Gianni Fontana la persona che avrebbe assunto, con il congresso convocato dal consiglio nazionale in auto convocazione, l’incarico di segretario nazionale, dopo che nel 2012 riaprimmo il tesseramento per tutti i soci del 1992 che avessero espresso la volontà di riconfermare la loro iscrizione al partito.

Subito emersero le opposizioni incrociate di quanti non potevano vedere favorevolmente la rinascita politica della DC, “partito mai giuridicamente sciolto”. Alcuni, timorosi per quanto era accaduto con episodi assai poco commendevoli al momento della spartizione dei beni mobili e immobili del partito. Altri, accasatisi su altre sponde politiche a destra, a sinistra o al centro, sul più comodo carro trionfante del Cavaliere, preoccupati di difendere le loro nuove posizioni acquisite, dimentichi di quanto la DC era stata loro così prodiga di bene.

Tra gli irriducibili avversari delle scelte che, con grande fatica e dispendio di energie personali, il gruppo degli amici che avevano concordato l’elezione di Gianni Fontana alla segreteria andavano compiendo, si rivelarono sin dal 2012, due amici romani: Cerenza e De Simoni, rappresentanti di un’associazione degli iscritti alla DC del 1992-93, i quali si sono impegnati per oltre sette anni, in un’opera di continua opposizione, svolta non sul piano del confronto politico, ma sul terreno giudiziario, con continui ricorsi tesi a distruggere la tela che abbiamo tentato di tessere con grande passione e assoluto disinteresse.

Sono stati così sette anni di un continuo e pericoloso slalom tra il tempo passato a elaborare proposte politiche e a diffondere l’idea della ripresa politica della DC e quello dedicato a rispondere alle continue scadenze nelle aule dei tribunali.

Per molto tempo ho ritenuto che pendesse su di noi la “ maledizione di Aldo Moro” pronunciata contro la DC e i suoi eredi dal carcere delle BR. Avevo sperato che con l’ultimo tentativo di accordo con il duo romano si fosse trovata finalmente la pace, dopo che il tribunale di Roma aveva autorizzato la celebrazione del XIX Congresso nazionale del partito il 14 Ottobre 2018, nel quale abbiamo eletto Renato Grassi alla segreteria del partito e Gianni Fontana alla presidenza del Consiglio nazionale, convocato il 23 ottobre dello stesso anno, ed invece il duo romano ha colpito ancora con l’ennesimo ricorso in tribunale.

Se con quello del 2012 abbiamo perduto sette anni di vita politica per la DC, con quest’ultimo, se dovesse prevalere, sono convinto che quello che per molti di noi è stato un sogno finirebbe per diventare l’incubo di un’aspettativa mancata senz’altra possibilità di riuscita.

Di fronte al persistere di questi avvenimenti che il 18 Gennaio prossimo, centenario dell’appello sturziano ai Liberi e Forti, e venticinquennale della fine politica della DC, vedrà riuniti a Roma una sequela di partiti, movimenti e gruppi che, a diverso titolo, fanno riferimento alla DC, sto pensando che più che “la maledizione di Moro”, siamo tutti vittime della stupidità degli ultimi eredi della DC.

Come chiamare, infatti, quelle persone che con i loro comportamenti e i loro atti “fanno del male a se stessi e agli altri”, se non con il titolo di “stupidi”, ossia con la qualifica che proprio il prof Carlo Cipolla nel suo trattato sulla stupidità, ha egregiamente attribuito alle persone responsabili di tali comportamenti?

Ho dedicato gli ultimi ventisei anni della mia vita politica al progetto della ricomposizione dell’area politico culturale cattolica e popolare italiana, ma temo di aver vissuto nient’altro che una frustrante illusione, avendo sperimentato sulla mia pelle quanto sia difficile lavorare in un contesto, come quello del nostro Paese, in cui: “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuol essere coordinato”.

Getto la spugna e da questo momento mi limito a svolgere il ruolo di “ un osservatore partecipante”, deluso e rammaricato nel costatare l’impotenza dell’area politica democratico cristiana, nella quale le stucchevoli ambizioni di alcuni continuano a fare aggio sul progetto della ricomposizione unitaria.

E, intanto, assistiamo allo “sgoverno dei giallo verdi” e al trionfo di una deriva sovranista e populista che porterà l’Italia alla crisi d sistema.

Una definitiva speranza: il 18 Gennaio riusciremo a far decollare il patto programmatico costituente condiviso il 5 Dicembre scorso con Rotondi, Tassone, Merlo, Mario Mauro, Tarolli, Rotunno e tanti altri amici di area DC e popolare? Lì si parrà nostra nobilitade.

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 10 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

04 Gennaio 2019

Che il Signore ci assista!

 

Sono sempre più frequenti i messaggi provenienti dalla gerarchia cattolica per un rinnovato impegno dei cattolici nella politica italiana. Ultimo in ordine di tempo, l’intervento di padre Spadaro, direttore de “La civiltà Cattolica”, con le sue parole chiave, ricetta per reagire alle paure diffuse tra la gente.

Sono quelle della “paura”, dominante nel dibattito politico italiano, contro cui, come indica Papa Francesco è necessario compiere “gesti che si oppongono alla retorica dell’odio”.

La seconda parola è quella dell’”ordine”, che fa a pugni con la situazione di permanenti conflitti a livello internazionale , per perseguire il quale padre Spadaro indica una “solida collocazione internazionale dell’Italia e un’attiva politica estera specialmente nel Mediterraneo, punto di incontro di Europa, Africa e Asia. Forse occorre evocare un nuovo ordine mediterraneo.”

La terza parola è quella di “ migrazioni”, che sembra divenuta centrale nella vulgata politica nazionale, e su questo tema, ai muri e alla chiusure egoistiche, padre Spadaro invita a lavorare per l’integrazione.

Quarta parola “ popolo”, da non confondere con il populismo, considerando con Papa Bergoglio che “la questione centrale oggi è quella della democrazia”.

Segue il termine “partecipazione” che permetta di passare dalla condizione di “abitanti europei a quella di cittadini europei”. Il richiamo alle tre T di Papa Francesco, Tierra,Techo,Trabajo, ossia :Terra, casa e lavoro, sono i fondamentali per dare dignità alla vita umana. Partecipazione, dunque, come ritorno a riconnettersi con la gente: dal populismo al popolarismo.

Ritorno al “popolo”, che è stata la stella polare di tutta la storia dell’esperienza politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali, dall’appello sturziano ai Liberi e forti del 18 Gennaio 1919, alla DC di De Gasperi, Fanfani e Moro della lunga stagione del potere (1948-1992).

Ad essa é seguita la dolorosa stagione della diaspora (1993-2019) tuttora in fase di complessa e difficile ricomposizione, considerata la multiforme realtà dell’area cattolica e popolare, la crisi oggettiva dell’associazionismo cattolico e della stessa organizzazione ecclesiastica, cui si accompagna la deleteria divisione tra le diverse organizzazioni meta politiche e partitiche che, a diverso titolo, tentano di richiamarsi all’esperienza popolare e/o democratico cristiana.

Nel 1946-47 fu la voce di Papa Pacelli che si fece sentire alta e forte per un impegno diretto dei cattolici nella politica italiana, di fronte al rischio della vittoria del fronte social comunista. Una Topolino messa a disposizione di Luigi Gedda e Maria Badaloni permise loro di girare tutta l’Italia e di dar vita all’Associazione dei Maestri Cattolici (AIMC), primo nucleo fondante dell’unità politica dei cattolici nella DC.

Seguirono le iniziative di Achille Grandi con le ACLI, di Paolo Bonomi con la Coldiretti, di Giulio Pastore con la CISL, ossia la nascita di una rete sociale, prima ancora che politica, in grado di saldare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, uniti nei valori fondanti della dottrina sociale cristiana: centralità della persona e della famiglia, ruolo essenziale dei corpi intermedi, i rapporti dei quali da regolare secondo i principi della solidarietà e della sussidiarietà. Quelli che i democratico cristiani alla Costituente, Dossetti, La Pira, Fanfani, Moro, Mortati e Lazzati, seppero introdurre a fondamento della nostra Costituzione repubblicana.

Noi da vecchi “ DC non pentiti” è dal 1993 che continuiamo la nostra lunga battaglia per la ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, pur tra mille difficoltà, incomprensioni, personali amarezze, convinti come siamo che, nell’età della globalizzazione, servirebbe veramente un “Appello ai Liberi e Forti 2.0”, a misura di quello sturziano del 1919. Quella fu la risposta dei cattolici all’appello lanciato con la Rerum Novarum da Papa Leone XIII per la soluzione dei problemi posti dalla prima rivoluzione industriale. Oggi, sostenuti dalle indicazioni pastorali di Papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e di Papa Francesco ( Evangelii Gaudium e Laudato Si), il nostro impegno è quello di inverare nella città dell’uomo questi orientamenti, nella difficile fase storico politica vissuta nell’età della globalizzazione con il ruolo dominante del turbo capitalismo finanziario.

Il 17 Gennaio prossimo, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’Istituto Sturzo di Roma si celebrerà in forma solenne il centenario dell’appello sturziano. Noi stessi democratici cristiani tutti insieme a quanti vorranno unirsi nel patto programmatico costituente sottoscritto il 5 Dicembre scorso, Venerdì 18 Gennaio prossimo celebreremo presso la saletta della Camera dei Deputati, con il ricordo dell’appello sturziano, l’indicazione di un progetto politico in grado di offrire al Paese una nuova speranza.

Certo, ci sentiamo orfani di personalità all’altezza dei nostri padri fondatori, ma la nostra determinazione nell’impegno per ricomporre ciò che da molto, troppo tempo, è rimasto diviso, resta ferma e indistruttibile.

Serve l’aiuto di tutti i democratici cristiani e popolari italiani e, soprattutto, l’adesione appassionata di una nuova generazione DC e di popolari, alla quale intendiamo consegnare con orgoglio il testimone della nostra migliore tradizione politico culturale.

E che il Signore ci assista!

Ettore Bonalberti
Vice Segretario della DC
Venezia, 04 Gennaio 2019

 

 
     

 

 

 

 

 

 
 
 
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